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    L’agonia di chi resta in vita a Gaza, ora il rischio è la poliomielite. L’Ue a Israele: “Colpire infrastrutture critiche è crimine di guerra”

    Bruxelles – Dal 7 ottobre a oggi, nella Striscia di Gaza sono morti circa 40 mila palestinesi. Più i migliaia dispersi sotto le macerie dei centri abitati rasi al suolo dai bombardamenti israeliani. Ma ci sono anche oltre 90 mila feriti, e un milione di persone che da mesi subiscono sfollamenti forzati e condizioni di vita terribili. Secondo gli ultimi resoconti delle agenzie delle Nazioni Unite, dilagano sempre di più diverse malattie infettive, prima fra tutte l’epatite A. All’orizzonte però c’è uno scenario addirittura peggiore, quello di un’epidemia di poliomielite.Nel bollettino giornaliero del 2 agosto sulla situazione umanitaria a Gaza, l’Ufficio di coordinamento per gli Affari umanitari dell’Onu (Ocha-Opt) ha avvertito della presenza di “alto rischio di ulteriore diffusione di malattie infettive a Gaza, a causa della cronica scarsità d’acqua e della totale incapacità di gestire i rifiuti e le acque reflue”. Secondo la testimonianza del Cluster Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), le condizioni di salute pubblica a Gaza “continuano a deteriorarsi, poiché i ricorrenti ordini di evacuazione e gli sfollamenti di massa hanno ulteriormente ridotto l’accesso della popolazione all’acqua potabile e alle strutture igienico-sanitarie”. Inoltre, “lo straripamento di acque reflue e fognature non trattate nelle strade e il crescente accumulo di rifiuti solidi continuano ad alimentare le malattie trasmesse dall’acqua”.Il raid israeliano sull’impianto per l’acqua a Rafah, Borrell: “Crimine di guerra”È in questo contesto che l’esercito israeliano, lo scorso 27 luglio, avrebbe deliberatamente colpito e distrutto una struttura chiave per la produzione e la distribuzione di acqua a Rafah, nel sud dell’enclave palestinese. Un impianto che comprendeva un serbatoio di miscelazione e distribuzione di 3 mila metri cubi e tre stazioni di pompaggio dell’acqua. Agli appelli internazionali per fare chiarezza sulla vicenda si è unita anche l’Unione europea, “gravemente preoccupata per la continua distruzione di infrastrutture civili fondamentali” da parte di Israele.Sfollati palestinesi in coda per l’acqua a Khan Younis, 30/07/24 (Photo by Bashar TALEB / AFP)L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha avvertito in una nota che “prendere di mira infrastrutture critiche costituisce un crimine di guerra” e che “le violazioni del diritto umanitario internazionale devono essere indagate in modo approfondito e indipendente e le responsabilità devono essere garantite”. Il capo della diplomazia europea rimane vigile sulla catastrofe umanitaria di Gaza, nel momento in cui l’attenzione internazionale si è spostata sul rischio di un’escalation regionale del conflitto, con l’Iran che minaccia ritorsioni imminenti agli attacchi di Israele a Beirut e a Teheran.40 mila casi di epatite A e il fantasma dell’epidemia di poliomieliteLa popolazione di Gaza “continua ad essere soggetta alla fame e a ripetuti spostamenti in campi di tende sovraffollati per il decimo mese consecutivo, senza una fine in vista e senza un posto dove andare”, ha ricordato Borrell, che a nome dei 27 Paesi membri si è detto “profondamente preoccupato per il collasso dei sistemi igienico-sanitari, di gestione dei rifiuti solidi e della salute, che ha causato la diffusione di malattie, tra cui la poliomielite, le infezioni cutanee e respiratorie, in particolare tra i bambini”.Liquami sulla strada a causa del collasso delle infrastrutture idriche a Deir el-Balah, nel centro della Striscia di Gaza (Photo by Eyad BABA / AFP)Da ottobre 2023, l’Agenzia dell’Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), ha registrato 40 mila casi di epatite A. Nello stesso arco di tempo, prima della guerra, erano 85. L’infezione, che si contrae generalmente mangiando o bevendo cibi o acqua contaminati da feci infette, continua a imperversare, con quasi mille nuovi casi di sindrome itterica acuta segnalati ogni settimana nei centri sanitari e nei rifugi dell’Unrwa. “Un aumento spaventoso”, ha sottolineato in un post su X il Commissario generale dell’Agenzia Onu, Philippe Lazzarini.Nel corso di un briefing con la stampa a Ginevra, il portavoce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Christian Lindmeier, ha però aperto gli occhi su una minaccia possibilmente ancora più grave: il rischio di un’epidemia di poliomielite. Lindmeier ha sottolineato che, sebbene siano in corso sforzi per l’acquisizione di vaccini, “non è sufficiente farli passare attraverso il confine”. Come accade da mesi con cibo e forniture mediche, i carichi di vaccini rischiano di restare fermi nei convogli, oltre il confine, alle porte di Rafah o in altri checkpoint all’interno. Per distribuirli capillarmente, è necessario un cessate il fuoco.“Ribadiamo l’urgenza di un accesso pieno, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari nella misura necessaria per i palestinesi”, ha dichiarato ancora Josep Borrell, esortando “il governo israeliano a desistere da azioni che peggiorano le condizioni di vita della popolazione civile a Gaza e a rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale”. Un’ennesima volta, il capo della diplomazia Ue chiede “un cessate il fuoco immediato”. Ma sul fronte diplomatico, dopo che Tel Aviv ha ucciso a Teheran il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, sono saltate le già fragilissime trattative. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, i negoziati tra Israele e Hamas non riprenderanno fino a quando l’Iran non avrà lanciato la sua promessa rappresaglia contro lo Stato ebraico e fino a quando il gruppo armato palestinese non avrà scelto un sostituto di Haniyeh.

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    La Commissione Ue vuole chiarezza dall’Ungheria sul nuovo sistema di visti rapidi per russi e bielorussi

    Bruxelles – È passato appena un mese di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea per l’Ungheria, e già Budapest ha creato non pochi problemi all’unità dell’Unione nei confronti della Russia. Perché dopo la “missione di pace” del premier ungherese, Viktor Orbán, a Mosca dall’autocrate russo, Vladimir Putin, ora Budapest preoccupa Bruxelles per il potenziale buco che può creare nell’area Schengen, da cui potrebbero penetrare spie russe e bielorusse.La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson“Condivido le preoccupazioni espresse negli ultimi giorni in merito all’estensione del programma ‘Carta Nazionale’ ai cittadini di Russia e Bielorussia, entrato in vigore nei primissimi giorni della vostra presidenza”, è quanto messo nero su bianco dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, in una lettera inviata ieri (primo agosto) al ministro degli Interni ungherese, Sándor Pintér, in cui ha voluto sottolineare come “l’estensione dell’elaborazione agevolata delle domande di permesso di soggiorno e di lavoro dei cittadini di Russia e Bielorussia potrebbe portare a un’elusione di fatto delle restrizioni imposte dall’Unione Europea”. Al centro della nuova contesa tra l’Ungheria di Orbán e la Commissione Ue c’è l’estensione ai cittadini di otto Paesi – prima era disponibile solo per quelli di Serbia e Ucraina – del programma ‘Carta Nazionale’, un sistema di visti rapidi per l’ingresso nel Paese e che consente di lavorare sul territorio nazionale ungherese per un massimo di due anni. Si tratta di un sistema più semplice rispetto al permesso di lavoro o al visto, e consente il ricongiungimento familiare.“Ci sono sempre più segnalazioni di sabotaggi e attacchi alle nostre infrastrutture critiche e altri atti ostili“, ricorda la commissaria Johansson a proposito della messa in campo di “ogni strumento disponibile per garantire la sicurezza dell’area Schengen”, tra cui la sospensione dell’accordo di facilitazione dei visti con la Russia nel settembre di due anni fa e “standard di controllo e vigilanza più elevati” per i cittadini russi in arrivo alle frontiere esterne dell’Unione. È pur sempre vero che gli Stati membri hanno la competenza per il rilascio di visti di lungo soggiorno e permessi di soggiorno, ma l’esecutivo Ue ricorda che i programmi nazionali “devono essere attentamente bilanciati per non mettere a rischio l’integrità del nostro spazio comune senza controlli alle frontiere interne e per considerare debitamente le potenziali implicazioni per la sicurezza“, senza dimenticare l’obbligo di “leale cooperazione” e di non pregiudicare “l’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione”, Schengen compreso. In questo quadro l’Ungheria (e tutti i Paesi membri Ue) devono garantire che “i cittadini russi che potrebbero rappresentare spionaggio o altre minacce alla sicurezza siano sottoposti al massimo livello di controllo“.Da sinistra: la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli Interni ungherese, Sándor PintérÈ per queste ragioni che la commissaria Johansson chiede al ministro ungherese di rispondere alle domande allegate alla lettera “entro e non oltre il 19 agosto”, per fare chiarezza sul programma ‘Carta Nazionale’ e permettere all’esecutivo Ue di verificare se sia compatibile con il diritto dell’Unione o se metta a rischio il funzionamento complessivo dello spazio Schengen. “L’obbligo di valutare se gli individui che attraversano la frontiera esterna rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali è un impegno fondamentale di tutti i membri Schengen” – conclude la titolare per gli Affari interni nel gabinetto von der Leyen – e per Russia e Bielorussia include anche “la piena e leale applicazione delle misure restrittive Ue sul divieto di ingresso o transito nei territori degli Stati membri da parte di alcuni dei suoi cittadini”. Come misura estrema la Commissione Ue potrebbe sospendere lo status Schengen di un Paese (membro Ue), ma si tratterebbe di un caso senza precedenti.

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    In Medio Oriente l’Ue mette pezze dove può: via libera a un pacchetto da 500 milioni per il Libano

    Bruxelles – Prosegue lo sforzo dell’Ue per assicurare un cuscinetto di stabilità attorno alla polveriera in Medio oriente. In linea con quanto annunciato da Ursula von der Leyen durante la sua visita a Beirut lo scorso maggio, la Commissione europea ha adottato oggi (1 agosto) un pacchetto di assistenza finanziaria da 500 milioni di euro per il Libano.Si tratta di una prima sostanziosa tranche del più ampio supporto da un miliardo fino al 2027 stipulato tra Bruxelles e Beirut e auspicato dai capi di Stato e di governo dell’Ue nelle conclusioni del Consiglio europeo del 17-18 aprile, in cui l’Unione europea ha ribadito il suo forte sostegno al Libano e ha riconosciuto le “difficili circostanze che il Paese sta attraversando a livello nazionale e a causa delle tensioni regionali”. Tensioni che nel frattempo sono aumentate in modo esponenziale, per culminare nei raid a Beirut e a Teheran con cui Israele ha ucciso Fuad Shukr, uno dei comandanti di Hezbollah, e il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh.Con i 500 milioni per il biennio 2024-25, la Commissione europea spera di innescare un percorso di riforme nel Paese dei Cedri, una più fiorente attività economica e di sostenere le misure sociali per la fetta di popolazione più vulnerabile. Come annunciato da von der Leyen a maggio, in occasione dell’incontro con il primo ministro libanese Najib Mikati, il pacchetto di assistenza ha almeno altri due obiettivi prioritari: la sicurezza e la gestione dei flussi migratori e dei rifugiati nel Paese. “Sosterremo le forze armate libanesi e le forze di sicurezza generali e interne”, aveva dichiarato la leader Ue, fornendo “attrezzature, formazione e le infrastrutture necessarie per la gestione delle frontiere”. In cambio, Bruxelles “conta sulla vostra (del Libano, ndr) buona cooperazione per prevenire la migrazione illegale e combattere il traffico di migranti”.Oltre ai rifugiati provenienti dalla Siria – quasi un milione di persone, secondo i dati dell’Unhcr -, il Libano in profonda crisi economica e sociale deve affrontare l’impatto del conflitto tra Israele e Hamas a Gaza. E gli scambi di cortesie sempre più gravi tra lo Stato ebraico ed Hezbollah, l’organizzazione politica e militare filo-iraniana che controlla ampi territori del sud del Libano. In cui per altro sono presenti contingenti militari  importanti da Francia, Italia e Spagna, nell’ambito della missione di pace dell’Onu Unifil.  “Siamo profondamente preoccupati per l’instabilità della situazione nel Libano meridionale, la posta in gioco è la sicurezza del Libano e di Israele”, aveva sottolineato von der Leyen a Mikati, aggiugendo: “Anche in questo caso, le forze armate libanesi sono fondamentali e l’Unione Europea è pronta a lavorare su come rafforzarne le capacità”.

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    Con l’uccisione del leader di Hamas e il raid a Beirut, Israele innesca l’escalation in Medio Oriente. L’Ue: “No a esecuzioni extragiudiziali”

    Bruxelles – Le pareti del buco nero in cui si è infilato il Medio oriente a partire dallo scorso 7 ottobre diventano ogni giorno più umide e scivolose. In fondo, c’è lo scenario di una guerra regionale sempre più verosimile. Soprattutto dopo il doppio raid israeliano a Beirut e a Teheran, dove sono rimasti uccisi Fuad Shukr, uno dei comandanti della milizia libanese filo-iraniana Hezbollah, e il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che si trovava nella capitale della repubblica islamica per celebrare l’insediamento del nuovo presidente iraniano.Da un lato, la risposta annunciata di Netanyahu all’attacco di Hezbollah alla cittadina drusa di Majdal Shams, nel territorio occupato israeliano delle Alture del Golan, che ha causato la morte di 12 giovani su un campetto da calcio. Dall’altra, il materializzarsi della possibilità di eliminare uno dei peggiori nemici dello Stato ebraico, che aveva reso nota la sua visita a Teheran. Le ultime decisioni militari di Israele non solo rischiano di far naufragare i già fragilissimi negoziati per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani – era proprio Haniyeh a condurli per conto di Hamas -, ma aprono la porta a una possibile escalation del conflitto che divampi in tutta la regione.Il campo da calcio colpito dai razzi di Hezbollah a Majdal Shams, nel territorio delle Alture del Golan annesso da Israele (Photo by Menahem Kahana / AFP)Secondo un copione già visto in questi mesi, le dichiarazioni successive ai raid israeliani non vanno assolutamente nella direzione della distensione: l’attacco “non resterà senza risposta”, ha avvertito il gruppo terrorista palestinese, mentre il primo ministro libanese, Najib Miqati, ha dichiarato che “prenderà misure” per “scoraggiare l’ostilità israeliana”. Gli occhi sono puntati soprattutto sull’Iran, che foraggia la lotta anti-israeliana di Hamas e di Hezbollah: “Il regime sionista dovrà senza dubbio affrontare una risposta dura e dolorosa da parte del potente e vasto fronte della resistenza, in particolare dell’Iran“, hanno dichiarato le Guardie rivoluzionarie in un comunicato, prima di annunciare tre giorni di lutto. Lasciando così pochissimo margine al neo-presidente riformista Masoud Pezeshkian.Gli ultimi sviluppi stanno creando scompiglio anche al quartier generale della Nato, con gli Stati Uniti che hanno confermato il loro appoggio a Israele nel caso di un conflitto regionale e la Turchia che ha reiterato la minaccia di intervenire a sostegno della causa palestinese. A Bruxelles la preoccupazione è ai massimi livelli: mentre i leader e i corpi diplomatici dei Paesi membri hanno contattato a più riprese le controparti in Libano, Israele e Iran per cercare di placare gli animi e porre fine alla spirale di violenza, il portavoce del Servizio europeo di Azione Esterna (Eeas), Peter Stano, ha chiesto “a tutte le parti di esercitare la massima moderazione e di evitare qualsiasi ulteriore escalation“.Il leader politico di Hamas, Ismael Haniyeh, a Teheran il 30/07/24 (Photo by AFP)Sull’assassinio di Haniyeh in territorio iraniano, Stano ha sottolineato che “l’Ue ha una posizione di principio che rifiuta le esecuzioni extragiudiziali e sostiene lo stato di diritto, anche nella giustizia penale internazionale“, nonostante il fatto che Hamas sia inserita “nell’elenco delle organizzazioni terroristiche e che il procuratore della Corte penale internazionale ha chiesto un mandato di arresto contro Ismail Haniyeh con varie accuse di crimini di guerra”.

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    Via al sostegno di emergenza Ue per l’Autorità palestinese, erogati i primi 150 milioni

    Bruxelles – 150 milioni di euro oggi, altri 250 tra agosto e settembre. In linea con quanto annunciato il 19 luglio nella lettera d’intenti tra Bruxelles e Ramallah, l’Unione europea ha erogato la prima tranche di sostegno finanziario d’emergenza a breve termine all’Autorità nazionale palestinese (Anp). Un’assistenza vitale per affrontare le esigenze finanziarie più urgenti dell’Anp e fondamentale per sostenere il programma di riforme concordato con Bruxelles.La priorità è far fronte al blocco delle entrate fiscali dell’Anp imposto da Israele, che sta paralizzando la macchina pubblica in Cisgiordania e nei territori palestinesi occupati. Questa prima rata include 58 milioni di euro in sovvenzioni per pagare gli stipendi e le pensioni dei dipendenti pubblici e sostenere le famiglie più vulnerabili. I restanti 92 milioni di euro sono forniti dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) all’Autorità monetaria palestinese attraverso una linea di credito dedicata.I successivi pagamenti di questo sostegno finanziario a breve termine dovrebbero seguire nei mesi di agosto e settembre, a seconda dei progressi nell’attuazione dell’agenda di riforme da parte dell’Anp. “La nostra assistenza d’emergenza di 400 milioni di euro sostiene un programma di riforme sostanziali e apre la strada alla ripresa e alla ricostruzione di Gaza”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, secondo cui “un’Autorità palestinese forte e riformata è fondamentale per il nostro obiettivo comune di una soluzione a due Stati“.Il primo ministro dell’Autorità palestinese, Mohammed Mustafa, a Nablus, in Cisgiordania (Photo by Jaafar ASHTIYEH / AFP)Secondo l’intesa siglata il 19 luglio, entro fine agosto il governo di Mohammed Mustafa dovrà riuscire a razionalizzare la spesa pubblica, riducendo le spese ricorrenti di almeno il 5 per cento rispetto all’anno precedente, istituire l’età pensionabile per tutti i lavoratori della Cisgiordania, pubblicare una nuova legge sulla protezione sociale e preparare un piano di riforma dell’istruzione. Tra le azioni preliminari concordate, figura anche l’approvazione di una legge sui pagamenti elettronici e il miglioramento dell’accesso alla giustizia e ai meccanismi di reclamo per i cittadini nei confronti degli enti governativi.A quel punto, all’inizio di settembre, la Commissione presenterà una proposta legislativa per un programma globale per la ripresa e la resilienza della Palestina, che sarà concepito per aiutare l’Autorità Palestinese a raggiungere l’equilibrio di bilancio entro il 2026 e garantire la sostenibilità finanziaria a lungo termine. Sempre con il vincolo dell’attuazione delle tappe di riforma concordate, per fare in modo che l’embrione statale palestinese diventi una vera e propria macchina pubblica e un interlocutore stabile e credibile nello sforzo diplomatico verso la creazione di uno Stato di Palestina.

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    Maduro riconfermato presidente del Venezuela tra i dubbi della comunità internazionale

    Bruxelles – Nicolas Maduro sarà ancora presidente della Repubblica del Venezuela. In carica dal 2013, è uscito vincitore dall’appuntamento elettorale di ieri (28 luglio), conquistando il 51,4 per cento dei voti contro il 44,2 di Edmundo Gonzalez Urrutia, candidato per l’opposizione. Un esito contro tutte le previsioni, su cui aleggiano già le perplessità di una buona fetta della comunità internazionale. Compresa l’Ue, con l’Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell, che chiede di garantire “il conteggio dettagliato dei voti e l’accesso ai registri delle votazioni presso i seggi elettorali”.I sondaggi davano Gonzalez Urrutia, politologo e diplomatico scelto dalla Piattaforma Unitaria per mettersi alle spalle più di vent’anni di chavismo, avanti di 20-30 punti percentuali. La leader dell’opposizione, Maria Corina Machado, ha denunciato irregolarità nello scrutinio e ha rivendicato la vittoria del proprio candidato “con il 70 per cento” dei voti. Maduro si difende all’attacco, accusando “un massiccio attacco hacker” al centro del Consiglio elettorale, escogitato da chi “voleva impedire che il popolo del Venezuela avesse il suo risultato ufficiale”. Per il presidente, i pesanti ritardi nello scrutinio sono stati architettati “per poter gridare alla frode“. La coalizione a sostegno di Gonzalez – che aveva schierato migliaia di osservatori ai seggi di tutto il Paese – ha denunciato invece che in molti seggi gli osservatori sono stati “costretti a andarsene”, ed è stato quindi impossibile verificare che non ci fossero brogli.Maria Corina Machado e Edmundo Gonzalez Urrutia denunciano irregolarità nello scrutinio elettorale (Photo by Federico PARRA / AFP)D’altra parte, a partire dal segretario di Stato americano, Anthony Blinken, sono in molti a ritenere “poco credibili” le cifre annunciate dal Partito Socialista Unito del Venezuela. Anche la Colombia di Gustavo Petro e il Cile di Gabriel Boric. Dall’Unione europea, che a maggio si è vista rifiutare da Caracas l’ingresso di una delegazione di osservazione elettorale, si sono levate diverse voci. Al capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, hanno fatto eco i ministri degli Esteri di Spagna, Germania e Italia. Per José Manuel Albares “la volontà democratica del popolo venezuelano deve essere rispettata con la presentazione dei verbali di tutti i seggi elettorali per garantire risultati pienamente verificabili”, mentre una nota di Berlino dichiara che “i risultati elettorali annunciati non bastano a dissipare i dubbi sul conteggio dei voti“. Ancora più diretto il vicepremier italiano Antonio Tajani, che su X si è chiesto se “il risultato che annuncia la vittoria di Maduro rispecchia veramente la volontà del popolo?”.Nicolas Maduro festeggia a Caracas (Photo by Yuri CORTEZ / AFP)Con la stessa fermezza con cui Elvis Amoroso, capo del Consiglio nazionale elettorale del Venezuela, aveva dichiarato che “i rappresentanti dell’Ue non sono i benvenuti nel nostro Paese mentre vengono mantenute le sanzioni genocide contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, e in particolare il suo governo”, Maduro si è scagliato contro le ingerenze dell’Occidente. “Non ci sono riusciti con le sanzioni, con l’aggressione, con la minaccia. Non ce l’hanno fatta ora e non ce la faranno mai con la dignità del popolo del Venezuela. Il fascismo in Venezuela, la terra di Bolivar e Chavez, non passerà”, sono state le sue prime parole pronunciate davanti al Palazzo Miraflores.Visto il clima incandescente che attraversa il Venezuela – con l’economia in recessione, tassi d’inflazione annua a tre cifre, gli abusi della polizia e le pratiche sempre più antidemocratiche del governo di Maduro – da Bruxelles è arrivato anche l’auspicio che si mantenga per lo meno “la calma e la civiltà” con cui è trascorso il giorno delle elezioni. Giorno in cui Hugo Chavez, sulla cui eredità si fonda il decennale potere di Maduro, avrebbe compiuto 70 anni. “Chavez vive. Chavez questo trionfo è tuo”, ha gridato il presidente alla folla di sostenitori.

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    Il Consiglio nomina quattro nuovi rappresentanti speciali Ue. Per la Bosnia c’è Luigi Soreca

    Bruxelles – Nella nuova mandata di rappresentanti speciali Ue appena approvata dal Consiglio dell’Unione Europea ci sono anche due diplomatici italiani, uno con un nuovo ruolo e una confermata nel suo incarico a servizio degli interessi dei Ventisette in Paesi e regioni chiave del mondo. Luigi Soreca è stato nominato rappresentante speciale Ue per la Bosnia ed Erzegovina, mentre Emanuela Claudia Del Re si è vista confermare fino al 30 novembre per la regione del Sahel. La quota di italiani sui 11 rappresentanti speciali Ue complessivi sale così a tre, considerato anche l’incarico assunto nel maggio dello scorso anno  da Luigi Di Maio per la regione del Golfo.I nuovi rappresentanti speciali Ue, da sinistra: Johan Borgstam (per i Grandi Laghi), Magdalena Grono (per la Georgia), Aivo Orav (per il Kosovo) e Luigi Soreca (per la Bosnia ed Erzegovina)Sono quattro i nuovi nomi e tre le proroghe che hanno ricevuto oggi (26 luglio) il semaforo verde del Consiglio dell’Ue. Oltre a Soreca per la Bosnia ed Erzegovina (con un mandato di due anni) e Del Re per la regione del Sahel (confermata per altri quattro mesi), dal primo settembre lo svedese Johan Borgstam sarà destinato alla regione dei Grandi Laghi africani (per un anno), la ceca Magdalena Grono si occuperà di Caucaso meridionale e crisi in Georgia (per un anno) e l’estone Aivo Orav del Kosovo (per due anni), mentre rimarrà lo slovacco Miroslav Lajčák fino al 31 gennaio 2025 per il dialogo Belgrado-Pristina e altre questioni regionali dei Balcani Occidentali, e la tedesca Annette Weber fino al 31 agosto 2026 per il Corno d’Africa.“Sono orgoglioso di essere stato nominato dal Consiglio dell’Unione Europea come rappresentante speciale per la Bosnia ed Erzegovina”, è il commento di Soreca in un post su X, ricordando il “momento cruciale del percorso di integrazione Ue” per il Paese balcanico dopo la decisione del Consiglio Europeo dello scorso 21 marzo di avviare i negoziati di adesione (anche se la strada rimane costellata di numerosi ostacoli istituzionali). Il diplomatico e avvocato italiano, alla Commissione Europea dal 1998, nel 2016 è stato nominato inviato speciale Ue in Italia per l’avvio del processo di ricollocazione di persone rifugiate e migranti, tra il 2018 al 2022 è stato capo della delegazione Ue in Albania e negli ultimi due anni ha ricoperto l’incarico di inviato speciale Ue per la dimensione esterna della migrazione, presso il Servizio europeo per l’azione esterna a Bruxelles. Dal primo settembre succederà all’austriaco Johann Sattler nel mandato di “garantire continui progressi nel processo di stabilizzazione e associazione” di una Bosnia ed Erzegovina “stabile, vitale, pacifica, multietnica e unita, che cooperi pacificamente con i suoi vicini e che si avvii verso l’adesione all’Ue”, si legge nella nota del Consiglio.Cosa fanno i rappresentanti speciali UeI rappresentanti speciali Ue promuovono le politiche e gli interessi dell’Unione “in regioni e Paesi specifici” e svolgono un ruolo “attivo” negli sforzi per consolidare la pace, la stabilità e lo Stato di diritto, è quanto si legge nella pagina del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae) dedicato alle figure che sostengono il lavoro dell’alto rappresentante Ue nelle regioni interessate. Si tratta di rappresentanti che forniscono all’Unione una “presenza politica attiva” in Paesi e regioni considerati chiave per i Ventisette, agendo come “voce e volto” delle politiche comunitarie.A oggi esistono 10 rappresentanti speciali che sviluppano la politica estera e di sicurezza dell’Ue, ma saliranno fra poco più di un mese a 11 con la riapertura della posizione nella regione dei Grandi Laghi africani: in Bosnia ed Erzegovina (Johann Sattler, dal primo settembre Luigi Soreca), per l’Asia centrale (Terhi Hakala), per il Corno d’Africa (Annette Weber), per i diritti umani (Eamon Gilmore), per il Kosovo (Tomáš Szuyog, dal primo settembre Aivo Orav), per il processo di pace in Medio Oriente (Sven Koopmans), per il Sahel (Emanuela Claudia Del Re), per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia (Toivo Klaar, dal primo settembre Magdalena Grono), per i Grandi Laghi (dal primo settembre Johan Borgstam), per il dialogo Belgrado-Pristina e altre questioni regionali dei Balcani Occidentali (Miroslav Lajčák) e per il Golfo (Luigi Di Maio).

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    L’Ue ha sbloccato 1,5 miliardi dai profitti degli asset russi immobilizzati per armare l’Ucraina

    Bruxelles – Via libera al sostegno militare all’Ucraina con i soldi di Mosca. L’Ue ha versato oggi (26 luglio) un primo pagamento di 1,5 miliardi di euro generati dai proventi degli asset russi congelati sul territorio comunitario. “Non c’è simbolo migliore che usare il denaro del Cremlino per rendere l’Ucraina un posto più sicuro”, ha esultato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Dopo l’accordo tra i Paesi membri lo scorso maggio, si aspettava solo che Euroclear, società di clearing belga che detiene la maggior parte dei titoli della Banca centrale russa, rendesse disponibile una prima fetta dei proventi. Secondo i calcoli della Commissione europea, a seconda dei tassi di interesse, Bruxelles sarà in grado di garantire circa 3 miliardi all’anno a Kiev attraverso i profitti degli asset russi immobilizzati. Asset e riserve che ammontano a circa 210 miliardi di euro.Questa prima tranche da 1,5 miliardi – e le prossime – sarà ora convogliata attraverso il Fondo europeo per la pace e il Fondo per l’Ucraina per sostenere le capacità militari dell’Ucraina e la ricostruzione del Paese. I 27 Ue hanno stabilito che il 90 per cento delle risorse saranno destinate all’assistenza militare, il restante dieci per la ricostruzione dell’Ucraina. Ma si sono dati la facoltà di rivedere la ripartizione già a gennaio 2025.“La prima tranche dei profitti imprevisti fornirà un sostegno concreto sul campo”, ha confermato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell. In particolare, l’Ue finanzierà “l’acquisto di equipaggiamenti militari prioritari”: difesa aerea e munizioni per l’artiglieria. Ed appalti per spingere lo sviluppo dell’industria ucraina della difesa.