More stories

  • in

    L’Ue osserva le prime elezioni nel Regno Unito post-Brexit. I Labour verso il trionfo, occhi puntati ancora su Farage

    Bruxelles – Sono passati cinque anni da quella “nuova alba per il Regno Unito” invocata dall’allora leader dei conservatori, Boris Johnson, dopo la schiacciante vittoria alle elezioni del 12 dicembre 2019, le ultime prima dell’uscita del Paese dall’Unione Europea. Da allora sono cambiate molte cose: tre governi a Londra, una Brexit concretizzatasi dal primo gennaio 2021 e tre anni di relazioni ben più che difficoltose con Bruxelles. Ma soprattutto un ribaltamento completo dei rapporti di forza tra conservatori e laburisti, che oggi guidano ampiamente i sondaggi dopo il tracollo inesorabile dei Tories. Una costante tra il pre- e il post-Brexit nel Regno Unito però rimane: Nigel Farage, il politico sovranista, populista e nazionalista che più ha demonizzato l’Unione Europea e che ha portato a termine con successo la sua missione di sancire con un referendum l’addio di Londra. Alle elezioni del 4 luglio 2024 è ancora lui – e il suo Reform Party – la variabile su cui fare attenzione per il futuro del Regno Unito.Il leader del Partito Laburista, Keir Starmer (credits: Andy Buchanan / Afp)Il sistema elettorale in vigore nel Regno Unito viene definito first past the post, ovvero un maggioritario secco: in ciascuna delle 650 circoscrizioni in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord il candidato che ottiene più voti degli altri viene eletto deputato. Il partito che conquista la maggioranza dei seggi alla Camera dei Comuni (la soglia minima è 326) vince le elezioni e può formare il governo, il cui primo ministro tecnicamente è nominato dal monarca secondo l’esito del voto. Le urne per le elezioni del 4 luglio sono aperte dalle ore 7.00 alle 22.00 locali (dalle 8 alle 23 secondo l’ora di Bruxelles), ma gli elettori britannici hanno la possibilità di votare anche per posta o per delega. Alla chiusura delle urne sarà annunciato l’exit poll, vale a dire il sondaggio condotto tra gli elettori di circa 150 circoscrizioni elettorali, scelte per essere demograficamente rappresentative del Paese. Dopodiché inizierà lo spoglio delle schede, che si protrarrà per tutta la notte: domani mattina presto (5 luglio) sarà chiaro quale partito ha la maggioranza e approssimativamente con quanti seggi, mentre i risultati finali sono attesi per la tarda mattinata.(fonte: YouGov)Secondo quanto emerge dagli ultimi sondaggi – che confermano l’esito delle amministrative di maggio – i laburisti di Keir Starmer sono proiettati a una comoda vittoria con il 39 per cento delle preferenze, staccando di quasi 20 punti percentuali i conservatori del premier uscente, Rishi Sunak (21 per cento). Tradotto in un sistema first past the post, questo dovrebbe significare 431 per i Labour (+229 dal 2019) e un crollo a 102 per i Tories (-269), il peggior risultato di sempre da quando la sfida è conservatori-laburisti (cioè dal 1922). L’attenzione però dovrà essere rivolta anche agli altri partiti in corsa, che non spezzeranno nemmeno stavolta il tradizionale bipartitismo britannico, ma lo potrebbero mettere in seria crisi. Perché oltre ai soliti Liberal Democratici (dati in crescita all’11 per cento, con 72 seggi potenziali) e il Partito Nazionale Scozzese (in forte calo anche in Scozia, con una perdita di seggi stimata a 30, per assestarsi a 18), c’è anche il partito sovranista e populista Reform Uk di Farage all’orizzonte. Nato dai fuoriusciti del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (Ukip) e già Brexit Party tra il 2018 e il 2021, il partito di Farage nel sistema uninominale non dovrebbe portare a casa più di 3 seggi, ma sono le percentuali a far tremare i conservatori: con il 17 per cento delle preferenze totali, Reform Party arriverebbe a soli 4 punti percentuali dai Tories e da lì potrebbe iniziare un imprevedibile processo di convergenza – se non addirittura di fusione – tra l’ala più a destra del partito del premier Sunak (che rischia di non essere eletto nella sua circoscrizione di Richmond) e i populisti di destra euroscettica e anti-migrazione.(fonte: BBC)A tre anni e mezzo dall’inizio delle relazioni post-Brexit tra Bruxelles e Londra, una vittoria schiacciante dei Labour – che sono pronti a tornare a Downing Street 10 dopo 14 anni di assenza – non significherà l’inizio di un processo di reintegrazione del Regno Unito nell’Unione Europea. “Sono stato molto chiaro sul fatto che non intendo rientrare nell’Ue, nel Mercato unico o nell’Unione doganale, né consentire il ritorno alla libertà di circolazione“, sono state le secche parole di Starmer alla stampa ieri (3 luglio). Anche considerata la quasi totale assenza nella campagna elettorale dei temi relativi alla Brexit e alle relazioni con l’Ue, risulta piuttosto chiaro che i laburisti abbiano cercato di evitare l’errore di cinque anni fa, quando l’allora leader, Jeremy Corbyn, si era allineato il consenso di una larga fetta dell’elettorato britannico promettendo un secondo referendum sulla Brexit.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak (27 febbraio 2023)Il leader laburista in carica non ha però escluso che il – probabile – prossimo governo da lui presieduto spingerà per un dialogo con Bruxelles più costruttivo rispetto ai tre precedenti esecutivi guidati dai conservatori (tra Johnson e Sunak ci sono stati i fallimentari 45 giorni di Liz Truss): “Penso che potremmo ottenere un accordo migliore di quello pasticciato sotto Johnson sul fronte del commercio, della ricerca e dello sviluppo e della sicurezza”, ha messo in chiaro Starmer. A Londra è in corso da un anno un ripensamento della strategia nei confronti di Bruxelles, con il governo Sunak che prima ha raggiunto con la Commissione Europea un’intesa politica sulla partecipazione ai programmi Horizon Europe e Copernicus (a partire dal primo gennaio 2024) e poi sulla cooperazione tra Frontex e le autorità nazionali.Il difficile post-Brexit tra Ue e Regno UnitoDal momento in cui la Brexit è diventata a tutti gli effetti una realtà, l’entrata in vigore dell’Accordo di commercio e cooperazione ha reso particolarmente tesi i rapporti tra Bruxelles e Londra. La contesa è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sono ritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris JohnsonIl tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo Johnson ha scatenato uno scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre 2021. L’esecutivo Ue ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno 2022 la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Truss poi – con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso. Accordo trovato con il Framework di Windsor il 27 febbraio 2023, firmato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal premier uscente Sunak.

  • in

    Il Regno Unito dice no alla proposta dell’Ue per garantire la mobilità giovanile

    Bruxelles – Offerta rifiutata ancor prima di essere presentata. Il Regno Unito ha fatto sapere alla Commissione europea che non intende siglare con l’Unione alcun trattato riguardante la libertà di circolazione dei giovani. La situazione rimane quindi com’è attualmente con l’obbligo del visto per i ragazzi che vogliono andare in Gran Bretagna a studiare, lavorare ma anche fare volontariato.Nei giorni scorsi, la Commissione europea aveva proposto al Consiglio Ue di aprire dei negoziati con il Regno Unito con lo scopo di garantire la mobilità ai giovanile. Al riguardo, il governo di sua Maestà ha però fatto sapere, prima ancora che la proposta venisse presentata, di non essere interessato ad un accordo con l’Unione. La Brexit (votata nel 2016) ha portato con sé nel 2021 la fine delle libertà di movimento tra le due sponde della Manica. Una delle ragioni che hanno spinto il Regno Unito a lasciare l’Ue è stata la volontà di controllare l’immigrazione, motivo per cui, secondo il governo britannico, un accordo sulla mobilità giovanile metterebbe a rischio questo prerequisito.Londra ha fatto sapere che piuttosto di siglare un trattato che regoli lo spostamento dei giovani con tutta l’Unione, sarebbe disposta a trovare degli accordi con i singoli Stati, valutando caso per caso. Una soluzione che però non può andare bene a Bruxelles, essendoci il rischio di creare differenze tra i giovani in base alla nazionalità del passaporto. Attraverso le parole di un portavoce, il governo di Rishi Sunak ha tenuto a precisare che: “Non stiamo introducendo un programma di mobilità giovanile a livello europeo: la libera circolazione è stata interrotta e non ci sono piani per introdurla”.Il Regno Unito ha già degli accordi con 10 Paesi (tra cui Australia, Nuova Zelanda e Canada) per garantire gli scambi tra i giovani e sarebbe interessato ad allargare la lista ma a determinate condizioni. La prima è la necessità d’avere delle quote fisse: dunque non tutti i ragazzi che vogliono entrare nel Regno Unito possono farlo ma solo un determinato numero. La seconda invece è di natura economica: Londra chiede a chi entra di contribuire alla spesa per la sanità nazionale, e nel caso degli studenti anche all’università, indipendentemente dal fatto di aver già pagato le tasse nel Paese di provenienza.La decisione presa dal numero 10 di Downing street trova concorde anche il partito laburista che si trova all’opposizione ma dato nettamente avanti nei sondaggi. Secondo quanto riportato dalla Bbc, un portavoce del ‘Labour’ avrebbe confermato che anche in caso di vittoria alle prossime elezioni (in programma entro gennaio 2025), il partito non supporterebbe nessun ritorno al mercato unico, all’unione doganale o alla libera circolazione.

  • in

    La cooperazione post-Brexit tra Bruxelles e Londra riparte anche dall’intesa Frontex-Regno Unito

    Bruxelles – Settore dopo settore, la cooperazione tra Unione Europea e Regno Unito riprende dopo la Brexit. Con l’accordo tra Frontex e le autorità britanniche, è arrivato anche il turno della gestione delle frontiere, in particolare per contrastare gli attraversamenti del canale della Manica da parte di piccole imbarcazioni che trasportano persone migranti. “Gli accordi di lavoro sono uno strumento estremamente utile per la cooperazione tra Frontex e le autorità dei Paesi partner in aree di interesse fondamentale legate alla lotta alla migrazione irregolare e ai crimini transfrontalieri”, ha commentato la commissaria per gli Affari interni e la migrazione, Ylva Johansson.

    Da sinistra: il direttore esecutivo di Frontex, Hans Leijtens, e la commissaria per gli Affari interni e la migrazione, Ylva JohanssonLa cerimonia formale di firma dell’accordo è in programma nel primo pomeriggio di oggi (23 febbraio) alla presenza del direttore esecutivo di Frontex, Hans Leijtens, e della stessa commissaria Johansson, ma i servizi del Berlaymont hanno già indicato alcuni elementi dell’intesa basata sul dialogo portato avanti negli ultimi mesi dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak. Si tratta del pilastro per un “quadro a lungo termine per una stretta cooperazione” nell’ambito della gestione delle frontiere e del contrasto a migrazione irregolare e criminalità transfrontaliera, “nel pieno rispetto degli obblighi internazionali dell’Ue e del Regno Unito in materia di diritti umani”. Sul breve termine questo lavoro congiunto potrebbe includere “lo sviluppo della consapevolezza situazionale delle rotte migratorie e la lotta alla frode documentale”.Nei prossimi mesi “e oltre” si intensificheranno le discussioni tra le due parti per “concordare piani operativi e di cooperazione dettagliati che prevedano un’ampia gamma di attività congiunte”, soprattutto sul fronte dell’analisi dei rischi, dello scambio di informazioni, della formazione, della condivisione delle competenze nel settore del rimpatrio e della gestione delle frontiere e della cooperazione tecnica e operativa. Da evidenziare in particolare la “possibilità” di dispiegare personale e funzionari di collegamento “da entrambe le parti” della Manica “per scopi di osservazione, coordinamento o consulenza”, con l’obiettivo di “rafforzare ulteriormente l’efficacia di questa cooperazione tra l’Ue e il Regno Unito”.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi SunakNessun riferimento invece alle perplessità più volte espresse da Bruxelles sulla politica migratoria di Londra. Solo un anno fa la stessa commissaria Johansson definiva “una possibile violazione degli accordi internazionali e della Convenzione di Ginevra” il progetto di legge che prevede che chiunque entri in modo irregolare nel Regno Unito sia posto in stato di fermo e poi espulso, o nel Paese di origine o in uno terzo “sicuro”, come il Rwanda. L’accordo tra Londra e Kigali dell’aprile 2022 è stato però bocciato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu), la cui sentenza del 14 giugno dello stesso anno ha bloccato la partenza di un volo in partenza verso la capitale ruandese con sette persone richiedenti asilo a bordo.

  • in

    Rischio caos frontiera Ue-Regno Unito: mancano strutture di controllo a porti e stazioni

    Bruxelles – Rischio caos alla frontiera tra Ue e Gran Bretagna. Nelle prossime settimane entreranno in vigore i controlli fisici, dopo la Brexit, e non ci sono strutture né il personale. Si rischiano blocchi all’import-export e code di ore, ad esempio, per gli spostamenti ferroviari. Possibili rincari, soprattutto Oltremanica, o addirittura carenza di merci. Già dal 31 gennaio è stata introdotta la certificazione sanitaria sulle importazioni di prodotti animali a medio rischio, piante, prodotti vegetali e alimenti e mangimi ad alto rischio di origine non animale dall’Unione Europea, che dovranno procurarsi gli esportatori verso il Regno Unito.La fase successiva e più critica del Btom (Border Target operating model) inizierà invece il 30 aprile. Da quella data la dogana britannica controllerà fisicamente anche i prodotti importati attraverso i cosiddetti Border Control Post (BCP) situati, ad esempio, nei porti e negli aeroporti inglesi. Infine dal 31 ottobre a tutte le spedizioni di importazione dalla Ue verrà applicata una dichiarazione alla dogana del Regno Unito.Le aziende europee e britanniche sono preparate a questo big bang, rinviato per tre anni di fila? Un sondaggio condotto dall’Institute of Export and International Trade in ottobre ha rilevato che meno di un quinto delle imprese del Regno Unito aveva ben di eventuali ripercussioni su di loro. Anche per le aziende europee c’è confusione.Tom Southall, direttore esecutivo della Cold Chain Federation, l’associazione commerciale del Regno Unito per l’industria della logistica a temperatura controllata, ha affermato pochi giorni fa sul ‘Guardian’ che i recenti ritardi sono dovuti in gran parte al fatto che le aziende europee non erano pronte. “C’è stata molta preoccupazione per il fatto che non vi sia stato un impegno sufficiente con gli Stati membri dell’UE per prepararli”, ha detto. “E questo comporta il rischio che, se introduciamo questi requisiti, si potrebbe verificare un calo delle importazioni alimentari perché i fornitori non sono pronti”.“C’è un’altra questione: nella seconda metà dell’anno, probabilmente dopo le Olimpiadi in Francia, scatterà in Europa l’Entry and Exit System. In pratica servirà il visto per entrare nel nostro Continente, come avviene negli Usa”, sottolinea Alberto Mazzola, rappresentante del settore Trasporti nella Domestic Advisory group, una sorta di consulta che raggruppa imprese, sindacati e consumatori europei con quelli inglesi. “Ci sarà un controllo fisico per gli inglesi alla frontiera, il sindaco di Londra ha ipotizzato anche possibili 6 ore di coda alla stazione. E poi chi va a lavorare in Gran Bretagna sarà soggetto a regimi autorizzativi più stringenti, le imprese europee dovranno dimostrare che possono operare nel mercato inglese perché non esiste un omologo oltremanica”.Una situazione complessa, riconosce Mazzola. “Non credo che siamo preparati a tutto ciò”. All’orizzonte “si prospettano criticità ai porti, nel mondo ferroviario” perché “mancano strutture fisiche per tutti i controlli sulle merci e manca pure il personale”. Per cui “ben vengano le regole, che si sappiano, altrimenti gli investimenti si fermano per incertezza su norme e costi… però partendo così senza un’adeguata preparazione – conclude Mazzola – si rischia il caos oltre che danni economici. I britannici ora capiranno quanto era utile il mercato unico, un monito anche per l’Italia”.

  • in

    Disunited Kingdom. L’Irlanda del Nord rilancia il referendum per l’addio a Londra (e unirsi a Dublino)

    Bruxelles – A nemmeno 24 ore dal giuramento come neo-premier dell’Irlanda del Nord, il nuovo corso repubblicano di Michelle O’Neill è servito. “Contesto assolutamente ciò che sostiene il governo britannico, la mia elezione dimostra il cambiamento che sta avvenendo sull’isola“, ha messo in chiaro la vicepresidente dei repubblicani di Sinn Féin in un’intervista per Sky dopo la nomina a prima ministra della nazione a oggi ancora appartenente al Regno Unito. Una risposta chiara alla posizione di Londra – secondo cui il referendum per l’unione alla Repubblica d’Irlanda sia distante “decenni” – e una prospettiva sul medio termine per il primo governo a guida repubblicana nella storia dell’Irlanda del Nord: “Credo che siamo nel decennio delle opportunità“.

    La neo-prima ministra dell’Irlanda del Nord, Michelle O’Neill (credits: Paul Faith / Afp)Dal maggio 2022 a Belfast non è stata possibile la formazione di un governo dopo la prima vittoria assoluta per il partito indipendentista repubblicano, a causa del boicottaggio del Partito Unionista Democratico (secondo quanto previsto dall’Accordo del Venerdì Santo del 1998 deve essere garantita la condivisione di potere tra i partiti unionisti e repubblicani). Dopo quasi due anni di stallo è stata trovata l’intesa tra le due maggiori forze all’Assemblea dell’Irlanda del Nord e sabato scorso (3 febbraio) O’Neill ha giurato come prima ministra, mentre l’unionista Emma Little-Pengelly come vice-premier. “Possiamo avere una condivisione del potere, renderla stabile e lavorare insieme ogni giorno in termini di servizi pubblici, e perseguire le nostre aspirazioni altrettanto legittime“, sono state le prime parole alla stampa della nuova leader della nazione, che solo il giorno prima aveva rotto con la tradizione repubblicana usando il termine ‘Irlanda del Nord’ nel suo discorso di giuramento. “Sono una repubblicana orgogliosa, ma credo che sia davvero importante guardare alle persone che si identificano come britanniche e unioniste e dire loro che rispetto i loro valori”, ha spiegato O’Neill.Il partito Sinn Féin è stato fondato nel 1905 come espressione delle aspirazioni indipendentiste da Londra e per l’unità sull’isola d’Irlanda e negli anni della guerra civile è stata l’ala politica dell’Esercito Repubblicano Irlandese (Ira). Il sostegno al partito è cresciuto esponenzialmente dopo la firma dell’Accordo del Venerdì Santo che ha messo fine al conflitto, e nel 2022 ha conquistato il maggior numero di seggi in Parlamento (27 su 90). La formazione del governo dell’Irlanda del Nord si è legata strettamente alle conseguenze della Brexit, dal momento in cui la reintroduzione dei controlli doganali tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord su una serie di categorie di prodotti – richiesta dall’Unione Europea dopo l’uscita del Regno Unito proprio per preservare l’unità sull’isola d’Irlanda sancita dall’accordo di pace del 1998 – ha creato scontenti e proteste tra gli unionisti, incluso il boicottaggio politico. La settimana scorsa il governo britannico di Rishi Sunak ha mediato un accordo con il Partito Unionista Democratico che prevede un aumento dei finanziamenti e che – nel delineare i nuovi equilibri della condivisione del potere a Belfast – prevede che non ci sia “alcuna prospettiva realistica di un referendum” sull’indipendenza nel prossimo decennio. Per i repubblicani nordirlandesi l’indipendenza si lega al processo di unione alla Repubblica di Irlanda, che automaticamente li riporterebbe all’interno dell’Unione Europea dopo l’addio nel 2020 per decisione degli elettori del Regno Unito nel suo complesso.Oltre l’Irlanda del Nord, la ScoziaL’Irlanda del Nord non è l’unica delle quattro nazioni che compongono il Regno Unito ad avere aspirazioni indipendentiste e di ritorno nell’Unione Europea. La disputa più celebre di Londra è quella con la Scozia, che a dieci anni dal referendum sull’indipendenza (bocciato) è pronta a rimettere sul tavolo delle trattative un progetto per la scissione politica. La Brexit è stata un vero e proprio spartiacque per il Partito Nazionale Scozzese, dal momento in cui in Scozia il referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Ue ha visto prevalere una schiacciante maggioranza del 62 per cento dei ‘no’ contro il 38 dei ‘sì’, in controtendenza con il resto del Paese (il 52 per cento degli elettori britannici si è espresso a favore). A un solo anno dall’ufficialità della Brexit, il trionfo alle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Holyrood da parte dell’ex-prima ministra, Nicola Sturgeon, nel 2021 ha sembrato confermare l’irrequietezza scozzese.Nonostante l’uscita di scena di Sturgeon lo scorso anno a causa di uno scandalo sui finanziamenti del Partito Nazionale Scozzese, anche nell’agenda del suo successore – l’ex-braccio destro Humza Yousaf – è rimasta la priorità di un nuovo referendum sull’indipendenza (che al momento vede il ‘sì’ leggermente in vantaggio), con la condanna della Brexit e delle sue conseguenze economiche come fattore trainante. È per questo motivo che bisognerà fare attenzione al risultato delle prossime elezioni nel Regno Unito – ancora non è nota la data, ma sono attese per la seconda metà del 2024 – dal momento in cui il primo ministro Yousaf le vede come un possibile momento di svolta. Il governo di Edimburgo potrebbe avviare immediatamente i negoziati con Londra nel caso in cui il Partito Nazionale Scozzese dovesse conquistare la maggioranza dei seggi garantiti alla Scozia alla Camera dei Comuni, mentre un altro scenario è quello dell’utilizzo delle elezioni per il rinnovo del Parlamento scozzese nel 2026 come voto ‘de facto’ sull’indipendenza dal Regno Unito e una richiesta di (ri)adesione all’Unione Europea.

  • in

    Brexit, il leader laburista Starmer vuole allargare l’accordo con l’Ue

    Bruxelles – Se Downing Street dovesse tornare in mano ai labour, potrebbe aprirsi un nuovo capitolo della saga post Brexit. In un’intervista concessa al Financial Times, il leader laburista Keir Starmer ha definito l’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Ue e il Regno Unito, siglato faticosamente il 30 dicembre 2020 dall’allora primo ministro Boris Johnson, “un accordo troppo snello” e da rinegoziare.
    Un impegno preso in vista delle elezioni di fine 2024, visto che i sondaggi lo danno super-favorito, con circa 20 punti di vantaggio rispetto all’attuale premier Rishi Sunak e al suo partito conservatore. Il leader moderato ha assicurato che all’orizzonte non c’è alcun ritorno nel blocco Ue, né nel mercato unico europeo. Ma “possiamo trovare un accordo commerciale migliore perché l’intesa firmata da Boris Johnson è deleteria e limitante”, ha dichiarato, promettendo che “sarà una delle priorità una volta al governo“. L’ostacolo maggiore per Starmer potrebbe essere proprio Bruxelles, a cui si vuole riavvicinare: l’accordo dovrebbe essere aggiornato nel 2025 ed è difficile immaginare che l’Ue accetterà facilmente di rimettersi al tavolo dei negoziati con Londra.

    In un’intervista al Financial Times ha dichiarato che, se venisse eletto premier, sarebbe “una delle priorità” trovare un accordo commerciale migliore con Bruxelles

  • in

    Ucraina, Brexit e Windsor Framework. Le relazioni tra Ue e Regno Unito continuano con l’Assemblea interparlamentare

    Bruxelles – Si riparte dai Parlamenti, per “tenere aperto il dialogo e rafforzare i rapporti tra Unione Europea e Regno Unito”. È così che la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha descritto il compito dell’Assemblea interparlamentare Ue-Regno Unito, riunitasi tra ieri e oggi (3-4 luglio) a Bruxelles per la terza volta dal maggio dello scorso anno: “Ci conosciamo già molto bene tra noi e dobbiamo portare avanti le discussioni per affrontare insieme come amici e come alleati le sfide e le minacce ai nostri valori comuni“.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (4 luglio 2023)
    Dall’Ucraina all’attuazione del Framework di Windsor, ritornando alla Brexit e alla necessità di ripristinare rapporti stabili tra le due sponde della Manica. “Grazie per il supporto senza sosta all’Ucraina dall’inizio della tentata invasione illegale di Putin“, ha esordito la numero uno del Parlamento Ue, riferendosi a “milioni di sterline come aiuto, addestramento di soldati e piloti, assistenza umanitaria, militare, politica e logistica”. Ue e Regno Unito si trovano “sulla stessa linea d’onda quando si parla di relazioni con l’Ucraina” e questo si riflette nei rapporti tra Bruxelles e Londra: “La nostra azione e la nostra unità dimostrano che possiamo continuare il nostro percorso comune“. Parole confermate anche dall’incontro di oggi tra l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il segretario di Stato per gli Affari esteri britannico, James Cleverly: “Abbiamo avuto una discussione produttiva sugli ultimi sviluppi in Ucraina”, ha reso noto lo stesso alto rappresentante Borrell, sottolineando che “Ue e Regno Unito sono ben allineati su una serie di questioni cruciali di politica estera, sicurezza e difesa“.
    A proposito del percorso comune tra i due partner, “questa Assemblea ha un ruolo concreto da giocare, non solo per spianare la strada alla cooperazione, ma soprattutto per monitorare l’implementazione dell’accordo di commercio e cooperazione“, ha ricordato la presidente Metsola. Si tratta del principale elemento di instabilità dei rapporti tra Ue e Regno Unito da quando Londra è uscita a tutti gli effetti dall’Unione il primo gennaio del 2021 e che – dopo due anni di tensione – può essere superato con l’implementazione del Framework di Windsor siglato poco più di quattro mesi fa: “È un passo in avanti per le nostre relazioni”, ha rivendicato Metsola, chiedendo il “pieno rispetto degli accordi presi”, perché “forniscono una solida base per preservare la nostra lunga amicizia e il nostro impegno costante per la democrazia e i diritti fondamentali“.
    Da sinistra: la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e i co-presidenti dell’Assemblea interparlamentare Ue-Regno Unito, Nathalie Loiseau (eurodeputata di Renew Europe) e Oliver Heald (membro del Parlamento britannico)
    Anche per la co-presidente dell’Assemblea interparlamentare, Nathalie Loiseau (Renew Europe), l’unità sull’Ucraina e il Framework di Windsor “hanno creato le condizioni per rafforzare le nostre relazioni”. In attesa dell’implementazione effettiva dell’accordo di febbraio soprattutto in Irlanda del Nord, l’eurodeputata francese ha voluto sottolineare i “progressi del Regno Unito nella partecipazione al programma Horizon Europe, gli scienziati non possono pagare il prezzo della Brexit”, così come non devono farlo i giovani europei: “Dobbiamo lavorare per migliorare la mobilità giovanile”, ha ribadito con forza Loiseau. Da parte britannica il co-presidente Oliver Heald, membro conservatore del Parlamento del Regno Unito, ha voluto sottolineare che “un anno fa non c’era questa atmosfera di unità, dobbiamo portare a termine le discussioni sul Framework”. È innegabile che rimangono “divergenze dopo la Brexit sul piano del level playing field, ma dobbiamo affrontarle insieme”, ha messo in chiaro l’eurodeputata francese, mentre il collega britannico ha voluto rassicurare sul fatto che “il Regno Unito non vuole abbassare gli standard, questa Assemblea può essere un luogo di scambio su quello che stiamo facendo a livello legislativo”.
    Due anni di contesa tra Ue e Regno Unito
    La contesa tra Londra e Bruxelles è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sonoritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson
    Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo guidato da Boris Johnson ha scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre dello stesso anno. L’esecutivo comunitario ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno dello scorso anno la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Liz Truss poi . con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso. Accordo trovato proprio con il Framework di Windsor il 27 febbraio 2023, firmato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal primo ministro britannico, Rishi Sunak, e che ora attende solo l’implementazione effettiva.

    A Bruxelles la terza riunione dell’Assemblea di eurodeputati e membri del Parlamento britannico. La presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, sottolinea il “ruolo importante da giocare nel monitorare l’implementazione dell’accordo di commercio e cooperazione”

  • in

    Brexit: oltre il 58 per cento dei britannici vorrebbe tornare nell’Unione europea

    Bruxelles – Sette anni dopo il referendum sulla Brexit, la percentuale di britannici che vogliono rientrare nell’Ue è salita ai livelli più alti dal 2016, secondo un nuovo sondaggio di YouGov riportato dal quotidiano Guardian: escludendo coloro che hanno dichiarato che non voterebbero o di non sapere cosa votare, il 58,2 per cento degli elettori sceglierebbe il rientro nell’Unione.
    La percentuale è solo in minima parte diminuita rispetto al 60 per cento registrato nel febbraio di quest’anno – la cifra più alta da quando sono iniziate queste rilevazioni, nel febbraio 2012 – ed è aumentata in modo più o meno costante dal minimo post-referendum del 47 per cento all’inizio del 2021.
    Il sondaggio ha chiesto ai cittadini di altri Paesi membri se dovendo scegliere voterebbero per restare o per lasciare l’Ue.  Il 63 per cento degli italiani vorrebbe restare nell’Unione, come il 62 per cento dei francesi. Il mese scorso l’87 per cento degli intervistati in Spagna ha dichiarato che avrebbe scelto di rimanere, come hanno indicato il 79 per cento dei danesi, il 70 per cento degli svedesi e il 69 per cento dei tedeschi.
    Secondo i dati di YouGov l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha scatenato una forte ondata di sentimenti pro-europei.

    Indagine YouGov conferma il trend in salita. In Italia se si votasse sulla separazione, il 63 per cento sceglierebbe di restare. L’invasione russa dell’Ucraina ha riacceso il sentimento europeista