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    I diamanti tornano al centro del dibattito Ue sulle sanzioni contro la Russia. Si ragiona su un sistema di tracciabilità

    Bruxelles – È passato quasi un anno dalla prima volta che la questione dei diamanti russi si è affacciata nel dibattito pubblico europeo a proposito delle sanzioni internazionali contro la Russia, ma da allora questo commercio globale che solo nel 2021 ha portato nelle casse di Mosca circa 4,5 miliardi di euro non è mai entrato in nessuno dei dieci pacchetti di misure restrittive già messi a terra dall’Unione. Si tratta di uno dei punti più critici dei rapporti tra l’Ue e la Russia, in particolare per uno Stato membro (e una sua città) che della lavorazione dei diamanti ha fatto il punto di forza della propria economia. Il Belgio e il porto di Anversa.
    Nonostante tutte le resistenze e le attività di lobby che hanno permesso all’industria belga della lavorazione dei diamanti di non essere coinvolte nei tagli alla macchina di finanziamento indiretto della guerra russa in Ucraina, nel pieno delle discussioni tra i 27 ambasciatori Ue sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino la questione è riemersa con più vigore. Tanto che diverse fonti riferiscono a Eunews una spinta convergente da Bruxelles e Hiroshima (dove è in corso il vertice dei leader del G7) sulla limitazione a questo commercio. Come si legge nella dichiarazione del Gruppo dei Sette sull’Ucraina – in linea con le anticipazioni della vigilia da funzionari europei – “al fine di ridurre le entrate che la Russia ricava dall’esportazione di diamanti, continueremo a collaborare strettamente per limitare il commercio e l’uso di diamanti estratti, lavorati o prodotti in Russia“. La precisazione è un impegno “con i principali partner al fine di garantire l’effettiva attuazione di future misure restrittive coordinate, anche attraverso tecnologie di tracciamento“.
    È proprio sulla questione del tracciamento che l’attenzione ritorna a Bruxelles. Fonti diplomatiche precisano che non ci sarà l’embargo in questa tornata di misure restrittive, ma che Belgio e Commissione Europea stanno mettendo a punto un sistema di tracciabilità, che dovrebbe rendere la misura più efficace rispetto a un semplice divieto di esportazione “difficile da attuare”. In ogni caso questo lavoro richiederà altro tempo per la definizione dei dettagli e della messa a terra e perciò non è atteso all’interno dell’undicesimo pacchetto. Altre fonti però invitano a prestare attenzione alle discussioni tra i leader del G7 e in particolare a quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Nel corso di un punto con la stampa a poche ore dall’inizio della riunione, il numero uno del Consiglio ha sottolineato che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre e spiegheremo apertamente perché queste sanzioni sono necessarie e giustificate”. Ricordando che “non posso parlare a nome del governo belga”, proprio Michel (ex-premier del Paese) ha fatto notare che “sui diamanti c’è una discussione qui al G7 e una in parallelo sulle sanzioni a Bruxelles, faremo in modo che ci sia coerenza tra la dichiarazione e quello che stiamo facendo a livello europeo“.
    Un anno di dibattito su diamanti e sanzioni
    La questione dei diamanti era entrata per la prima volta nelle discussioni tra gli ambasciatori al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) nel luglio dello scorso anno, in occasione del settimo pacchetto di sanzioni definito di maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento). Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue del 21 luglio era stato deciso di includere anche i gioielli nel divieto di acquistare, importare o trasferire l’oro russo (anche se esportato in un Paese terzo), ma era rimasto fuori il commercio di diamanti, dal momento in cui nella richiesta di allineamento dei leader del G7 in Germania questa azione non era prevista.
    (credits: Alexander Nemenov / Afp)
    Di fronte alla pressione crescente nei mesi successivi a causa dell’escalation della guerra in Ucraina, nelle trattative per l’ottavo pacchetto di sanzioni la proposta della Commissione Ue di un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia è arrivata a un passo dal via libera da tutti i Paesi membri Ue, prima di essere bloccata da un colpo di coda in extremis. A spingere per l’esclusione del gigante russo dell’estrazione Alrosa dalla lista delle entità colpite era stata l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che aveva denunciato il rischio di disoccupazione per oltre 10 mila lavoratori nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di diamanti. Si è trattata di una vera e propria concessione alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno influenzato la posizione del governo belga per prendere a picconate la proposta del gabinetto von der Leyen.
    Nel corso delle trattative tra gli ambasciatori anche per l’approvazione dei due pacchetti successivi di misure restrittive è passata la linea morbida del Belgio per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti, facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro dell’ottobre 2022 aveva segnato una sconfitta per Baltici e Polonia, che hanno sempre appoggiato un embargo totale sui diamanti (non-industriali). Ma, come avevano riferito al tempo fonti diplomatiche a Eunews, gli altri Paesi membri non avevano levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, pari al 30 per cento in tutto il mondo.

    Da Hiroshima, dove il vertice G7 ha avallato il dossier, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha messo in chiaro che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre”. Fonti precisano a Eunews che non ci sarà l’embargo nell’undicesimo pacchetto

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    Il dossier sull’avvio dei negoziati di adesione Ue dell’Ucraina arriverà sul tavolo dei Ventisette “entro fine 2023”

    Bruxelles – A chiederlo con insistenza è da settimane la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola. Ora la conferma arriva anche dai leader delle due istituzioni comunitarie competenti in materia: il Consiglio Europeo affronterà “entro la fine dell’anno” la questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue dell’Ucraina, sulla relazione che sarà preparata dalla Commissione “alla fine dell’estate”. Le parole sono quelle dei presidenti Charles Michel e Ursula von der Leyen, che in conferenza stampa congiunta hanno messo in chiaro alla stampa di Bruxelles le tappe del processo di valutazione dell’iter di avvicinamento di Kiev all’adesione Ue da oggi alla fine del 2023.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (Kiev, 3 febbraio 2023)
    “Abbiamo una tabella di marcia molto chiara”, ha spiegato oggi (15 maggio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “A giugno ci sarà una presentazione orale” – una sorta di tappa intermedia – “ma il rapporto più importante è quello scritto, che sarà presentato a ottobre“. A quel punto “il Consiglio solitamente si occupa di questi rapporti a dicembre, non solo per l’Ucraina, ma anche per gli altri candidati”. Previsioni confermate anche dal leader del Consiglio, che ha definito il rapporto della Commissione “un documento e un’informazione importante”, a cui seguirà l’azione stessa di Michel: “Metterò il tema in agenda entro la fine dell’anno e gli Stati membri dovranno decidere, tenendo in considerazione i progressi compiuti e il le indicazioni del rapporto”.
    Come sottolineato dalla presidente von der Leyen, “questa è la maniera molto formale e rigida di procedere, ma ci muoviamo attraverso questi tre step grazie ai progressi compiuti dal Paese candidato“. A proposito dell’Ucraina, la questione dell’adesione Ue “è stata una delle ragioni per cui la settimana scorsa ero a Kiev”, ha ricordato il suo viaggio del 9 maggio in occasione della Giornata dell’Europa: insieme al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, “abbiamo discusso approfonditamente dei sette passi che accompagnano lo status di Paese candidato all’adesione Ue”. Da parte di Bruxelles “sono stati registrati molti progressi, ma altro lavoro dovrà essere fatto“, considerato il fatto che “alcuni passi sono già stati conclusi, altri sono ancora work in progress e dipendono da quanto velocemente e con quale qualità procede il Paese”. Anche il presidente Michel ha ribadito che “siamo tutti impressionati dai progressi fatti dall’Ucraina” e ora si attendono solo le “opzioni che saranno presentate agli Stati membri”. Al momento traspare cautela dalle parole di von der Leyen e Michel: complimenti per i progressi del Paese sulle riforme nonostante la guerra in corso, ma nessuno strappo in avanti su promesse che potrebbero non essere mantenute.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (Kiev, 8 aprile 2022)
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato più di un anno fa, quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Il 28 febbraio, nel pieno della guerra, il presidente Zelensky ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, seguito a stretto giro (il 3 marzo) anche da Georgia e Moldova. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione, da trasmettere poi al Consiglio. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la presidente von der Leyen ha consegnato a Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea.

    Come funziona l’iter di adesione Ue
    L’iter inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    A confermarlo è il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, riferendo alla stampa che “metterò il tema in agenda dopo la presentazione del rapporto della Commissione”. La valutazione del gabinetto von der Leyen è attesa a ottobre, che gli Stati membri nel vertice di dicembre

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    L’Ue non demorde sulla mediazione tra Azerbaigian e Armenia. Michel riceve i due leader e definisce l’agenda

    Bruxelles – Continua la missione impossibile dell’Unione Europea nella regione del Caucaso meridionale, alla ricerca di una pace complicatissima tra Armenia e Azerbaigian. “L’Ue non ha un’agenda nascosta, il nostro unico obiettivo è aiutare l’Armenia e l’Azerbaigian a raggiungere una pace completa ed equa“, è stato il commento del presidente del Consiglio, Charles Michel, al termine del nuovo round di discussioni di alto livello a Bruxelles insieme al presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Praga il 6 ottobre 2022 (credits: Ludovic Marin / Afp)
    Quello di ieri (14 maggio) è stato il quinto incontro trilaterale nel dialogo tra Baku e Yerevan mediato dall’Unione: “I nostri scambi sono stati franchi, aperti e orientati ai risultati”, ha sottolineato Michel, cercando di mettere in evidenza i punti più positivi in agenda, in un momento particolarmente delicato per gli equilibri nel Caucaso meridionale. Il numero uno del Consiglio Ue ha chiesto di “compiere passi decisivi verso la firma di un accordo di pace globale” tra Armenia e Azerbaigian, a partire da una serie di nuovi incontri a Bruxelles “tutte le volte che sarà necessario”. In calendario è già fissato un nuovo appuntamento tra i tre leader “a luglio”, mentre il primo giugno a margine del secondo vertice della Comunità Politica Europea a Chișinău (Moldova) “ci incontreremo insieme al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz” (lo stesso invito arriverà al terzo vertice di Granada in ottobre).
    Per quanto riguarda le discussioni sul tavolo, la sfida è enorme se si guarda al quadro generale. È dal 1992 che si protrae in quest’area del Caucaso meridionale un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. È per questo che la delimitazione dei confini rimane una delle questioni più complesse da mettere a terra, auspicabile solo attraverso la “ripresa degli incontri bilaterali concordata” da Aliyev e Pashinyan: “La delimitazione definitiva del confine sarà concordata attraverso i negoziati”, ha ribadito Michel. Più nello specifico nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è necessario garantire “diritti e sicurezza agli armeni che vivono nell’ex-provincia autonoma del Nagorno-Karabakh”. Baku è stata incoraggiata a “impegnarsi nello sviluppo di un’agenda positiva” ed entrambe le parti ad “astenersi dalla retorica ostile, impegnarsi in buona fede e mostrare leadership per raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili”.
    Tra gli altri temi affrontati anche le questioni umanitarie sulle persone scomparse, lo sminamento e il rilascio dei detenuti “nelle prossime settimane”, con la tutela dell’intesa “sul fatto che i soldati che hanno attraversato il confine continueranno a essere rilasciati attraverso una procedura rapida”. Nonostante il constante conflitto a bassa intensità le due parti hanno compiuto “chiari progressi nelle discussioni volte a sbloccare i trasporti e i collegamenti economici nella regione“, ha reso noto Michel, parlando di posizioni che “si sono avvicinate molto”, in particolare per quanto riguarda la riapertura dei collegamenti ferroviari attraverso la Repubblica Autonoma del Nakhchivan, enclave azera in Armenia.
    Un anno di difficile mediazione Ue tra Armenia e Azerbaigian
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente Michel ha cercato di rendere sempre più frequenti i contatti diretti con il leader azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan. La priorità dei colloqui di alto livello è sempre stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale (attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati) il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Da 154 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la risposta secca dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere sempre garantiti”.

    Dopo gli ultimi colloqui di ottobre 2022 con il presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan, il numero uno del Consiglio li ha ricevuti a Bruxelles per un confronto su confini, questioni umanitarie e diritti in Nagorno-Karabakh: “Vogliamo una pace completa ed equa”

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    L’autonomia strategica Ue della discordia. Macron divide l’Europa sui rapporti con Cina e Stati Uniti

    Bruxelles – Si accende in Europa il tema della sovranità dell’Ue, sulle strategie, sui partner e sulle direttrici da seguire. Il tutto sullo sfondo delle accese polemiche sulle parole proprio su questo tema del presidente francese, Emmanuel Macron, di ritorno dal viaggio di Stato in Cina. Un’Europa come “terzo polo” tra Washington e Pechino non piace a tutti, soprattutto quando si parla di un ripensamento dei rapporti anche con il principale partner dell’Ue, gli Stati Uniti. Eppure la visione dell’inquilino dell’Eliseo sembra essere non tanto una provocazione o un tentativo di rendere equidistante il continente dalle due superpotenze, quanto un ri-orientamento strategico dell’Unione per non far dipendere le proprie scelte di politica estera, energetica ed economica del futuro da vincoli da un solo attore geopolitico.
    l vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino (6 aprile 2023)
    Il tutto nasce dalle parole del presidente francese riportate da Politico, da cui emerge un’idea di svincolarsi dalla dipendenza anche rispetto agli Stati Uniti, in particolare su questioni spinose come lo scontro tra blocchi e i rapporti tra Cina e Taiwan. Secondo il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, la posizione del leader francese non sarebbe un unicum tra i Ventisette, anche se “al tavolo del Consiglio possono esserci sfumature e sensibilità”. Tra i 27 capi di Stato e di governo “alcuni non direbbero le cose nello stesso modo in cui le ha dette Macron”, ma in ogni caso “credo che non pochi la pensino davvero come Macron“, ha confessato Michel alla trasmissione Faute à l’Europe. Lo stesso numero uno del Consiglio Ue si è detto d’accordo sul fatto che “c’è un grande attaccamento alla nostra alleanza con gli Stati Uniti, ma questo non presuppone che noi seguiamo ciecamente la posizione degli Stati Uniti su tutte le questioni“.
    Tra i favorevoli sicuramente non c’è il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki: “Invece di costruire un’autonomia strategica dagli Stati Uniti, propongo un partenariato strategico”, ha commentato seccamente le parole del leader francese, in partenza per Washington. Riprendendo le parole del premier ungherese, Viktor Orbán, il suo direttore politico, Balázs Orbán, ha sostenuto la linea opposta: “Attualmente l’Ue sta adottando acriticamente la posizione degli Stati Uniti, presentando gli interessi americani come interessi europei, è proprio per questo che oggi l’Europa è uno dei perdenti della guerra in Ucraina”. Di ritorno dal viaggio a Pechino con Macron, ha tenuto una linea più discreta la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che non si è esposta direttamente sui retroscena dell’incontro con il presidente cinese, Xi Jinping. “Il protocollo riservato ai due leader è stato differente, perché Macron era in visita di Stato mentre von der Leyen in una visita di lavoro di alto livello”, ha puntualizzato il portavoce-capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer: “L’obiettivo era partecipare all’incontro trilaterale e in quell’occasione dare un messaggio comune alla Cina”. Anche l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si sarebbe dovuto recare a Pechino da domani a sabato, ma il viaggio è stato annullato all’ultimo dopo il test Covid-19 positivo dello stesso Borrell.
    La sovranità economica secondo Macron
    Per Macron l’obiettivo rimane comunque costruire una sovranità economica europea e, per raggiungerlo, “l’Europa ha smesso di essere ingenua, ora può difendere i suoi interessi, i suoi valori e la sua indipendenza”, ha esordito in un tweet programmatico. “Stiamo lavorando per creare condizioni di parità per le nostre imprese, affinché i Paesi terzi rispettino standard ambiziosi e valori universali”, in un progetto di “un’Europa che difende i propri interessi e valori, che mantiene il controllo del proprio destino, che crea posti di lavoro e che porta a termine con successo la transizione climatica”.
    Il presidente della Francia, Emmanuel Macron
    In primis, “la forza dell’Europa è il suo Mercato unico“, ha puntualizzato il presidente francese, facendo riferimento all’impegno per “far emergere attori forti che incarnino la nostra sovranità, innovando, riformando, rafforzando i nostri sistemi di istruzione e formazione, mobilitando i capitali in modo più efficace”. Parallelamente “far progredire la politica industriale europea significa proteggere meglio le nostre imprese“, attraverso una “strategia di lotta alle distorsioni della concorrenza, di riduzione delle dipendenze strategiche e di protezione della proprietà intellettuale”. Tra le direttrici principali ci sono il Net-Zero Industry Act, “ci permetterà di accelerare lo sviluppo delle nostre industrie che contribuiscono alla transizione climatica, semplificando le nostre regole e procedure”, e l’European Chips Act: “Essendo un settore così essenziale per le nostre industrie, le nostre economie e le nostre società, l’Europa doveva investire nei semiconduttori del futuro”.
    Sul fronte dei rapporti con i partner “faremo in modo che, per accedere al Mercato europeo, i produttori dei Paesi terzi siano soggetti alle stesse regole di produzione di quelli dell’Unione” – come misura per tutelare i consumatori sugli standard dei prodotti e le aziende dalla concorrenza sleale – e “in ogni negoziato commerciale dovremo integrare criteri di sostenibilità come il rispetto dell’Accordo di Parigi e la conservazione della biodiversità, l’equità, l’equilibrio, la compatibilità con i nostri interessi strategici”, ha aggiunto lo stesso Macron.

    La souveraineté économique de notre Europe.
    C’est notre objectif.
    Pour l’atteindre, l’Europe a cessé d’être naïve. Elle peut désormais défendre ses intérêts, ses valeurs et son indépendance.…
    — Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) April 12, 2023

    Le parole di Macron sull’Europa “terzo polo”
    “Per troppo tempo l’Europa non ha costruito questa autonomia strategica, oggi la battaglia ideologica è stata vinta, ma non vogliamo entrare in una logica di blocco contro blocco“, ha messo in chiaro Macron di fronte alla stampa a bordo dell’aereo presidenziale che l’ha riportato a Parigi dopo la visita di Stato a Pechino. In particolare nell’intervista pubblicata da Les Echos, emerge chiaramente il pensiero dell’inquilino dell’Eliseo a proposito dell’attuazione dell’autonomia strategica: “La trappola per l’Europa sarebbe che, nel momento in cui ottiene un chiarimento della sua posizione, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento del mondo e in crisi che non sono nostre”.
    Il presidente della Francia, Emmanuel Macron (credits: Ludovic Marin / Afp)
    A proposito dell’invasione russa in Ucraina, Macron ha insistito sul fatto che “lo scopo del dialogo con la Cina è consolidare approcci comuni”, a partire dal “sostegno ai principi della Carta delle Nazioni Unite” e il “chiaro richiamo” sull’arma nucleare e sul rispetto del diritto umanitario, fino all’impegno per “una pace negoziata e duratura”. E nonostante l’Ucraina non rappresenti una priorità per la diplomazia cinese “questo dialogo ci permette di temperare i commenti che abbiamo sentito su una forma di compiacimento nei confronti della Russia“, ha insistito Macron. Allargando il quadro, tuttavia, Pechino è interessata che l’Europa si ritagli un ruolo di terzo attore non legato agli Stati Uniti. E questo tema riguarda anche la questione di Taiwan: “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina, ma perché dovremmo seguire il ritmo scelto da altri?”
    È qui che si innesta la questione dell’autonomia strategica. “Noi europei dobbiamo svegliarci, la nostra priorità non è adattarci all’agenda degli altri in tutte le regioni del mondo”, ha sottolineato con forza ai giornalisti il presidente francese, ricordando che “se ci sarà un’accelerazione del duopolio, non avremo il tempo né i mezzi per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli“. Al contrario, se si riuscirà a mantenere un equilibrio – non equidistanza, come precisano dall’Eliseo – tra Washington e Pechino, “potremo essere il terzo polo, con qualche anno per costruirlo”. Una strategia che ha appena iniziato a muovere i primi passi – “ci siamo dotati di strumenti di difesa e di politica industriale, ci sono stati molti progressi con il Chips Act, il Net Zero Industry Act e il Critical Raw Material Act” – ma che ancora ha bisogno di tempo: “La guerra in Ucraina sta accelerando la domanda di attrezzature di difesa, ma l’industria europea della difesa non soddisfa tutte le esigenze e rimane molto frammentata“.
    Se gli squilibri nei rapporti con Pechino sono ben evidenti e hanno bisogno di essere risolti, anche la relazione con gli Stati Uniti ha bisogno di un ripensamento secondo Macron, perché l’Europa non si vincoli acriticamente alle scelte di campo di Washington e possa dialogare da pari a pari con il suo partner più stretto. “Autonomia strategica significa avere opinioni convergenti con gli Stati Uniti ma, che si tratti dell’Ucraina, del rapporto con la Cina o delle sanzioni, abbiamo una strategia europea“, con l’obiettivo di “non dipendere dall’altro, mantenendo una forte integrazione delle nostre catene del valore laddove possibile e non dipendendo dall’extraterritorialità del dollaro”. Non un rovesciamento dei rapporti, né una posizione neutra nella contrapposizione tra Washington e Pechino, ma la definizione di capisaldi e linee rosse europee: “Le battaglie da combattere oggi consistono da un lato nell’accelerare la nostra autonomia strategica e dall’altro nel garantire il finanziamento delle nostre economie”. Evitando il paradosso di “seguire la politica statunitense per una sorta di riflesso di panico, nel momento in cui stiamo mettendo in atto gli elementi di una vera autonomia strategica”.

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    La Moldova scaccia i fantasmi filo-russi. Michel annuncia l’avvio dei negoziati per l’ingresso in Ue entro la fine dell’anno

    Bruxelles – Le bandiere russe che un mese fa hanno riempito le strade di Chișinău nelle violente manifestazioni contro la presidente Maia Sandu potrebbero presto essere sostituite da quelle a dodici stelle dell’Unione Europea. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, in visita in Moldova, ha posto il suo obiettivo: aprire i negoziati per l’adesione del Paese all’Unione “entro la fine dell’anno”.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Repubblica di Moldova, Maia Sandu (28 marzo 2023)
    Il viaggio del leader Ue a Chișinău non è casuale. Dopo le mobilitazioni filo-russe fomentate dal partito di opposizione Șor e con il sospetto di ingerenze dell’intelligence di Mosca, c’era bisogno di riaffermare il “pieno sostegno” dell’Ue “per il popolo moldavo” nel suo cammino verso l’ingresso nell’Unione. E di accelerarlo, se necessario, per scongiurare le mire espansionistiche del Cremlino, che vorrebbe fare della Moldova una nuova Bielorussia. Michel ha reso onore al “coraggio e alla determinazione” con cui il Paese partner ha risposto alle minacce russe, che ha tentato di destabilizzare il Paese “usando l’arma dell’energia, gli attacchi informatici, fomentando proteste antigovernative”.
    Come a voler scacciare definitivamente qualsiasi fantasma filo-putiniano dall’orizzonte, la presidente Sandu ha dichiarato che “l’integrazione europea è l’unica strada che possa assicurare la sopravvivenza della Repubblica di Moldova come un Paese libero e prospero, l’unica possibilità per vivere in libertà, pace e benessere”. La premier europeista ha rivendicato la “determinazione a restare parte del mondo libero” con cui la Moldova sta affrontando gli attacchi ibridi che partono da Mosca, sottolineando al contempo il “supporto solido” ricevuto da Bruxelles.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, con il presidente del Parlamento della Moldova, Igor Grosu (28 marzo 2023)
    Un miliardo di euro mobilitati nel corso del 2022 a sostegno della stabilità del Paese, e la volontà a “fare ancora di più”. I 27 Stati membri hanno chiesto, nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo, che la Commissione Ue presenti un pacchetto di misure per la Moldova “prima dell’estate”. Nel frattempo, ha ricordato Michel, è importante che il governo guidato da Dorin Recean “continui a implementare i nove passi richiesti dall’esecutivo europeo” per soddisfare i requisiti per l’ingresso nell’Unione. La presidente moldava ha assicurato di essere già al lavoro per “raggiungere gli alti standard necessari per essere un Paese membro”. Gli sforzi del governo si concentrano soprattutto su “un sistema giudiziario indipendente, sulla lotta alla corruzione, sull’eradicazione dell’influenza degli oligarchi nella politica, nell’economia, nei mass media e nella giustizia”.
    Nel corso della sua visita, Michel ha incontrato anche il primo ministroRecean e il presidente del Parlamento di Chișinău, Igor Grosu. Il numero uno del Consiglio Europeo ha infine confermato che la capitale moldava ospiterà, il prossimo primo giugno, la seconda riunione della Comunità politica europea: “Siamo certi che sarà un successo”, ha concluso Michel.

    Il presidente del Consiglio Ue in visita a Chișinău ha ringraziato la presidente, Maia Sandu, per il “coraggio e la determinazione” con cui ha risposto ai tentativi di destabilizzazione di Mosca. Il Paese è al lavoro per soddisfare i nove requisiti posti dalla Commissione Europea

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    Clima, Guterres all’Ue: “Vicini al punto di non ritorno, anticipare obiettivo zero emissioni al 2040”

    Bruxelles – Lo scenario peggiore è sempre più vicino, e bisogna fare in fretta, molto in fretta per invertire la rotta. A pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu, che ha mostrato in modo un’altra volta lo stato di salute drammatico del pianeta, è stato il segretario delle Nazioni Unite in persona, Antonio Guterres, a recapitare il messaggio d’allarme a casa dei leader europei. Il vertice dei 27 di oggi e domani (23-24 marzo) a Bruxelles si è aperto con un pranzo di lavoro guidato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dal segretario Onu: sul tavolo, oltre all’emergenza climatica, il ritardo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030, l’insicurezza alimentare alimentata dal conflitto in Ucraina e le relazioni con la Cina.
    “L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite mostra che siamo vicini al punto di non ritorno, che renderebbe impossibile perseguire l’obiettivo di rimanere sotto l’aumento di 1,5 gradi” della temperatura globale rispetto ai livelli del 1990, ha dichiarato Guterres al suo ingresso all’Europa Building. Gli esperti Onu sulla valutazione dei cambiamenti climatici hanno stimato che fino a oggi l’uomo ha provocato un aumento medio della temperatura terrestre di almeno 1,1°C: il limite posto nel 2015 con l’Accordo di Parigi è sempre più vicino e, come sottolinea il rapporto, con la tendenza attuale sarà superato già prima della metà del prossimo decennio.
    Antonio Guterres e Charles Michel, 23/03/23
    Il segretario generale ha evocato la necessità di “azioni urgenti e di un’agenda accelerata”, soprattutto da parte dei Paesi più industrializzati. In linea con quanto suggerito dal rapporto dell’Ipcc, Guterres ha chiesto ai 27 di anticipare di 10 anni i propri obiettivi stabiliti a Parigi per raggiungere la neutralità carbonica, nel 2040 invece che nel 2050. L’Onu “conta sulla leadership dell’Unione europea”, che secondo Guterres sta già “lavorando in modo positivo” verso la decarbonizzazione.
    Michel, accogliendo Guterres, ha posto l’accento sui tratti comuni tra l’Ue e l’Onu: “Crediamo in un approccio multilaterale, nella cooperazione, nella carta delle Nazioni Unite e nella legge internazionale”, ha affermato, congratulandosi “per la leadership” dimostrata “soprattutto con il Black Sea Grain“, l’iniziativa che dal luglio 2022 ha sbloccato l’export via mare di oltre 25 milioni di tonnellate di cereali ucraini, prorogata non senza difficoltà lo scorso 18 marzo. A quanto si apprende tuttavia, Guterres si sarebbe mostrato abbastanza pessimista sul proseguimento dell’accordo, che non starebbe andando in una direzione positiva perché interpretato in modo diversi dalle parti in causa.
    Pessimismo che sfiora quasi il catastrofismo quando Guterres passa in rassegna lo stato degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite per il 2030: “Più fame, più povertà, meno educazione e servizi sanitari in diverse regioni del mondo”, ha evidenziato il segretario generale dell’Onu, parlando di “una tempesta perfetta in molti Paesi in via di sviluppo”. Anche sull’Agenda per il 2030, Guterres ha fatto appello all’Ue affinché si “rimetta in carreggiata” verso il perseguimento degli obiettivi Onu. Sul gigante cinese e sul suo avvicinamento alla Russia, il segretario portoghese avrebbe lanciato un avvertimento ai 27: vista l’attitudine ancora positiva di Pechino nei confronti dell’Ue, Guterres ha suggerito di evitare qualsiasi mossa che possa isolare ulteriormente il presidente Xi Jinping. poiché in quel caso si rischierebbe di spingerlo ancora di più verso la Russia di Putin.

    Il segretario generale dell’Onu, ospite d’eccezione al vertice dei leader europei, si dice pessimista sul proseguimento dell’accordo sul grano ucraino con la Russia. “Più fame e povertà in diverse regioni del mondo”, l’allarme di Guterres sul ritardo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile

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    L’Ue al fianco della Moldova nella lotta contro i disordini sobillati dalla Russia: “Supporto incrollabile a Chișinău”

    Bruxelles – Dopo l’allarme, la reazione. Le autorità della Repubblica di Moldova hanno annunciato di aver arrestato sette persone con l’accusa di favoreggiamento di disordini durante le proteste antigovernative filo-russe di ieri (12 marzo). Una rete “orchestrata da Mosca” per destabilizzare la situazione interna al Paese candidato all’adesione all’Unione Europea, di cui farebbero parte cittadini moldavi e “agenti russi” inviati direttamente dal Cremlino per organizzare “disordini di massa” a Chișinău.
    Proteste anti-governative a Chișinău, Moldova, il 12 marzo 2023 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)
    “Congratulazioni alla polizia moldava, che ha arrestato persone sospettate di aver pagato per promuovere disordini filorussi e antigovernativi”, è il commento della commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ricordando che “il sostegno dell’Ue alla Moldova rimane essenziale“. Una dimostrazione è stata la riunione di venerdì (10 marzo) del Nucleo di sostegno Ue insieme alla ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, in cui è stata firmata una lettera di intenti con Europol per garantire un supporto nella lotta al crimine organizzato. A margine dello stessa riunione a Bruxelles la ministra Revenco ha avvertito che “la Repubblica di Moldova è la seconda linea dell’aggressione russa contro l’Ucraina”. Nel corso della giornata di ieri migliaia di manifestanti filo-russi hanno marciato nella capitale del Paese, guidati da esponenti di Șor, il partito di Ilan Shor, oligarca moldavo sanzionato nell’ottobre dello scorso anno dagli Stati Uniti per la sua vicinanza al governo russo (la stessa cosa il governo moldavo chiede a Bruxelles di fare) e oggi in esilio in Israele per proteggersi da un furto bancario da 1 miliardo di dollari.
    Prima della riunione con la commissaria Johansson la ministra Revenco aveva fatto un riferimento implicito alle responsabilità anche di Shor nel rischio di colpo di Stato in Moldova, parlando di “sforzi e risorse di Mosca, gruppi di interesse e oligarchi fuggiti per aumentare il livello di destabilizzazione nel Paese”. Le autorità di polizia hanno anche informato che nell’ultima settimana è stato negato l’ingresso in Moldova a 182 cittadini stranieri – tra cui un “possibile rappresentante” del gruppo militare privato russo Wagner – mentre l’agenzia anti-corruzione ha effettuato un sequestro pari a oltre 200 mila euro per un presunto finanziamento illegale di Șor da parte di un gruppo di criminalità organizzata legato a Mosca. “La Moldova è uno dei Paesi più negativamente colpiti dalle conseguenze della guerra russa in Ucraina, negli ultimi mesi è diventato sempre più target degli attacchi ibridi e della disinformazione russa”, ha ricordato alla stampa il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano: “L’obiettivo è chiaro, minare e destabilizzare il Paese e le sue riforme anti-corruzione del governo pro-Ue”.
    Nelle ultime settimane si sono svolte diverse proteste da parte del gruppo Movimento per il Popolo – che riunisce diversi gruppi, associazioni e partiti filo-russi come Șor – per spingere la presidente europeista Maia Sandu a rassegnare le dimissioni. Non è un caso se poco meno di un mese fa Sandu ha confermato un report dell’intelligence ucraina, secondo cui il Cremlino ha messo in atto un piano per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese candidato all’adesione Ue: l’obiettivo sarebbe “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione“, con il coinvolgimento di “cittadini stranieri”. Per sostenere la leadership moldava, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha telefonato ieri alla presidente Sandu: “Il sostegno dell’Ue è incrollabile“, ha confermato il numero uno del Consiglio, precisando che è necessario “continuare a lavorare insieme in questa nuova fase di relazioni strategiche”. La conversazione telefonica è stata anche un’occasione per discutere della seconda riunione della Comunità Politica Europea, che il primo giugno porterà i capi di Stato e di governo dei Paesi proprio a Chișinău, ma anche della “determinazione della Moldova a portare avanti le riforme e gli sforzi per avanzare sulla strada Ue”.
    Le tensioni interne in Moldova
    Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022 sono aumentate le tensioni nella Repubblica di Moldova e in particolare nell’autoproclamata Repubblica filo-russa della Transnistria, nell’est del Paese, con attacchi a Tiraspol e lungo il confine con l’Ucraina (primi segnali di strategia di destabilizzazione russa e di tentativo di trovare un pretesto per un possibile intervento armato). Nell’ultimo mese si sono registrati sempre più numerosi atti di provocazione palese di Mosca, con missili che attraversano lo spazio aereo della Repubblica di Moldova in direzione del territorio ucraino, mentre lo scorso 9 febbraio il presidente Volodymyr Zelensky ha informato per primo i 27 leader Ue (come poi confermato dalla presidente Sandu) del piano del Cremlino per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese che ha ottenuto lo status di candidato dal 23 giugno dello scorso anno.
    Sul piano politico la situazione è particolarmente delicata, con le dimissioni dimissioni a sorpresa dello scorso 10 febbraio da parte della prima ministra europeista, Natalia Gavrilița. A succederle è stato scelto l’ex-segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza ed ex-ministro degli Affari Interni, Dorin Recean, che ha subito tranquillizzato sul fatto che sicurezza, economia e integrazione Ue saranno le priorità del governo, a partire dalla “realizzazione di tutte le condizioni per l’adesione all’Unione Europea” nel più breve tempo possibile. La Moldova aveva fatto richiesta formale per aderire all’Ue il 3 marzo dello scorso anno, a una settimana dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ricevendo il via libera della Commissione tre mesi più tardi e il successivo benestare del Consiglio Ue alla concessione dello status di Paese candidato il 23 giugno.

    La polizia ha arrestato sette persone legate al Cremlino durante le proteste antigovernative guidate da Șor, il partito filo-russo dell’oligarca Ilan Shor. Colloquio telefonico tra i presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e del Paese candidato all’adesione Ue, Maia Sandu

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    Appello di Meloni ai leader Ue sulla migrazione. Il dossier sarà in agenda al prossimo Consiglio Europeo

    Bruxelles – Le 66 vittime del naufragio di Cutro, in Calabria, cambiano l’agenda del prossimo vertice dei 27 leader Ue a Bruxelles, previsto per il 23 e 24 marzo. Ai punti “Ucraina, competitività e mercato unico, commercio, energia” sarà aggiunto un’altra volta il dossier migranti. L’input, anche se un possibile ritorno sul tema era già previsto, è partito dalla premier italiana, Giorgia Meloni, che in una lettera inviata ieri (primo marzo) ai presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e della presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue, Ulf Kristersson, ha chiesto un’azione immediata delle istituzioni europee sul tema.
    Il portavoce del Consiglio Ue, Barend Leyts, in risposta ha dichiarato che “l’accordo” raggiunto all’ultimo vertice è stato quello di “monitorare i progressi sul tema migrazione, in particolare sulla base di aggiornamenti da parte della Commissione e della presidenza del semestre di turno. Sarà in agenda al prossimo Consiglio Europeo”. Così, l’ennesima tragedia consumata nel Mar Mediterraneo mette pressione all’Unione, con l’Italia “pronta, a partire dal prossimo Consiglio Europeo, a dare il suo contributo a ogni iniziativa comune” che rientri nella risposta di Meloni alla questione migrazione: “È fondamentale e urgente adottare da subito iniziative concrete, forti e innovative per contrastare e disincentivare le partenze illegali, ricorrendo anche a urgenti stanziamenti finanziari straordinari per i Paesi di origine e transito affinché collaborino attivamente”, ha ribadito la premier ai leader Ue.
    Niente di nuovo rispetto a quanto deciso all’ultimo vertice, lo scorso 9 febbraio, in cui i Ventisette avevano indicato come prioritaria la necessità di ridurre le partenze, attraverso una maggiore azione esterna, un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’Ue e una maggiore cooperazione con i Paesi d’origine e di transito. “Al Consiglio Europeo straordinario dello scorso febbraio abbiamo individuato alcune misure che vanno nella giusta direzione, ma il fattore tempo è decisivo“, ha sottolineato la presidente del Consiglio dei ministri, perché “senza concreti interventi dell’Ue, sin dalle prossime settimane e per l’intero anno, la pressione migratoria sarà senza precedenti”. Insomma, non è più possibile rimandare le decisioni operative, come accaduto a febbraio, quando lo stesso numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, aveva dichiarato: “Se ne riparlerà a marzo, perché non volevamo una discussione eccessivamente lunga oggi”.
    I resti dell’imbarcazione schiantata a Cutro, in Calabria (credits: Alessandro Serrano / Afp)
    Meloni, come già successo a novembre scorso, quando lo scontro tra Roma e Parigi sulla nave Ocean Viking aveva fatto sì che l’Europa annunciasse misure immediate, calca la mano sulla tragedia di Crotone per ottenere risultati concreti: “Confido di non essere sola in questa battaglia di civiltà”, scrive la premier, insistendo sul “dovere, morale prima ancora che politico, di fare di tutto per evitare che disgrazie come queste si ripetano”. E allora dito puntato contro la tratta illegale di esseri umani, che va “stroncata”, perché il fenomeno migratorio sia gestito “nel rispetto delle regole e della sicurezza, anzitutto nell’interesse degli stessi migranti, e con numeri tali da consentire l’effettiva integrazione di chi viene in Europa con la legittima aspirazione a una vita migliore”. Nessun riferimento, nella lunga lettera della presidente, alla possibilità di intensificare gli sforzi europei in operazioni congiunte di ricerca e salvataggio, con cui forse si sarebbero potuti salvare i naufraghi dell’imbarcazione avvistata sabato sera scorso da un velivolo di Frontex, quando si trovava ancora a 40 miglia dalle coste calabresi.

    Nella lettera inviata ai presidenti Michel, von der Leyen e Kristersson la richiesta di “adottare da subito iniziative concrete” per contrastare le partenze irregolari. Per la premier italiana sono necessari fondi straordinari per i Paesi d’origine affinché “collaborino attivamente”