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    Freedom Flotilla, l’Ue si fa da parte: “Responsabilità degli Stati di appartenenza”

    Bruxelles – La detenzione dell’equipaggio della Freedom Flotilla in Israele? L’Unione europea se ne lava le mani. Con una dichiarazione arrivata poco dopo le 17 del pomeriggio di oggi (9 giugno) – dunque a oltre 14 ore dall’intercettazione dalla nave e dall’arresto dei dodici volontari, tra cui l’eurodeputata francese Rima Hassan – la Commissione europea formula una breve dichiarazione in cui spiega che la responsabilità ricade sui Paesi di provenienza degli attivisti. “Le autorità responsabili di garantire la protezione consolare sono gli Stati di appartenenza dei cittadini“, è tutto quel che ha da dire per ora l’esecutivo Ue per bocca di un portavoce.L’eurodeputata franco-palestinese, l’attivista svedese Greta Thunberg, insieme agli altri volontari (5 francesi, un turco, uno spagnolo, un olandese, un inglese e una tedesca), sono attualmente trattenuti dalle autorità israeliane al porto di Ashdod, una trentina di chilometri a sud di Tel Aviv. L’imbarcazione e il carico di aiuti umanitari che trasportava confiscati. “L’equipaggio della Freedom Flotilla è detenuto illegalmente da Israele da oltre 14 ore, in seguito all’altrettanto illegale intercettazione della loro nave umanitaria mentre consegnava aiuti a Gaza, al di fuori delle acque territoriali israeliane”, si legge nel profilo X di Hassan, così come il quello degli altri attivisti che chiedono senza sosta da giorni di fare pressione sui governi occidentali.La Madleen del collettivo Freedom Flotilla [Ph: Account X FFC]L’Eliseo ha dichiarato oggi che la Francia si adopererà per garantire il rapido ritorno in patria dei sei cittadini francesi, la Spagna e la Turchia hanno condannato l’azione israeliana. Non una parola di condanna, né il tradizionale “seguiremo da vicino la vicenda” né, tantomeno, la presa di contatto con le autorità israeliane, da parte di Bruxelles. “L’Ue ribadisce il suo appello urgente per la ripresa immediata, senza ostacoli e continua degli aiuti su vasta scala a Gaza, nel pieno rispetto dei principi umanitari, e chiede l’immediato cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi”, ha aggiunto il portavoce della Commissione europea.Ai vertici della Commissione europea, in primis alla presidente Ursula von der Leyen e all’Alta rappresentante per gli Affari esteri, Kaja Kallas, hanno indirizzato una lettera urgente 41 eurodeputati, su iniziativa della delegazione di Alleanza Verdi Sinistra a Bruxelles. I firmatari – che provengono dai gruppi dei Verdi/Ale, The Left, S&d e Renew – fanno appello all’esecutivo Ue affinché invochi “il rilascio immediato dei volontari detenuti e la protezione degli operatori umanitari europei”, condanni “pubblicamente” l’attacco alla nave “e il sequestro dell’equipaggio e degli aiuti”. Di fronte alla “palese aggressione”, i 41 chiedono “misure concrete”: la sospensione “degli scambi commerciali e della cooperazione” con Israele e “un embargo totale sulle armi“. Per fugare ogni dubbio, chiedono a Bruxelles che “chiarisca la posizione ufficiale sulle ripetute e crescenti violazioni del diritto internazionale umanitario da parte del governo israeliano”.Greta Thunberg e Rima Hassan insieme a parte dell’equipaggio della Madleen [Ph: Account Instagram Rima Hassan]Pochi minuti fa ha battuto un colpo la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, in visita negli Stati Uniti: “Negli ultimi giorni e nelle ultime ore” Metsola sarebbe stata in “costante contatto con le autorità israeliane e i leader dei gruppi politici del Parlamento europeo per garantire la sicurezza della deputata Rima Hassan, una delle persone a bordo della nave Madleen, e di tutti i suoi accompagnatori”, fa sapere l’ufficio del portavoce della presidente.La situazione è “ancora in corso e rimarremo in contatto 24 ore su 24 con tutte le parti fino a quando non sarà risolta in sicurezza”, aggiungono dallo staff di Metsola, sottolineando (ma generalizzando il problema e sfuggendo dunque da una richiesta diretta verso Israele) che “il Parlamento europeo insisterà sempre affinché tutti i suoi deputati siano tutelati e trattati con rispetto, in quanto rappresentanti eletti dei cittadini europei, ovunque si trovino nel mondo”. Su quest’ultimo punto, alza l’allarme Amnesty International, che in un comunicato ha chiesto “il rilascio immediato e incondizionato” dell’equipaggio della Madleen ed evidenzia che “devono inoltre essere protetti dalla tortura e da altri maltrattamenti”.Dal porto di Ashdod, i 12 volontari dovrebbero essere trasferiti in un centro di detenzione nella città israeliana di Ramla per poi venire rimpatriati. Nel frattempo, secondo il ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas, nella Striscia sarebbero rimasti uccisi anche oggi 47 cittadini palestinesi, e 388 feriti a causa dei raid dell’esercito israeliano.

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    Il Pkk si scioglie, l’Ue invita la Turchia a “cogliere l’attimo” per una soluzione politica alla questione curda

    Bruxelles – L’annuncio storico dello scioglimento del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, dopo oltre 40 anni di lotta armata contro lo Stato turco e più di 40 mila vittime, apre una finestra d’opportunità per “avviare un processo inclusivo basato sul dialogo e sulla riconciliazione” tra Ankara e la minoranza curda, che rappresenta circa il 20 per cento della popolazione. È la speranza della Commissione europea, dei leader delle comunità curde della regione e dell’opposizione turca al presidente sultano Recep Tayyip Erdoğan. In un comunicato, la Turchia ha già chiarito che la dissoluzione del Pkk non porterà a concessioni, decentramenti o “modelli federali che intacchino la struttura unitaria del Paese”.Il negoziato che porterà il Pkk a deporre le armi è durato più di otto mesi, avviato lo scorso autunno attraverso la mediazione del partito filo-curdo DEM e giunto a compimento quando, il 27 febbraio, il leader curdo e teorico del Confederalismo democratico, Abdullah Öcalan – imprigionato da 26 anni nell’isola-prigione di Imrali, al largo delle coste di Istanbul – ha invitato il suo movimento a mettere fine alla guerriglia. Il Pkk aveva disposto immediatamente un cessate il fuoco con la Turchia, fino all’annuncio di ieri (12 maggio) che “il dodicesimo congresso del Pkk ha deciso di sciogliere la struttura organizzativa del Pkk e di porre fine alla sua lotta armata“.Erdogan, che già allora definì l’appello di Öcalan “un’opportunità storica” per turchi e curdi, ha dichiarato: “Oggi abbiamo superato un’altra soglia critica. Il gruppo terrorista ha deciso di abbandonare le armi e dissolversi. Riteniamo questa decisione importante per il mantenimento della pace e della fratellanza“. Il presidente ha puntualizzato che, “per evitare incidenti su questa strada, la nostra intelligence monitorerà ciò che resta per concludere questo processo”.Una donna curda applaude durante una manifestazione dove sventolano bandiera del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e del leader Abdullah OcalanL’agenzia stampa curda Firat, da sempre vicina al Pkk, ha reso noto le modalità con cui verrà sciolta l’organizzazione separatista curda. In tre fasi, e sotto l’egida delle Nazioni Unite. In una prima fase, verrà pianificato nel dettaglio l’abbandono delle armi: i primi battaglioni a deporre le armi saranno quelli dell’Iraq del nord, nelle province di Duhok, di Erbil e di Seyid Sadik. Una terza fase riguarderà la distruzioni di campi di addestramento, depositi di armi, tunnel e rifugi che dovrebbe essere delegata all’esercito turco. Il processo dovrebbe avvenire sotto gli occhi di osservatori internazionali e dell’Onu.Il presidente del Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), Tuncer Bakirhan, ha affermato che “l’esito del Congresso del Pkk è una buona notizia per tutta la Turchia” e si è augurato che “questo processo termini con la pace e la democrazia”, perché “ormai non c’e’ alcun ostacolo alla costruzione di una Turchia democratica“. Il partito filo-curdo, che ha avuto un ruolo fondamentale nelle trattative con Öcalan, è da anni vittima di una serie di indagini giudiziarie per presunti legami con il Pkk, ed alcuni dei suoi leader ed esponenti sono tutt’ora incarcerati. L’accusa di collaborazione con il Pkk – oltre che corruzione, riciclaggio e turbativa d’asta – è la stessa con cui Erdogan ha fatto arrestare lo scorso 19 marzo il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, esponente del Partito Popolare Repubblicano.Hanno espresso soddisfazione, tra gli altri, per la svolta storica, il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, e i ministri degli Esteri di Giordania e Siria. Da Bruxelles, il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Anouar El Anouni, ha auspicato “l’avvio di un incredibile processo di pace che miri a una soluzione politica alla questione curda” e invitato “tutte le parti a cogliere l’attimo e ad avviare un processo inclusivo basato sul dialogo e sulla riconciliazione”.

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    Ucraina, difesa, dazi. Le crisi avvicinano l’Ue e la Norvegia, e a Oslo fa capolino il dibattito sull’adesione

    Bruxelles – “La Norvegia è un membro della famiglia europea. La nostre cooperazione ci rende più forti”. Con queste parole, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha accolto oggi (7 aprile) il primo ministro norvegese, Jonas Gahr Støre. Sul tavolo, il sostegno all’Ucraina, il rafforzamento dell’industria della difesa e i dazi statunitensi. Crisi e periodi straordinari che riavvicinano un’altra volta Oslo a Bruxelles, e che potrebbero cambiare la travagliata storia dell’adesione della Norvegia al club europeo.Il Paese scandinavo ha chiesto per la prima volta di entrare nell’Ue nel 1967, avviando i negoziati di adesione. Tuttavia, il popolo norvegese ha respinto l’ingresso nei 27 con due referendum, il primo nel 1972 e il secondo nel 1994, dopo una seconda richiesta nel 1992. Da allora, la richiesta di Oslo è rimasta congelata ma non ritirata, e il paese maggior produttore di petrolio e gas d’Europa rimane strettamente ancorato all’Ue perché parte dello Spazio economico europeo (SEE) e dell’area Schengen. “Negli ultimi mesi”, di fronte alle nuove sfide, “ci siamo incontrati o abbiamo parlato quasi tutte le settimane“, ha dichiarato il premier e leader del partito laburista norvegese Støre ai cronisti in un punto stampa con von der Leyen.Jonas Gahr Støre e Ursula von der Leyen, 07/04/25In particolare, la necessità di rispondere in modo coordinato al terremoto provocato dall’imposizione dei dazi trumpiani – del 15 per cento alla Norvegia, del 20 per cento all’Ue -, rinsalda ulteriormente i legami tra Oslo e Bruxelles. “L’Ue è di gran lunga il nostro partner commerciale più importante, il 70 per cento delle nostre esportazioni è destinato al mercato interno. Faremo di tutto per contribuire all’integrità di questo mercato“, ha affermato Støre, assicurando che la Norvegia “seguirà chiaramente la risposta” che metterà in campo l’Unione europea.La presidente dell’esecutivo Ue ha sottolineato inoltre che, in materia di difesa, “la Norvegia potrà partecipare all’approvvigionamento congiunto” proposto con lo strumento Safe (il fondo Ue da 150 miliardi per prestiti agevolati agli Stati membri), e che “le industrie norvegesi saranno trattate come le industrie dell’Ue“. I due leader hanno poi valutato i progressi sull’attuazione della Green Alliance firmata nell’aprile 2023: “Stiamo trasformando le parole in realtà attraverso progetti concreti, dall’eolico offshore all’idrogeno e alla cattura e stoccaggio di carbonio”, ha insistito von der Leyen. Annunciando di essere d’accordo per “accelerare il coordinamento tra Norvegia, Stati membri e le nostre aziende per avviare e far funzionare ancora più progetti”.Nel lungo tira e molla tra il blocco europeo e Oslo, i fattori esterni hanno sempre giocato un ruolo rilevante per ravvivare il discorso su un’eventuale adesione. Ed ora, a cinque mesi dalle elezioni parlamentari, il dibattito potrebbe lentamente riaprirsi. Nel novembre scorso, a trent’anni dal secondo referendum che bocciò l’ingresso l’Ue, diversi sondaggi di opinione hanno mostrato un lento ma costante aumento della quota di persone favorevoli all’adesione. L’opposizione all’adesione sarebbe diminuita dal 70 per cento del 2016 fino al 46,7 per cento del 2024. Contemporaneamente, il sostegno a unirsi al blocco Ue è aumentato di circa 20 punti percentuali, fino al 35 per cento della popolazione norvegese.La guerra russa in Ucraina e le crescenti preoccupazioni per la sicurezza nazionale, le minacce di Trump alla Groenlandia e il rinnovato interesse per la regione artica, passando per il futuro del settore petrolifero nazionale, per l’agricoltura e la pesca, fino ai più recenti dazi. Tutte crisi che mettono in dubbio l’efficacia dellla sola partecipazione allo spazio economico europeo per proteggere la popolazione norvegese. Peraltro, essere parte del SEE impone alla Norvegia di adottare un grande numero di regolamenti decisi dall’Ue senza poter incidere in alcun modo sulla loro scrittura e approvazione.In un’intervista al Financial Times, la leader dell’opposizione al governo centro-laburista di Støre, Erna Solberg, ha dichiarato che i conservatori preferirebbero “avere voce in capitolo” piuttosto della situazione attuale di mero adeguamento alle norme europee. “Se si aprirà una finestra per presentare domanda, lo faremo. Credo che la Norvegia sarebbe un paese migliore se fossimo membri dell’Ue”, ha aggiunto. Il discorso sull’adesione ha fatto nuovamente capolino, e potrebbe divenire uno dei temi principali – e più divisivi – della campagna elettorale verso le elezioni dell’8 settembre.

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    Da Macron a Merz, fino a Orbán. La vicinanza dei leader europei a Netanyahu e la sconfitta del diritto internazionale

    Bruxelles – Mercoledì 2 aprile il premier israeliano Benjamin Netanyahu metterà piede per la prima volta sul territorio europeo da quando è oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Icc). Sarà ospite di Viktor Orbán, che come altre volte rompe tabù che a ben vedere stanno stretti anche ai suoi omologhi europei. Dal futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz al presidente francese Emmanuel Macron e al ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, sono già diversi i Paesi Ue che hanno messo in dubbio – se non proprio respinto – la possibilità di perseguire Netanyahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza.Nel weekend, ci ha pensato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a varcare la prima linea rossa, incontrando Netanyahu a Gerusalemme, proprio mentre – nel primo giorno dell’Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan – i raid israeliani su Gaza avrebbero ucciso almeno 64 palestinesi. I due hanno “ribadito la relazione strategica tra Grecia e Israele” e discusso “l’ulteriore approfondimento della cooperazione bilaterale, in particolare nel campo della difesa”.Kyriakos Mitsotakis e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, 30/3/25 [Credits: Account X Kyriakos Mitsotakis]Dal 21 novembre scorso, quando il Tribunale de L’Aia ha emesso il mandato di cattura per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, nessun leader europeo aveva ancora incontrato di persona il capo del governo israeliano. Ma in realtà, nessuno dei 27 ha veramente tagliato i ponti con l’uomo accusato di crimini di guerra, come invece è stato fatto con il presidente russo Vladimir Putin, su cui pende lo stesso mandato d’arresto internazionale. Ieri sera, Macron ha diffuso un resoconto di una telefonata con Netanyahu, in cui ha ribadito che “la liberazione di tutti gli ostaggi e la sicurezza di Israele sono una priorità per la Francia” e ha chiesto “al primo ministro israeliano di porre fine agli attacchi su Gaza e di tornare al cessate il fuoco, che Hamas deve accettare”.Parigi era stata tra le prime capitali Ue a mettere in discussione la legittimità del mandato d’arresto, chiamando in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – che garantirebbe un’immunità agli Stati che non fanno parte dell’Icc. Il ministero degli Esteri francese è stato seguito a ruota da quello italiano, con Tajani che ha sostenuto che il mandato d’arresto non può essere applicato almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu e ribadito poi in differenti occasioni che l’Italia non arresterebbe il premier israeliano. Roma la sua picconata al diritto internazionale l’ha già data, scegliendo di riaccompagnare in Libia con un volo di Stato il torturatore e capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Najim Osama Al Masri, ricercato dal Tribunale de l’Aia per crimini di guerra, omicidio, tortura e trattamenti crudeli.Berlino aveva invece  sottolineato che la posizione tedesca non poteva che essere frutto “della storia tedesca” e della “grande responsabilità” che la Germania sente nei confronti di Israele dopo lo sterminio degli ebrei perpetrato dal regime nazista. Il cancelliere eletto Friedrich Merz ha poi sfidato apertamente la Corte, definendo “completamente assurda” l’idea che un primo ministro israeliano non possa visitare la Germania e invitando espressamente Netanyahu nella Repubblica Federale.Viktor Orban e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme nel febbraio 2019 (Photo by Ariel Schalit / POOL / AFP)Berlino, Roma e Parigi, così come tutti i 27 Paesi Ue, fanno parte della Corte Penale Internazionale e sono quindi tenuti ad applicare le sue decisioni. Alla fine, ad ospitare per primo Netanyahu in questa inquietante gara a violare il diritto internazionale sarà Orbán, che dall’inizio aveva definito il mandato d’arresto “vergognoso” e annunciato che non l’avrebbe eseguito. Anzi, dopo la decisione americana di imporre sanzioni contro l’Icc, Orbán ha annunciato l’intenzione di “rivedere l’impegno” dell’Ungheria nei confronti di un tribunale “degradato a strumento politico di parte”.I due dovrebbero discutere del piano per il futuro di Gaza. Netanyahu – nonostante il supporto della comunità internazionale per il piano elaborato dai Paesi arabi – è convinto di poter allargare il consenso sulla controversa e fumosa proposta di Trump, che prevede la “migrazione volontaria” della popolazione locale e la trasformazione della Striscia di Gaza in una lussuosa riviera aperta al turismo internazionale.Il sostegno di Orbán al piano di Trump e Netanyahu va contro la posizione presa dall’Unione europea, che appoggia invece l’iniziativa araba e si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di emigrazione forzata della popolazione gazawi. A ben vedere, il viaggio di Netanyahu in Ungheria va letto anche come un’ennesima provocazione del premier magiaro nei confronti di Bruxelles, che a parole continua a sostenere la Corte Penale. “Come affermato nelle Conclusioni del Consiglio del 2023, il Consiglio invita tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti, e a stipulare accordi volontari”, ha dichiarato ancora a proposito della vicenda un portavoce della Commissione europea.

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    Dazi, l’Ue non cede: “Preparati a qualunque cosa possa accadere”

    Bruxelles – Nessun ripensamento, nessun cedimento. Sulla questione dazi l’Ue tira dritto, e non ha paura di ingaggiare una guerra commerciale aperta. Perché, spiega il portavoce della Commissione europea responsabile per le questioni di commercio, Olof Gill, le minacce del presidente statunitense Donald Trump di imporre sanzioni ulteriori all’Europa in caso di mancata sospensione dei controdazi a dodici stelle non spaventa: “Siamo preparati per qualunque cosa possa accadere, e lo siamo da oltre un anno“.L’Unione europea offre la possibilità di una soluzione condivisa, a patto che i passi indietro si facciano. “Esortiamo gli Stati Uniti a revocare immediatamente i dazi decretati e avviare negoziati per evitare nuove tariffe in futuro“, l’invito di Gill a nome della Commissione europea per l’amministrazione Trump. La linea del team von der Leyen non cambia: si ritiene che la guerra dei dazi “sia una soluzione in cui perdono tutti”, viceversa “noi vogliamo focalizzare l’attenzione sulle formule mutualmente vantaggiose”, vale a dire soluzioni negoziate.Da Bruxelles arrivano anche le critiche per Trump e la sua narrativa considerata prossima alle fake news. “L’Ue non è parte del problema” quando si parla di acciaio, continua il portavoce. “Sostenere che l’Ue è parte del problema è fuorviante“, in quanto “il problema è la sovra-capacità globale, e l’Unione europea può lavorare con gli Stati Uniti per trovare una soluzione”. In questo dibattito tramutatosi in confronto muscolare l’Ue, conclude Gill, “siamo impegnati con il settore siderurgico” europeo.Ad ogni modo, l’Ue non intende retrocedere: “Siamo preparate alle potenziali conseguenze delle decisioni deplorevoli adottate dagli Stati Uniti”. La Commissione è dunque pronta allo scontro commerciale con l’amministrazione Trump.

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    Droni, pezzi di ricambio e sanzioni: l’Ue presenta il piano d’azione per la sicurezza dei cavi sottomarini

    Bruxelles – In risposta al preoccupante aumento di incidenti sospetti sui fondali del mar Baltico, la Commissione europea ha presentato oggi a Helsinki, in Finlandia, un piano d’azione per la sicurezza e la resilienza dei cavi sottomarini. Bruxelles si muoverà in diverse direzioni: finanzierà il posizionamento di nuovi cavi, migliorerà la sorveglianza dei mari europei con droni, sensori e immagini satellitari, strutturerà una riserva per riparare tempestivamente eventuali danneggiamenti. La vicepresidente esecutiva Henna Virkkunen promette inoltre misure di deterrenza: “Chiunque sia ritenuto responsabile di sabotaggio dovrebbe essere punito di conseguenza, anche con sanzioni”.L’Unione europea è sull’attenti: “Quasi tutto può essere usato come arma contro di noi“, ha ammesso Virkkunen in conferenza stampa. Dalla strumentalizzazione dei migranti agli attacchi informatici, fino al danneggiamento delle infrastrutture critiche dei Paesi membri. Come i cavi sottomarini di comunicazione, che trasportano il 99 per cento del traffico internet intercontinentale, e i cavi elettrici, che facilitano l’integrazione dei mercati dell’energia elettrica dei 27 Paesi Ue, rafforzano la loro sicurezza di approvvigionamento e forniscono energia rinnovabile offshore al continente.Dopo una serie di incidenti misteriosi che in pochi mesi hanno coinvolto Germania, Finlandia, Lituania, Svezia e Lettonia, l’Ue accorre in aiuto. Ma, sottolinea la Commissione, il piano non è specifico per il Mar Baltico, vale per tutti i mari d’Europa. Schematicamente, Bruxelles interverrà in quattro fasi: prevenzione, rilevamento, risposta e recupero, deterrenza. Innanzitutto, l’idea è intensificare i requisiti di sicurezza e le valutazioni dei rischi, aumentando contemporaneamente i finanziamenti per posare cavi nuovi più “intelligenti”. Nei prossimi anni “spenderemo circa mezzo miliardo in cavi ottici” – 540 milioni di euro – precisano fonti vicine al dossier. Per investire in nuove tecnologie intorno ai cavi, l’Ue svilupperà di una roadmap insieme agli Stati membri. Sono previsti poi “fino a 30 milioni” di euro per gli stress test.EVP Henna Virkkunen and PM Petteri Orpo press point at the Prime Ministers´s residenceFondamentale il rilevamento delle minacce. E qui, il piano consiste nell’istituire un Meccanismo di Sorveglianza Integrata per ogni mare. Su base volontaria, con un approccio “civile e militare”, in grado di condividere le informazioni e le immagini satellitari in tempo reale. Ma non solo: l’Ue vuole installare una rete di sensori sottomarini nei suoi mari e – come spiegato dal commissario alla Difesa, Andrius Kubilius, utilizzare droni a doppio uso (civile e militare) “sia sott’acqua che sulla superficie del mare e nei cieli“.Uno dei problemi emersi nei recenti episodi di presunti sabotaggi è che spesso la gestione delle infrastrutture marine – di competenza dei Paesi membri – è delegata ad operatori privati. Ecco perché “è estremamente importante stabilire una buona partnership pubblico-privato”, ha sottolineato Virkkunen.Quando si verificano gli incidenti, anche a centinaia di chilometri dalla costa più vicina, bisogna essere in grado di riparare i danni rapidamente. Qui il piano propone di istituire una riserva Ue di navi posacavi multiuso e di fornire maggiori tecnologie e capacità alle imbarcazioni. La riserva dovrà garantire inoltre lo stoccaggio e la disponibilità di pezzi di ricambio. In questa fase, così come nelle precedenti, l’Ue ha sottolineato l’importanza della cooperazione con l’Alleanza Atlantica.C’è poi il nodo della deterrenza, di competenza del Servizio europeo di Azione esterna (Eeas) e dell’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas. Bruxelles ha preso di mira la flotta ombra russa, ritenuta responsabile di alcuni di questi sabotaggi – oltre che dell’elusione delle sanzioni al Cremlino -: sono già 79 le imbarcazioni oggetto di misure restrittive e lunedì 24 febbraio, in occasione dell’adozione formale del sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, alla lista ne saranno aggiunte altre 73. Ma non basta: l’imperativo è “aumentare i costi per i responsabili”, spiegano dal Seae. Virkkunen ha posto un problema: c’è bisogno di “chiarire il diritto del mare, assicurarsi che non ci siano scappatoie e che la libertà di navigazione non venga usata contro di noi”.La Commissione metterà insieme i suoi esperti legali per “capire come sfruttare al meglio” il quadro giuridico internazionale già esistente e “esaminare quali sono le possibilità di intraprendere azioni concrete”. Tutto questo, apparentemente, senza ricorrere a nuovi fondi. “Non ci sono ulteriori stanziamenti di bilancio, ma un riorientamento delle risorse in azioni più specifiche”, chiariscono fonti europee.

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    L’Ue attende Trump sui dazi: “Finora solo dichiarazioni, risponderemo a notifiche ufficiali”

    Bruxelles – L’Unione europea attende gli Stati Uniti e il suo presidente, Donald Trump. Sui dazi minacciati contro beni Ue, l’esecutivo comunitario sceglie la linea del silenzio. “Non risponderemo ad annunci generici privi di dettagli o chiarimenti scritti“, spiega il comunicato ufficiale diramato a Bruxelles, dove si fa presente che “in questa fase non abbiamo ricevuto alcuna notifica ufficiale in merito all’imposizione di tariffe aggiuntive sui beni dell’Ue“, e che questo fa dunque fede. Si risponderà se e quando arriverà il momento, in sostanza. Lo spiega chiaramente Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario responsabile per il Commercio: “Stiamo ancora parlando di minacce, non c’è niente di concreto, nessun dazio è stato ancora imposto”. Per questa ragione la linea dell’esecutivo comunitario è di evitare di concentrarsi su un tema ammantato da troppi punti interrogativi. Certamente, riconosce Gill, eventuali tariffe “metterebbero in discussione relazioni tra partner” di lungo corso. Fermo restando, aggiunge, che con dazi ai prodotti Ue “gli Stati Uniti tasserebbero i propri cittadini, aumentando i costi per le imprese e alimentando l’inflazione”.Olof Gill, portavoce della Commissione europea responsabile per questioni di commercio [Bruxelles, 10 febbraio 2025]In ogni caso, ribadisce la Commissione europea, “reagiremo per proteggere gli interessi delle aziende, dei lavoratori e dei consumatori europei da misure ingiustificate”. In tal senso il team von der Leyen sottolinea che alla luce degli annunci privi di documenti di accompagnamento e così come raccontati tramite dichiarazioni pubbliche, “l’Ue non vede alcuna giustificazione per l’imposizione di tariffe sulle sue esportazioni“, anche perché la bilancia commerciale non è così sbilanciata come sostiene la Casa Bianca.Secondo la Commissione europea l’Ue ha un surplus commerciale di 154 miliardi di euro in beni con gli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti mantengono un surplus di 104 miliardi di euro in servizi con l’Ue, con un conseguente surplus commerciale complessivo dell’Ue del tre percento su un flusso commerciale totale di 1,5 trilioni di euro. Nel 2023, gli Usa erano il principale partner per le esportazioni di beni dell’Ue e il secondo partner per le importazioni di beni dell’Ue.

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    “Gaza parte essenziale del futuro stato palestinese”. L’Ue, alla fine, risponde a Trump

    Bruxelles – “Gaza è una parte essenziale di un futuro stato palestinese“. Alla fine la Commissione europea si esprime pubblicamente. E’ Anouar El Anouni, portavoce della Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, a chiarire la linea e rispondere alle provocazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, deciso a calpestare decenni di faticosi processi di una pace in Medio Oriente che l’Ue vuole. “L’Ue sostiene pienamente la soluzione dei due stati, che riteniamo sia l’unico modo per raggiungere una pace sostenibile sia per gli israeliani che per i palestinesi”, aggiunge il portavoce di Kaja Kallas.La risposta però è tardiva. La Commissione europea impiega qualcosa come 36 ore per commentare le uscite di Trump. Alle parole riecheggiate in Europa nella mattina di mercoledì, 5 febbraio, la prima replica ufficiale e pubblica è affidata a un portavoce poco dopo le 12 del giorno dopo, giovedì 6 febbraio. Una ‘calma’ che offre la riprova dell’incapacità ad agire sui grandi temi e tradendo una volta di più le aspirazioni geopolitiche morte e sepolte comunque da anni.Anouar El Anouni, portavoce dell’Alta rappresentante Ue [Bruxelles, 6 febbraio 2025]Nel frenetico attivismo delle alte sfere Ue, sempre pronte a commentare qualunque cosa e sempre smaniose di apparire, comparire e presenziare, sui mezzi d’informazione e ancor più sui social, si nota l’assenza di commenti da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, incapaci anche di esprimersi sulla volontà dichiarata di Trump di spostare la popolazione di Gaza.La questione è grossa. In Parlamento europeo non mancano malumori tra le file dei gruppi che hanno stretto alleanza con il Ppe. Si vede in von der Leyen e nella sua Commissione “assenza di leadership”. Così riferiscono fonti parlamentari. Prima della ‘questione Gaza’ si imputava all’esecutivo comunitario la mancata reazione all’imperversare di Elon Musk e le sue ingerenze nelle questioni dell’Unione europea tramite il suo social X. Adesso si aggiunge una reazione tardiva sulla questione arabo-israeliana, con la Commissione che, parole del portavoce El Anouni, “prende nota delle dichiarazioni del presidente Trump”. Non proprio una figura delle migliori per chi vorrebbe un ruolo di peso nel mondo e una politica estera europea.