More stories

  • in

    Contro le ingerenze straniere: la Commissione Ue presenta il pacchetto ‘Difesa della democrazia’

    Bruxelles – In vista dell’appuntamento elettorale di giugno 2024, la Commissione europea cerca riparo dalle ingerenze straniere indebite. Oggi (12 dicembre) la vicepresidente Vera Jourová ha presentato all’Eurocamera di Strasburgo una proposta legislativa per mettere sotto i riflettori dell’opinione pubblica le attività di lobbying per conto di Paesi terzi.“È giunto il momento di portare alla luce l’influenza straniera nascosta”, ha dichiarato Jourová in aula. Perché, complici l’eco mediatica dello scandalo di presunta corruzione denominato Qatargate e una situazione geopolitica sempre più polarizzata, oltre l’80 per cento dei cittadini europei ritiene che l’ingerenza straniera nei nostri sistemi democratici sia un problema serio che deve essere affrontato.Le norme proposte dalla Commissione mirano a dare al pubblico, ai media e alla società civile un migliore accesso alle informazioni per capire chi sta cercando di influenzare ciò che vedono o leggono. Attraverso una serie di obblighi per organizzazioni non governative e agenzie che svolgono attività di rappresentanza: l’iscrizione ad un registro per la trasparenza, la conservazione di registri delle informazioni e del materiale relativo alle attività di lobbying per un periodo di quattro anni dopo la fine di tale attività, l’obbligo di rendere accessibili al pubblico gli elementi chiave del proprio lavoro di rappresentanza. Ad esempio, gli importi annuali ricevuti e i Paesi terzi interessati.Uno strumento che “in poche parole propone regole armonizzate per la trasparenza dei servizi di rappresentanza di interessi finanziati da Paesi terzi con lo scopo di influenzare le nostre politiche e i nostri processi decisionali e, in breve, il nostro spazio democratico”, ha spiegato la vicepresidente della Commissione europea. La minaccia ha almeno un nome e un cognome: “Non dobbiamo permettere a Vladimir Putin o a qualsiasi altro autocrate di interferire segretamente nel nostro processo democratico, non possiamo permettere che si nascondano”, ha aggiunto.Nonostante la proposta preveda alcune garanzie per evitare conflitti con diritti fondamentali come la libertà di espressione o di associazione – come la possibilità di derogare alla pubblicazione delle informazioni in casi “debitamente giustificati”-, all’emiciclo di Strasburgo non sono mancate alcune critiche. Per l’eurodeputata olandese Sophie in ‘t Veld, dei liberali di Renew, il pacchetto della Commissione “etichetta le ong come potenziali agenti stranieri“, senza peraltro affrontare gli attacchi alla democrazia che arrivano dal territorio comunitario.Il riferimento al braccio di ferro tra l’Ue e l’Ungheria di Viktor Orban sul conflitto in Ucraina si fa più esplicito nell’intervento del pentastellato Fabio Massimo Castaldo, che ha avvertito la Commissione di “guardarsi da tutti i rischi, perché spesso i più pericolosi arrivano dall’interno”, da “ambigui leader nazionali che continuano a mistificare la realtà strizzando l’occhio a presidenti autoritari”.

  • in

    Gli ostacoli alle relazioni commerciali tra Ue e Taiwan su agroalimentare ed eolico off-shore

    Bruxelles – Unione Europea e Taiwan rimangono partner commerciali stretti, ma non si possono nascondere i problemi a lungo termine. “Taiwan deve mostrare disponibilità ad affrontare le nostre preoccupazioni e migliorare i rapporti“, è l’esortazione arrivata oggi (12 dicembre) alla sessione plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo da parte del vicepresidente della Commissione Ue responsabile per l’Economia, Valdis Dombrovskis, intervenendo al dibattito sulle relazioni tra l’Unione e Taipei. “Siamo economie di mercato, libere e indipendenti, le barriere agli investimenti e al commercio sono praticamente zero”, ma in alcuni settori “le aziende europee hanno notato che ci sono notevoli ostacoli“.(credits: Jameson Wu / Afp)Sono in particolare due i crucci del vicepresidente dell’esecutivo comunitario: energia e agroalimentare. In primis nel settore dell’eolico off-shore, “dove abbiamo preoccupazioni sui requisiti che impone Taiwan”. È per questa ragione che a Taipei è stato chiesto di invertire la rotta e “porre fine agli ostacoli”, a partire dai dialoghi sulle regole del settore intensificatisi da aprile 2023: “Continueremo la cooperazione”, ha promesso Dombrovskis. L’altro punto di difficoltà è “l’accesso al mercato per i prodotti agricoli, soprattutto la carne”. Il vero problema riguarda il fatto che “le nostre regole sulla regionalizzazione non vengono riconosciute da Taiwan” e parallelamente “vengono imposti in modo non giustificato dei blocchi ai nostri prodotti“. Di fronte a “diverse richieste” alla Commissione da parte dei 27 Paesi membri Ue, “Taiwan ha accettato di affrontare la cosa in modo globale”, ha voluto specificare il responsabile per il Commercio nel gabinetto von der Leyen.Rispondendo alle domande incalzanti degli eurodeputati, Dombrovskis ha annunciato che “a breve faremo il punto dei progressi ottenuti in entrambi i settori” e il Berlaymont si aspetta “maggiori contatti per porre fine a queste barriere”. Ma non tutto è un ostacolo tra Bruxelles e Taipei, come dimostrano i passi in avanti fatti nel settore digitale. “Dal 2021 abbiamo aumentato il dialogo commerciale, comprese le esportazioni a duplice uso, la ricerca e sviluppo e i semiconduttori”, ha ricordato il vicepresidente della Commissione. E proprio il settore dei semiconduttori rivestirà un ruolo cruciale nei rapporti tra l’Unione e l’isola. Dopo l’incontro dello scorso 28 aprile, “abbiamo messo a punto diverse iniziative” con il coinvolgimento di diversi direzioni generali della Commissione, con “un workstream apposito e avvieremo un dialogo sulle misure di agevolazione per lo scambio di semiconduttori“, è la promessa di Dombrovskis.L’Ue tra Cina e TaiwanDa sinistra: il vicepresidente della Commissione Europea responsabile per l’Economia, Valdis Dombrovskis, e il vice-premier della Cina, He Lifeng (credits: Pedro Pardo / Afp)Nel momento in cui i rappresentanti delle istituzioni comunitarie si riferiscono a Taiwan, è inevitabile il riferimento alla Cina. “Dobbiamo preservare lo status quo a Taiwan, che non può essere cambiato con la forza, è fondamentale per il mantenimento della pace e del commercio globale e nella regione”, ha sottolineato con forza il vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskis, rispondendo alle domande degli eurodeputati sulla posizione nei confronti delle minacce cinesi nello Stretto di Taiwan. Solo una settimana fa la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, hanno partecipato a Pechino al 24esimo vertice Ue-Cina in cui sono state ribadite le linee per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina – considerato lo squilibrio commerciale con il partner/competitor – e le questioni delle tensioni in Ucraina e a Taiwan con il leader cinese, Xi Jinping, proprio come fatto a inizio aprile dalla presidente von der Leyen e il presidente francese, Emmanuel Macron.Proprio il tema del rapporto dei Ventisette con Taiwan – nel caso dell’escalation della tensione con Pechino – era stato al centro di un teso dibattito interno all’Unione in primavera. A scatenare il vespaio erano state le parole del presidente francese Macron di ritorno dal viaggio a Pechino. “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina“, era stato il commento dell’inquilino dell’Eliseo, tratteggiando la necessità di una vera autonomia strategica europea (ma non un’equidistanza tra Washington e Pechino).Nel pieno della bagarre tra i gruppi politici alla sessione plenaria dell’Eurocamera di metà aprile a Strasburgo, la presidente von der Leyen e l’alto rappresentante Borrell avevano messo in chiaro che serve unità contro la “politica di divisione e conquista” cinese e che le istituzioni europee si oppongono “fermamente” a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo, “in particolare attraverso l’uso della forza”. A confermare questa posizione, in un’intervista a Le Journal du Dimanche lo stesso alto rappresentante Ue aveva esortato le marine europee a “pattugliare lo Stretto di Taiwan, per dimostrare l’impegno dell’Europa a favore della libertà di navigazione in quest’area assolutamente cruciale” per il commercio globale.

  • in

    È stato pubblicato il nuovo report Ue-Turchia per un riavvicinamento “progressivo, proporzionato e reversibile”

    Bruxelles – È arrivata la nuova relazione strategica sui rapporti Ue-Turchia e ora i Ventisette avranno una base più aggiornata su cui impostare il confronto sulle prospettive di cooperazione con uno dei vicini più complessi di gestire, perché stretto partner ma spesso anche elemento di instabilità sulla scena internazionale. Il report richiesto dai 27 leader Ue al Consiglio Europeo di fine giugno è stato presentato oggi (29 novembre) dalla Commissione e dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo il via libera al Collegio dei commissari: “La Turchia è un partner importante, siamo partiti dalla valutazione già fornita nella primavera del 2021 e abbiamo considerato lo sviluppo delle relazioni” politiche, economiche e commerciali “negli ultimi due turbolenti anni”.Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenL’ultima volta che il Consiglio Affari Esteri si era riunito per discutere della questione dei rapporti con Ankara era il 20 luglio e da allora è stato serrato il lavoro dell’esecutivo comunitario per valutare lo stato dell’arte e le direttrici di una possibile maggiore cooperazione con il padre-padrone della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. “Vediamo uno spirito costruttivo, ma ora dobbiamo affrontare insieme i problemi a partire dalla questione cipriota”, ha subito messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell, facendo riferimento alla controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso. Ma nel confronto ci deve essere anche la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, dal momento in cui Ankara dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci (e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione) a sud dell’isola di Creta: “Abbiamo chiare le nostre priorità” – con le condizioni tracciate già nel 2021 dai Ventisette – “dobbiamo rafforzare la nostra sicurezza, e questo ha un impatto sui rapporti con la Turchia”.L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (29 novembre 2023)È per questo che si sta iniziando a pensare ai “prossimi passi” per una serie di opzioni di un processo “progressivo, proporzionato e reversibile” di riavvicinamento tra Unione Europea e Turchia, ha spiegato il capo della diplomazia Ue. E in questo senso non si può prescindere dal passare “da una dinamica conflittuale a una più cooperativa”. Da Ankara l’Unione si aspetta che “affronti i contrasti commerciali, cooperi contro l’aggiramento delle sanzioni contro la Russia e crei un clima che favorisca la ripresa dei negoziati per risolvere la questione cipriota”, ha precisato Borrell, ponendo forte attenzione alla cooperazione per isolare la Russia fino a quando non metterà fine all’invasione dell’Ucraina. Parallelamente si punta a stringere i rapporti anche sull’altro fronte caldo di conflitto, ovvero quello della guerra tra Israele e Hamas: “La Turchia può svolgere un ruolo attivo e positivo nel processo di pace, entrambi sostentiamo la necessità di arrivare a un negoziato politico per la soluzione a due Stati” (Israele e Palestina).La relazione, che ora sarà presentata al Consiglio Europeo (verosimilmente a quello in programma il 14-15 dicembre) per l’esame e la definizione degli orientamenti, punta anche alla ripresa del dialogo di alto livello del Consiglio di associazione Ue-Turchia sospeso nel 2019 e al lancio dei negoziati per modernizzare l’Unione doganale, anche se vanno considerate le difficoltà nella poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca”, l’inflazione alle stelle e le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Infine si vuole sviluppare un “partenariato di mutuo beneficio” con un vicino che è anche candidato all’adesione all’Unione Europea dal 1999 (i negoziati sono stati avviati nel 2005). Nella relazione apposita all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre è però emerso chiaramente che “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”. Anche questo dovrà essere tenuto in considerazione dai Ventisette nel definire i prossimi passi del rapporto con il vicino più ingombrante.
    La Commissione Ue ha fornito al Consiglio la relazione strategica sullo stato sui rapporti tra Bruxelles e Ankara. Si punta alla ripresa del Consiglio di associazione (fermo dal 2019), negoziati sull’Unione doganale e cooperazione su Mediterraneo orientale, Russia e Gaza

  • in

    Von der Leyen lancia l’Alleanza globale contro il traffico di persone migranti: “Prevenzione, risposta e alternative legali”

    Bruxelles – L’annuncio era arrivato a metà settembre, durante l’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, e dopo due mesi l’Alleanza globale per contrastare il traffico di persone migranti si è riunita per la prima volta a Bruxelles per tentare di definire il campo d’azione e i partenariati internazionali necessari per “combattere questa attività criminale e fermare questa intollerabile sofferenza umana”. Ad aprire oggi (28 novembre) la prima conferenza internazionale della nuova Alleanza è stata la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, con un intervento che non solo ha tracciato le tre direttrici dell’azione globale contro il traffico di persone migranti, ma che ha anche anticipato il lavoro in corso per l’aggiornamento della legislazione comunitaria in materia.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (28 novembre 2023)“Sappiamo quanto è difficile, ma dove siamo riusciti a unire le forze con i Paesi vicini e lontani e con le organizzazioni internazionali, i progressi stanno già accadendo”, ha esordito la numero uno della Commissione, facendo subito un riferimento all’Italia (rappresentata alla conferenza di oggi dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi). “A settembre ero a Lampedusa, una delle porte tra Europa e Africa”, quando – insieme con la premier Giorgia Meloni – è stato lanciato un piano d’azione in 10 punti (che ha però nascosto alcuni punti controversi tra Roma e Bruxelles): “Da allora abbiamo migliorato la situazione con un duro lavoro insieme all’Italia, le agenzie Onu e la Tunisia”. Tuttavia von der Leyen ha voluto ricordare che “la gestione della crisi è importante, ma non è abbastanza, dobbiamo costruire una risposta sistemica” sulla base dei partenariati anti-traffico “che abbiamo creato in questi anni con i Balcani Occidentali e con altri Paesi-chiave ai nostri confini, come Marocco e Tunisia”.Di qui si arriva alla necessità secondo la leader della Commissione Ue di una “più ampia cooperazione globale“, che affronti la “natura internazionale delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti e operano in modo trans-frontaliero lungo tutte le rotte migratorie”. La nuova Alleanza “dovrebbe essere globale non solo in senso geografico, ma anche nei suoi obiettivi: focalizzata sulla prevenzione, sulla riposta e sulle alternative legali“. La direttrice più urgente è quella della risposta al traffico di persone migranti, che coinvolge da vicino Bruxelles. “Stiamo lavorando a livello Ue per aggiornare la nostra legislazione anti-traffico che è vecchia di 20 anni“, ha annunciato von der Leyen, riferendosi alla direttiva del 2002 che stabilisce una definizione comune del reato di favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali. “Lo faremo con un aggiornamento della definizione di crimine di traffico di migranti, un rafforzamento delle sanzioni, un’estensione della giurisdizione, un miglioramento della cooperazione e con un centro europeo di coordinamento”, sono le linee anticipate dalla leader della Commissione Ue.Da sinistra: la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (28 novembre 2023)Per quanto riguarda le altre due direttrici della conferenza presieduta dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, è considerata “essenziale” la dissuasione delle persone migranti “dal mettersi nelle mani dei trafficanti”, ha spiegato von der Leyen, parlando di “campagne informative e lotta contro le pubblicità sui social media degli attraversamenti illegali con pagamenti digitali”. Sul piano delle “alternative legali per le persone che vogliono cercare fortuna all’estero“, la stessa leader della Commissione ha voluto sottolineare che “è un interesse di tutti, in Europa la carenza di manodopera ha raggiunto livelli record, mentre in altri continenti ci sono milioni di persone che cercano lavoro e istruzione”, anche se le iniziative per l’abbinamento di domanda e offerta di lavoro vanno di pari passo con “il ritorno di persone irregolari nei Paesi di origine”. Dalla conferenza di oggi a Bruxelles parte il lavoro di un gruppo di esperti a livello tecnico per portare avanti le tre direttrici, prima di una nuova conferenza fra un anno. “È l’inizio di un percorso condiviso, per questo lanciamo un invito all’azione aperto a tutti quelli che vogliono unirsi in questa missione“, dalle istituzioni Ue alle agenzie Onu, fino a governi, autorità nazionali, organizzazioni internazionali e piattaforme online: “Con l’Alleanza globale possiamo iniziare una nuova era di cooperazione”, è la promessa di von der Leyen.Cosa prevede la proposta Ue contro il traffico di persone migrantiLa commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson (28 novembre 2023)Al termine della conferenza sull’Alleanza globale, è stata la commissaria Johansson a dettagliare alla stampa la proposta vera e propria dell’esecutivo comunitario per l’aggiornamento del quadro legislativo con “norme minime” rispetto alla direttiva del 2002. Il primo dei cinque obiettivi è quello di arrivare a “una definizione più chiara del reato di traffico”, compresa “l’istigazione pubblica a entrare nell’Ue senza autorizzazione”, che diventerà “un reato penale” (così come la strumentalizzazione messa in atto da attori statali, “per esempio quello che sta facendo ora la Russia alla frontiera con la Finlandia“, ha precisato Johansson). Il secondo obiettivo è quello dell’armonizzazione delle sanzioni, con un innalzamento del massimo della pena detentiva da 8 a 15 anni per “casi di reati aggravati”. Il terzo obiettivo è far in modo che la giurisdizione degli Stati membri si applichi anche in acque internazionali in caso di morte delle persone a bordo di un’imbarcazione o di reati commessi a bordo di navi o aerei immatricolati negli Stati membri. In ogni caso la Commissione Ue precisa chiaramente che “attività come l’assistenza umanitaria da parte delle Ong, l’adempimento di un obbligo legale di ricerca e salvataggio, l’assistenza da parte dei familiari e degli stessi migranti non devono essere criminalizzate“.L’aggiornamento della legislazione comunitaria riguarda “risorse adeguate” per gli Stati membri “per garantire un’efficace prevenzione, indagine e perseguimento dei trafficanti” e il miglioramento della raccolta e della comunicazione dei dati statistici “su base annuale”. È anche per questo motivo che la proposta della Commissione Ue prevede un nuovo Regolamento per rafforzare il ruolo di Europol e la cooperazione tra agenzie nella lotta contro il traffico di persone migranti e la tratta di esseri umani. Il Centro europeo apposito “sarà rafforzato e sostenuto” dagli Stati membri, da Eurojust, Frontex e dalla Commissione Europea, per la produzione di relazioni annuali, analisi strategiche, valutazioni delle minacce e azioni investigative. Il Regolamento include concetti di “task force” e “dispiegamento di Europol per il supporto operativo”, definiti “strumenti avanzati di coordinamento e supporto analitico, operativo, tecnico e forense” agli Stati membri, mentre non cambia il quadro operativo in Paesi terzi, “che può avvenire solo con accordi bilaterali”, ha precisato Johansson.
    A margine della conferenza a Bruxelles, l’esecutivo Ue ha presentato anche l’aggiornamento della legislazione comunitaria anti-traffico “vecchia di 20 anni”, attraverso il rafforzamento delle sanzioni, l’estensione della giurisdizione e il miglioramento della cooperazione con Europol

  • in

    Bruxelles si sta preparando per migliorare i collegamenti dei trasporti tra l’Unione Europea e i Balcani Occidentali

    Bruxelles – Unione Europea e Balcani Occidentali sono pronti a stringere sempre più i rapporti, non solo a livello politico ma anche sul piano più cruciale per gli scambi economici, commerciali e culturali: i collegamenti dei trasporti. È per questo motivo che è in programma una nuova revisione del Regolamento che definisce la mappa della rete transeuropea dei trasporti (Ten-T) nei sei Paesi partner – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia – per rafforzare i collegamenti transfrontalieri tra l’Unione Europea e i Balcani Occidentali.
    La rete stradale Ten-t nei Balcani Occidentali
    È quanto emerge dalla bozza dell’atto delegato che prevede “modifiche che contribuiranno a dare una migliore priorità ai progetti infrastrutturali situati sulla Ten-T nella regione” dei Balcani Occidentali, in particolare “migliorando il collegamento ferroviario tra Durazzo e Skopje dalla rete globale alla rete centrale estesa“. I miglioramenti previsti nei trasporti sia “all’interno della regione” sia “tra la regione e gli Stati membri dell’Ue” riguarderanno non solo nuovi collegamenti ferroviari e stradali, ma anche “altri nodi” come aeroporti e porti, con l’obiettivo di “rafforzare la coerenza della Ten-T” prevista dal Regolamento del 2013. La possibilità di adottare atti delegati per “adattare o includere mappe indicative basate su intese di alto livello” tra l’Unione e i Paesi “limitrofi interessati” è prevista dallo stesso Regolamento che compie 10 anni e con i sei partner dei Balcani Occidentali le intese sono state firmate a maggio e giugno di quest’anno. La richiesta da parte dei partner più vicini dell’Unione, nello specifico, è quella di allineare la rete Ten-T con lo sviluppo delle infrastrutture nei singoli Paesi.
    Se l’obiettivo è quello di aggiornare il Regolamento con “lievi modifiche alla rete stradale e ferroviaria”, l’esecutivo comunitario vuole conoscere l’opinione di tutte le parti interessate nei Paesi membri dell’Unione. È per questo che è stata aperta fino al 19 ottobre una consultazione pubblica in vista dell’adozione dell’atto delegato prevista inizialmente per il secondo trimestre del 2023, ma slittata a fine 2023/inizio 2024. La necessità di alcune modifiche è emerso dall’ultimo report Sviluppo di estensioni indicative Ten-T della rete globale e della rete centrale nei Balcani Occidentali, sulla base degli ultimi sviluppi e adeguamenti del 2022. Nella regione la rete transeuropea dei trasporti prevede 36 progetti, di cui la metà in Bosnia ed Erzegovina (oltre a 2 in Albania, 2 in Kosovo, 3 in Macedonia del Nord, 6 in Montenegro e 5 in Serbia) e comprende attualmente 5.336 chilometri di strade Ten-T, di cui 3.573 sulla rete centrale, 3.898 chilometri di ferrovie di cui 2.546 sulla rete centrale, 1.345 chilometri di vie navigabili interne della rete centrale, 3 porti marittimi, 4 porti fluviali e 10 aeroporti.
    La rete ferroviaria Ten-t nei Balcani Occidentali
    Sempre secondo quanto si legge nel report annuale di riferimento della Transport Community, il tasso di conformità della rete stradale principale è passato in un anno dal 44,86% al 46,80%, e sono stati compiuti progressi “significativi” anche nella velocità di progettazione delle linee ferroviarie per il trasporto merci, passata dal 71,99% (nel 2021) al 79,57% (nel 2022) della rete principale. Tuttavia, meno del 14% della rete ferroviaria principale consente velocità superiori a 100 chilometri orari e “la manutenzione insufficiente rimane un problema fondamentale nella regione“, dal momento in cui “la regione ha sempre avuto una propensione per i grandi progetti, trascurando sistematicamente la manutenzione ordinaria”. Anche se “le prospettive per il 2027 sembrano ancora incoraggianti”, l’elenco degli interventi prioritari “non si è ancora stabilizzato” e sono necessari più sforzi attraverso il Piano economico e di investimento (nessun progetto-faro è passato da “maturo” a “in corso” nel 2022). Destano “preoccupazione” progetti prioritari come il collegamento stradale Sarajevo-Podgorica (tra Bosnia e Montenegro), la ‘Peace Highway’ Niš-Merdare (Serbia) e la circonvallazione di Budva (Montenegro), dal momento in cui “la maggior parte delle date previste” per la chiusura dei lavori “non sono più valide”.

    Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

    La Commissione Ue sta raccogliendo commenti in vista dell’aggiornamento del Regolamento del 2013 che definisce la mappa della rete Ten-T nei sei Paesi partner. Previste nuove connessioni ferroviarie e stradali, aeroporti e porti per dare “migliore priorità” ai progetti transfrontalieri

  • in

    Perché l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile è fondamentale per la prossima Commissione Europea

    Bruxelles – Per l’avanzamento nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg), questi sono giorni cruciali, dato che il vertice che si tiene a New York è volto a segnare l’inizio di una nuova fase di accelerazione con orientamenti politici di alto livello.
    (credits: Timothy A. Clary / Afp)
    Nel settembre 2015, i leader mondiali, riuniti alle Nazioni Unite per adottare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, articolata in 17 obiettivi, hanno cercato di affrontare sfide globali urgenti tenendo conto della dimensione economica al pari di quella sociale e di quella ambientale. Oggi, a metà del cammino verso il 2030, è essenziale fare il punto sui progressi compiuti, sulle sfide affrontate e sul percorso che rimane da compiere per raggiungere questi ambiziosi obiettivi. La realtà è che siamo in ritardo sulla tabella di marcia, e sembra che, anche se disponiamo di tutte le risorse e le tecnologie necessarie, ci manchi la determinazione politica di andare avanti a un ritmo adeguato.
    Durante il Forum politico di alto livello che si è svolto a New York in luglio è stato ricordato che dall’edizione speciale del rapporto delle Nazioni Unite sui progressi degli obiettivi di sviluppo sostenibile è emerso che solo il 12 per cento degli obiettivi è a buon punto a livello mondiale. L’Europa è in una situazione migliore rispetto ad altri continenti, dato che ha compiuto progressi per alcuni degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Tuttavia, non tutti stanno avanzando su questa strada e non così velocemente come dovrebbero. Inoltre, tra uno Stato membro e l’altro e tra una regione e l’altra dell’Ue vi sono disparità, e abbiamo ancora molta strada da fare dal momento che crisi multiple e consecutive, come la pandemia e la guerra in Ucraina, stanno destabilizzando il mondo e i nostri sforzi.
    La strada dinanzi a noi
    La mancanza di un riferimento esplicito all’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nel discorso sullo Stato dell’Unione tenuto dalla presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, il 13 settembre dimostra che gli obiettivi di sviluppo sostenibile non costituiscono l’elemento propulsore nel cambiamento delle politiche dell’Ue. Quella a cui assistiamo nell’integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile è in certa misura un’operazione di facciata. Invece di considerarli come un quadro generale che definisce le nostre azioni per il cambiamento sistemico, ci limitiamo a prendere decisioni disorganiche e a esprimere una valutazione dei relativi effetti sull’attuazione di obiettivi specifici.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen (13 settembre 2023)
    La prossima Commissione Europea dovrebbe prendere sul serio l’impegno politico a favore dell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. La realizzazione dell’Agenda 2030 richiede cambiamenti strutturali, soluzioni innovative e la collaborazione tra governi, società civile, imprese e organizzazioni internazionali. Abbiamo bisogno di un piano di trasformazione a lungo termine che vada oltre il 2030. Il Cese e altre organizzazioni della società civile hanno chiesto fin dall’inizio una strategia globale per l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. E questo richiede coraggio politico e impegno non solo per incanalare adeguatamente le risorse finanziarie e umane disponibili, ma anche per ristrutturare il modo di funzionare dell’amministrazione e per superare le compartimentazioni.
    Stiamo assistendo a inondazioni, siccità e incendi senza precedenti, all’aumento delle disuguaglianze sociali e, con esse, a disordini sociali e a un sentimento di disprezzo verso i nostri attuali rappresentanti politici e i nostri decisori. Vediamo come i grandi attori economici stiano migliorando la loro posizione sul mercato e come stia diventando invece sempre più difficile per i piccoli sopravvivere. L’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile è l’unica soluzione valida per tutti. La loro realizzazione richiede un’azione collettiva, soluzioni innovative e una rinnovata volontà a costruire un mondo migliore per le generazioni attuali e future. Non possiamo permettere che il nostro futuro sia dominato dall’incertezza.

    Maria Nikolopoulou, membro del Cese, rappresentante della Confederazione sindacale spagnola delle commissioni operaie, membro delle sezioni Agricoltura, Sviluppo rurale e ambiente (Nat) e Trasporti, energia, infrastrutture e società dell’informazione (Ten)

    Maria Nikolopoulou, membro del Comitato economico e sociale europeo (Cese), mette in luce la necessità dell’Ue di spingere sull’Agenda 2030: “Richiede coraggio politico e impegno per ristrutturare il modo di funzionare dell’amministrazione e per superare le compartimentazioni”

  • in

    Tutto ciò che c’è da sapere sulla proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento

    Bruxelles – Un lavoro iniziato otto mesi fa sotto gli auspici del presidente francese, Emmanuel Macron, e del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per coniugare due dei temi più caldi per il futuro dell’Unione Europea: l’allargamento Ue e la riforma dei Trattati fondanti della stessa Unione. “Per ragioni geopolitiche, l’allargamento Ue è in cima all’agenda politica, ma l’Unione non è ancora pronta ad accogliere nuovi membri, né dal punto di vista istituzionale né da quello politico“, è quanto mette nero su bianco il Gruppo dei Dodici nel suo rapporto su cui si fonda la proposta franco-tedesca per il rinnovamento dell’Unione Europea e che oggi (19 settembre) è stato presentato a Bruxelles ai ministri degli Affari europei.
    Un report di 58 pagine particolarmente denso, in cui vengono trattate nel dettaglio le priorità imprescindibili dell’Unione – a partire dallo Stato di diritto – le aree di riforma con le rispettive esigenze di modifica dei Trattati – dal processo decisionale in Consiglio al numero di seggi al Parlamento Ue e di membri del Collegio dei commissari – le implicazioni per il bilancio comunitario, la possibile creazione di un’integrazione europea basata su quattro livelli e i principi-guida per il processo di allargamento Ue. “Riconoscendo la complessità di allineare le diverse visioni degli Stati membri sull’Unione Europea, il rapporto raccomanda un processo di riforma e di allargamento Ue flessibile”, si legge nel testo redatto da 12 esperti indipendenti, che mettono in guardia sul fatto che “le istituzioni e i meccanismi decisionali non sono stati concepiti per un gruppo di 37 Paesi“. Ovvero gli attuali 27 membri più i 10 partner che si sono avviati sulla strada dell’adesione: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina.
    La riforma delle istituzioni
    Il punto di partenza è la protezione dello Stato di diritto. In primis rendendo il meccanismo di condizionalità uno strumento contro le violazioni da poter estendere anche a fondi futuri. E come seconda soluzione perfezionare la procedura secondo l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (quella che sospende il diritto di voto in Consiglio), introducendo una maggioranza di quattro quinti del Consiglio per farla scattare (al posto di unanimità meno uno) e includendo limiti di tempo per costringere i capi di Stato e di governo a prendere una decisione.
    Tutte le istituzioni comunitarie sono interessate dalla riforma dell’Unione. Il Parlamento manterrebbe il limite di 751 “o meno” eurodeputati (quindi meno rappresentanti per Stato membro), con l’adozione di un nuovo sistema di assegnazione dei seggi, basato su una formula che bilancia il diritto di ogni membro a essere rappresentato e la necessità di ridurre le distorsioni demografiche. Anche per la Commissione si considerano le dimensioni del Collegio, con due opzioni: o una riduzione del numero di commissari (non più uno per Stato membro) o una differenziazione tra “commissari guida” e “commissari”, in cui solo i primi hanno il diritto di voto. Il Consiglio dell’Ue dovrebbe invece essere riorganizzato da un formato a tre a un quintetto di presidenza che copra metà di un ciclo istituzionale (sei mesi per membro). Il Consiglio è l’istituzione più delicata da riformare, con l’idea fondante di “generalizzare il voto a maggioranza qualificata” a tutte le decisioni “politiche”, con salvaguardie come una “rete di sicurezza per la sovranità”, il calcolo delle quote di voto riequilibrato da 65/55 a 60/60 e opt-out per i settori politici interessati.
    Democrazia, poteri e bilancio
    Per salvaguardare la democrazia europea dovranno essere armonizzate le leggi elettorali, “almeno entro il 2029” (per il rinnovo dell’Eurocamera), ma serve una decisione “prima delle prossime elezioni” del 2024 anche sulla nomina del presidente della Commissione: o come accordo inter-istituzionale o come accordo politico. I cittadini dovranno essere coinvolti più da vicino con strumenti partecipativi legati al processo decisionale e a quello di allargamento Ue, mentre un nuovo Ufficio indipendente per la trasparenza e la probità dovrebbe monitorare le attività di tutti gli attori che lavorano nelle – o per le – istituzioni comunitarie. Va a braccetto la questione della definizione delle competenze, con la necessità di “rafforzare le disposizioni su come affrontare gli sviluppi imprevisti”, includendo meglio il Parlamento e creando una Camera congiunta delle più alte giurisdizioni dell’Ue come dialogo non vincolante tra le giurisdizioni europee e quelle degli Stati membri.
    Ma in questo capitolo l’attenzione è tutta rivolta al bilancio comunitario, di fronte a un potenziale aumento dei membri e delle politiche da finanziare collettivamente. Nel prossimo periodo di bilancio (2028-2034) dovrà essere aumentato il budget “sia in termini nominali sia in relazione al Pil”. Serviranno nuove risorse proprie per limitare l’ottimizzazione fiscale, l’elusione e la concorrenza, mentre le decisioni di bilancio dovranno essere prese per maggioranza qualificata (o in alternativa con una cooperazione più intensa tra gruppi più piccoli di Stati membri per finanziare insieme le politiche). Dovrà poi essere condotta una revisione per ridurre o aumentare le dimensioni di determinate aree di spesa e viene sancito il principio secondo cui l’Ue dovrebbe poter emettere debito comune in futuro. Dal 2034 – quando le due scadenze si allineeranno – il ciclo istituzionale avrà il compito di stabilire un nuovo quadro finanziario pluriennale della durata di 5 anni (e non più 7).
    Integrazione differenziata e processo di allargamento Ue
    L’ultima parte del rapporto del Gruppo dei Dodici è legato all’allargamento Ue vero e proprio, ma anche alle forme di integrazione che l’Unione dovrebbe assumere su diversi livelli. Prima di tutto viene considerato come modificare i Trattati, con sei opzioni sul tavolo: attivazione dell’articolo 48 del Tue (procedura di revisione ordinaria), una procedura di revisione semplificata, l’attivazione dell’articolo 49 del Tue (trattati di adesione di nuovi membri che modificano quelli istitutivi), “trattato quadro di allargamento e riforma” redatto dagli Stati membri, coinvolgimento di una Convenzione e – “in caso di stallo” – trattato di riforma supplementare tra gli Stati membri disposti a farlo.
    Alla riforma dei Trattati si accompagna la definizione dei 5 principi di integrazione differenziata all’interno dell’Ue: rispetto dell’acquis comunitario e dell’integrità delle politiche e delle azioni Ue, uso delle istituzioni comunitarie, apertura a tutti i membri, condivisione dei poteri decisionali, dei costi e dei benefici, e avanzamento da parte dei “volenterosi” che vogliano spingere oltre l’integrazione. Mentre agli Stati non cooperativi o non disposti a collaborare vengono offerti opt-out (opzioni di non partecipazione) nel nuovo Trattato – fatto salvo l’acquis comunitario e i valori fondanti – il futuro dell’integrazione europea viene immaginato su quattro livelli distinti: una cerchia interna di membri Schengen, dell’Eurozona e di altre “coalizioni di volenterosi”, l’Unione Europea con membri vecchi e nuovi, i membri associati al Mercato unico (come Norvegia e Svizzera) e – fuori dal perimetro dello Stato di diritto – la Comunità Politica Europea 2.0 che abbia al centro la convergenza geopolitica e strutturata su accordi bilaterali con l’Ue.
    In tutto questo deve rimanere chiaro l’obiettivo di essere pronti per l’allargamento Ue entro il 2030, così come anticipato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel – mentre parallelamente i Paesi candidati dovranno lavorare per soddisfare tutti i criteri di adesione entro la stessa data (e già si sono detti disponibili a farlo). Nel rapporto viene stimolata la nuova leadership politica dopo le elezioni del 2024 a impegnarsi per questo obiettivo e concordare sulla preparazione per l’allargamento Ue entro la fine del decennio. Il discorso riguarda però da vicino anche lo stesso processo di allargamento Ue, a partire dalla suddivisione dei cicli di adesione in gruppi più piccoli di Paesi (ciascuno di questi definito ‘regata’). Nove principi dovrebbero guidare poi le future strategie di allargamento Ue: ‘prima le basi’, geopolitico, risoluzione dei conflitti, supporto tecnico e finanziario aggiuntivo, legittimità democratica, eguaglianza, ‘sistematizzazione’, reversibilità e voto a maggioranza qualificata.

    Riforma delle istituzioni, risorse comuni, integrazione differenziata e nuovo processo di adesione dei candidati. I governi hanno iniziato a discutere sulle proposte del Gruppo dei Dodici per mettere l’Unione nelle condizioni di non farsi trovare impreparata all’appuntamento del 2030

  • in

    Che cosa implicano le misure “temporanee e reversibili” (e non trasparenti) della Commissione Ue contro il Kosovo

    Bruxelles – Non una comunicazione, non una nota, non una pubblicazione scritta. Le misure “temporanee e reversibili” – perché la Commissione Europea è attenta che nessuno le chiami sanzioni – contro il Kosovo sono tutto fuorché trasparenti e solo analizzando pazientemente le parole dei funzionari e mettendo in fila i commenti rilasciati dai portavoce si può arrivare a ricostruire a grandi linee di cosa si tratta nel concreto. E di come l’azione di Bruxelles abbia un peso specifico – che va ben oltre le sole parole e minacce – al momento concentrato quasi solo su Pristina.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (22 giugno 2023)
    “La Commissione adotterà una serie di misure che saranno comunicate formalmente nel corso della settimana”, aveva annunciato martedì scorso (27 giugno) il direttore generale di Dg Near (direzione generale della Commissione responsabile per la Politica di vicinato e negoziati di allargamento), Gert Jan Koopman, nel corso di un’audizione alla commissione per gli Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue. Misure comunicate effettivamente il 28 giugno al Kosovo – come ha reso noto a Eunews il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano – ma che non sono in nessun modo disponibili sul sito dell’esecutivo comunitario per la consultazione pubblica. “Voglio sottolineare molto chiaramente che non prendiamo queste azioni alla leggera e che devono essere viste come temporanee e reversibili, a seconda dei passi credibili, decisivi e tempestivi che ci aspettiamo che le autorità del Kosovo compiano per smorzare la situazione” nel nord del Paese, aveva affermato lo stesso Koopman, senza scendere nei dettagli con gli eurodeputati.
    È il portavoce del Seae a tratteggiare quanto è stato messo in atto contro il Kosovo per fare pressione su Pristina e arrivare a una de-escalation della situazione dopo lo scoppio delle violente proteste di fine maggio e le conseguenze socio-politiche del mese successivo. “Purtroppo il Kosovo non ha ancora preso le misure necessarie” richieste dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel corso riunione di emergenza a Bruxelles del 22 giugno, ed è per questo che Bruxelles è passata all’azione (coercitiva). Prima di tutto l’Ue ha “temporaneamente sospeso il lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione” avviato nel 2016, mentre sul piano diplomatico i rappresentanti del Kosovo “non saranno invitati a eventi di alto livello” e saranno sospese le visite bilaterali, “fatta eccezione per quelle incentrate sulla risoluzione della crisi nel nord del Kosovo nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue”, precisa Stano. Dure anche le due decisioni sul piano finanziario: sospesa la programmazione dei fondi per il Kosovo nell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024 (Strumento di assistenza pre-adesione) e le proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) “non sono state sottoposte all’esame del Consiglio di amministrazione” riunitosi il 29-30 giugno.
    “Queste misure sono temporanee e completamente reversibili, a seconda degli sviluppi sul campo e delle decisioni di attenuazione prese dal primo ministro Kurti”, continuano a ripetere dal Berlaymont. Se al momento l’azione di pressione diplomatica si sta concentrando prevalentemente su Pristina, nemmeno Belgrado è esentata dal rispetto delle richieste di Bruxelles: “Stiamo monitorando attentamente e siamo pronti ad adottare misure contro la Serbia in caso di inadempienza“, ha spiegato sempre il portavoce del Seae parlando con Eunews. Lo stesso avvertimento è stato lanciato oggi (5 luglio) dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, in visita al presidente serbo, Aleksandar Vučić, nel corso della sua due-giorni tra Serbia e Kosovo per spingere il dialogo tra i due Paesi. La Serbia deve esentarsi dall’appoggiare i manifestanti violenti nel nord del Kosovo e di interferire in modo indiretto con la sicurezza del Paese vicino, anche attraverso l’aumento delle accuse e della retorica incendiaria contro Pristina.
    Cosa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.
    Proprio mentre il direttore di Dg Near Koopman informava gli eurodeputati sulle misure previste contro il Kosovo, l’alto rappresentante Borrell ha messo in guardia che “gli Stati membri stanno perdendo la pazienza davanti a una situazione che continua a deteriorarsi“. La questione delle tensioni tra Pristina e Belgrado è finita anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i leader Ue hanno condannato “i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo” e hanno chiesto “un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione Europea il 3 giugno 2023″ (riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese). Entrambe le parti sono state invitate a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo“, con la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. La soluzione risiede sempre nella ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo), con l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.

    A causa della mancanza di “azioni necessarie” da parte di Pristina per diminuire la tensione nel nord del Paese, l’esecutivo comunitario ha deciso di sospendere “temporaneamente” le visite bilaterali, i fondi Ipa 2024 e il lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione