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    Balcani occidentali, von der Leyen: “Questa settimana l’approvazione dei piani per l’inclusione nel mercato unico”

    Bruxelles – Avanti con l’allargamento e l’inclusione dei Paesi del Balcani occidentali. La Commissione europea è pronta ad approvare i piani per la crescita economica degli Stati della regione “questa settimana”, annuncia la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen al termine della riunione del processo di Berlino, il consesso creato nel 2014 per accrescere la cooperazione con i Paesi candidati all’adesione dell’area. Una decisione che “apre parzialmente le porte“ all’Ue permettendo l’accesso al mercato unico europeo.Maggiore integrazione economica prima ancora di quella politica: è questo che l’Ue sta offrendo a cinque dei sei Paesi dei Balcani occidentali. Albania, Montenegro, Macedonia del nord, Serbia e Kosovo sono pronti a ricevere gli aiuti che servono per accrescere il proprio commercio e rilanciare le proprie economie. Uno stimolo all’agenda delle riforme, e un premio per quei “progressi tangibili” che von der Leyen intende premiare. Ma, e su questo la tedesca vuole essere chiara, non si è di fronte a un cambio di paradigma: “L’adesione resta un processo basato sul merito, e tale resterà“.La scelta di permettere agli Stati dei Balcani occidentali di entrare a far parte del mercato unico si inserisce nella più ampia strategia racchiusa nel nuovo piano per la crescita della regione. Un totale di sei miliardi di euro sono stati messi a disposizione in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. Gli intenti del team von der Leyen erano di iniziare a erogare le risorse necessarie per l’allineamento all’area di libero scambio a dodici stelle prima dell’estate. Un annuncio, quello di von der Leyen, che arriva in ritardo rispetto alle aspettative e alla promesse fatte.Adesso l’apertura avvicina la regione dei Balcani occidentali all’Europa, con un chiaro intento di messaggio politico per il presidente russo Vladimir Putin. “Abbiamo visto che l’allargamento per anni non era più in alto, nell’agenda”, ricorda von der Leyen, “questo è cambiato, soprattutto dopo la guerra della Russia in Ucraina, con la scelta di Paesi che hanno deciso di stare dalla parte giusta della storia, per la democrazia e il rispetto dell’ordine fondato sul diritto internazionale”.

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    L’Ue annuncia altri 30 milioni di aiuti umanitari in Libano. E Borrell condanna i nuovi raid israeliani sugli operatori sanitari

    Bruxelles – La Commissione europea stanzierà ulteriori 30 milioni di euro per gli aiuti umanitari in Libano, che si aggiungono ai 10 milioni già annunciati il 29 settembre. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom), sono già più di 130 mila i nuovi sfollati interni a causa dei bombardamenti israeliani dell’ultima settimana. Da ottobre 2023, circa 350 mila, di cui il 35 per cento bambini.Nel solo settembre 2024, le vittime causate dai raid di Israele sarebbero già più di mille. Ed oltre 8 mila i feriti. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha condannato l’uccisione, la scorsa notte, di sette persone nel centro di Beirut, tra cui alcuni paramedici. “Le Forze di difesa israeliane hanno nuovamente preso di mira gli operatori sanitari durante la notte”, ha denunciato il capo della diplomazia Ue. In “violazione del diritto internazionale umanitario”.Secondo quanto riferito dal direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nelle ultime 24 ore sarebbero stati uccisi ventotto operatori sanitari in Libano. I pacchetti di emergenza stanziati dall’Ue – che nel corso del 2024 hanno raggiunto il valore di 104 milioni di euro – sono destinati a fornire “assistenza alimentare urgente, alloggi e assistenza sanitaria, oltre ad altri aiuti essenziali”. Il Libano ha inoltre richiesto l’attivazione del Meccanismo di protezione civile dell’Ue, attraverso il quale la Commissione sta facilitando l’invio di ulteriore assistenza dai Paesi membri. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta “estremamente preoccupata per la costante escalation di tensioni in Medio Oriente”.Tel Aviv strappa con l’Onu: Guterres “non è degno” di entrare in IsraeleNel frattempo lo Stato ebraico ha dichiarato “persona non grata” il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. “Un segretario generale che odia Israele, che dà sostegno a terroristi, stupratori e assassini. Guterres sarà ricordato come una macchia nella storia delle Nazioni Unite”, è la gravissima accusa del ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, al segretario dell’Onu. Reo secondo Israele di non aver “condannato inequivocabilmente l’attacco criminale dell’Iran contro Israele”. Guterres non potrà più mettere piede sul territorio di Israele.Un altro strappo durissimo – l’ennesimo, dal 7 ottobre scorso – da parte di Tel Aviv nei confronti della comunità internazionale. Borrell è immediatamente accorso in supporto a Guterres: “Sosteniamo il Segretario generale delle Nazioni Uniti nei suoi instancabili sforzi per raggiungere la pace in tutti i conflitti e in particolare in Medio Oriente. Deploriamo gli attacchi ingiustificati contro di lui, nonché il numero inaccettabile di vittime tra gli operatori umanitari delle Nazioni Unite”, ha commentato con un post su X.

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    Il rafforzamento della cooperazione strategica dopo la Brexit: Ue e Regno Unito hanno obiettivi comuni

    Bruxelles – La cooperazione rafforzata preme sia all’Unione Europea sia al Regno Unito, come anche una linea comune per affrontare le sfide globali, sia in ambito geopolitico che in ambito economico.Il primo ministro britannico Keir Starmer e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si sono incontrati oggi (2 settembre) a Bruxelles, nell’ambito della sua spinta per un reset con l’Ue e come prima occasione per discutere di questioni come il commercio, la sicurezza e la mobilità dei giovani. Starmer, il cui partito laburista ha vinto le elezioni a luglio, ha dichiarato che il suo governo non cercherà di negoziare in blocco l’accordo sulla Brexit che ha portato la Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea nel 2020.“Credo fermamente che il pubblico britannico voglia tornare a una leadership pragmatica e sensata quando si tratta di trattare con i nostri vicini più prossimi per far funzionare la Brexit e per agire nei loro interessi, per trovare modi per aumentare la crescita economica, rafforzare la nostra sicurezza e affrontare sfide comuni come l’immigrazione irregolare e il cambiamento climatico”, ha detto il premier britannico.Il primo punto in comune è la ferma condanna all’Iran dopo l’attacco missilistico a Israele della scorsa notte. Starmer ha dichiarato: “Dobbiamo fare un passo indietro dal baratro con il coraggio di tutte le parti per trovare un modo per una de-escalation e per una soluzione politica per i molti fronti della crisi in Medioriente”, ha aggiunto. Entrambi hanno riconosciuto la necessità di coordinare la risposta diplomatica alla situazione in Medio Oriente, sottolineando la crucialità di un cessate il fuoco immediato in Libano e a Gaza per creare lo spazio necessario a consentire soluzioni politiche. Anche per quanto riguarda l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia, è stato ribadito il loro incrollabile sostegno alla sovranità dell’Ucraina.E’ stata ricordata l’unicità della relazione anglo-europea, per cui si deve continuare a lavorare a stretto contatto nella gestione degli obiettivi comuni, come la gestione della migrazione irregolare, il cambiamento climatico e i prezzi dell’energia.Il reciproco interesse di Uk e Ue è in una relazione stabile, positiva e lungimirante, che costituisce la base per una cooperazione a lungo termine. “La visione comune di Ue e Regno Unito permette di rafforzare le relazioni bilaterali“, ha aggiunto von der Leyen.“Abbiamo una serie di accordi solidi. Dovremmo esplorare le possibilità di una maggiore cooperazione” ha commentato von der Leyen riferendosi agli accordi già esistenti. La base delle loro relazioni rimangono l’Accordo di recesso, compreso il Quadro di Windsor, e il Tca (Accordo commerciale e di cooperazione), su cui entrambi i partner hanno garantito pieno impegno. “Siamo fortemente allineati nella lotta contro il cambiamento climatico e il riscaldamento globale. Entrambi lavoriamo intensamente per la decarbonizzazione e l’economia circolare e per la protezione della natura”, ha aggiunto la presidente della Commissione europea.Per consolidare e supervisionare lo sviluppo delle relazioni Ue-Uk, verranno regolarmente organizzati vertici tra i due a livello di leader. Di maggiore interesse, sono i settori dell’economia, dell’energia, della sicurezza e della resilienza, nel pieno rispetto delle procedure interne e prerogative istituzionali. Hanno concordato che un primo vertice dovrebbe svolgersi idealmente all’inizio del 2025.Non si è parlato di mobilità giovanile, sulla quale la Commissione aveva proposto di riaprire i negoziati, scontrandosi però su un rifiuto del Regno Unito, che a quanto pare permane.

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    Dall’Ue la “ferma condanna” all’attacco missilistico dell’Iran in Israele. Tel Aviv sposta nuove truppe in Libano

    Bruxelles – “Ferma condanna” per un’azione che “minaccia la stabilità regionale”. I leader Ue scelgono le loro parole in fotocopia e puntano il dito contro l’attacco missilistico lanciato ieri sera (1 ottobre) dall’Iran contro Israele. Questa volta, nessun Paese membro si mette di traverso – come accaduto l’altra sera per l’azione militare israeliana in Libano – e l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, può dichiarare a nome dei 27 che “l’Ue ribadisce il suo impegno per la sicurezza di Israele“.Il regime di Teheran ha scagliato circa 200 missili balistici verso il territorio israeliano, un attacco minacciato diverse volte dagli ayatollah iraniani nei giorni scorsi, e che l’intelligence americana aveva preventivato con qualche ora di anticipo. Con il supporto di Washington e Londra, Israele ha intercettato la maggior parte dei missili lanciati nell’attacco, che non sembra aver causato danni rilevanti a cose e persone. Ma che innesca inevitabilmente una nuova escalation tra Tel Aviv e Teheran.“L’Iran ha commesso un grave errore questa notte e ne pagherà il prezzo. Rispetteremo ciò che abbiamo stabilito, chiunque ci attacchi, noi attaccheremo”, ha immediatamente annunciato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. D’altra parte, Teheran ha risposto che reagirà “con maggiore intensità” attaccando “tutte le infrastrutture israeliano” in caso di una rappresaglia militare da parte di Israele. Secondo lo Stato maggiore iraniano, il “90 per cento dei missili” avrebbe raggiunto gli obiettivi. In un post su X, il neo-presidente Masoud Pezeshkian ha dichiarato che “la risposta decisiva all’aggressione del regime sionista” è stata lanciata “sulla base dei diritti legittimi e con l’obiettivo della pace e della sicurezza per l’Iran e per la regione”. E ha poi avvertito: “Non entrate in conflitto con l’Iran”.Questa mattina, le forze di difesa israeliano hanno annunciato che ulteriori truppe si stanno dirigendo nel sud del Libano per ampliare l’invasione di terra e hanno ripreso a bombardare il sud di Beirut. Secondo il Times of Israel, dal Libano sono stati lanciati oltre cento razzi verso il nord di Israele. Ad ogni dimostrazione militare ne segue una nuova, più pesante di quelle precedenti, in un vortice di distruzione che ormai colpisce tutta la regione. Dal punto di vista iraniano, Israele ha violato la sovranità della Repubblica islamica già in aprile, quando bombardò l’ambasciata di Teheran a Damasco, e quella del Libano, invadendo il sud del Paese e lanciando l’offensiva contro Hezbollah, la cui ala militare è foraggiata proprio dall’Iran. Secondo la logica di Israele, tutto è cominciato il 7 ottobre, con gli attacchi terroristici perpetrati da Hamas e i lanci di razzi da parte di Hezbollah, e non fa altro che esercitare il proprio diritto alla legittima difesa.I pesi massimi dell’Ue hanno “condannato fermamente” l’attacco dell’Iran. Ursula von der Leyen ha “esortato tutte le parti a proteggere la vita di civili innocenti”, ribadendo la richiesta di “un cessate il fuoco al confine con il Libano e a Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi detenuti da quasi un anno”. Charles Michel ha parlato di una “spirale mortale di escalation in Medio Oriente”, di “una guerra regionale che non è nell’interesse di nessuno”. Per Borrell, in una nota a nome dei 27 Paesi Ue, siamo di fronte “ancora una volta” a “un pericoloso ciclo di attacchi e ritorsioni” che “rischia di alimentare un’incontrollabile escalation regionale che non è nell’interesse di nessuno”.Lo scorso 30 settembre, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Safadi, ha dichiarato: “Il primo ministro Netanyahu sostiene che Israele è circondato da nemici che vogliono distruggerlo. Con il mandato di 57 Paesi arabi e musulmani, posso dire in modo inequivocabile che tutti noi vogliamo garantire la sicurezza di Israele, se Israele porrà fine all’occupazione e permetterà la creazione di uno Stato palestinese indipendente“. Ma – com’è ben noto – il governo israeliano si oppone fermamente alla soluzione dei due Stati. Safadi ha incalzato la comunità internazionale: “Riuscite a chiedere a Netanyahu qual è la loro soluzione? A parte nuove guerre e nuova distruzione?”.Per ora, gli Stati Uniti hanno supportato incondizionatamente – al di là del già dimenticato piano Biden per il cessate il fuoco a Gaza – l’azione militare israeliana. L’Ue è immobile, ingabbiata nelle diverse sensibilità e convinzioni politiche dei 27 su un conflitto che è anche altamente ideologico. Sull’indifendibile regime iraniano, Bruxelles conta decine di pacchetti di sanzioni, per le violazioni dei diritti umani, per il suo programma nucleare e per il supporto militare alla Russia e ai gruppi estremisti in Medio Oriente. Ma sul governo di Netanyahu, che accusa di antisemitismo chiunque faccia presente le palesi violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, a Gaza come in Cisgiordania e in Libano, l’Ue è ferma al palo. Alla richiesta, messa in un cassetto da Tel Aviv, di convocare un Consiglio di Associazione per discutere il rispetto dei diritti umani previsto dall’Accordo Ue-Israele.

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    L’onda laburista travolge il Regno Unito. A picco conservatori e nazionalisti scozzesi, Farage eletto

    Bruxelles – Le prime elezioni nel Regno Unito post-Brexit sono state storiche sotto molti punti di vista. Per la valanga di seggi conquistati dal Partito Laburista, per il tracollo senza precedenti nella storia del Partito Conservatore e per il ritorno nell’ombra del Partito Nazionale Scozzese. Per la prova elettorale più convincente dei Liberal Democratici in poco più di 30 anni di esistenza politica e per la comparsa sulla scena dei sovranisti di Reform Uk di Nigel Farage (eletto all’ottavo tentativo). Ma anche per altri dati che offrono significativi spunti di riflessione: quella appena eletta sarà la Camera dei Comuni con la maggiore rappresentanza femminile di sempre – 242 deputate – ma a fronte a un’affluenza al voto tra le più basse dal 1885, ferma al 59,8 per cento.Il leader del Partito Laburista e prossimo primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer (credits: Justin Tallis / Afp)“Ce l’abbiamo fatta! Il cambiamento inizia ora“, sono state le prime parole del leader laburista, Keir Starmer, dopo l’annuncio dei risultati parziali delle elezioni di ieri (4 luglio): “Serve un partito laburista cambiato, pronto a servire il nostro Paese, pronto a riportare la Gran Bretagna al servizio dei lavoratori”. Con 412 seggi conquistati alla Camera dei Comuni – la migliore performance elettorale dopo quelle di Tony Blair nel 1999 e nel 2001 – i Labour hanno ora un’ampissima maggioranza per governare (la soglia minima è di 326) e per questa mattina (5 luglio) sono attese a Buckingham Palace le dimissioni del premier conservatore uscente, Rishi Sunak, prima della nomina di Starmer da parte di re Carlo III. Dopodiché il leader laburista si recherà a Downing Street 10 verso ora di pranzo e terrà il primo discorso come nuovo capo del governo britannico.Immediate le congratulazioni a Starmer dai vertici delle istituzioni dell’Unione Europea, che hanno osservato le elezioni nel Regno Unito post-Brexit dall’esterno (per la prima volta dal 1973, quando Londra faceva ingresso nella Comunità Economica Europea): “Non vedo l’ora di lavorare in un partenariato costruttivo per affrontare le sfide comuni e rafforzare la sicurezza europea”, ha commentato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Le ha fatto eco il numero uno del Consiglio Europeo, Charles Michel, che parla di “nuovo ciclo” a Londra e dà appuntamento al prossimo inquilino di Downing Street 10 “alla riunione della Comunità Politica Europea il 18 luglio nel Regno Unito, dove discuteremo delle sfide comuni, tra cui stabilità, sicurezza, energia e migrazione”. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, si è congratulata con Starmer, ricordando che “le relazioni tra l’Unione Europea e il Regno Unito sono radicate nei nostri valori condivisi e nella nostra amicizia di lunga data” e “come alleati e partner, è nel nostro interesse comune continuare a lavorare a stretto contatto“.Il leader del Partito Conservatore e primo ministro uscente, Rishi Sunak (credits: Temilade Adelaja / Pool / Afp)Il contraltare della valanga di seggi laburisti è una cocente sconfitta per i Tories del premier uscente Sunak, crollati a 121 seggi alla Camera dei Comuni (-244). Si tratta del peggior risultato nella storia dei conservatori britannici dalla fondazione del partito nel 1834, che arriva dopo 14 anni di governo e 5 diversi gabinetti, da David Cameron tra il 2010 e il 2016 fino agli ultimi due anni di Sunak, passando da Theresa May e Boris Johnson a cavallo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e i fallimentari 45 giorni di Liz Truss (non rieletta ieri) nell’autunno 2022. Il risultato ai limiti del catastrofico dei conservatori (più di 7 milioni di voti persi dal trionfo del 2019) può essere considerato la parabola del suicidio politico di Sunak, che a fine maggio aveva indetto elezioni anticipate, anche se i Tories rimarranno ancora il principale partito di opposizione ai Labour. La vera incognita sarà ora la direzione che prenderanno i conservatori, in particolare di fronte alla cavalcata dei sovranisti e populisti di Reform Uk, che hanno conquistato solo 4 seggi – tra cui quello del loro leader e architetto della Brexit Farage – ma si sono piazzati al terzo posto in termini di preferenze: con 4,1 milioni di voti sono saliti al terzo posto tra i partiti nel Regno Unito.Il sistema elettorale in vigore nel Regno Unito viene definito first past the post, ovvero un maggioritario secco: in ciascuna delle 650 circoscrizioni in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord il candidato che ottiene più voti degli altri viene eletto deputato. Nonostante tendenzialmente garantisca una maggiore governabilità, allo stesso tempo questo sistema può nascondere alcuni elementi critici del risultato delle urne. Per esempio alle elezioni del 4 luglio 2024 – con la seconda affluenza più bassa in 150 di storia democratica britannica (solo nel 2001 si è toccato il 59,4 per cento) – si rischia di non notare che i laburisti di Starmer hanno perso circa 600 mila preferenze rispetto a cinque anni fa, quando sotto Jeremy Corbyn crollavano al risultato peggiore dal 1935 in termini di seggi alla Camera dei Comuni (202): ma con l’affluenza al 67,3 per cento nel 2019, si attestavano al 40 per cento e 10,3 milioni di voti. O ancora, che i sovranisti di Farage sono staccati di soli 9 punti percentuali dai conservatori (14,3 contro 23,7) e 2,8 milioni di preferenze – nonostante i seggi dicano 120 a 4 – mentre i laburisti sono al 33,8 per cento con 9,6 milioni di voti. Tutto ciò considerato, i prossimi mesi e anni diranno se la nuova leadership dei Tories andrà verso un tentativo di riconquistare gli elettori persi a favore di Reform Uk – con un inasprimento delle posizioni nazionaliste, euroscettiche e anti-migrazione – o se tenteranno una virata al centro per riprendersi l’enorme quantità di circoscrizioni passate di mano ai Labour soprattutto in Inghilterra.ll leader di Reform Uk, Nigel Farage (credits: Henry Nicholls / Afp)Anche perché si deve tenere in considerazione la prova elettorale significativa dei Liberal Democratici, che sono riusciti a eleggere 71 deputati (a fronte di 3,5 milioni di preferenze, circa 600 mila in meno di Reform Uk). Si tratta della migliore performance del partito dalla sua fondazione nel 1988 e la nuova scalata al terzo posto alla Camera dei Comuni, considerato il parallelo tracollo del Partito Nazionale Scozzese a 9 seggi (-39 rispetto al 2019) e il ritorno nell’ombra dopo i nove anni di forte leadership di Nicola Sturgeon tra il 2014 e il 2023. Dopo lo scandalo sui finanziamenti del partito all’inizio del 2023, le dimissioni di Sturgeon non hanno cambiato la priorità su un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito nell’agenda dei successori Humza Yousaf e John Swinney, con la condanna della Brexit e delle sue conseguenze economiche come fattore trainante. Eppure le sconfitte nella stragrande maggioranza delle circoscrizioni alle elezioni 2024 a favore di laburisti e liberaldemocratici possono essere interpretate come la fine del sogno indipendentista e la consapevolezza degli elettori scozzesi che una migliore rappresentanza nel partito al governo può fornire una prospettiva migliore rispetto a quanto realizzato dal 2015 dalla formazione nazionalista.A completare il quadro della Camera dei Comuni sono i 7 deputati repubblicani nordirlandesi di Sinn Féin, i 5 protestanti nordirlandesi del Partito Unionista Democratico, i 4 gallesi di Plaid Cymru e i 4 del Partito Verde (con un exploit elettorale da 800 mila a 1,9 milioni di preferenze guadagnate dal 2019 a oggi), oltre ad altri 5 eletti di partiti minori e 6 indipendenti, tra cui l’ex-leader laburista Corbyn. Un ultimo dato da considerare è il calo della quota complessiva di deputati laburisti e conservatori complessivi (533) – la più bassa dal 1931 (522) – che per la prima volta nella storia moderna del Regno Unito potrebbe portare a delle riflessioni profonde sullo stesso sistema maggioritario secco in vigore e a richieste più pressanti per un sistema elettorale più proporzionale da parte dei partiti che hanno fatto un balzo in avanti, Reform Uk e il suo leader eletto in Parlamento sopra tutti.

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    “Sono la presidente della Macedonia”. La neo capa di Stato cancella metà nome del Paese e riaccende le tensioni diplomatiche con Atene

    Bruxelles – Sono bastati pochi giorni dal trionfo alle urne per i nazionalisti in Macedonia del Nord e già il delicato equilibrio diplomatico messo in piedi nel 2018 ha subito un grosso scossone, provocando dure reazioni nella regione balcanica, e profonda perplessità a Bruxelles, sulla serietà del nuovo establishment politico nel rispettare gli impegni assunti a livello internazionale per raggiungere l’obiettivo dell’adesione all’Unione Europea. Perché nel discorso inaugurale della neo-eletta presidente macedone, Gordana Siljanovska-Davkova, non è mai comparso il nome costituzionale del Paese concordato con la Grecia nel 2018 – Macedonia del Nord, appunto – in linea con l’opposizione dura dei nazionalisti di Vmro-Dpmne all’Accordo di Prespa.La bandiera con il Sole di Verghina, simbolo della dinastia reale macedone (Armend Nimani / Afp)“Rispetterò la Costituzione e le leggi, proteggerò la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza della Macedonia” e “dichiaro che svolgerò la carica di presidente della Macedonia in modo coscienzioso e responsabile”, così ha giurato ieri (12 maggio) la prima presidente donna nella storia poco più che trentennale della Macedonia (oggi del Nord) indipendente dal 1991. L’assenza di “Nord” non è un dettaglio di poco conto, tutto al contrario. La Macedonia del Nord è un Paese candidato all’adesione Ue dal 2005, ma il suo percorso è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia per la contesa identitaria sull’uso del nome della patria di Alessandro Magno: sia Skopje sia Atene lo rivendicano come parte esclusiva della propria storia ed eredità culturale. Solo con gli Accordi di Prespa firmati il 12 giugno 2018 dagli allora primi ministri greco, Alexis Tsīpras, e macedone, Zoran Zaev, la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord e ha rinunciato a utilizzare il Sole di Verghina – simbolo della dinastia reale macedone – ricevendo in cambio da Atene il riconoscimento della lingua macedone e il via libera all’adesione di Skopje alla Nato e all’Unione Europea.Da sinistra: gli allora primi ministri della Grecia, Alexis Tsīpras, e della Macedonia del Nord, Zoran Zaev, in occasione della firma dell’Accordo di Prespa (12 giugno 2018)Quanto andato in scena ieri a Skopje è stato un primo assaggio – tanto temuto quanto in realtà atteso – dopo la travolgente vittoria elettorale di Vmro-Dpmne mercoledì scorso (8 maggio) non solo alle presidenziali, ma anche alle legislative, in cui la coalizione guidata dai nazionalisti si è fermata a soli tre seggi dalla maggioranza assoluta nella futura Assemblea parlamentare. Sia per le posizioni intransigenti mostrate nel corso degli ultimi anni sia per la retorica inasprita nel corso della campagna elettorale, ci si aspetta un aumento della tensione diplomatica tra Skopje e i vicini regionali con cui sono ancora latenti delicate questioni nazionaliste, in primis con la Grecia. Dopo che l’ambasciatore greco in Macedonia del Nord ha lasciato in protesta la cerimonia di insediamento di Siljanovska-Davkova, il ministro degli Affari Esteri greco, Georgios Gerapetritis, ha condannato apertamente il gesto della neo-presidente macedone, definendolo “una flagrante violazione dell’Accordo di Prespa e della Costituzione del nostro Paese vicino“. Il ministro del gabinetto guidato da Kyriakos Mītsotakīs ha anche reso noto che il testo ufficiale del giuramento faceva riferimento al Paese come ‘Macedonia del Nord’ e, di conseguenza, la scelta di definirlo solo ‘Macedonia’ è stata intenzionale: “I progressi nel percorso europeo dipendono dalla piena attuazione dell’Accordo di Prespa e principalmente dall’uso del nome costituzionale del Paese”.La neo-presidente della Macedonia del Nord, Gordana Siljanovska-Davkova (credits: Robert Atanasovski / Afp)Un principio condiviso in tutta l’Unione, in particolare dai leader delle istituzioni Ue. “Affinché la Macedonia del Nord possa continuare il suo percorso di successo verso l’adesione all’Ue, è fondamentale che il Paese prosegua sulla strada delle riforme e del pieno rispetto degli accordi vincolanti, compreso l’Accordo di Prespa”, ha messo in chiaro la numero uno della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dopo essersi congratulata con la prima presidente della Repubblica donna del Paese balcanico. Lo stesso ha fatto il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ancora più duro nel commentare la scelta “molto deludente” di Siljanovska-Davkova: “L’Ue ricorda l’importanza di continuare ad attuare gli accordi giuridicamente vincolanti, compreso l’accordo di Prespa con la Grecia”. Dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) è arrivata una forte esortazione al prossimo governo guidato dai nazionalisti: “Hanno a disposizione un nuovo inizio per dimostrare che sono impegnati nel percorso di adesione Ue“, ha spiegato oggi (13 maggio) alla stampa il portavoce Peter Stano, rifiutandosi però di “speculare su cosa succede se non rispetteranno gli impegni”. In altre parole, se Bruxelles deciderà di bloccare i negoziati di adesione avviati nell’estate del 2022 dopo tre anni di attesa.Perché nel frattempo si teme anche un’escalation nei rapporti con la Bulgaria, negli ultimi anni il vicino più problematico per Skopje su questioni di natura puramente identitaria. “La prospettiva europea della Macedonia del Nord dipende dalla rigorosa attuazione dei trattati internazionali di cui è parte, nonché dal quadro negoziale approvato dal Consiglio europeo nel luglio 2022, che non sarà rivisto”, ha già messo in chiaro il presidente bulgaro, Rumen Radev. Era il 9 dicembre 2020 quando si registrava in Consiglio Affari Generali lo stop della Bulgaria all’avvio dei negoziati di adesione Ue con Skopje, tenuti in stallo per oltre un anno e mezzo fino alla svolta dell’estate 2022. Solo grazie all’iniziativa del presidente francese, Emmanuel Macron, prima il Parlamento bulgaro ha revocato il veto e poi anche quello macedone ha dato l’approvazione all’intesa: con la firma del protocollo bilaterale tra Sofia e Skopje si è sbloccata definitivamente la situazione e si è potuti arrivare alla prima conferenza intergovernativa il 19 luglio 2022.

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    Ue e Francia spingono la Cina a cooperare per “affrontare le sfide globali ed evitare incomprensioni”

    Bruxelles – Geopolitica e relazioni commerciali. Unione Europea e Cina cercano di riprendere le fila di un rapporto spinoso affrontando le due questioni più complesse ancora in cima agenda, nonostante tre incontri in un anno tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il leader cinese, Xi Jinping. A dimostrarlo è stato l’atteso vertice trilaterale ospitato a Parigi oggi (6 maggio) dal presidente francese, Emmanuel Macron, in cui è emersa da una parte la necessità di avere “buone relazioni reciproche”, ma dall’altra anche l’urgenza per Bruxelles di “affrontare le distorsioni” provocate da Pechino “con gli strumenti di difesa di cui disponiamo, se necessario”.Da sinistra: il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Parigi il 6 maggio 2024 (credits: Ludovic Marin / Afp)A mettere tutto questo sul tavolo è stata la presidente della Commissione Ue, che nel suo intervento introduttivo al trilaterale di Parigi ha ricordato quanto “il nostro impegno è fondamentale per garantire il rispetto reciproco, evitare malintesi e trovare soluzioni comuni alle sfide globali“. Proprio per queste ragioni rimane l’interesse a “dimostrare che il nostro impegno è efficace”. In particolare, secondo quanto emerge dalle parole di von der Leyen, “la Cina è importante per l’Unione Europea per affrontare le principali sfide globali“, come per esempio “la lotta congiunta contro il cambiamento climatico e la determinazione a proteggere la biodiversità e ad attuare la governance degli oceani”. Un messaggio identico a quello veicolato nell’incontro nello stesso formato a Pechino nella primavera 2023, ma che rappresenta pur sempre la base di partenza per non esacerbare un rapporto molto delicato con la controparte cinese.Anche dall’ospite francese è emerso uno spirito di cooperazione necessario per affrontare le frizioni comunque innegabili tra le due parti: “La situazione internazionale ha bisogno più che mai di questo dialogo euro-cinese“, ha rivendicato Macron lo sforzo di “tentare di superare le preoccupazioni” attuali e scongiurare una “logica di disaggregazione che sarebbe nefasta sul piano economico”. Da parte sua il presidente Xi Jinping ha parlato di un “rafforzamento del consenso e del coordinamento strategico” tra Unione Europea e Cina, che “come due grandi potenze mondiali devono rimanere partner, perseguire il dialogo e la cooperazione, approfondire la comunicazione e la fiducia reciproca”. Perché le due questioni più cruciali sul tavolo – a cui ancora non è stata trovata una soluzione definitiva – sono non solo enormi nella loro portata, ma anche potenzialmente travolgenti per gli equilibri globali.Dall’Ucraina all’Asia orientaleIl vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino il 6 aprile 2023Il primo tema spinoso per i rapporti Ue-Cina è senza dubbio il “funzionamento dell’ordine internazionale basato sulle regole, in un contesto molto turbolento in Europa, in Medio Oriente e in Asia orientale“. Rimangono solo tra le righe le tensioni nello Stretto di Taiwan, mentre trova ampio spazio nelle parole di von der Leyen l’invasione russa dell’Ucraina: “Siamo determinati a fermare la guerra di aggressione e a stabilire una pace giusta e duratura”. Facendo leva su un “interesse comune nella pace e nella sicurezza” e ricordando il “ruolo importante del presidente Xi Jinping nella de-escalation della minaccia nucleare irresponsabile” del Cremlino, l’esortazione a Pechino è sempre quella di “usare tutta la sua influenza sulla Russia” per mettere fine al conflitto. In questo contesto è cruciale soprattutto lo stop totale della fornitura di beni cinesi a duplice uso che finiscono sul terreno di battaglia: “Serve più sforzo, considerata l’enorme minaccia che questa guerra rappresenta sia per l’Ucraina sia per l’Ue, questo tema ha un impatto” sulle relazioni tra l’Unione e Pechino, è l’avvertimento di von der Leyen.Il secondo scenario di instabilità dell’ordine internazionale è quello del Medio Oriente, “che è di enorme preoccupazione per entrambe le parti” e per il quale “non deve essere risparmiato nessuno sforzo per la de-escalation della tensione e per evitare un conflitto più vasto nella regione“. Mentre Israele ha ordinato l’evacuazione di Rafah nella Striscia di Gaza in vista di un’imminente attacco di terra, la numero uno dell’esecutivo Ue ha ribadito la richiesta di un “cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi”, mentre tra Bruxelles e Pechino “lavoriamo per fornire tutto il supporto umanitario possibile e per la soluzione a due Stati”. Quella che anche per Xi Jinping “è l’unica via” per la fine del conflitto in Palestina. Da non sottovalutare è anche la “minaccia diretta dell’Iran”, su cui anche in questo caso “la Cina può giocare un ruolo importante nel limitare la proliferazione irresponsabile dei missili e droni”, ha esortato von der Leyen.Le relazioni economiche Ue-CinaOltre agli scenari di instabilità geopolitica e il differente approccio dei due partner, nessuno nasconde che il tema di maggiore fragilità del rapporto tra Unione Europea e Cina è quello della concorrenza economica e commerciale. “Il nostro volume di scambi quotidiani è di circa 2,3 miliardi di euro al giorno, ma questa relazione è messa a dura prova“, ha ricordato von der Leyen a Xi Jinping, citando “la sovraccapacità indotta dallo Stato, la disparità di accesso al mercato e l’eccessiva dipendenza”. Basti ricordare che negli ultimi dieci anni si è assistito a un graduale squilibrio della bilancia commerciale, con il deficit dell’Unione che si è più che triplicato e ha quasi raggiunto i 400 miliardi di euro nel 2022: “Lo sbilanciamento rimane significativo ed è una questione di grande preoccupazione ma, come abbiamo dimostrato, difenderemo le nostre economie se necessario”.Inevitabile il riferimento ai prodotti che ricevono sussidi statali in Cina – “come i veicoli elettrici o l’acciaio” – e che “stanno sommergendo il mercato europeo”. A Bruxelles sono state avviate una serie di indagini sui sussidi di Pechino, a partire proprio dalle auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore. “La Cina continua a sostenere massicciamente il settore manifatturiero e questo, combinato con la domanda interna che non aumenta, fa sì che il mondo non possa assorbire la produzione cinese”, è l’attacco di von der Leyen, che ha reso nota la richiesta al governo cinese di “affrontare questa sovraccapacità”, mentre nel frattempo “ci coordineremo con i Paesi del G7 e con le economie emergenti che devono affrontare le distorsioni” provocate dalla politica economica e commerciale di Pechino. Ma il leader cinese ha tagliato corto, sostenendo che “il problema della sovraccapacità non esiste” in Cina.Tuttavia questo tema riguarda da vicino l’Unione e il suo Mercato interno, dal momento in cui “l’accesso ai mercati deve essere reciproco“, e l’approccio al momento è quello di “discutere come arrivare a progressi effettivi”, mentre “facciamo uso dei nostri strumenti di difesa, se necessario”. A dimostrarlo è la decisione dello scorso 24 aprile di lanciare la prima indagine attraverso lo Strumento per gli appalti internazionali nel mercato dei dispositivi medici: “Non possiamo accettare pratiche che distorcono il mercato e che possono portare alla deindustrializzazione qui in Europa“. E infine la questione delle catene di approvvigionamento, in particolare “l’eccessiva dipendenza” sul piano delle materie prime critiche. È proprio su questo fronte che la numero uno della Commissione rivendica il successo del nuovo approccio delineato all’inizio del 2023: “Abbiamo negoziato diversi accordi con molti Paesi terzi da cui otteniamo materie prime critiche, questo è il de-risking nella pratica“, ha ricordato von der Leyen, salutando il vertice trilaterale con un messaggio per il futuro: “Il nostro mercato rimane aperto alla concorrenza equa e agli investimenti, non è un bene per l’Europa se danneggia la nostra sicurezza e ci rende vulnerabili”.

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    Macron si prepara ad accogliere Xi Jinping (e von der Leyen). Nuovo round di colloqui dopo Pechino

    Bruxelles – Tra Parigi, Berlino e Bruxelles sono iniziati i preparativi per un evento tanto atteso quanto imprevedibile per il risultato finale. Lunedì (6 maggio) il presidente francese, Emmanuel Macron, ospiterà insieme alla numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Parigi il presidente della Cina, Xi Jinping, in una riedizione del trilaterale andato in scena a Pechino nell’aprile dello scorso anno. Ancora una volta il leader cinese proverà a far leva sulle divergenze tra i 27 Paesi membri sull’approccio verso Pechino – in particolare Francia e Germania – per spingere i propri interessi nazionali, partendo dai due temi più rilevanti sul tavolo dell’Eliseo: la guerra russa in Ucraina e le indagini Ue sui sussidi statali per i veicoli elettrici.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf ScholzNon è un caso se ieri sera (2 maggio) proprio il presidente francese Macron si è incontrato in modo informale a Parigi con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per cercare un confronto onesto sui rispettivi approcci nei confronti di Pechino, prima dell’inizio del tour europeo di Xi Jinping (che lo porterà anche in Serbia e in Ungheria la prossima settimana). Lo scorso 16 aprile la visita del cancelliere tedesco in Cina aveva sollevato alcune perplessità, non tanto per la visita in sé quanto per la decisione di non affrontare con la controparte cinese i due temi più spinosi per i Ventisette. In primis le indagini di Bruxelles su una serie di beni ampiamente sovvenzionati dallo Stato cinese che rischiano di turbare il Mercato unico dell’Unione: uno su tutti le auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina.Il vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino (6 aprile 2023)È passato un anno dal trilaterale Macron-von der Leyen-Xi Jinping a Pechino, ma la strategia di de-risking dell’Unione Europea dalla Cina sembra essere appena alle battute iniziali. “Dobbiamo affrontare le soluzioni attraverso il dialogo e la diplomazia” e puntare su “una strategia di de-risking, cioè focalizzarci sui rischi specifici, ma anche apprezzare il fatto che la grande maggioranza dei beni e servizi è priva di rischi”, aveva sottolineato prima e durante il vertice di Pechino la numero uno della Commissione Ue, partendo dall’analisi sui rapporti Ue-Cina divenuta paradigmatica per l’approccio che si vorrebbe seguire a Bruxelles: “Alcune dipendenze commerciali sollevano dei rischi significativi e sappiamo che per alcuni la conseguenza è sganciarsi dalla Cina, ma io dubito che questa sia una soluzione desiderabile o percorribile“. Senza dubbio la questione dei potenziali sussidi anti-concorrenziali – anche nel settore delle turbine eoliche e dei dispositivi medici – non può non essere considerata come il fattore che può creare più frizioni con la controparte cinese, ma allo stesso tempo anche come la cartina tornasole della solidità dell’Unione nell’affrontare una bilancia commerciale che pende nettamente verso Pechino.La seconda linea rossa delle discussioni di lunedì a Parigi sarà senza dubbio la questione della guerra russa in Ucraina e di come l’Ue voglia uno stop totale della fornitura di attrezzature cinesi a duplice uso che stanno sostenendo la controffensiva del Cremlino. Un anno fa erano sul tavolo due proposte di pace – il piano in 10 punti del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e la proposta cinese accolta con grande scetticismo in Europa – e soprattutto le richieste dei due leader europei a Xi Jinping di definire il posizionamento della Cina in qualità di membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “In quanto tale ha una grande responsabilità e ci aspettiamo che giochi un ruolo importante per promuovere una pace giusta che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, aveva messo in chiaro senza troppi giri di parole von der Leyen. Quando è passato un anno e molto poco poco a livello diplomatico oltre la telefonata tra i leader ucraino e cinese a fine aprile 2023, il sostegno dei Ventisette a Kiev passerà anche dalla capacità di convincere Pechino ad allentare il sostegno indiretto a Mosca con beni a duplice uso, ovvero quelli venduti per scopi civili ma convertibili dal Cremlino per uso bellico al fronte.