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    Orbán, scheggia impazzita alla testa del Consiglio. In Cina il terzo viaggio tenuto segreto a Bruxelles

    Bruxelles – È iniziato solo da una settimana il semestre di presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea, ma Viktor Orbán ha già fatto capire che saranno sei mesi all’insegna dell’imprevedibilità e di una tensione sempre altissima con i leader Ue e con i vertici delle altre istituzioni dell’Unione. “Missione di pace 3.0. Pechino“, annuncia così il premier ungherese con un post su X il suo terzo viaggio nel giro di pochi giorni, anche questo “a sorpresa” e senza la minima consultazione con i presidenti di Commissione e Consiglio Europeo.Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor Orbán, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca il 5 luglio 2024 (credits: Alexander Nemenov / Afp)“La Cina è una potenza chiave nel creare le condizioni per la pace nella guerra tra Russia e Ucraina“, rivendica ancora il presidente di turno del Consiglio dell’Ue, che nella sua nuova (ma temporanea) veste istituzionale sta creando non poco scompiglio a Bruxelles. Perché fino al 31 dicembre Orbán non è solo il solito primo ministro più controverso al tavolo dei Ventisette, ma è anche al vertice dell’organo che rappresenta tutti i governi nazionali e che detiene (insieme al Parlamento Europeo) il potere legislativo. Ogni sua parola dovrà sempre essere misurata con il bilancino, per capire dove finisce il suo essere premier provocatore e dove inizia la sua sfida aperta all’unità dell’Unione nei rapporti con i Paesi terzi. Così come successo la scorsa settimana a Kiev e Mosca, oggi (8 luglio) a Pechino Orbán arriva senza un mandato dei capi di Stato e di governo dei Paesi membri o delle altre istituzioni Ue. Ma ciò che sta provocando forte irritazione a Bruxelles e nelle capitali è sia la scelta degli interlocutori – già a maggio aveva steso il tappeto rosso a Budapest per il leader cinese, Xi Jinping, e nell’ottobre 2023 a Pechino aveva stretto la mano dell’autocrate russo, Vladimir Putin – sia l’intenzione ormai piuttosto chiara di raggirare i partner interni all’Unione sfruttando l’esposizione istituzionale garantitagli da questi sei mesi alla guida del Consiglio dell’Ue.Da sinistra: il presidente della Cina, Xi Jinping, e il primo ministro dell’Ungheria e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor Orbán, a Budapest il 9 maggio 2024 (credits: Szilard Koszticsak / Pool / Afp)In attesa delle nuove reazioni da Bruxelles all’ennesimo viaggio tenuto nascosto ai partner Ue (la destinazione si è saputa solo ieri attraverso il monitoraggio della rotta del suo aereo di Stato), valgono le parole dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in occasione della visita a Mosca di venerdì scorso (5 luglio): “Non comporta alcuna rappresentanza esterna dell’Unione, che spetta al presidente del Consiglio Europeo a livello di capo di Stato o di governo e all’alto rappresentante a livello ministeriale”. Eppure Orbán sembra sempre più una scheggia impazzita e dal Parlamento Europeo si alzano nuovamente voci di richiesta di attivazione della procedura secondo l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, ovvero il meccanismo che permette di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” dei principi fondanti dell’Unione da parte di un Paese membro. Al momento è “seriamente” in dubbio solo la tradizionale visita della Commissione Europea alla presidenza di turno, in programma a Budapest “subito dopo la pausa estiva”, ha spiegato il portavoce dell’esecutivo Ue, Eric Mamer.Da sinistra: la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, e il primo ministro e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor OrbánC’è poi da ricordare che oltre alla sua “missione di pace” – che a Bruxelles viene piuttosto definita “appeasement” verso Putin – questo fine settimana è stata causa di grossa tensione la partecipazione di Orbán al vertice informale dell’Organizzazione degli Stati Turchi sabato (6 luglio) a Şuşa, in Azerbaigian. “L’Ungheria non ha ricevuto alcun mandato dal Consiglio dell’Ue per portare avanti le relazioni”, ha dovuto precisare di nuovo l’alto rappresentante Ue a seguito delle polemiche legate al fatto che il premier ungherese era seduto allo stesso tavolo dei rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord. “L’Unione Europea respinge i tentativi dell’Organizzazione degli Stati turchi di legittimare l’entità secessionista turco-cipriota”, ha messo in chiaro Borrell a proposito della controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, con la sola Turchia che riconosce l’indipendenza dei secessionisti del nord (i negoziati sono congelati dal 2017). La questione ha creato già una prima crepa nel fronte delle destre europee, alla vigilia della formazione ufficiale del gruppo Patrioti per l’Europa al Parlamento Ue: “Patriottismo significa difendere le nazioni europee, non sostenere le occupazioni illegali“, ha attaccato Orbán il co-presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), Nicola Procaccini, eurodeputati di Fratelli d’Italia.

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    L’Ue ha tagliato di due terzi le importazioni di gas dalla Russia. Attesa “l’ondata” globale di Gnl

    Bruxelles – Due inverni di guerra russa in Ucraina e anche l’Unione Europea deve fare un bilancio. A partire dal piano energetico. “Il 31 marzo, quando si è conclusa la stagione di riscaldamento invernale, i nostri stoccaggi di gas erano pieni per oltre il 58 per cento, si tratta del livello più alto mai registrato in questo periodo dell’anno”, ha reso noto oggi (12 aprile) la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, in una dichiarazione che traccia le direttrici della “maggiore sicurezza e solidarietà energetica e un mix energetico più pulito”, in particolare sul fronte del crollo delle importazioni di gas dalla Russia.

    La commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson“Questi elevati livelli di stoccaggio sono il risultato della nostra efficace diversificazione delle forniture energetiche, degli sforzi dei cittadini e delle imprese per ridurre la domanda di gas e dei nostri investimenti nelle energie rinnovabili“, ha ricordato i tre pilastri del piano RePowerEu la commissaria Simson, rilanciando l’impegno per il presente e prossimo futuro: “Garantire la sicurezza energetica e la competitività dell’Europa, abbassare i prezzi e promuovere la transizione verso l’energia pulita restano una priorità assoluta”. Perché ora l’obiettivo immediato è riportare il livello di riempimento degli stoccaggi al 90 per cento entro il prossimo primo novembre, ma l’elevato livello da cui si parte “significa che i mercati sono sempre più stabili, i prezzi sono tornati ai livelli di prima della guerra e l’Europa può iniziare a rifornirsi con fiducia” in vista del prossimo inverno.Ed è proprio ai luoghi di rifornimento di gas che bisogna guardare per capire il “successo con cui abbiamo gestito la crisi energetica”. Come rende noto la stessa Commissione Ue, la quota delle importazioni di gas russo in Europa è scesa dal 45 per cento nel 2021 al 24 per cento nel 2022, fino a crollare al 15 per cento nel 2023. “Questa tendenza al ribasso deve continuare”, mette in chiaro il gabinetto von der Leyen. A prendere il primo posto come maggior esportatore verso l’Ue dal 2022 è stata la Norvegia (salita fino al 30 per cento lo scorso anno), seguita dagli Stati Uniti (al 19 per cento), mentre i Paesi del Nord Africa stanno per superare la Russia (14 per cento). La diversificazione delle fonti di approvvigionamento non avrebbe però potuto risolvere da sola la crisi energetica, se i cittadini non avessero ridotto la domanda di gas di quasi il 20 per cento, “che ci ha permesso di risparmiare più di 107 miliardi di metri cubi di gas negli ultimi 18 mesi”. E nel frattempo l’aumento della quota di energie rinnovabili nel mix energetico ha permesso di sostituire l’equivalente di 24 miliardi di metri cubi di gas russo negli ultimi due anni.

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), Fatih Birol“L’Europa ha finalmente allentato la presa che la Russia aveva sul suo settore energetico e ha ripreso in mano il proprio destino energetico”, esulta la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in un op-ed congiunto con il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), Fatih Birol, pubblicato questa mattina. Nonostante l’obiettivo sia sempre quello di “ridurre i consumi in linea con i nostri obiettivi climatici”, la numero uno del Berlaymont punta ancora l’attenzione sui mercati del gas, “perché ora ci stiamo dirigendo verso un’altra serie di problemi e sfide”. Più nello specifico si prevede nella seconda metà del decennio “una grande ondata di nuovi progetti di esportazione di gas naturale liquefatto, soprattutto dagli Stati Uniti e dal Qatar”, che aumenteranno “l’offerta globale di Gnl del 50 per cento”. Ecco perché “stiamo passando da un mondo di carenza di gas al contrario, un mondo in cui potremmo presto vederne in abbondanza”, con possibili effetti di “riduzione significativa” dei prezzi del gas.Senza dimenticare però che “siamo in una situazione di emergenza climatica” e un gas più economico “non solleva l’Europa e le altre grandi economie dalla responsabilità di raggiungere al più presto le emissioni nette zero e di aiutare altri Paesi a fare lo stesso”, ricordano von der Leyen e Birol. In altre parole è necessario “insistere su emissioni di metano prossime allo zero sul gas che continuiamo a usare”, ma anche aumentare “drasticamente” energie e gas rinnovabili, efficienza energetica, idrogeno pulito e le altre tecnologie energetiche a emissioni zero. Come dimostrato dai dialoghi sulla transizione pulita organizzati dalla Commissione da ottobre dello scorso anno – i cui primi risultati sono stati presentati mercoledì (10 aprile) – le istituzioni Ue sono anche impegnate nel “lavorare fianco a fianco con l’industria e sostenerla” per costruire un modello di business adatto a un’economia decarbonizzata. Perché se i Ventisette sono usciti “rafforzati” dagli inverni passati, non bisogna dimenticare che la sfida per mettere a terra “soluzioni durature ai nostri dilemmi energetici” è appena iniziata.

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    La premier estone Kallas nella lista dei ricercati del Cremlino. Per l’Ue è “una medaglia al valore”

    Bruxelles – Una “medaglia al valore” per il supporto “inflessibile” in difesa dei “principi su cui è stata fondata l’Unione Europea”. Riassume così la solidarietà dell’Unione verso la prima ministra estone, Kaja Kallas, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, dopo la notizia arrivata in giornata (13 dicembre) sull’inserimento della leader del Paese baltico nella lista dei ricercati internazionali della Russia. “Non ci faremo intimidire dai guerrafondai del Cremlino”, ha messo in chiaro Michel a nome dei Ventisette.

    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la prima ministra dell’Estonia, Kaja KallasÈ la prima volta che un capo di Stato o di governo viene inserito nella black list dei ricercati internazionali della Russia. Decisione motivata dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, per gli “atti ostili contro la nostra memoria storica”, vale a dire per la distruzione di monumenti dedicati alla ai soldati sovietici dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Dal 24 febbraio 2022 Kallas si è ritagliata un ruolo di irreprensibile leader al fianco di Kiev – tra i più decisi al tavolo dei 27 leader Ue – e potrebbe essere in lizza per succedere al norvegese Jens Stoltenberg come nuova segretaria generale della Nato. Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, la premier dell’Estonia (supportata nelle sue azioni dalla conferma alle urne lo scorso anno) ha ordinato la rimozione di centinaia di monumenti di epoca sovietica costruiti fino alla dichiarazione d’indipendenza del Paese nel 1991.“La mossa della Russia non sorprende, questa è l’ennesima prova che sto facendo la cosa giusta: il forte sostegno dell’Ue all’Ucraina è un successo e danneggia la Russia“, ha commentato la stessa premier Kallas in un post su X (subito ricondiviso dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen). “Nel corso della storia la Russia ha nascosto le sue repressioni dietro le cosiddette forze dell’ordine, lo so dalla storia della mia famiglia”, ha continuato la premier estone, facendo riferimento al mandato di arresto del Kgb per la deportazione della nonna e della madre in Siberia ai tempi dell’Unione Sovietica: “Il Cremlino spera ora che questa mossa serva a mettere a tacere me e altri, ma non sarà così, al contrario continuerò a sostenere con forza l’Ucraina” e “l’aumento della difesa dell’Europa”.

    La prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas (credits: Raigo Pajula / Afp)Parole di solidarietà sono arrivate anche da Madrid: “La mossa di Putin è un’altra prova del tuo coraggio e della leadership dell’Estonia nella difesa della democrazia e della libertà”, si è schierato al fianco di Kallas il premier spagnolo, Padro Sánchez. Così come l’ex-premier del Belgio (tra il 1999 e il 2008), Guy Verhofstadt: “Come persona inserita nella lista nera della Russia dal 2015, benvenuta Kaja Kallas, è un onore essere riconosciuto come un fermo oppositore dello Stato terrorista russo”, ha commentato sarcasticamente l’eurodeputato liberale, sottolineando però con forza che “inserire un leader dell’Ue in carica su una lista di ricercati deve tradursi in sanzioni Ue più severe e in passi reali verso un’Unione di difesa”.Messaggio simile a quello espresso anche dal partito europeo Alde – a cui aderisce il Partito Riformatore Estone di Kallas – che ribadisce come “i liberali non si tireranno indietro” nella lotta “per la libertà in Europa”. Facendo riferimento al post della leader di Tallin, l’eurodeputato di Italia Viva e vicepresidente del gruppo di Renew Europe al Parlamento Ue, Nicola Danti, ha messo in chiaro che “le sue parole sono le parole di tutti noi” e che “Kallas è una donna coraggiosa, una vera europeista e un riferimento” per il gruppo liberale a Bruxelles.

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    “Il mostro creato da Putin gli si è rivoltato contro”. L’Ue studia le conseguenze della crisi tra il Cremlino e la Wagner

    Bruxelles – Nessuno si sbilancia, nonostante ormai siano passati due giorni dalla fine del possibile colpo di Stato in Russia. Perché per le istituzioni comunitarie l’azione dell’entità militare privata Wagner e del suo leader Yevgeny Prigozhin e la risposta del Cremlino rimangono sempre “un affare interno della Russia”, in cui nessuno vuole entrare. Lo hanno dichiarato tutti oggi (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, a partire dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Stiamo seguendo da vicino quello che succede, il mostro creato da Vladimir Putin con la guerra in Ucraina sta agendo contro il suo creatore“.
    Da sinistra: l’autocrate russo, Vladimir Putin, e il leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin (credits: Alexey Druxhinin / Sputnik / Afp)
    Questo è quanto dalle istituzioni comunitarie, per trovare altre reazioni di rilievo dalle capitali dell’Unione bisogna scavare nei dettagli delle dichiarazioni rilasciate a margine del Consiglio Affari Esteri. “Abbiamo notato un cambiamento e che sono apparse crepe nel sistema russo“, è stato il massimo dell’apertura da parte del ministro degli Affari esteri italiano, Antonio Tajani, che per il resto si è mantenuto cauto dietro a un ripetuto “non tocca a noi interferire nella situazione interna alla Russia“. Oppure il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Tobias Billström, che – barricandosi dietro a uno sterile “dobbiamo guardare la vicenda come un affare interno russo” – si è lasciato sfuggire quanto i Paesi vicini alla Russia e all’Ucraina avvertono da venerdì sera (23 giugno): “Quello che succede a Mosca ha un impatto sull’ambiente di sicurezza circostante“. Lo stesso ministro ha messo in chiaro che “non siamo in posizione per fare profonde analisi, serve ancora più lavoro”, ma che in ogni caso “tutti dobbiamo preoccuparci quando si parla della Wagner” e che “evidentemente Putin sta perdendo la guerra, non sta andando nella direzione che vorrebbe”. Parole simili a quelle dell’omologo italiano: “Certamente l’assenza di Wagner non rafforza l’armata russa“, ha aggiunto Tajani.
    Il quartier generale del gruppo Wagner a San Pietroburgo, Russia (credits: Olga Maltseva / Afp)
    A parlare in maniera più esplicita è però l’alto rappresentante Ue Borrell, in particolare al termine del confronto con i 27 ministri. “Insurrezione armata abortita, questo è il modo migliore per riferirsi agli eventi di questo fine settimana caratterizzati dalle azioni del gruppo Wagner”, in una situazione che ora “rimane complessa e difficilmente prevedibile”. Ciò che è chiaro è che il tentativo di colpo di Stato tra venerdì e sabato scorso ha mostrato la “fragilità anche del potere militare russo, l’Ucraina lo sta spezzando” e che “la credibilità di Putin è indebolita”. Il vero problema è che se “prima la Russia era una minaccia perché era forte, ora lo è perché potrebbe essere entrata in un’era di instabilità politica“. Instabilità interna e fragilità che preoccupano non poco l’Unione, dal momento in cui la Russia rimane “una grande potenza nucleare”. In ogni caso non è ancora possibile fornire analisi e previsioni degli scenari in caso la situazione a Mosca dovesse sfuggire dal controllo di Putin e della sua cerchia di oligarchi: “Non abbiamo dato scuse all’opinione pubblica russa per dire che siamo coinvolti, a dire la verità siamo sorpresi e gli scenari non si tratteggiano in sole 24 ore”, ha aggiunto Borrell. Per quanto riguarda la presenza di Prigozhin in Bielorussia e l’eventualità che il gruppo armato Wagner si sposti a Minsk, l’Alto rappresentante ha spiegato che “non abbiamo ancora preso in considerazione questo aspetto”.
    Il gruppo Wagner in Russia
    La Wagner è un gruppo paramilitare strettamente legato all’establishment politico e militare russo, soprattutto a livello personale tra l’autocrate Putin e il fondatore della milizia privata Prigozhin. Il nucleo originario – le cui origini risalgono al 2011 – è di circa 10 mila mercenari (tra ex-militari e agenti di sicurezza russi e di altri Paesi come la Serbia), ma nel corso del 2022 il numero complessivo è aumentato a diverse decine di migliaia, dopo la vasta campagna di reclutamento consentita dal Cremlino anche nelle carceri russe. Teoricamente in Russia gli eserciti di mercenari sarebbero illegali, ma proprio lo scorso anno il gruppo Wagner si è registrato come società con sede a San Pietroburgo. Le prime azioni militari sono state registrate in Crimea nel 2014, quando la Wagner affiancò l’esercito russo per conquistare il controllo della penisola. I mercenari si spostarono poi a Luhansk insieme ai separatisti filo-russi, fino all’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022: quest’anno si sono ritagliati un ruolo cruciale nella battaglia di Bakhmut (nell’Ucraina orientale), mantenendo quasi da soli la potenza di fuoco russa opposta a quella ucraina.
    Tuttavia proprio la battaglia di Bakhmut – con la strategia di logoramento messa in piedi appositamente da Kiev – ha fatto emergere Prigozhin come soggetto problematico per la presunta unità delle fila russe. Prima ha annunciato a maggio l’intenzione di voler ritirare le proprie truppe dalla città, poi ha accusato il governo russo (e in particolare il ministero della Difesa) di non fare abbastanza per sostenere le forze paramilitari. Dopo un’escalation di accuse, venerdì scorso ha attaccato senza mezzi termini tutta la macchina di propaganda della Russia e ha iniziato l’insurrezione nella notte tra venerdì e sabato. Dopo aver preso la città di Rostov e aver iniziato a marciare su Mosca, nel pomeriggio di sabato è arrivato l’annuncio dello stop alla “marcia della giustizia” per “non versare inutilmente sangue russo”. Lo stesso Prigozhin ha confermato di aver accettato il compromesso avanzato dall’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, secondo cui tutti gli insorti riceveranno l’amnistia, i mercenari che non hanno partecipato alla sollevazione potranno integrarsi nell’esercito regolare e lo stesso leader del gruppo Wagner si sarebbe recato a Minsk.
    I mercenari della Wagner sono stati impegnati in Siria a partire dal 2017 nella guerra civile al fianco di Bashar al Assad, ed è nota la presenza in diversi Paesi africani (si sospetta anche nel Sudan recentemente travolto dalla guerra civile). Dall’ottobre 2020 Prigozhin è colpito dalle sanzioni dell’Unione Europea per l’avvelenamento di Alexei Navalny (uno dei principali oppositori di Putin), mentre le misure restrittive contro il gruppo Wagner sono state imposte pochi mesi prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Gli individui colpiti sono coinvolti in “gravi abusi dei diritti umani, tra cui tortura, esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, o in attività destabilizzanti” fuori dalla Russia: “Wagner ha reclutato, addestrato e inviato operatori militari privati in zone di conflitto in tutto il mondo“, dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina alla Repubblica Centrafricana, “per alimentare la violenza, saccheggiare risorse naturali e intimidire i civili in violazione del diritto internazionale”.

    Al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha aggiornato i 27 ministri sul tentato colpo di Stato da parte della milizia privata di Yevgeny Prigozhin e il ruolo della Bielorussia: “Mosca potrebbe essere entrata in un’era di instabilità politica”

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    L’Ue ha adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. C’è lo strumento anti-elusione e nuovi divieti

    Bruxelles – E sono undici. Dal Consiglio dell’Ue è arrivato questa mattina (23 giugno) il via libera all’adozione del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, il secondo introdotto dall’inizio dell’anno, l’undicesimo dall’inizio della guerra d’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022. Una media di una tornata di misure restrittive ogni 44 giorni, che nel suo ultimo aggiornamento si è concentrata sulla prevenzione e il contrasto dell’elusione delle misure restrittive già introdotte nei precedenti dieci pacchetti. “Massimizzeremo la pressione sulla Russia privandola ulteriormente delle risorse di cui ha disperatamente bisogno per proseguire la sua guerra illegale contro l’Ucraina”, ha promesso l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Considerato il fatto che “le nostre sanzioni stanno già avendo un forte impatto sull’economia russa e sulla capacità del Cremlino di finanziare le sue aggressioni”, l’undicesimo pacchetto “aumenta la nostra pressione sulla Russia e sulla macchina da guerra di Putin“, grazie a una serie di misure restrittive proposte dalla Commissione Ue lo scorso 5 maggio e dopo poco più di un mese approvate dagli ambasciatori dei 27 Paesi membri riuniti al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti). L’elemento di vera novità è il contrasto all’elusione di quanto già previsto finora, attraverso un nuovo strumento anti-elusione che sarà attivato solo in caso di fallimento del rafforzamento della cooperazione con i Paesi terzi. In questo scenario – non auspicato da Bruxelles – si metterà in moto un processo in due fasi, ovvero una “azione rapida, proporzionata e mirata“, finalizzata “esclusivamente a privare la Russia delle risorse” bandite da Bruxelles. Prima l’Unione si impegnerà in un ulteriore “dialogo costruttivo con il Paese terzo in questione” e nel caso in cui l’elusione rimanga comunque “sostanziale e sistemica”, l’Ue avrà la possibilità di adottare “misure eccezionali di ultima istanza“. In altre parole, il Consiglio potrà decidere all’unanimità di limitare la vendita, la fornitura, il trasferimento o l’esportazione di beni e tecnologie la cui esportazione verso la Russia è già vietata – “in particolare prodotti e tecnologie per il campo di battaglia” – a Paesi terzi la cui giurisdizione è dimostrata essere “a rischio continuo e particolarmente elevato“.
    Nell’undicesimo pacchetto rientra comunque anche il lavoro per aumentare la pressione sull’economia russa. In particolare viene aggiornato l’elenco delle entità soggette a restrizioni più severe sulle esportazioni di beni e tecnologie a duplice uso. Tra le 87 nuove entità, ce ne sono anche quattro iraniane che producono droni e li vendono al Cremlino, ma anche altre coinvolte nell’elusione delle restrizioni commerciali e registrate in Cina, Uzbekistan, Emirati Arabi Uniti, Iran, Siria e Armenia. Anche un altro elenco Ue è stato aggiornato nella nuova tornata di sanzioni, ovvero quello dei prodotti che potrebbero contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza della Russia: ora ne fanno parte 15 di nuovi, tra cui componenti elettronici, materiali per semiconduttori, attrezzature per la produzione e il collaudo di circuiti elettronici integrati e schede a circuito stampato, precursori di materiali energetici e di armi chimiche, componenti ottici, strumenti di navigazione, metalli utilizzati nel settore della difesa e attrezzature marine. Anche attraverso il dialogo sempre più stretto con la Svizzera come Paese partner, Bruxelles ha deciso di inasprire le restrizioni sulle importazioni di prodotti siderurgici e di vietare l’esportazione di auto elettriche e ibride di lusso (cilindrata maggiore di 1.900 cm³).
    Di grande importanza per l’Unione anche la lista delle persone ed entità soggette al congelamento dei beni e al divieto di viaggio sul territorio dell’Unione, che ora conta più di 1.500 nomi. Con il nuovo pacchetto sono stati aggiunti 100 nuovi soggetti, tra cui alti ufficiali militari, responsabili della deportazione illegale di bambini e del saccheggio del patrimonio culturale ucraino, uomini d’affari, giudici e banche che operano nei territori occupati, aziende informatiche che forniscono tecnologia, software critici all’intelligence e propagandisti. A questo proposito, “per far fronte alla sistematica campagna internazionale di manipolazione dei media e di distorsione dei fatti”, è stato estesa la sospensione delle licenze di trasmissione ad altri cinque media (oltre a quelli già inseriti, Sputnik, Russia Today, Rossiya RTR / RTR Planeta, Rossiya 24 / Russia 24, TV Centre International, NTV / NTV Mir, Rossiya 1, REN TV e Pervyi Kanal). Si tratta di RT Balkan, Oriental Review, Tsargrad, New Eastern Outlook e Katehon, tutte emittenti “sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, della leadership della Federazione Russa” e che preoccupano anche in vista delle elezioni europee del 2024: “La propaganda ha ripetutamente e costantemente preso di mira i partiti politici europei, soprattutto durante i periodi elettorali”.
    C’è infine la questione dei trasporti e dell’energia. In primis è stato esteso il divieto di trasportare merci nell’Ue su strada ai rimorchi e ai semirimorchi immatricolati in Russia, anche se trasportati da autocarri immatricolati fuori dalla Russia. Inoltre – considerato il “forte aumento di pratiche ingannevoli da parte di navi che trasportano greggio e prodotti petroliferi” – il Consiglio ha deciso anche di vietare l’accesso ai porti e alle chiuse dell’Ue a “tutte le navi che effettuano trasferimenti da nave a nave”, se le autorità competenti hanno “ragionevoli motivi” per sospettare che la nave stia violando il divieto di importare greggio e prodotti petroliferi russi o stia trasportando prodotti russi acquistati al di sopra del massimale di prezzo concordato dalla Price Cap Coalition. Sull’energia spicca lo stop definitivo alla deroga temporanea concessa a Germania e Polonia per la fornitura di petrolio greggio dalla Russia attraverso la sezione settentrionale dell’oleodotto Druzhba, mentre quello proveniente “dal Kazakistan o da un altro Paese terzo” potrà continuare a transitare per la Russia. Sarà estesa invece fino al 31 marzo 2024 l’estensione dell’eccezione al tetto del prezzo del petrolio di Sakhalin per il Giappone.

    Il Consiglio dell’Ue ha approvato l’adozione della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca, il cui punto saliente è l’introduzione di “misure eccezionali di ultima istanza” nel caso in cui le merci il cui export è vietato passano da Paesi terzi e poi finiscono sul territorio russo

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    I diamanti tornano al centro del dibattito Ue sulle sanzioni contro la Russia. Si ragiona su un sistema di tracciabilità

    Bruxelles – È passato quasi un anno dalla prima volta che la questione dei diamanti russi si è affacciata nel dibattito pubblico europeo a proposito delle sanzioni internazionali contro la Russia, ma da allora questo commercio globale che solo nel 2021 ha portato nelle casse di Mosca circa 4,5 miliardi di euro non è mai entrato in nessuno dei dieci pacchetti di misure restrittive già messi a terra dall’Unione. Si tratta di uno dei punti più critici dei rapporti tra l’Ue e la Russia, in particolare per uno Stato membro (e una sua città) che della lavorazione dei diamanti ha fatto il punto di forza della propria economia. Il Belgio e il porto di Anversa.
    Nonostante tutte le resistenze e le attività di lobby che hanno permesso all’industria belga della lavorazione dei diamanti di non essere coinvolte nei tagli alla macchina di finanziamento indiretto della guerra russa in Ucraina, nel pieno delle discussioni tra i 27 ambasciatori Ue sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino la questione è riemersa con più vigore. Tanto che diverse fonti riferiscono a Eunews una spinta convergente da Bruxelles e Hiroshima (dove è in corso il vertice dei leader del G7) sulla limitazione a questo commercio. Come si legge nella dichiarazione del Gruppo dei Sette sull’Ucraina – in linea con le anticipazioni della vigilia da funzionari europei – “al fine di ridurre le entrate che la Russia ricava dall’esportazione di diamanti, continueremo a collaborare strettamente per limitare il commercio e l’uso di diamanti estratti, lavorati o prodotti in Russia“. La precisazione è un impegno “con i principali partner al fine di garantire l’effettiva attuazione di future misure restrittive coordinate, anche attraverso tecnologie di tracciamento“.
    È proprio sulla questione del tracciamento che l’attenzione ritorna a Bruxelles. Fonti diplomatiche precisano che non ci sarà l’embargo in questa tornata di misure restrittive, ma che Belgio e Commissione Europea stanno mettendo a punto un sistema di tracciabilità, che dovrebbe rendere la misura più efficace rispetto a un semplice divieto di esportazione “difficile da attuare”. In ogni caso questo lavoro richiederà altro tempo per la definizione dei dettagli e della messa a terra e perciò non è atteso all’interno dell’undicesimo pacchetto. Altre fonti però invitano a prestare attenzione alle discussioni tra i leader del G7 e in particolare a quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Nel corso di un punto con la stampa a poche ore dall’inizio della riunione, il numero uno del Consiglio ha sottolineato che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre e spiegheremo apertamente perché queste sanzioni sono necessarie e giustificate”. Ricordando che “non posso parlare a nome del governo belga”, proprio Michel (ex-premier del Paese) ha fatto notare che “sui diamanti c’è una discussione qui al G7 e una in parallelo sulle sanzioni a Bruxelles, faremo in modo che ci sia coerenza tra la dichiarazione e quello che stiamo facendo a livello europeo“.
    Un anno di dibattito su diamanti e sanzioni
    La questione dei diamanti era entrata per la prima volta nelle discussioni tra gli ambasciatori al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) nel luglio dello scorso anno, in occasione del settimo pacchetto di sanzioni definito di maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento). Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue del 21 luglio era stato deciso di includere anche i gioielli nel divieto di acquistare, importare o trasferire l’oro russo (anche se esportato in un Paese terzo), ma era rimasto fuori il commercio di diamanti, dal momento in cui nella richiesta di allineamento dei leader del G7 in Germania questa azione non era prevista.
    (credits: Alexander Nemenov / Afp)
    Di fronte alla pressione crescente nei mesi successivi a causa dell’escalation della guerra in Ucraina, nelle trattative per l’ottavo pacchetto di sanzioni la proposta della Commissione Ue di un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia è arrivata a un passo dal via libera da tutti i Paesi membri Ue, prima di essere bloccata da un colpo di coda in extremis. A spingere per l’esclusione del gigante russo dell’estrazione Alrosa dalla lista delle entità colpite era stata l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che aveva denunciato il rischio di disoccupazione per oltre 10 mila lavoratori nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di diamanti. Si è trattata di una vera e propria concessione alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno influenzato la posizione del governo belga per prendere a picconate la proposta del gabinetto von der Leyen.
    Nel corso delle trattative tra gli ambasciatori anche per l’approvazione dei due pacchetti successivi di misure restrittive è passata la linea morbida del Belgio per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti, facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro dell’ottobre 2022 aveva segnato una sconfitta per Baltici e Polonia, che hanno sempre appoggiato un embargo totale sui diamanti (non-industriali). Ma, come avevano riferito al tempo fonti diplomatiche a Eunews, gli altri Paesi membri non avevano levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, pari al 30 per cento in tutto il mondo.

    Da Hiroshima, dove il vertice G7 ha avallato il dossier, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha messo in chiaro che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre”. Fonti precisano a Eunews che non ci sarà l’embargo nell’undicesimo pacchetto

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    Bruxelles avverte la Georgia sull’allineamento alle sanzioni internazionali sul transito aereo dalla Russia

    Bruxelles – Un richiamo a rispettare i principi e doveri della Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue per i Paesi che aspirano ad aderire all’Unione, un’esortazione a chiudere le porte a qualsiasi forma di elusione delle sanzioni internazionali e a mezzi “ormai non a norma di sicurezza”. Da Bruxelles arrivano pressanti richieste alla Georgia, Paese aspirante candidato all’adesione Ue dal 4 marzo 2022, ad allinearsi al regime di misure restrittive contro la Russia anche sul livello dell’aviazione civile, in risposta alla decisione di Mosca di eliminare il divieto di volo verso la Georgia.
    Scritte contro la Russia durante le proteste a Tbilisi del 7 marzo 2023
    L’appello è arrivato oggi (11 maggio) dal portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo alle domande della stampa a proposito della notizia sulla decisione delle autorità russe di togliere il divieto tra i due Paesi. “Ne prendiamo atto”, ha commentato seccamente il portavoce, approfittando però dell’occasione per richiamare all’ordine i partner georgiani sullo stesso tema, ma da un’angolatura differente: “Dobbiamo ricordare che a causa delle guerra illegale di aggressione della Russia in Ucraina, l’Ue e i partner internazionali hanno introdotto sanzioni contro il settore dell’aviazione russa e non permettiamo voli da, per e sulla Russia“. La questione non riguarda solo i Ventisette, ma anche e soprattutto i Paesi candidati all’adesione Ue (come la Serbia, unico Paese europeo che autorizza la sua compagnia di bandiera Air Serbia a volare sulle città russe) e aspiranti tali: “L’Ue incoraggia la Georgia ad allinearsi alle sanzioni esistenti contro la Russia, bisogna rimanere vigili rispetto a qualsiasi possibile tentativo di aggirarle“, ha incalzato Stano.
    C’è poi anche una questione di sicurezza che si solleva sul sorvolo di velivoli russi nei cieli dei Paesi partner dell’Unione. Come evidenziato anche dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao) esistono “significativi rischi” che un Paese come la Georgia potrebbe correre se autorizzasse “mezzi ormai non a norma di sicurezza”. È qui che si inserisce la questione più volte rimarcata dalla Commissione Europea sull’impatto delle sanzioni internazionali sull’economia e l’industria di Mosca: “La Russia non è in grado di aggiornare il 95 per cento dei mezzi della propria flotta aerea“. O, in altre parole, il Paese non riesce a “mantere il livello sufficiente di standard di sicurezza” nel settore dell’aviazione civile.
    La situazione politica in Georgia
    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro il progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). L’ultima notizia è il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per le politiche contestate da tutta l’Unione e per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest).
    Due mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente del Paese, Salomé Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.
    In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti. Nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. Ecco perché anche la questione dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia nel settore dell’aviazione civile da parte di Tbilisi viene considerato essenziale da Bruxelles per tagliare ogni rapporto equivoco con il Cremlino e per proseguire con decisione sulla strada della candidatura per l’adesione all’Unione Europea.

    In qualità di Paese che aspira a diventare candidato all’adesione all’Unione, Tbilisi è chiamata a impedire “qualunque tentativo di elusione” anche nel settore dell’aeronautica civile. A causa delle misure restrittive Mosca non è in grado di aggiornare “il 95% della propria flotta”

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    Tre pilastri per un unico obiettivo nell’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia: evitarne l’elusione da Paesi terzi

    Bruxelles – Se i portavoce della Commissione Europea solo ieri (8 maggio) preferivano non sbilanciarsi troppo sul contenuto dell’undicesimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, oggi si capisce il perché. A fornire i primi dettagli della proposta dell’esecutivo comunitario che sono ora sul tavolo del Consiglio dell’Ue è stata la stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel corso della sua visita al numero uno ucraino, Volodymyr Zelensky, a Kiev nella Giornata dell’Europa. “Permettetemi di approfondire brevemente tre elementi di questo pacchetto”, ha annunciato in conferenza stampa von der Leyen, parlando per la prima volta apertamente della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca a oltre due mesi dall’ultimo pacchetto.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Dopo un mese di lavori “venerdì scorso [5 maggio, ndr] la Commissione ha adottato la sua proposta per l’undicesimo pacchetto di sanzioni”, ha ricordato von der Leyen. Come accennato dai portavoce durante il punto quotidiano con la stampa di 24 ore fa, “questo pacchetto si concentra ora sulla repressione dell’elusione” delle misure restrittive già in vigore, con uno “stretto coordinamento con i nostri partner internazionali, in particolare con il G7”, è quanto puntualizzato dalla leader dell’esecutivo Ue. Sanzioni che, sempre secondo le parole di von der Leyen, “stanno funzionando”, come dimostrato dalle stime che ciclicamente la Commissione tende a ricordare: “Abbiamo ridotto le nostre importazioni dalla Russia di quasi due terzi, privandola così di flussi di reddito cruciali”, ha precisato al fianco del presidente ucraino Zelensky. Dopo dieci tornate “abbiamo già imposto un prezzo pesante al Cremlino” per la sua invasione dell’Ucraina e Bruxelles continuerà a “fare tutto ciò che è in nostro potere per erodere la macchina da guerra di Putin e le sue entrate”.
    È per questo motivo che, prima di andare a colpire nuovi settori dell’economia russa, secondo il gabinetto von der Leyen è necessario azzerare le entrate che ancora sono possibili grazie all’aggiramento delle misure restrittive attraverso Paesi terzi. Per farlo la Commissione ha deciso di fondare la propria strategia su tre fondamenta. “In primo luogo stiamo affinando i nostri strumenti esistenti, con altri prodotti al nostro divieto di transito“, ha spiegato von der Leyen: “Prodotti tecnologici avanzati o parti di aeromobili destinati a Paesi terzi attraverso la Russia non finiranno più nelle mani del Cremlino”. Sarà poi messo in campo un lavoro di contrasto alle “entità ‘ombra’ della Russia e dei Paesi terzi che aggirano intenzionalmente le nostre sanzioni”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Ma è soprattutto la terza parte della strategia a interessare l’opinione pubblica e la diplomazia di tutto il mondo, con reazioni minacciose che arrivano anche dalla Cina. “Di recente abbiamo assistito a una crescita di flussi commerciali molto insoliti tra l’Unione Europea e alcuni Paesi terzi, queste merci finiscono poi in Russia“, è il duro avvertimento di von der Leyen. Per Bruxelles è arrivato il tempo di mettere fine a un commercio quasi di contrabbando e con questa intenzione “stiamo proponendo un nuovo strumento per combattere l’elusione delle sanzioni”. Cosa significa, lo spiega la stessa presidente della Commissione Ue: “Se ci accorgiamo che le merci passano dall’Unione Europea a Paesi terzi e poi finiscono in Russia, potremmo proporre agli Stati membri di sanzionare l’esportazione di queste merci“. Si tratterà comunque di una “risorsa ultima, da usare con cautela”, a seguito di una “analisi dei rischi molto accurata e dopo l’approvazione degli Stati membri dell’Ue”.

    We are proposing an 11th package of sanctions:
    The focus is now on cracking down on circumvention, together with our international partners.
    We are:
    1 – Sharpening our existing tools, adding more products to our transit ban.
    2 – Proposing a new tool to combat sanctions… pic.twitter.com/kWIiQnTBfb
    — European Commission (@EU_Commission) May 9, 2023

    Cosa non c’è nell’undicesimo pacchetto di sanzioni
    Nel discorso di von der Leyen c’è però un grande assente: il nucleare russo. “È un lavoro duro, ma alcuni Paesi membri stanno facendo progressi e potete contare che continueremo a spingere in questo senso“, ha voluto specificare la presidente dell’esecutivo comunitario, rispondendo a una domanda specifica sulla presenza o meno del settore nucleare del Cremlino nel nuovo pacchetto di misure restrittive. Gli umori dei 27 governi sono stati testati dalla Commissione attraverso i cosiddetti ‘confessionali’, colloqui riservati tra l’esecutivo comunitario e ciascun ambasciatore presso l’Ue dei 27 Stati membri per raccogliere considerazioni senza filtri da parte dei governi prima di presentare la proposta di sanzioni. Quanto emerge dalle parole di von der Leyen a Kiev è che l’unità ancora non c’è su questo punto e difficilmente si assisterà a un colpo di scena dell’ultimo momento. Secondo quanto confermano fonti europee, la prima discussione tra gli ambasciatori è in programma domani (10 maggio) al Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper), a cui ne seguirà una seconda venerdì.
    È proprio il presidente ucraino Zelensky a chiedere insistentemente da tempo a Bruxelles di inserire l’industria nucleare russa nelle misure restrittive internazionali, come evidenziato anche nella prima storica visita di persona a Bruxelles lo scorso 9 febbraio. Nel mirino in particolare c’è Rosatom, il colosso di Stato fondato nel 2007 che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi nucleari del Cremlino e che nell’ultimo anno di invasione dell’Ucraina è diventato anche gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia. Le resistenze di parte dei Ventisette alle intenzioni di Bruxelles e Berlino derivano soprattutto dal fatto che l’Unione dipende dalla Russia per le importazioni di uranio, componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime dell’agenzia di approvvigionamento di Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato nell’Ue arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger. “Stiamo lavorando molto intensamente con i nostri Stati membri per diversificare ed essere indipendenti”, è l’ultima promessa di von der Leyen al presidente Zelensky. Con vista già a un possibile dodicesimo pacchetto di sanzioni.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fornito qualche dettaglio sulle nuove misure restrittive. Divieto di transito di prodotti tecnologici avanzati, contrasto alle entità ‘ombra’ e nuovo strumento per sanzionare l’esportazione di merci che finiscono a Mosca