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    Lo sdegno di Bruxelles alle minacce di Trump sulla Nato: “Se gli alleati non si difendono, tutti a rischio”

    Bruxelles – La corsa per le presidenziali degli Stati Uniti ora inizia a preoccupare seriamente Bruxelles, e non solo l’Unione Europea. Con le ultime minacce dell’ex-presidente Donald Trump – in corsa per diventare il candidato repubblicano alle elezioni 2024 per la Casa Bianca – è tutta la Nato a ritrovarsi in un incubo che negli ultimi anni di presidenza democratica di Joe Biden sembrava essere ormai alle spalle. “Qualsiasi indicazione che gli alleati non si difenderanno a vicenda mina tutta la nostra sicurezza, compresa quella degli Stati Uniti, e mette i soldati americani ed europei a maggior rischio”, ha denunciato il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, rispondendo alle minacce di Trump secondo cui Washington non dovrebbe difendere da un’aggressione russa gli alleati che non spendono abbastanza per la difesa.

    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’ex-presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (14 novembre 2019)Il punto di rottura si è registrato sabato (10 febbraio), quando nel corso di un comizio in South Carolina Trump ha usato parole durissime contro gli altri 30 alleati della Nato, ricordando i suoi anni da presidente degli Stati Uniti: “Uno dei leader di un grosso Paese ha chiesto ‘Se non paghiamo e veniamo attaccati dalla Russia, ci proteggerete?’, e io ho risposto ‘Non avete pagato, non vi proteggeremo. Li incoraggerei [i russi, ndr] a farvi quello che diavolo vogliono”. Una prospettiva inquietante in vista di una eventuale ri-elezione di The Donald alla Casa Bianca e dello scetticismo dilagante dei repubblicani al Congresso nel fornire ulteriore sostegno militare e finanziario a Kiev, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022 e dei rischi di una futura estensione del conflitto in Europa. È per questo che non si sono fatte attendere le reazioni sdegnate non solo di Stoltenberg, ma anche dei leader delle istituzioni comunitarie e dei Paesi membri Ue, a pochi giorni dal vertice dei ministri della Difesa Nato in programma giovedì (15 febbraio) e dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco tra venerdì e domenica (16-18 febbraio) che vedrà questi temi sul tavolo delle discussioni.

    “L’Alleanza transatlantica ha sostenuto la sicurezza e la prosperità di americani, canadesi ed europei per 75 anni, le dichiarazioni avventate sulla sicurezza della Nato e sulla solidarietà dell’articolo 5 servono solo agli interessi di Putin, non portano maggiore sicurezza o pace al mondo”, è quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che invoca allo stesso tempo “la necessità per l’Ue di sviluppare ulteriormente e con urgenza la propria autonomia strategica e di investire nella propria difesa”, mantenendo “forte la nostra Alleanza”. Anche il primo ministro belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Alexander De Croo, ha ribadito che “la nostra più grande risorsa di fronte a Putin è la nostra unità, e l’ultima cosa che dovremmo fare è comprometterla”. Secco il commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a quella che definisce “una sciocca idea” come “tante ne vedremo e sentiremo durante la campagna elettorale” statunitense: “La Nato non può essere un’alleanza militare à la carte, che dipende dall’umore del presidente degli Stati Uniti“, perché “o esiste o non esiste”. Il ministro della Difesa della Polonia, Władysław Kosiniak-Kamysz, ha avvertito che “nessuna campagna elettorale è una scusa per giocare con la sicurezza dell’Alleanza”, mentre il ministero degli Esteri della Germania ha pubblicato su X il motto “uno per tutti e tutti per uno”, ricordando che “la Nato tiene al sicuro più di 950 milioni di persone, da Anchorage a Erzurum”.“Mi aspetto che, indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali, gli Stati Uniti rimarranno un alleato della Nato forte e impegnato“, ha riassunto il segretario generale della Nato Stoltenberg: “Qualsiasi attacco all’Alleanza sarà affrontato con una risposta unita e decisa”. Al centro della questione ci sono due temi: gli investimenti nazionali nella difesa e l’articolo 5 della Nato. Nel 2014 gli alleati hanno concordato l’obiettivo di spendere almeno il 2 per cento del Pil nel settore della difesa e della sicurezza, anche se diversi Paesi membri dell’Alleanza (Italia compresa) non si sono ancora allineati a questo target. L’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico afferma che un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza e che, di conseguenza, ognuno dei 31 Paesi Nato “assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata”. In altre parole si tratta di una clausola di mutua difesa collettiva, che può essere attivata (ma non necessariamente o in modo obbligatorio) nel caso di un’aggressione a un componente della Nato. “Se il mio avversario riuscirà a riconquistare il potere, sta dicendo chiaramente che abbandonerà i nostri alleati in caso di attacco da parte della Russia e permetterà a quest’ultima di ‘fare quello che diavolo vuole’ con loro”, è stato l’affondo dell’attuale presidente Usa e candidato democratico anche per il 2024, Joe Biden.

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    Gentiloni: “2024 bivio nei rapporti UE-Stati Uniti, le elezioni possono incidere sulle relazioni”

    Bruxelles – Il 2024 può produrre un vero e proprio terremoto politico. L’incertezza delle urne, su una sponda dell’Atlantico come sull’altra, può ridefinire gli assetti di Unione europea e Stati Uniti, e inevitabilmente le relazioni tra le due parti. Paoll Gentiloni ne è consapevole e non lo nasconde. Il commissario per l’Economia, nel suo discorso pronunciato all’università di Harvard, lo dice chiaramente: considerando l’appuntamento elettorale UE di inizio giugno e quello degli Stati Uniti di novembre, “l’esito di entrambe le elezioni potrebbe avere gravi conseguenze per le nostre politiche sul clima e le nostre politiche economiche su entrambe le sponde dell’Atlantico”.Da una parte c’è l’Unione europea. Gli interrogativi non mancano, ammette il componente italiano del team von der Leyen, soprattutto su impegni politici rimessi in discussione. “La campagna per le prossime elezioni europee sarà, in una certa misura, anche un referendum sul Green Deal“, come dimostrano le proteste del mondo agricolo e la solidarietà mostrata da certi schieramenti. Gli stessi che potrebbero rimettere tutto in discussione nel corso della prossima legislatura. “L’Europa si sta preparando per le elezioni europee che potrebbero produrre uno spostamento verso gli estremisti, soprattutto a destra, e vedere il centro schiacciato”. Con le ripercussioni del caso. Perché, avverte Gentiloni, “i populisti in tutta Europa sono ancora concentrati sull’immigrazione ma hanno trovato un nuovo grido di battaglia e ora stanno cavalcando un’onda anti-verde”.Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti. Qui la situazione non è molto diversa. Analogamente a dinamiche a dodici stelle, “possiamo aspettarci che la campagna per le prossime elezioni presidenziali americane si basi su due visioni opposte sui meriti della transizione verde“, continua il commissario per l’Economia, preoccupato per le scelte che gli elettori d’oltre oceano prenderanno a novembre. “Le elezioni di novembre sembrano destinate a rappresentare una rivincita tra il presidente Biden e l’ex presidente Trump, vicini di età ma molto distanti su quasi tutto il resto”.Le preoccupazione di Gentiloni sono le stesse dell’intero collegio dei commissari. A Bruxelles si è consapevoli delle possibili ricadute nei rapporti bilaterali in caso di un’affermazione del repubblica Donald Trump, e ci si prepara allo scenario peggiore, quello di un rinnovato braccio di ferro commerciale a colpi di dazi. Un’eventualità che rischia anche di colpire quel Green Deal tanto centrale e che nel Vecchio Continente non si intende rimettere in discussione. “Voglio essere chiarissimo”, scandisce Gentiloni: “Invertire la rotta del Green Deal europeo sarebbe estremamente miope, dal punto di vista ambientale, economico e geopolitico”.In sostanza, sintetizza Gentiloni, “il 2024 è davvero un bivio per l’Europa. Ma il 2024 sarà, ovviamente, un bivio anche per gli Stati Uniti”. Da questo bivio si determinerà il futuro dell’UE, delle sue politiche, e delle sue strategie. In gioco c’è molto, soprattutto la tenuta economica del blocco dei Ventisette: “Guardando al futuro, le sfide stanno diventando chiare: un rallentamento economico, con punti interrogativi che incombono sulla competitività dell’Europa“.

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    “Multilateralismo e cooperazione”, l’UE indirizza il dibattito di Davos

    Bruxelles – Cooperazione e multilateralismo. La risposta a crisi e tensioni è lavoro di squadra, a livello internazionale. Il World Economic Forum di Davos, quest’anno tenuto quasi in sordina per via dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente che continuano con maggiore intensità e ricadute sul dibattito politico, ha visto un’Unione europea ricoprire il ruolo di ‘pacere’ e mediatore in un contesto globale quanto mai incerto.Complice anche un calendario amico, che ha visto un avvicendamento sul podio a fasi alternate, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha potuto trovarsi nella situazione di provare a dettare una linea seguita e inseguita da chi ha parlato dopo di lei. “Questo è il momento di promuovere la collaborazione globale più che mai“, l’appello e l’invito della presidente dell’esecutivo comunitario, che offre sponde: “L’Europa è in una posizione unica per promuovere questa solidarietà e cooperazione globale”.Un intervento che poteva rischiare di andare perso tra le tante sessioni di lavoro di un summit organizzato su più livelli e in più momenti, tutti diversi. Ma l’intervento di von der Leyen è rimasto sospeso solo qualche ora. Perché il giorno successivo è stata il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a rilanciare l’agenda dell’UE, avvertendo di come “le divisioni geopolitiche stanno ostacolando una risposta globale a sfide come il cambiamento climatico e l’intelligenza artificiale”, e che per tutto questo serve un “multilateralismo riformato, inclusivo e interconnesso”.In linea di principio gli appelli a un mondo globale e globalizzato che tale resti è condiviso anche dagli Stati Uniti dell’amministrazione Biden, con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, anch’egli a Davos il giorno successivo alla presenza di von der Leyen, che è stato chiaro sulla necessità di “partenariati e cooperazione globali” per risolvere le nostre sfide più grandi. E’ questa però la visione di un governo uscente, atteso alla prova elettorale di fine anno, che potrebbe ridisegnare agende ed equilibri. L’UE teme un ritorno di Donald Trump alla Casa bianca, per le conseguenze di un simile scenario. Si teme, con Trump, l’esatto contrario di quanto sottolineato e sostenuto, da più parti, a Davos: divisioni al posto di cooperazione.Alle proposte di mediazione e di inter-relazione dell’UE risponde, il quarto giorno di lavori, il vice primo ministro e ministro degli affari esteri dell’Etiopia, Demeke Mekonnen Hassen. C’è per l’Europa, e non solo per il Vecchio continente, tutto il mondo africano interessato all’agenda di cooperazione. A patto che non sia trattato in modo marginale o neo-coloniale. Al contrario, “l‘Africa deve svolgere un ruolo centrale in tutto il mondo per il multilateralismo e nell’arena internazionale sul commercio, sugli investimenti e su altre attività economiche”. Le dinamiche delle relazioni bi-laterali e regionali sarà compito della politica, ma è chiaro, ha voluto sottolineare il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), Ngozi Okonjo-Iweala, che “senza un libero flusso commerciale, non credo che potremo riprenderci” a livello economico. Avanti dunque con il libero scambio e le relazioni internazionali. Anche perché, ha messo in chiaro il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, “dobbiamo evitare una corsa ai sussidi, non possiamo permettercelo”.L’Unione europea a Davos sembra toccato e centrato un punto fondamentale. Ha sicuramente dettato il dibattito organizzato su più giorni. Ora la vera sfida è fare di questa linea dettata a Davos l’agenda politica internazionale dei prossimi mesi.Per quanto riguarda l’UE, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, non ha dubbi: l’Europa deve fare i propri compiti a casa. La responsabile dell’Eurotower è stata tra gli ultimi a intervenire, l’ultimo giorno del summit di Davos. Qui, parlando della prospettiva di un ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti, ha invitato a lavorare fin da ora. “La migliore difesa, se è così che vogliamo vederla, è l’attacco“. Quindi precisa. “Per attaccare bene bisogna essere forti in casa. Essere forti significa avere un mercato forte e profondo, avere un vero mercato unico“.Una delle risposte a un eventuale ritorno di Trump passa per l’integrazione a dodici stelle. Lindner lo ha detto chiaro e tondo. “Il nostro svantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti non sono i sussidi, ma la funzione del nostro mercato dei capitali privati“.

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    L’Ue e lo spettro di un Trump 2.0. Balfour (Carnegie): “Rischio di divisioni ideologiche e tattiche”

    Bruxelles – Nell’anno elettorale in cui si decideranno gli equilibri tra le forze politiche nell’Unione Europea, le istituzioni comunitarie a Bruxelles devono già iniziare a prestare attenzione e considerare le implicazioni di quanto potrebbe succedere Oltreoceano. Perché, in vista delle presidenziali del 5 novembre negli Stati Uniti, le possibilità di Donald Trump di tornare alla Casa Bianca (nonostante ancora non sia ufficialmente il candidato del Partito Repubblicano) preoccupano il presidente uscente. “Nelle istituzioni si stia iniziando a prendere coscienza e si sta consolidando la convinzione che un secondo mandato di Trump non sarà come primo, ma diverso e focalizzato su alcuni obiettivi specifici“, spiega a Eunews la direttrice del think tank Carnegie Europe, Rosa Balfour, tracciando i potenziali rischi per l’Europa.L’ex-presidente degli Stati Uniti, Donald TrumpPrima di tutto Balfour sottolinea con forza la necessità di tenere a mente che – nello scenario di un Trump 2.0 negli Stati Uniti – “non ci sarà l’incertezza del periodo iniziale” del primo mandato nel 2016. Sette anni più tardi attorno a The Donald c’è una classe dirigente “pronta a lavorare nella nuova amministrazione con delle idee” formulate da think tank che sono “piuttosto espliciti, dal commercio internazionale all’Ucraina e la Nato”. Ma tra le questioni più preoccupanti non bisogna dimenticare le implicazioni dell’atteggiamento del nuovo presidente una volta entrato in carica: “Trump sarà molto concentrato sulla vendetta personale, sarà come una caccia alle streghe nei confronti degli oppositori politici degli ultimi anni, democratici ma anche repubblicani, e dei funzionari che hanno impedito il ribaltamento del voto nel 2020″. In altre parole, secondo la direttrice di Carnegie Europe “quella statunitense sarà una democrazia in pericolo, in modo sistematico e serio“.Considerare le implicazioni interne negli Stati Uniti è inevitabile nel ragionamento sulle conseguenze per l’Unione Europea. “Per gli europei significa non poter più fare affidamento sul sistema di controlli e contrappesi americano“, tra cui quegli “adulti nella stanza” che durante la prima amministrazione Trump hanno fatto sparire dalla scrivania dello Studio Ovale i dossier più controversi. Con l’alleato più stretto dell’Ue che si incammina in un “tentativo di distruzione della democrazia”, va considerato che “anche l’agenda di politica estera seguirà questo tracciato“, avverte Balfour. Come l’appartenenza alla Nato. Nonostante sia stato reso quasi impossibile il ritiro unilaterale per decisione presidenziale (serve una supermaggioranza in Senato o un atto del Congresso), è altrettanto vero che “può venir meno ad alcuni impegni e quindi sarebbe come non partecipare”. Allo stesso modo si può considerare la questione ucraina: “Se Trump e Putin si accordano per la pace, negozieranno senza consultare i partner ucraini ed europei“, lasciando non solo libertà di manovra alla Russia per “continuare a destabilizzare ciò che rimane dell’Ucraina”, ma anche indebolendo tutta la politica europea di sostegno all’Ucraina “anche se mantenesse il livello richiesto”, è la previsione della direttrice del think tank.Rosa BalfourLe preoccupazioni riguardo un’eventuale rielezione dell’ex-presidente repubblicano alla Casa Bianca si riversano anche nel campo europeo. “Ragionare su come prepararsi non è facile“, spiega Balfour: “Un po’ perché è difficile prevedere Trump, non avendo un’ideologia chiara, e un po’ perché gli europei non condividono una visione di cosa comporterebbe una sua amministrazione”. Il rischio reale è quello di una “frammentazione politica, a livello ideologico ma anche tattico”, mentre lo scenario più prevedibile è quello di un aumento delle tariffe doganali, che “avrebbe un impatto devastante per l’Unione Europea” e per l’equilibrio con il suo partner più stretto (con cui però è in vigore nessun accordo commerciale).Sul piano politico il pericolo è una divisione tra i Ventisette non in due fazioni, ma almeno tre. La prima è quella che spingerebbe sull’autonomia strategica dell’Unione – capeggiato dalla Francia – “anche se per il momento è un discorso astratto, visto che sul fronte della difesa gli europei stanno sostanzialmente comprando armi dagli americani”. La seconda è quella di chi tenterà di “ingraziarsi Washington in modo tattico“, cioè i Paesi fortemente filo-atlantici come la Polonia. E infine il terzo gruppo sarebbe quello dei governi e partiti filo-trumpiani, “che potrebbero andare per conto proprio”. L’attenzione della direttrice del Carnegie Europe è non solo sul premier ungherese, Viktor Orbán – “osannato negli Stati Uniti come leader della destra estrema” – ma anche sulla prima ministra italiana, Giorgia Meloni, che potrebbe trovarsi in grossa difficoltà per il forte impegno sul fronte ucraino e il forte atlantismo, ma la parallela vicinanza ideologica un The Donald imprevedibile se rieletto alla Casa Bianca a novembre.

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    UE preoccupata da un ritorno di Trump. “Importante che UE e USA lavorino insieme”

    Bruxelles – L’avanzata di Donald Trump preoccupa l’Unione europea. L’ex presidente degli Stati Uniti e candidato repubblicano per la Casa Bianca alle presidenziali di novembre, vince il confronto elettorale (caucus) in Iowa con i concorrenti di partito, ergendosi a sfidante principale dei democratici. Si profilano scenari che a Bruxelles generano timori per le relazioni trans-atlantiche. “Nell’attuale situazione geopolitica è importante che l’Ue e gli Stati Uniti continuino a lavorare fortemente insieme, che è il modo migliore di affrontare le sfide”, ragiona Valdis Dombrovskis, commissario per il Commercio e un’Economia al servizio delle persone, al termine dei lavori del consiglio Ecofin.La passata stagione trumpiana nel Vecchio continente ha lasciato strascichi. Guerra commerciale a colpi di dazi, minacce e ricatti al ‘made in’ per mancati acquisti di prodotti Usa, tensioni in materia di difesa con diverse visioni sulla NATO e il suo futuro. Si teme all’orizzonte un ritorno ad un passato a cui si è lavorato, con l’attuale amministrazione, per liberarsene. Cinque anni passati a ricostruire una relazione rimessa in discussione, come dimostra l’accordo sui dazi per l’acciaio, con il rischio di dover ricominciare tutto daccapo. Un ritorno eventuale di Trump impone le riflessioni del caso. “E’ chiaro che dobbiamo rafforzare noi stessi“, sottolinea ancora Dombrovskis.L’Europa deve sapere essere unita, avverte anche Guy Verhofstadt, ex premier belga, oggi deputato europeo. Politico di lungo corso, avverte: “I Repubblicani inviano un messaggio al mondo: la democrazia lotta per la sopravvivenza”. Con Trump alla testa degli Stati Uniti “finestra chiusa anche per l’Europa”.Congratulations to @realDonaldTrump on the landslide Iowa caucuses victory!— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) January 16, 2024A dispetto del nome, però, l’Europa mostra meno compattezza. Tra gli Stati membri Ungheria e Italia fanno complimenti e tifo per Trump. Il primo ministro di Bupadest, Viktor Orban, saluta la vittoria in Iowa con sul profilo X, dove pubblica la foto dell’esponente repubblicano corredata dalla scritta “una vittoria attesa da tempo”, con tanto di immagine di mani che applaudono. Il leader della Lega e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, sfoggia il suo inglese per esprimere le personali “congratulazioni a Donald Trump per la schiacciante vittoria del caucus dell’Iowa”.Per un’Europa che guarda oltre Atlantico con preoccupazione ce n’è dunque un’altra che osserva con tutt’altro punto di vista. Da spiegare, però. Perché sulla partita della  sostenibilità, dove pure l’Italia ha molto da dover fare e anche di più da perdere, la concorrenza USA rischia di pesare, non poco, su percorso di riforme e rilancio dell’economia. Il Green Deal è in tutto e per tutto una sfida geopolitica agli Stati Uniti, che a questa sfida hanno risposto con misure protezionistiche quali l’Inflation Reduction Act. Se l’attuale presidente, il democratico Joe Biden, è ‘l’amico’ dell’UE, le preoccupazioni su Trump potrebbero non essere proprio del tutto infondate.

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    Von der Leyen e Michel da Biden il 20 ottobre. Il Vertice Ue-Usa tra Ucraina ed energia

    Bruxelles – Sostegno all’Ucraina, da un lato. Approvvigionamento energetico e digitale, dall’altro. I leader di Unione europea e Stati Uniti si incontreranno venerdì 20 ottobre a Washington per il secondo Vertice Ue-Usa da quando il presidente statunitense Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca a gennaio 2021.
    La conferma è arrivata oggi (28 settembre) in una nota congiunta dei due lati dell’Atlantico in cui si legge che il presidente Biden insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, faranno il punto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea, soprattutto per confermare il “nostro impegno condiviso a sostenere l’Ucraina nella difesa della sua sovranità e a imporre costi alla Russia per la sua aggressione”.
    La difesa dell’Ucraina e il sostegno alla sua ricostruzione saranno i temi dominanti dell’incontro. Ma le discussioni si concentreranno anche sull’approvvigionamento di materie prime critiche, centrali per la produzione di tecnologie verdi e alla doppia transizione verde e digitale. “Promuoveranno gli sforzi degli Stati Uniti e dell’UE per accelerare l’economia globale dell’energia pulita basata su catene di approvvigionamento sicure e resilienti e continueranno la cooperazione nelle tecnologie critiche ed emergenti, comprese le infrastrutture digitali e l’intelligenza artificiale”, si legge nella dichiarazione comune, in cui i leader confermano che faranno un punto anche sulle attività congiunte per rafforzare la resilienza economica e affrontare le sfide correlate.
    Il riferimento alla Cina non è diretto, ma il rafforzamento della cooperazione transatlantica è in chiave anti-Pechino. Washington e Bruxelles lavorano ormai da mesi per finalizzare un accordo sui minerali critici, che entrambe le parti puntano a chiudere entro la fine dell’anno. L’obiettivo è quello di raggiungere uno status equivalente a un accordo di libero scambio per l’Ue per i minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie chiave per la doppia transizione, come il litio per le batterie – e distendere le tensioni create dall’Inflation Reduction Act (IRA), il vasto piano di sussidi verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Usa, che Bruxelles teme possa svantaggiare le imprese europee. Le discussioni “esplorative” con gli Stati Uniti tenute finora hanno mostrato un allineamento sui principi principali, mentre i dettagli verranno approfonditi durante i negoziati ancora in corso. E il Vertice di fine ottobre potrebbe essere la giusta occasione per velocizzare i negoziati.
    Il Vertice prenderà le mosse in un contesto completamente diverso rispetto a quello che a giugno 2021 ha accolto Biden a Bruxelles. I leader europei e statunitensi si trovavano a dover affrontare e gestire insieme la crisi economica derivata dall’urgenza sanitaria del Covid-19 e una guerra alle porte dell’Europa era impensabile.

    I tre leader a Washington faranno il punto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea, soprattutto per confermare l’impegno “condiviso a sostenere l’Ucraina nella difesa della sua sovranità e a imporre costi alla Russia per la sua aggressione”

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    Prove di distensione tra Bruxelles e Washington sul piano di sovvenzioni verdi degli Usa

    Roma – Prove distensione tra Unione europea e Stati Uniti sul controverso piano contro l’inflazione varato da Washington, che rischia di incrinarne i rapporti. In una nota pubblicata ieri (29 dicembre) in tarda serata, la Commissione europea ha accolto le linee guida adottate dagli Usa in cui viene assicurato che le aziende europee potranno beneficiare del regime di credito solo (per ora) per i veicoli commerciali puliti previsti dell’Inflation Reduction Act statunitense, “senza richiedere modifiche ai modelli di business consolidati o previsti dei produttori dell’Ue”.
    Per Bruxelles si tratta “di un vantaggio per entrambe le parti” e anche un tentativo di ricucire lo strappo, anche se ancora restano elementi da chiarire e il resto del piano di Biden contiene ancora misure “discriminatorie” nei confronti delle aziende europee. L’Inflation Reduction Act (IRA) è il massiccio piano di investimenti da 369 miliardi varato dall’amministrazione Usa di Joe Biden per le tecnologie verdi, che ha fatto preoccupare l’Ue perché potrebbe svantaggiare le imprese europee dal momento che prevede sgravi fiscali per acquistare prodotti Made in Usa tra cui automobili, batterie ed energie rinnovabili.
    L’amministrazione statunitense ha esteso alle aziende dell’Ue la possibilità di beneficiare di uno (quello per gli operatori commerciali) dei due programmi di credito di imposta previsti per i veicoli puliti, l’altro riguarda i consumatori privati. Così – commenta Bruxelles nella nota – “i contribuenti statunitensi potranno trarre vantaggio da veicoli e componenti elettrici altamente efficienti prodotti nell’Ue, mentre le aziende europee che forniscono ai propri clienti tramite leasing veicoli puliti all’avanguardia possono beneficiare degli incentivi previsti dall’IRA”. Restano però molte preoccupazioni da parte di Bruxelles sul piano, che andranno approfondite nel quadro della task force istituita tra Bruxelles e Washington. “Ulteriori lavori sono in corso nell’ambito della task force UE-USA – assicura la nota – sulla riduzione dell’inflazione per trovare soluzioni alle preoccupazioni europee, ad esempio trattando l’UE allo stesso modo di tutti i partner degli accordi di libero scambio degli Stati Uniti”.
    Questo regime “continua a destare preoccupazione per l’UE, in quanto contiene disposizioni discriminatorie che di fatto escludono dal beneficio le imprese dell’UE” e “discriminare i veicoli puliti prodotti nell’UE viola il diritto commerciale internazionale”. Di fronte al piano statunitense di incentivi per la transizione Made in Usa l’Ue non vuole farsi trovare impreparata. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha già delineato al Consiglio europeo del 15 dicembre le 4 linee programmatiche su cui verterà la risposta europea all’Ira statunitense, di cui proposte concrete arriveranno nel 2023. Il piano von der Leyen è quello di lavorare con l’amministrazione Biden sui punti più critici del suo piano contro l’inflazione; adeguare le norme europee per gli aiuti di stato; potenziare gli investimenti europei per accelerare la transizione verde, nel breve periodo attraverso ‘RepowerEu’ e, nel lungo, attraverso un nuovo fondo europeo per la sovranità (ancora da chiarire come dovrà essere finanziato); e accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili.
    Già a gennaio arriverà la revisione del quadro di norme sugli aiuti di stato, per renderli più semplici e veloci. L’equivalente europeo delle agevolazioni fiscali sono gli aiuti di Stato e dunque Bruxelles interverrà lì. Oltre a modificare le regole sui sussidi, von der Leyen punta a potenziare gli investimenti nelle tecnologie verdi: nel breve termine, attraverso il piano ‘RepowerEu’ presentato a maggio scorso per affrancare l’Ue dai combustibili fossili russi, e a medio termine, con la prospettiva di dare vita a un fondo di sovranità per l’industria, da finanziare con risorse comuni europee, e su cui si prevedono scontri tra i governi. Secondo la Commissione europea, l’occasione di presentare una proposta in tal senso sarà la revisione di metà termine del bilancio a lungo termine (il Qfp – 2021-2027) che arriverà in estate. La ‘ricetta’ prevede quindi da una parte il potenziamento dei sussidi statali alle imprese, dall’altra dar vita a un Fondo di sovranità europeo con cui finanziare un politica industriale dell’Ue e affrontare così il problema dell’asimmetria tra Paesi Ue che hanno o non hanno spazio fiscale per approvare aiuti di stato a pioggia (come nel caso italiano).

    In risposta ai timori di Bruxelles di vedersi svantaggiare l’industria auto, Washington estende alle aziende europee la possibilità di beneficiare del regime di credito per i veicoli commerciali puliti previsti dell’Inflation Reduction Act, il piano contro l’inflazione varato dall’amministrazione Biden che rischia di gelare i rapporti con l’Ue

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    Ue e Stati Uniti preoccupati per le tensioni nel nord del Kosovo. L’appello congiunto alla de-escalation

    Bruxelles – Bruxelles e Washington preoccupate dalla crescente tensione in Kosovo. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno rilasciato questo pomeriggio (28 dicembre) una dichiarazione congiunta in cui sollevano preoccupazioni “per la persistente situazione di tensione nel nord del Kosovo” e chiedono di “esercitare la massima moderazione” e allentare le tensioni degli ultimi giorni.

    🇪🇺and 🇺🇸 call for maximum restraint and immediate de-escalation in north Kosovo. We are working with Ptd Vučić and PM Kurti to find a political solution in the interest of stability, safety and well-being of all local communities. Full statement 👉 https://t.co/SiknNws9HZ
    — Nabila Massrali (@NabilaEUspox) December 28, 2022

    Dopo lo scontro sulle targhe e l’intesa trovata in extremis a fine novembre, le tensioni tra Kosovo e Serbia si sono intensificate molto negli ultimi mesi ed esplose dopo che un ex poliziotto serbo del Kosovo è stato arrestato lo scorso 10 dicembre per aver aggredito un agente di polizia in servizio. L’arresto ha innescato proteste e manifestazioni da parte della minoranza serba del Kosovo, soprattutto nella parte settentrionale del territorio kosovaro. Pristina ha annunciato oggi la chiusura del più grande valico di frontiera con la Serbia dopo che il governo serbo ha annunciato a inizio settimana l’intenzione di mettere in stato d’allerta il proprio esercito per le crescenti tensioni.
    “Stiamo lavorando con il presidente (serbo Aleksandar) Vučić il primo ministro (kosovaro Albin) Kurti per trovare una soluzione politica al fine di disinnescare le tensioni e concordare la via da seguire nell’interesse della stabilità, della sicurezza e del benessere di tutte le comunità locali”, si legge nella nota congiunta di Bruxelles e Washington, in cui si accoglie “con favore le assicurazioni della leadership del Kosovo che confermano che non esistono elenchi di cittadini serbi del Kosovo da arrestare o perseguire per proteste/barricate pacifiche. Allo stesso tempo, lo stato di diritto deve essere rispettato e qualsiasi forma di violenza è inaccettabile e non sarà tollerata”.La dichiarazione prosegue assicurando che gli Stati Uniti “sosterranno il lavoro dell’Unione europea attraverso la missione sullo Stato di diritto in Kosovo”, EULEX, che “continuerà a monitorare da vicino tutte le indagini e i successivi procedimenti per promuovere il rispetto dei diritti umani. Ci aspettiamo inoltre che il Kosovo e la Serbia tornino a promuovere un ambiente favorevole alla riconciliazione, alla stabilità regionale e alla cooperazione a beneficio dei loro cittadini”.

    Dichiarazione congiunta di Bruxelles e Washington per invitare Pristina e Belgrado a una rapida de-escalation delle tensioni, che hanno portato il Kosovo alla chiusura del più grande valico di frontiera con la Serbia