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    Il Consiglio europeo indica di proseguire il percorso europeo della Turchia. Ma non a tutti i costi

    Bruxelles – Il Consiglio europeo ha adottato oggi (17 aprile) le conclusioni sulle procedure per proseguire nel processo di avvicinamento della Turchia all’Unione. Il vertice dei leader Ue passa la palla al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) con il compito di “portare avanti i lavori sulla base delle raccomandazioni, in linea con le precedenti conclusioni del Consiglio europeo e in modo graduale, proporzionale e reversibile“, si legge nel testo pubblicato al termine della prima giornata di Consiglio europeo.Prosegue dunque la strada per un possibile integrazione futura della Turchia, seguendo il lavoro tracciato dalla relazione strategica sui rapporti Ue-Turchia del novembre dello scorso anno. Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha sottolineato in un post su X (ex Twitter) come “l’Ue ha un interesse strategico in un ambiente stabile e sicuro nel Mediterraneo orientale e nello sviluppo di una relazione cooperativa e reciprocamente vantaggiosa con la Turchia”.La questione di Cipro rimane comunque sul tavolo – definita di “particolare importanza” nelle conclusioni del vertice Ue – con l’isola divisa in due: da una parte la Repubblica di Cipro, membro dell’Ue dal 2004, e dall’altra Cipro nord, Stato de facto indipendente ma riconosciuto solo da Ankara. Proprio a questo riguardo per Michel è importante riaprire i colloqui per una soluzione pacifica: “L’Ue è pronta a svolgere un ruolo attivo nel sostenere il processo guidato dalle Nazioni Unite“.

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    È il giorno della Bosnia ed Erzegovina. Il Consiglio Europeo sblocca la strada per l’adesione Ue

    Bruxelles – L’endorsement è arrivato e oggi si può dire che “lo slancio e la finestra attuale di opportunità” è stata colta. I 27 leader Ue hanno deciso questa sera (21 marzo) di dare il via libera all’avvio dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina, appoggiando all’unanimità l’esortazione dei 7 Paesi membri più aperturisti (tra cui l’Italia) di permettere a Sarajevo di “incamminarsi saldamente sulla strada dell’Unione Europea”. È a tutti gli effetti un giorno storico per la Bosnia ed Erzegovina – anche se la svolta è ‘solo’ politica e non veramente tecnica – considerato il fatto che è da otto anni che il Paese balcanico attende alla porta dell’Unione.

    Da sinistra: la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles MichelSulla base della raccomandazione positiva della Commissione Europea arrivata lo scorso 12 marzo, il Consiglio Europeo ha dato il suo sostegno all’apertura dei negoziati di adesione Ue, anche se va rimarcato che il lavoro più complesso arriva probabilmente solo adesso. Perché i Ventisette invitano sì la Commissione a preparare il quadro negoziale per la Bosnia ed Erzegovina, ma solo “nel momento in cui saranno prese tutte le misure pertinenti” – come si legge nelle conclusioni del Consiglio Europeo – indicate nella raccomandazione specifica del Pacchetto Allargamento Ue 2022. La palla passa dunque di nuovo a Sarajevo, che dovrà portare a compimento le 8 priorità, e solo a seguire la Commissione potrà mettere a terra il quadro negoziale da adottare all’unanimità in Consiglio Affari Generali (che riunisce i 27 ministri degli Affari Europei). Solo allora saranno davvero avviati a livello formale i negoziati di adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina.“Il vostro posto è nella nostra famiglia europea, la decisione odierna rappresenta un passo avanti fondamentale nel vostro cammino verso l’Ue”, è l’annuncio del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha postato su X una foto con la la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto (contattata poco prima del via libera da Bruxelles). “Ora il duro lavoro deve continuare per far sì che la Bosnia ed Erzegovina avanzi costantemente, come vuole il vostro popolo”, ha aggiunto Michel. Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha accolto “con favore” quella che ha definito in conferenza stampa una “decisione storica” dei 27 leader Ue: “La Bosnia ed Erzegovina ha fatto enormi passi avanti verso l’Unione, nell’ultimo anno è stato fatto di più dei dieci anni precedenti”. A oggi il Paese balcanico “è completamente allineato a livello di governance, politica estera, di sicurezza e di difesa“, ha confermato von der Leyen, che ha rimarcato anche “progressi importanti nell’adozione di testi di legge cruciali, sulla gestione della migrazione e sul dialogo e la riconciliazione”. Ora la speranza è che “la decisione di oggi porti a nuovi ulteriori progressi” nel percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione. “È un passo importante per avvicinare il Paese all’Ue, un’Unione allargata significa un’Unione più forte”, ha rimarcato la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola.Oltre la Bosnia, a che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e ora attende solo l’avvio formale dei negoziati di adesione. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.

    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Come funziona il processo di adesione Ue

    Il processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

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    Interferenze russe sulla vita dei cittadini Ue: il Consiglio Europeo si prepara alla difesa dalle minacce. “Ma non c’è rischio di guerra”

    Bruxelles – La guerra russa in Ucraina non ha i successi sperati, e sempre più da Mosca partono minacce, ed azioni reali, contro la vita quotidiana dei cittadini europei. E’ un ripiego, un modo per creare il massimo disturbo possibile ai Paesi che stanno sostenendo Kiev contro l’invasione. Non si tratta di minacce strettamente militari, ma gli effetti di attacchi informatici o il lancio di una forte campagna di disinformazione possono essere dirompenti nella vita quotidiana degli europei. Non c’è insomma la necessità di prepararsi a una guerra, che non è alle viste per l’Unione, assicura l’alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell.Al punto 18 della bozza di Conclusioni del Consiglio europeo che si svolgerà oggi e domani a Bruxelles è scritto che si “sottolinea la necessità imperativa di una preparazione militare e civile rafforzata e coordinata e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce”.  Dunque il capi di Stato e di governo invitano i ministri competenti “a portare avanti i lavori e la Commissione, insieme all’Alto Rappresentante, a proporre azioni per rafforzare la preparazione e la risposta alle crisi a livello dell’Ue in un approccio a tutti i rischi e a tutta la società. che tenga conto delle responsabilità e delle competenze degli Stati membri, in vista di una futura strategia di preparazione”.Il fraseggio è complesso, può essere interpretato con significati anche che esulano dalla volontà del Consiglio europeo. In sostanza, ci spiega un esperto di questi dossier, i capi di Stato e di governo “considerano interferenze ibride tipo attacchi cyber e disinformazione”.  Quando si scrive “Whole of society” (le parole del testo originale delle bozze, in inglese) cioè “tutta la società” si intende, ad esempio “un attacco al sistema sanitario può portare alla morte di pazienti che dipendono da macchinari. Un attacco alla filiera alimentare – continua l’esperto – può causare proteste e caos sociale”. Inoltre sono possibili attacchi cibernetici “a sistemi bancari, amministrativi e servizi pubblici e privati”.Non bisogna poi dimenticare che mancano meno di tre mesi alle elezioni europee e dunque “c’è un forte rischio di una campagna di disinformazione mirata ad inquinare il voto”, conclude l’esperto.Borrell risponde, entrando al Consiglio europeo, a tutti quelli che hanno parlato di minaccia di guerra nell’Unione europea, cercando di abbassare i toni. Nella bozza di dichiarazione, spiega Borrell c’è “l’invito agli europei a essere consapevoli delle sfide che stanno affrontando”, il che  “è positivo”, ma, sottolinea lo spagnolo, “non dobbiamo nemmeno esagerare. La guerra non è imminente. Ho sentito alcune voci che dicevano che la guerra è imminente. Ebbene, grazie a Dio non lo è”.Borrell sostiene che “viviamo in pace, sosteniamo l’Ucraina, non siamo parte di questa guerra e dobbiamo prepararci per il futuro, aumentando la nostra capacità di difesa, ma non spaventate inutilmente le persone, la guerra non è imminente. Ciò che è imminente è la necessità che gli ucraini siano sostenuti”Ecco il testo in inglese del paragrafo 18 delle bozze:“In addition, the European Council underlines the imperative need for enhanced and coordinated military and civilian preparedness and strategic crisis management in the context of the evolving threat landscape. It invites the Council to take work forward and the Commission together with the High Representative to propose actions to strengthen preparedness and crisis response at EU level in an all-hazards and whole-of-society approach, taking into account Member States’ responsibilities and competences, with a view to a future preparedness strategy”.

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    Un fronte di 7 Paesi Ue chiede di aprire subito i negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Un quarto dei Paesi membri Ue si muove con forza a sostegno della Bosnia ed Erzegovina nel suo percorso di avvicinamento all’Unione Europea, a pochi giorni da un Consiglio Europeo che potrebbe essere l’ultima chiamata per le ambizioni di Sarajevo di accelerare il processo di adesione. Per l’occasione è tornato a muoversi il gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’, composto dai sette Stati membri più aperturisti per l’integrazione immediata dei Paesi della regione balcanici: Italia, Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Slovacchia e Slovenia. “Riteniamo che sia essenziale cogliere lo slancio e la finestra attuale di opportunità e decidere di aprire i negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina“, si legge in una lettera – ottenuta da Eunews – inviata dai rispettivi ministri degli Affari Esteri (Raffaele Fitto per l’Italia) alla presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue, agli altri 20 colleghi e al commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi.La lettera è arrivata a pochi giorni dalla raccomandazione della Commissione Europea di aprire i negoziati di adesione con Sarajevo, considerati i “passi impressionanti verso di noi” del partner balcanico (parole della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, davanti all’emiciclo di Strasburgo) e il conseguente raggiungimento dei livelli richiesti di rispetto dei criteri di adesione. “Nelle ultime settimane e negli ultimi mesi la Bosnia ed Erzegovina ha realizzato riforme più sostanziali rispetto agli anni precedenti e il lavoro su ulteriori riforme è in corso”, sottolineano i sette ministri, ricordando la decisione presa durante il Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione proprio “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Gli esempi dei progressi sono evidenti, come riporta la lettera: l’adozione di emendamenti alla legge sull’Ombudsman, sulla libertà d’informazione e sugli stranieri, l’adeguamento della legge sul Consiglio superiore della magistratura e – “più recentemente” – l’adozione della legge contro il riciclaggio di denaro e il contrasto al finanziamento del terrorismo, sul conflitto di interessi e gli emendamenti alla legge sul servizio civile, oltre al via libera ai negoziati per l’accordo sullo status con Frontex e al Programma per l’integrazione nell’Ue.Un semaforo verde al Consiglio in programma giovedì e venerdì (21-22 marzo) permetterebbe alla Bosnia ed Erzegovina di “incamminarsi saldamente sulla strada dell’Unione Europea”. In caso contrario, “si indebolirebbe il ruolo dell’Ue nei Balcani Occidentali e si invierebbe un messaggio negativo all’intera regione, alla quale abbiamo promesso che il suo futuro è all’interno dell’Ue più di 20 anni fa”, mettono in guardia gli ‘Amici dei Balcani Occidentali”. In attesa dell’ultima bozza delle conclusioni del vertice dei leader Ue, al momento il capitolo 4 su ‘Allargamento e riforme’ risulta ancora vuoto “in attesa del testo”. Ma l’avvertimento era già arrivato durante il viaggio di fine gennaio di von der Leyen a Sarajevo con i primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte. “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione”, aveva segnalato la numero uno dell’esecutivo dell’Unione, confermando le parole ancora più esplicite del premier croato Plenković: “Se perdiamo l’occasione a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La Commissione Ue dà il via libera all’avvio dei negoziati di adesione per la Bosnia ed Erzegovina

    dall’inviato a Strasburgo – Ora il semaforo è pienamente verde. “Raccomanderemo al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina“, ha annunciato oggi (12 marzo) la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo durante il dibattito sulla preparazione del Consiglio Europeo del 21-22 marzo. “Il messaggio della Bosnia ed Erzegovina è chiaro, anche il nostro messaggio deve essere chiaro: il suo futuro è nella nostra Unione”, è l’esortazione della numero uno dell’esecutivo Ue.

    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (12 marzo 2024)Dopo il viaggio di fine gennaio con i primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Ue ha spinto il lavoro del Berlaymont per presentare la relazione sui passi compiuti da Sarajevo dalla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parlando agli eurodeputati, von der Leyen ha anticipato i punti della relazione sui progressi bosniaci: “Si tratta di un’analisi fattuale degli ultimi sviluppi e traccia un quadro molto chiaro”, ovvero che “da quando abbiamo concesso lo status di candidato [nel dicembre del 2022, ndr], la Bosnia ed Erzegovina ha compiuto passi impressionanti verso di noi”. In altre parole, “in poco più di un anno sono stati compiuti più progressi che in un decennio“, ha assicurato la numero uno della Commissione, fornendo alcuni esempi.In primis, la Bosnia ed Erzegovina “è ora pienamente allineata alla nostra politica estera e di sicurezza“, un passo “fondamentale in questi tempi di turbolenze geopolitiche”. Inoltre “il Paese sta adottando leggi importanti“, tra cui quella sulla prevenzione del conflitto di interessi, “che era rimasta in stallo per 7 anni”, e quella sulla lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo. Un riferimento è stato fatto anche alla gestione della migrazione, che “continua a migliorare con i negoziati per un accordo Frontex pronti ad iniziare dopo che la Presidenza ha approvato il mandato negoziale“. Infine il Ministero della Giustizia bosniaco “ha accettato di includere nel casellario giudiziario nazionale le sentenze del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia”, ed “è appena diventato operativo” il nuovo Comitato direttivo per il consolidamento della pace. “Sono necessari ulteriori progressi per entrare a far parte della nostra Unione, ma il Paese sta dimostrando di essere in grado di adempiere i criteri di adesione e l’aspirazione dei suoi cittadini a far parte della nostra famiglia”, è quanto assicura la presidente von der Leyen, passando la palla al Consiglio.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’UE arma l’Ucraina: “Avanti con munizioni, missili e sistemi anti-aerei”

    Bruxelles –  Avanti con il sostegno militare all’Ucraina, come già stabilito fin qui e anche con più e rinnovati sforzi. Il che vuol dire più munizione, missili e sistemi anti-aerei. Nel giorno in cui Kiev ottiene l’avvio dei negoziati per l’adesione all’Unione europea tanto richiesto dal presidente Volodymyr Zelensky, i Ventisette confermano e rilanciano l’assistenza in senso anti-russo.  Il messaggio messo nero su bianco nelle conclusioni del vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE è che “l’Unione europea e i suoi Stati membri continueranno a rispondere alle pressanti esigenze militari e di difesa dell’Ucraina“.I leader dei Ventisette sono determinati a garantire, da qui in avanti, “un sostegno militare tempestoso, prevedibile e sostenibile all’Ucraina”. Per raggiungere questo obiettivo si intende ricorrere al Fondo europeo per la pace (European Peace Facility, EPF), missione di assistenza militare dell’UE, e l’assistenza bilaterale diretta degli Stati membri che potrà essere fornita singolarmente.In questo rinnovato slancio, si intende tenere fede quanto prima alla promessa di rifornire le forze armate ucraine di quanto serve. Si avverte, in particolare, “l’urgente necessità di accelerare la consegna di missili e munizioni, in particolare nell’ambito dell’iniziativa di munizioni per artiglieria, e di fornire all’Ucraina maggiori sistemi di difesa aerea”.Il messaggio per il presidente russo, Vladimir Putin, è che l’UE è decisa a tenere il punto e contribuire alla difesa e alla controffensiva dell’armata russa. “L’Unione europea e i suoi Stati membri continuano a impegnarsi a contribuire, a lungo termine e insieme ai partner, agli impegni in materia di sicurezza nei confronti dell’Ucraina“. Un passaggio che sta a significare che la mobilitazione a dodici stelle per Kiev non sarà né un fenomeno isolato né limitato a questo preciso momento storico. L’Ucraina è ormai nell’orbita comunitaria e non più in quella del Cremlino: questo il senso geopolitico di questo passaggio. Questi impegni politici e militari di lungo termine “aiuteranno l’Ucraina a difendersi, a resistere agli sforzi di destabilizzazione e a scoraggiare in futuro atti di aggressione”.

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    Potrebbe esserci una via d’uscita all’opposizione di Orbán all’avvio dei negoziati Ue con l’Ucraina

    Bruxelles – Per uscire dall’impasse di un vertice che da settimane si preannunciato caldissimo sulla questione dell’Ucraina, bisogna guardare ai dettagli. Su cui alla fine si giocano tutti i compromessi tra i leader dell’Unione. Se ancora non si vede una via d’uscita allo sblocco delle trattative sul supporto finanziario Ue a medio/lungo termine a Kiev, lo scoglio dei negoziati di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea potrebbe vedere una luce politica in fondo a un tunnel che – verosimilmente – occuperà buona parte della prima giornata di Consiglio Europeo.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, accoglie il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (14 dicembre 2023)“L’allargamento non è una questione teorica, è un processo basato sul merito e dettagliato a livello giuridico con pre-condizioni”, ha messo in chiaro questa mattina (14 dicembre) al suo arrivo al Consiglio Europeo un agguerrito Viktor Orbán, il vero responsabile dello stallo al tavolo dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri. Il premier ungherese ha voluto sottolineare che “abbiamo fissato 7 pre-condizioni” per l’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina e “anche dalla valutazione della Commissione Europea 3 pre-condizioni non sono state soddisfatte”. È così che – almeno nel merito della questione, senza considerare il ricatto sul piano dello sblocco dei fondi Ue all’Ungheria – si spiega l’ostruzionismo del leader ungherese: “Nelle mie stime sono anche di più [le pre-condizioni non soddisfatte, ndr], ma 3 sono abbastanza per dire che non c’è la possibilità di iniziare ora a negoziare l’appartenenza dell’Ucraina all’Unione”. Alle domande della stampa su un possibile compromesso durante le discussioni di oggi, Orbán ha voluto ricordare che “le pre-condizioni non sono state fissate dall’Ungheria ma dalla Commissione Europea, sono pubbliche”.Ciò a cui il premier ungherese si riferisce sono le priorità fissate dall’esecutivo comunitario e accettate dai Ventisette nel momento della concessione all’Ucraina dello status di candidato all’adesione al Consiglio Europeo del 23 giugno 2022. Già a giugno di quest’anno – come rilevato dal report orale della Commissione – erano state completate 2 pre-condizioni su 7 (riforma di due organi giudiziari e area dei media), con altre 2 portate a compimento nei quattro mesi successivi: riforme della Corte Costituzionale e norme anti-riciclaggio, come si legge nel Pacchetto Allargamento 2023. Le priorità ancora non pienamente soddisfatte sono quelle che riguardano lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali. Secondo quanto ha reso noto la stessa presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, lo scorso 8 novembre in occasione della pubblicazione del Pacchetto, “presenteremo un nuovo rapporto a marzo 2024“, in cui saranno valutati i progressi dell’Ucraina (ma anche della Moldova e della Georgia) sulle pre-condizioni ancora pendenti. La fiducia al Berlaymont – e in 26 capitali su 27 – risiede nel fatto che a Kiev “la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report specifico.È qui che si inserisce la delicata questione dell’avvio dei negoziati di adesione. La raccomandazione della Commissione al Consiglio Europeo è sì quella di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina, ma anche quella di adottare i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. La differenza è sottile, ma sostanziale. Il Consiglio Europeo – l’organismo che definisce le priorità e gli indirizzi politici generali dell’Unione – ha il compito di prendere una decisione politica sull’inizio del processo di adesione di un Paese terzo e sul momento più decisivo (l’avvio dei negoziati, appunto). Ma il compito di mettere a terra la decisione in modo formale è del Consiglio dell’Unione Europea – l’organo decisionale che rappresenta i governi dei 27 Paesi membri e detiene il potere legislativo insieme al Parlamento Europeo – che secondo i Trattati ha l’ultima parola a riguardo: “I negoziati di adesione non possono iniziare finché tutti i governi dell’Ue non concordano, sotto forma di decisione unanime del Consiglio dell’Ue, su un quadro o un mandato per i negoziati con il Paese candidato”.In altre parole, al vertice dei 27 leader di oggi e domani si può decidere per una soluzione politica (avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina) ma senza che questo implichi il fatto che Kiev possa bypassare il completamento delle 3 pre-condizioni mancanti. La nuova valutazione sarà rimandata – come precisato dal gabinetto von der Leyen – al report di marzo 2024, con la decisione formale e finale da parte dei 27 governi dell’Ue in Consiglio. Senza che comunque venga meno il diritto di veto su cui si sta facendo forte il premier Orbán in questi giorni. Se si concretizzerà questo scenario, è presumibile che venga posto l’accento nelle conclusioni del vertice dei 27 leader sul ruolo del Consiglio dell’Ue per l’adozione del quadro negoziale. Al momento la bozza visionata da Eunews riporta che il Consiglio Europeo “decide di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Repubblica di Moldova” e “invita il Consiglio [dell’Unione Europea, ndr] ad adottare i rispettivi quadri negoziali una volta adottate le misure” indicate nelle conclusioni sull’allargamento del Consiglio Affari Generali di martedì (12 dicembre)L’Ucraina e non solo. Come si aderisce all’UeIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Solo per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.

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    Un vertice in attesa di un altro vertice. Il punto sui rapporti Ue-Balcani nello stallo del Consiglio

    Bruxelles – È un vertice di attese, sospeso nella speranza che l’imminente Consiglio Europeo non mandi tutto il processo di allargamento Ue all’aria. L’annuale summit tra i leader Ue e dei Balcani Occidentali si è focalizzato sui progressi sul piano politico e soprattutto economico dell’ultimo anno, ma su un incontro in cui è fondante la questione dell’adesione dei Paesi partner all’Unione ha aleggiato lo spettro dell’ostruzionismo del premier ungherese, Viktor Orbán, al vertice dei Ventisette in programma domani e dopodomani (14-15 dicembre).Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (13 dicembre 2023)“Abbiamo ribadito che il futuro dei sei Paesi dei Balcani Occidentali è dentro l’Unione Europea con un’integrazione graduale esplicitata in modo concreto”, ha messo in chiaro il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, in conferenza stampa al termine del vertice. Parole confermate dalla leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “È stato un ottimo vertice, in cui abbiamo discusso sulla base del Pacchetto Allargamento recentemente presentato”. A proposito del report dello scorso 8 novembre la numero uno dell’esecutivo Ue ha ricordato che “il Cluster fondamenti con Macedonia del Nord e Albania va aperto quanto prima”, mentre il Montenegro vive un “momento positivo con il nuovo governo” e Serbia e Kosovo “hanno preso impegni importanti che ora devono essere implementati” nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado. E poi c’è la questione più delicata, quella su cui da domani inizierà una partita a scacchi con Orbán: “Abbiamo raccomandato l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina non appena le condizioni saranno soddisfatte”, ha messo in chiaro von der Leyen, senza però rispondere alle domande su quanto è a rischio il capitolo dell’allargamento Ue per il possibile veto del premier ungherese all’adesione Ue dell’Ucraina.La base di partenza è la dichiarazione di Tirana del 2022, sia sulle riforme richieste per l’adesione all’Unione sia per l’orientamento strategico “alla luce della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina”, si legge nella dichiarazione dell’ultimo vertice Ue-Balcani Occidentali, che insiste ancora una volta sul compiere “progressi rapidi e sostenuti verso il pieno allineamento” alla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) “anche per quanto riguarda le misure restrittive dell’Ue”. Il riferimento implicito è alla Serbia di Aleksandar Vučić (oggi assente a Bruxelles e rimpiazzato dalla premier, Ana Brnabić), ancora lontana dall’allinearsi alle sanzioni contro la Russia, ma allo stesso tempo viene sottolineato anche “l’impegno strategico” dei partner che sono già “pienamente” in linea con Bruxelles. Per quanto riguarda le questioni più delicate sul tavolo, viene esplicitato il sostegno agli sforzi per la normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo nel dialogo mediato dall’Ue: “Ci aspettiamo un impegno costruttivo delle due parti”, dopo un anno di estrema tensione tra Pristina e Belgrado. Ma mentre la dichiarazione chiede “l’astensione da azioni unilaterali e non coordinate che potrebbero portare a ulteriori tensioni e violenze”, la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, ha esortato i leader Ue a “revocare le ingiuste misure” imposte dallo scorso 28 giugno.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (13 dicembre)Sul piano politico va messo in evidenza il punto 9 della dichiarazione: “L’Ue intende avvicinare i Balcani Occidentali preparando il terreno per l’adesione e apportando benefici concreti ai loro cittadini già durante il processo di allargamento”. A riguardo le istituzioni comunitarie intendono “esplorare misure aggiuntive volte a far progredire ulteriormente l’integrazione graduale” – come da tempo rivendica il presidente Michel – sfruttando “il potenziale degli strumenti giuridici esistenti” e favorendola “già durante il processo di allargamento stesso, in modo reversibile e basato sul merito”. In questo contesto viene accolto positivamente il nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro presentato dalla Commissione Ue, che “mira ad accelerare la convergenza socioeconomica” e “incoraggia la regione ad accelerare il ritmo delle riforme” secondo le norme del Mercato unico dell’Ue, così come la partecipazione dei sei Paesi balcanici al Consiglio Affari Esteri a novembre.Sul fronte economico viene richiamato il successo del pacchetto di supporto energetico da 1 miliardo di euro diviso in due parti da 500 milioni: il 90 per cento – ovvero 450 milioni di euro – della prima metà dedicata ad ammortizzare l’aumento dei prezzi dell’energia su famiglie e imprese “è già stato erogato”. I restanti 500 milioni di euro in sovvenzioni saranno forniti attraverso il Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali con gli obiettivi delle rinnovabili, delle infrastrutture energetiche e degli interconnettori. Da non dimenticare il Piano economico e di investimenti da quasi 30 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, “in fase avanzata di attuazione” con 16,6 miliardi “già mobilitati”. E infine c’è la questione della migrazione, in una giornata costellata da uno scivolone della presidente von der Leyen a proposito dell’accordo sulla migrazione tra Italia e Albania. “La rotta è ancora molto attiva, con un numero elevato di attraversamenti irregolari delle frontiere”, rileva la dichiarazione a proposito della rotta balcanica e del Piano d’azione dello scorso anno, con un richiamo alla politica dei visti: “L’Ue chiede un ulteriore allineamento per evitare abusi dei sistemi di migrazione e di asilo degli Stati membri“. Dal primo gennaio 2024, grazie alla liberalizzazione anche per i cittadini kosovari, “tutte le persone provenienti dall’intera regione dei Balcani Occidentali potranno viaggiare senza visto nell’area Schengen”.A che punto è l’allargamento Ue nei Balcani OccidentaliSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e uno ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo.Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e ora attende con impazienza la decisione del Consiglio Europeo sull’avvio dei negoziati di adesione, che secondo il Pacchetto Allargamento Ue 2023 della Commissione Ue potrà avvenire “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.