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    Medio Oriente, l’ultimo appello di Borrell: “Rispettare l’Icc è l’unico modo per avere giustizia globale”

    Bruxelles – Un centinaio di rappresentanti di Stati e organizzazioni internazionali, insieme per il secondo incontro dell’Alleanza globale per l’attuazione della soluzione dei due Stati in Medio Oriente. Ospiti dell’Ue e del Belgio. È l’ultimo giorno di lavoro dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che da domani lascerà la scrivania all’ex premier estone Kaja Kallas. “Non volevo lasciare il mio lavoro prima di aver tenuto questo incontro”, ha affermato, a riprova dell’impegno profuso – spesso da solo – per trovare una via d’uscita al conflitto tra Israele e Hamas a Gaza.In un lungo intervento al suo arrivo a Palais d’Egmont, nel centro di Bruxelles, Borrell ha parlato con più schiettezza che mai, consapevole che da domani non dovrà più scontrarsi con 27 governi nazionali che da un anno a questa parte procedono a freni tirati nei confronti della devastante offensiva israeliana, prima a Gaza e poi anche in Libano. A partire dai fatti più recenti, il fragile accordo per un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah e il mandato d’arresto internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale (Icc) nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri Josep Borrell Fontelles a Palais d’EgmontSu quest’ultimo in particolare, si gioca la credibilità dell’Occidente e dell’Unione europea come difensori del diritto internazionale. Prima l’ambiguità di diverse cancellerie europee sul rispetto della decisione del Tribunale de L’Aia, poi ieri il duro colpo inferto dalla Francia, uno degli Stati fondatori dell’Icc. In un comunicato, il Ministero degli Esteri francese ha chiamato in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – secondo cui “uno Stato non può essere obbligato ad agire in modo incompatibile con i suoi obblighi di diritto internazionale per quanto riguarda le immunità degli Stati che non fanno parte dell’Icc”. Il Quai d’Orsay ha proseguito spiegando che “tali immunità si applicano al Primo Ministro Netanyahu e agli altri ministri interessati e dovranno essere prese in considerazione se l’Icc dovesse richiedere il loro arresto e la loro consegna“.In sostanza, dal momento che lo Stato ebraico non ha firmato lo Statuto di Roma, non avrebbe rinunciato alle immunità dei suoi attuali leader. E quindi, come dichiarato anche da Antonio Tajani al termine del G7 dei ministri degli Esteri di Fiuggi, la decisione del Tribunale non sarebbe applicabile almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu. Un cavillo giuridico, se non proprio un’escamotage, che stride con quanto invece sostenuto dagli stessi Paesi nei confronti di Vladimir Putin, anche lui soggetto ad un uguale mandato di cattura internazionale. Ed anche lui presidente eletto di uno Stato che non fa parte della Corte Penale Internazionale.Rivolgendosi “a tutti i membri della società internazionale e in particolare ai membri dell’Unione europea”, Borrell ha ribadito: “Non possiamo minare la Corte penale internazionale”. Le conseguenze sarebbero tremende: un mondo in cui non c’è più “modo di avere una giustizia globale”. Rispettare e implementare le decisioni dell’Icc è anche una questione di “onore”, ha dichiarato il capo della diplomazia europea. Perché oggi il procuratore capo de L’Aia ha chiesto una mandato d’arresto per il leader militare del Myanmar colpevole di crimini contro la popolazione dei Rohingya, e “sicuramente gli Stati Ue applaudono”.L’accordo mediato da Stati Uniti e Francia per una tregua di sessanta giorni tra Israele ed Hezbollah e per il ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano è “una luce di speranza”, ha proseguito Borrell, enfatizzando che “almeno domani sera non ci saranno più nuovi bambini ustionati negli ospedali di Beirut”. L’Alto rappresentante, in visita in Libano la scorsa settimana, è stato testimone di “un bombardamento di una postazione dell’esercito regolare libanese da parte di un carro armato israeliano”. Un attacco “senza motivo, senza discussioni, senza conseguenze”. Secondo quanto riportato da Reuters nel primo pomeriggio, entrambe le parti avrebbero già denunciato violazioni della tregua, e i carri armati israeliani avrebbero colpito sei aree nel sud del Libano, a pochi chilometri dal confine.General ViewL’incontro di oggi però guardava oltre, all’implementazione della soluzione dei due Stati. Che significa “l’implementazione di uno Stato per la popolazione palestinese”, ha evidenziato Borrell. Un orizzonte che resta lontano, come dimostrato dall’assenza di una delegazione israeliana ai lavori dell’Alleanza lanciata dallo stesso Borrell a margine dell’Assemblea delle Nazioni Unite a New York a settembre.“Oggi, purtroppo, la società israeliana è stata colonizzata dall’interno dall’estremismo e dai violenti”, ha affermato ancora il socialista spagnolo, e la “colonizzazione delle menti delle persone è la cosa più pericolosa”. Per Borrell, il 7 ottobre ha accelerato un processo di radicalizzazione del discorso politico di Israele che “sta minando le fondamenta della loro democrazia”. La comunità internazionale assiste impotente – se non complice – ad un governo che “calpesta e viola sistematicamente la legge internazionale umanitaria”. E “non lo nasconde nemmeno”.L’ultima iniziativa di Borrell è un lascito politico a Kaja Kallas, con la speranza che scelga di raccogliere il testimone e “continuare a lavorare duramente” per la soluzione dei due Stati. L’unica via percorribile per sconfiggere “un cancro”, che non rischia di uccidere solo il Medio Oriente, ma di “espandersi a dismisura nelle relazioni internazionali e nella stessa società europea”.

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    Cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah, il “sollievo” di Bruxelles

    Bruxelles – Dopo intensi negoziati, il cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah è entrato in vigore nelle prime ore di mercoledì mattina (27 novembre), mettendo in pausa per 60 giorni i combattimenti che dallo scorso ottobre stanno sconvolgendo il sud del Libano e che rischiavano di destabilizzare ulteriormente un Medio Oriente già in fiamme. L’accordo, mediato da Washington e Parigi, prevede la demilitarizzazione del lembo di terra che separa lo Stato ebraico dal Paese dei cedri ed è stato salutato dai leader europei come un successo diplomatico per provare a rispondere alla grave crisi umanitaria in corso. Ma resta da vedere quanto a lungo reggerà la fragile tregua prima che riprendano gli scontri in quel martoriato angolo di mondo.Il contenuto dell’accordoNella serata di martedì (26 novembre), il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accettato le condizioni del patto stipulato con le milizie libanesi filo-iraniane di Hezbollah, alla cui formulazione hanno lavorato alacremente Stati Uniti e Francia. Una tregua di 60 giorni, il ritiro dei combattenti del Partito di Dio a nord del fiume Litani (circa 25 km a nord della cosiddetta Linea blu, che segna il confine tra Stato ebraico e Paese dei cedri) e lo smantellamento delle infrastrutture dei miliziani, il parallelo ritiro delle forze armate israeliane (Idf) dal Libano meridionale contestuale all’arrivo, sempre a sud del fiume, dell’esercito regolare di Beirut, e infine la creazione di un comitato internazionale di implementazione, presieduto da Washington, sono i punti principali dell’accordo.Il patto arriva nell’ultimo spiraglio della presidenza di Joe Biden e costituisce – almeno potenzialmente – un significativo punto di svolta nell’ultima drammatica fase della decennale crisi mediorientale, iniziata con gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 che sono immediatamente riverberati anche al confine tra Israele e Libano, un’area controllata da Hezbollah e dove Tel Aviv ha avviato un’invasione terrestre lo scorso mese in risposta al lancio di razzi sul nord di Israele. Le ostilità degli ultimi 13 mesi sono costate la vita a circa 4mila civili libanesi, secondo le autorità di Beirut, mentre almeno 300mila cittadini hanno dovuto abbandonare le loro case.Dei militari della missione Unifil nel sud del Libano (foto: Afp)Ma, per ammissione dello stesso Netanyahu, “la durata del cessate il fuoco dipende da cosa accadrà in Libano”, poiché, “in pieno accordo con gli Stati Uniti, manteniamo totale libertà di agire militarmente” se cambierà la situazione sul campo. L’esercito israeliano attaccherà (supportato da Washington), ha ammonito il capo del gabinetto di guerra, se Hezbollah “tenterà di riarmarsi” e se “cercherà di ricostruire le infrastrutture terroristiche vicino al confine”.Le reazioni europeeLe reazioni internazionali non si sono fatte attendere. In un comunicato congiunto, il presidente francese Emmanuel Macron e il suo omologo statunitense hanno celebrato il raggiungimento dell’accordo che “farà cessare i combattimenti in Libano e metterà Israele al sicuro dalla minaccia di Hezbollah e di altre organizzazioni terroristiche che operano dal Libano”, e “creerà le condizioni per ripristinare una calma duratura e consentire ai residenti di entrambi i Paesi di tornare in sicurezza alle loro case”. “Gli Stati Uniti e la Francia”, si legge ancora, “lavoreranno con Israele e il Libano per garantire che questo accordo sia pienamente attuato e fatto rispettare”, e “si impegnano inoltre a guidare e sostenere gli sforzi internazionali per il rafforzamento delle capacità delle forze armate libanesi e per lo sviluppo economico in tutto il Libano, al fine di promuovere la stabilità e la prosperità nella regione”.“L’accordo sul cessate il fuoco in Libano è un sollievo nella devastante situazione in Medio Oriente”, ha commentato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell, ringraziando l’Eliseo e la Casa Bianca per la loro mediazione. Ora, ha sottolineato il capo della diplomazia a dodici stelle, è però necessario che l’accordo regga e che gli attacchi vengano effettivamente sospesi da entrambe le parti, “per garantire la sicurezza dei cittadini libanesi e israeliani e il rientro degli sfollati”.The agreement on a ceasefire in Lebanon is a relief in the devastating situation in the Middle East.I want to praise France and the US for their mediation.It is now crucial that the ceasefire holds, to guarantee the safety of both LEB & IL citizens, & the return of IDPs. 1/2— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 26, 2024Altrettanto indispensabile, secondo Borrell, è la “piena implementazione” della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza Onu. La risoluzione, adottata nell’agosto 2006, pone le basi per la cessazione delle ostilità tra Israele ed Hezbollah, che fa parte della galassia di proxies iraniane nella regione. I suoi punti cardine, ripresi dal cessate il fuoco siglato ieri, sono il disarmo del Partito di Dio, il ritiro dell’Idf dal sud del Libano e il mantenimento della sicurezza nell’area da parte delle forze di sicurezza libanesi e dei caschi blu della missione Unifil a guida italiana, che pure è stata coinvolta negli scontri.Anche la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen, la cui seconda Commissione è stata approvata oggi in un voto dell’Eurocamera a Strasburgo, ha dichiarato che quella del cessate il fuoco “è una notizia molto incoraggiante”, sottolineando che “il Libano avrà un’opportunità di aumentare la sicurezza e la stabilità interne grazie alla ridotta influenza di Hezbollah”.Il presidente uscente del Consiglio europeo Charles Michel ha rimarcato l’importanza dell’accordo di ieri sera come “un passo necessario verso la de-escalation” nello scacchiere mediorientale. Diversi osservatori ritengono, a tal proposito, che il cessate il fuoco con le milizie sciite libanesi possa preludere ad un esito analogo nella guerra di Israele contro Hamas, che da 13 mesi continua a mietere decine di migliaia di vittime (in larghissima parte civili) nella Striscia di Gaza e per la quale la Corte penale internazionale ha recentemente spiccato due mandati di cattura per Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che proprio nelle ore precedenti l’annuncio del cessate il fuoco presiedeva la riunione dei suoi omologhi del G7 a Fiuggi, si è detto orgoglioso “di aver dato un contributo determinante a questo importante risultato”.

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    Al G7 Esteri tiene banco il rispetto del mandato d’arresto contro Netanyahu. Borrell: “Non è una scelta, ma un obbligo”

    Bruxelles – Dopo giorni di ambiguità da parte dell’Occidente, i sette grandi del mondo sono chiamati a lanciare un segnale chiaro sul mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penali internazionale (Icc) nei confronti di Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro per la Difesa di Israele, Yoav Gallant. A incalzarli, nella riunione del G7 Esteri a Fiuggi, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell: Per i 27 Ue “non si può scegliere”, attuare la decisione della Corte de l’Aia “è un obbligo”.Al suo arrivo al vertice, Borrell è stato chiaro: Washington può avere una posizione differente perché gli Stati Uniti non hanno mai ratificato lo Statuto di Roma, fondativo dell’Icc, ma “tutti i membri dell’Unione europea l’hanno fatto e non è qualcosa che si può scegliere”. Non esiste un diritto internazionale a intermittenza: “Non si può applaudire quando la Corte va contro Putin e rimanere in silenzio quando va contro Netanyahu“, ha proseguito Borrell. Le reazioni prudenti di diversi governi occidentali – se non proprio il silenzio, scelto ad esempio dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel – sono ” il tipico esempio di due pesi e due misure per cui siamo tanti criticati”, ha sbottato il capo della diplomazia europea uscente.Finora i tre Paesi Ue nel gruppo del G7 hanno dato risposte enigmatiche. Francia e Germania su tutte, mentre oggi il padrone di casa, Antonio Tajani, ha ammesso: “Siamo amici di Israele ma penso che dobbiamo rispettare il diritto internazionale“. L’obiettivo di Borrell è tornare a Bruxelles con un messaggio unitario: “Non c’è alternativa, spero che alla fine saremo in grado di dire chiaramente che gli europei rispetteranno gli obblighi del diritto internazionale”. In gioco c’è la credibilità stessa dell’Occidente, che non può permettersi di bollare come ‘politica’ la decisione giuridica di una Corte internazionale che per la prima volta sanziona i membri di un governo di una ‘democrazia occidentale’.Tregua tra Israele e Hezbollah in Libano, Borrell: “Non ci sono scuse”Josep Borrell e Antonio Tajani al G7 Esteri a Fiuggi, 26/11/24La due giorni dei ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Canada e Giappone a Fiuggi e Anagni si concentra inevitabilmente sulle due maggiori crisi internazionali. Ucraina e Medio Oriente. Su quest’ultimo, a tenere banco non è solo il mandato d’arresto emesso dall’Icc, ma anche la prospettiva di un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah in Libano.Gli occhi sono puntati sulla riunione del gabinetto di sicurezza di Tel Aviv, che già questa sera è chiamato a dare l’ok alla proposta di tregua franco-americana. La proposta “dà a Israele tutti gli impegni di sicurezza che ha chiesto”, ha sottolineato Borrell, “non ci sono scuse per rifiutarla”. Tutto dipenderà dalla volontà politica del governo di Netanyahu.Il piano mediato da Eliseo e Casa Bianca prevede una tregua di 60 giorni, durante la quale le forze israeliane si ritirerebbero dal Libano del sud e i militanti di Hezbollah si ritirerebbero a nord del fiume Litani, circa 25 km a nord del confine israeliano. L’accordo prevede la creazione di un comitato di implementazione presieduto da Washington e con la partecipazione di Parigi. In modo da garantire un equilibrio tra le parti. Beirut ha accettato che gli Stati Uniti presiedano il comitato di controllo dell’applicazione del cessate il fuoco, ma ha chiesto espressamente la presenza della Francia. È questo il punto ancora in discussione, perché Israele non vuole che la Francia partecipi.Ricordando le 4 mila vittime civili e le ampie porzioni del sud del Libano rase al suolo dai bombardamenti israeliani, Borrell ha intimato: “Basta combattimenti, basta altre richieste, spero che il governo Netanyahu accetti la proposta”. L’Alto rappresentante Ue chiede onestà intellettuale da parte del G7 anche su Gaza, dove “gli aiuti sono totalmente impediti” dall’esercito israeliano. “Dobbiamo dire la verità, diamo un nome alle cose”, ha concluso Borrell.

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    Sospendere il dialogo politico con Israele: la proposta di Borrell arriva sul tavolo dei Paesi Ue

    Bruxelles – L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, proporrà ai Paesi membri di sospendere il dialogo politico con Israele. Un’iniziativa che rende l’idea di quanto la fiducia tra i due partner si sia incrinata alla luce delle ripetute violazioni del diritto internazionale commesse da Tel Aviv nella guerra a Gaza e in Libano. Un lascito politico da parte del capo della diplomazia Ue, giunto alla fine del suo mandato, che però difficilmente verrà colto dai 27: per qualsiasi modifica dell’Accordo di associazione che regola i rapporti tra Ue e Israele, è richiesta la regola dell’unanimità.L’iniziativa, annunciata ieri (13 novembre) agli ambasciatori dei Paesi Ue, verrà formalizzata lunedì 18 novembre in occasione del Consiglio Affari Esteri. Con ogni probabilità, l’ultimo convocato da Borrell prima di lasciare la guida del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae) all’estone Kaja Kallas. Una proposta che parte già in salita: secondo quanto riferito da fonti diplomatiche, alla riunione dei rappresentanti permanenti la maggior parte dei Paesi che si sono espressi “si sono detti contrari”.In sostanza, come ha spiegato il portavoce del Seae, Peter Stano, Borrell chiederà ai ministri degli Esteri dei 27 “di valutare se vi sia effettivamente una violazione dei diritti umani (da parte di Tel Aviv, ndr), come previsto dall’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele, e di prendere in considerazione eventuali decisioni o misure dell’Ue“. L’Alto rappresentante Ue aveva già annunciato il mese scorso di voler superare l’impasse scaturita dal rifiuto di Israele di convocare un Consiglio di Associazione con Bruxelles in cui discutere del rispetto dei diritti umani nel conflitto in Medio Oriente. “Gli Stati membri volevano discuterne prima direttamente con Israele nell’ambito del Consiglio di associazione, ma nelle discussioni del mese scorso è apparso evidente che non si terrà presto”.In quell’occasione, Borrell aveva affermato che “il diritto umanitario è sepolto sotto le macerie di Gaza”. Alla luce di questo, l’Alto rappresentante la sua proposta l’ha già formulata: sospendere il capitolo relativo al dialogo politico nel quadro dell’Accordo di associazione Ue-Israele. Una mossa simbolica, non esattamente ciò che chiedono da mesi Spagna e Irlanda, cioè di rivedere l’accordo di associazione nella sua interezza, per poter fare leva su Israele anche dal punto di vista economico sospendendo le parti relative alle agevolazioni commerciali.Nel documento che regola i rapporti tra Bruxelles e Tel Aviv, il dialogo politico costituisce il primo dei nove capitoli, ed è composto solamente da tre articoli, dal 3 al 5. Il primo afferma che “tra le Parti si instaura un dialogo politico regolare” per “sviluppare una migliore comprensione reciproca e una crescente convergenza di posizioni sulle questioni internazionali” e per “rafforzare la sicurezza e la stabilità regionali”. L’articolo 4 sostiene che tale dialogo deve tendere agli “obiettivi comuni, in particolare la pace, la sicurezza e la democrazia“. L’ultimo elenca le modalità di svolgimento del dialogo: a livello ministeriale, di alti funzionari, “fornendo regolarmente informazioni a Israele su questioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, che saranno ricambiate”, e a livello di Parlamenti, tra l’Eurocamera e la Knesset.

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    Israele ha messo sotto assedio quel che resta del nord di Gaza. L’appello di Borrell ai Paesi Ue: “Adottare misure urgenti”

    Bruxelles – Nell’elenco straziante senza fine di bombardamenti israeliani su Gaza – 75 mila tonnellate di esplosivo nel primo anno di conflitto – ce ne sono alcuni che fanno più rumore di altri. Come quello di ieri nel campo profughi di Jabalia, che ha completamente raso al suolo un edificio residenziale ed ucciso almeno 30 persone. E che rientra nell’assedio totale che Israele ha imposto nell’ultimo mese nel nord della Striscia di Gaza. Arriva puntuale la “ferma condanna” dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, che ha amaramente constatato: “Le parole ‘pulizia etnica’ sono sempre più utilizzate per descrivere ciò che sta accadendo nel nord di Gaza”.Le forze di difesa israeliane hanno motivato il raid con la presunta presenza di terroristi sul posto. Secondo quanto riportato da un testimone dell’attacco e familiare di alcune persone uccise alla Bbc le vittime non erano che “civili innocenti che non appartenevano ad alcuna organizzazione militare”. Nelle ultime settimane, l’offensiva israeliana si è inasprita ulteriormente, facendo ipotizzare diversi osservatori che Tel Aviv stia mettendo in atto un consapevole piano di sfollamento forzato e annessione di quella porzione di territorio. Non si tratta solo del bombardamento sistematico di tutti gli edifici, ma anche dell’interruzione totale dell’ingresso di cibo e aiuti umanitari e degli ordini continui di evacuazione alla popolazione stremata.“La realtà quotidiana degli sfollamenti forzati viola il diritto internazionale”, ha ricordato per l’ennesima volta Borrell in un post su X. Ed “anche l’uso della fame come arma di guerra è contrario al diritto internazionale umanitario”. È di pochi giorni fa infatti il rinnovato allarme dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc) delle Nazioni Unite, secondo cui “è molto probabile una carestia imminente nelle aree della Striscia di Gaza settentrionale”.Il bollettino di ottobre diffuso dall’Ufficio di Coordinamento per gli Affari Umanitari dell’Onu (Ocha) non lascia dubbi: le autorità israeliane hanno “chiuso il valico di Erez e imposto l’assedio su vaste aree del governatorato di Gaza Nord, tra cui Beit Lahia, Beit Hanoun e la maggior parte di Jabalia”. Su 98 tentativi di ingresso di aiuti umanitari da sud, attraverso il checkpoint lungo Wadi Gaza, l’85 per cento è stato “negato o impedito“. Dal 6 ottobre, sulle tre principali città del governorato di Gaza nord vige un “blocco dell’accesso delle missioni umanitarie, salvo rare eccezioni”.Il capo della diplomazia europea ha ricordato al partner israeliano che “in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di agire facendo entrare gli aiuti”. E secondo l’Ipc è necessaria “un’azione immediata, entro pochi giorni e non settimane, da parte di tutti gli attori che partecipano direttamente al conflitto o che hanno influenza sulla sua condotta”, per scongiurare la carestia. La pulizia etnica.“Spetta alla comunità internazionale e ai principali alleati di Israele adottare misure urgenti per porre fine alle sofferenze dei palestinesi e liberare gli ostaggi”, ha dichiarato ancora Borrell, lanciando un disperato appello ai governi dei Paesi membri, di cui l’Alto rappresentante è quasi prigioniero ogni volta che propone di aumentare la pressione diplomatica sullo Stato ebraico. Sicuramente ne discuteranno i ministri degli Esteri dei 27 il prossimo 18 novembre a Bruxelles, nell’ultimo Consiglio Affari Esteri presieduto da Borrell prima di lasciare l’incarico all’estone Kaja Kallas: alla riunione, Borrell intavolerà una discussione approfondita sul rispetto degli obblighi sui diritti umani previsti dall’Accordo di associazione Ue-Israele e chiederà ai 27 di adottare nuove sanzioni contro i coloni israeliani estremisti. Manca una settimana: in quella appena passata, sono state uccise circa 330 persone a Gaza.

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    Israele bandirà l’Unrwa dal proprio territorio. Critiche da Ue e Stati Uniti: “È insostituibile”

    Bruxelles – A testa bassa, il governo israeliano continua a prendere a picconate il diritto internazionale e le sue istituzioni. Dopo aver rigettato le raccomandazioni della Corte di giustizia internazionale, bollato il segretario generale dell’Onu come “persona non gradita” sul territorio nazionale, Tel Aviv chiude il cerchio e si prepara, entro tre mesi, a bandire definitivamente l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (Unrwa) da Israele e dai territori palestinesi occupati.Ieri sera (28 ottobre) la Knesset, il Parlamento israeliano, ha approvato a larghissima maggioranza due leggi con cui definisce l’Unrwa un’organizzazione terroristica e vieta all’Agenzia dell’Onu di condurre “qualsiasi attività” all’interno di Israele, a Gerusalemme Est e nella Cisgiordania occupata. Tra 90 giorni, nessun funzionario israeliano dovrà più mantenere alcun contatto con i dipendenti dell’Unrwa, rendendo di fatto impossibile il lavoro all’Agenzia anche a Gaza. Perché la cooperazione con l’esercito israeliano – che controlla tutti gli ingressi all’enclave palestinese – è essenziale per trasferire gli aiuti nel territorio.Proprio mentre nel nord della Striscia aumenta di giorno in giorno il rischio di pulizia etnica da parte di Israele: secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) “il modo in cui l’esercito israeliano sta conducendo le ostilità nel nord di Gaza, insieme all’interferenza illegale con l’assistenza umanitaria e agli ordini che stanno portando allo sfollamento forzato” potrebbero causare “la distruzione della popolazione palestinese nel governatorato più settentrionale di Gaza”.Dipendenti dell’Unrwa in una scuola delle Nazioni Unite convertita a rifugio per gli sfollati palestinesi a Khan Yunis (Photo by Mahmud HAMS / AFP)Ma la campagna di Tel Aviv per delegittimare l’Unrwa va avanti dallo scorso gennaio, quando accusò l’Agenzia di “collusione con Hamas” e 12 dei suoi membri di aver partecipato agli attacchi terroristici del 7 ottobre 2023. Inizialmente, la maggior parte dei Paesi occidentali sulle cui donazioni si regge il lavoro dell’Unrwa congelarono i finanziamenti, salvo poi sbloccarli per la mancanza di prove a sostegno delle accuse israeliane. Fallita l’opzione della delegittimazione internazionale, il governo di Benjamin Netanyahu ha scelto di fare da sé per mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Agenzia.Netanyahu ha ribadito che “i lavoratori dell’Unrwa coinvolti in attività terroristiche contro Israele devono essere ritenuti responsabili”, aggiungendo tuttavia che “aiuti umanitari sostenuti devono rimanere disponibili a Gaza”. Non esattamente quel che sta succedendo, stando a quanto riportato dall’Ufficio di coordinamento dell’Onu per gli Affari umanitari (Ocha). Nelle prime tre settimane di ottobre sarebbero stati autorizzati a entrare nella Striscia dal valico meridionale di Kerem Shalom una media di 28 camion umanitari al giorno, “tra le più basse dall’ottobre 2023” e “ben al di sotto della media di 500 camion per giorno lavorativo” precedente al 7 ottobre. Ancora peggio nello stesso periodo al checkpoint di Al Rashid, snodo per raggiungere da sud i governatorati settentrionali di Gaza: secondo Ocha le autorità israeliane avrebbero facilitato il passaggio solo del 6 per cento – 4 su 70 – dei convogli umanitari.Già prima della votazione alla Knesset, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, aveva espresso “grave preoccupazione” per due leggi che avranno “conseguenze di vasta portata, rendendo di fatto impossibili le operazioni vitali dell’Unrwa a Gaza”. Nel tentativo di richiamare i partner israeliani e esortarli “a riconsiderare la questione”, Borrell aveva definito le leggi “in netta contraddizione con il diritto internazionale e con il principio umanitario fondamentale dell’umanità“. Allo stesso modo, il portavoce del dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, ha invitato Israele a riconsiderare il divieto, affermando che l’Unrwa è “insostituibile” in questo momento per la fornitura di aiuti umanitari a Gaza.Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)In una nota, il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha affermato che il voto del Parlamento israeliano “costituisce un pericoloso precedente” e non è che “l’ultimo atto della campagna in corso per screditare l’Unrwa e delegittimare il suo ruolo nel fornire assistenza e servizi di sviluppo umano ai rifugiati palestinesi”. Dall’Agenzia dell’Onu dipendono non solo i quasi 2 milioni di sfollati interni nella Striscia di Gaza, ma circa 6 milioni di profughi palestinesi in tutta la regione.Per il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, l’attuazione delle leggi “è inaccettabile”. Guterres ha richiamato Israele “ad agire in modo coerente con i suoi obblighi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e con gli altri obblighi previsti dal diritto internazionale”. Un richiamo destinato a cadere nel vuoto, pronunciato da un uomo trattato da Israele alla stregua di un terrorista, che non può più nemmeno mettere piede sul territorio israeliano.Secondo Nicola Zingaretti, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo, “la legge voluta dalla destra israeliana contro l’Unrwa è un altro ennesimo errore di Benjamin Netanyahu. Una scelta disumana e in piena violazione del diritto internazionale”.

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    Alla conferenza sul Libano raccolto un miliardo per aiuti umanitari e militari. Borrell: “Rafforziamo Unifil e l’esercito regolare”

    Bruxelles – L’appello delle Nazioni Unite a raccogliere 426 milioni di dollari per assistere la popolazione civile libanese è stato raccolto. Più che raddoppiato: Parigi ha annunciato che la conferenza internazionale sul Libano tenutasi oggi (24 ottobre) nella capitale francese ha permesso di mettere insieme più di 800 milioni di aiuti umanitari e 200 milioni per sostenere l’esercito regolare. La comunità internazionale “è stata all’altezza della sfida”, ha esultato il ministro per gli Affari esteri Jean-Noel Barrot. Il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, ha promesso 80 milioni da Bruxelles per l’assistenza ai civili e 60 milioni per l’esercito entro il 2025.A dare il buon esempio il padrone di casa, Emmanuel Macron, che aprendo i lavori ha annunciato un pacchetto “massiccio” da 100 milioni di euro per Beirut. A cui ha fatto seguito il governo tedesco, che si è impegnato a “fornire un totale di 96 milioni di euro aggiuntivi per far fronte alla crisi in Libano”. Alla conferenza di Parigi hanno partecipato ministri e diplomatici da oltre 70 Paesi e una quindicina di organizzazioni internazionali. Per l’Italia era presente il Sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli, su delega del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato oggi a Pescara per il G7 Sviluppo a guida italiana.Il primo ministro libanese, Najib Mikati, e Emmanuel Macron (Photo by ALAIN JOCARD / POOL / AFP)Macron ha inaugurato la conferenza ribadendo l’appello per un cessate il fuoco “il prima possibile”, perché “più, bombe, devastazione e vittime non permetteranno di sconfiggere il terrorismo e di assicurare la sicurezza di nessuno”. Il presidente francese ha attaccato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, affermando che “si parla molto di guerra di civiltà”, ma “non sono sicuro che si difenda una civiltà seminando la barbarie“. Al suo fianco, il primo ministro libanese Najib Mikati ha snocciolato i tristi numeri del conflitto tra Hezbollah e Israele: 2400 vittime libanesi e 1,2 milioni di sfollati, di cui 500 mila minori. Ma anche “gravi danni alle infrastrutture” ed attacchi mirati a “presidi medici che mostrano una chiara violazione della Convenzioni di Ginevra”.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha ribadito il “pieno sostegno alla nazione libanese per ripristinare la sua sovranità” e sottolineato la totale assenza di proporzionalità nell’azione militare di Israele. Alla conferenza, Borrell ha presentato i punti per un effettivo sostegno a Beirut. Prima di tutto il cessate il fuoco, per il quale serve “combattere l’impunità” e far sì che “tutti gli attori rispettino il diritto internazionale”. Fondamentale che la leadership politica libanese “si assuma le proprie responsabilità ed elegga il presidente della Repubblica”, dal momento che il mandato di Michel Aoun è scaduto da più di due anni.Parallelamente, Borrell è determinato a rafforzare l’esercito libanese, che “dopo il cessate il fuoco dovrà essere dispiegato nel sud del Paese”. Per realizzare il piano annunciato da Beirut e aumentare di 6 mila unità le proprie truppe, l’Ue è pronta a mettere sul piatto 20 milioni di euro già entro la fine dell’anno e 40 milioni per il 2025. Il capo della diplomazia Ue è convinto che bisogna allo stesso tempo rafforzare la missione delle Nazioni Unite Unifil, vittima di continue provocazioni e attacchi da parte delle forze israeliane. “Alla frontiera abbiamo dieci mila uomini – ha affermato Borrell -, ma potremmo averne fino a 15 mila, il numero autorizzato da Unifil”.Alla conferenza è intervenuto da remoto anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha chiarito un’altra volta che “gli attacchi contro i caschi blu sono totalmente inaccettabili” e “possono costituire un crimine di guerra”. D’altra parte, Guterres ha invitato “i leader libanesi ad adottare misure risolute per garantire il corretto funzionamento delle istituzioni statali al fine di affrontare le urgenti sfide politiche e di sicurezza del Paese”.