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    Spagna e Irlanda chiedono una verifica degli impegni sui diritti umani previsti dall’accordo di associazione Ue-Israele

    Bruxelles – In una lettera recapitata direttamente alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, i governi di Spagna e Irlanda chiedono di fare luce “con urgenza” sugli obblighi previsti dall’Accordo di associazione Ue-Israele in materia di diritti umani. Perché “considerata la diffusa preoccupazione per le possibili violazioni del diritto internazionale umanitario” a Gaza, per i due premier, Pedro Sanchez e Leo Varadkar, potrebbe esserci margine per rivedere la relazione privilegiata con Tel Aviv.Nel clima di crescente pressione internazionale nei confronti di Israele perché metta fine alle devastanti operazioni militari nella Striscia di Gaza, i due governi europei che dal 7 ottobre si sono mostrati maggiormente sensibili alle sofferenze palestinesi hanno deciso di rompere gli indugi e mettere sul piatto uno strumento che l’Ue potrebbe usare per fare leva su Tel Aviv. Perché l’Accordo di Associazione, in vigore dal 2000, prevede una serie di agevolazioni commerciali che per l’economia di Israele – per cui l’Ue è il primo partner commerciale – sono di vitale importanza.

    Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez (a destra) e il premier irlandese, Leo Varadkar (Photo by Thomas COEX / AFP)Ma gli accordi di Associazione stipulati dall’Ue nel mondo, non solo quello con Israele, si fondano sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali. Il momento scelto da Sanchez e Varadkar è pregnante, perché “l’ampliamento dell’operazione militare israeliana nell’area di Rafah rappresenta una minaccia grave e imminente che la comunità internazionale deve affrontare con urgenza”.Dopo aver ricordato le 28 mila vittime dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza, i 67 mila feriti e lo sfollamento forzato di quasi 2 milioni di persone, Spagna e Irlanda hanno ricordato inoltre a von der Leyen – che dopo un iniziale supporto infervorato per la causa israeliana ha diminuito progressivamente le proprie uscite sul conflitto – che la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato a Israele di adottare “misure provvisorie per impedire che vengano commessi atti di genocidio” e azioni “immediate ed efficaci per assicurare servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari a Gaza”. Dove le Nazioni Unite stimano che il 90 per cento della popolazione si trovi già in una situazione di grave insicurezza alimentare, con il serio rischio di carestia.Niente di più distante dal rischio di catastrofe umanitaria che provocherebbe “l’imminente minaccia di operazioni militari israeliane a Rafah”. Per tutte queste ragioni, il governo socialista spagnolo e quello di centro-destra irlandese hanno chiesto alla Commissione europea di “verificare con urgenza se Israele stia rispettando i suoi obblighi, anche nell’ambito dell’Accordo di associazione Ue-Israele, che fa del rispetto dei diritti umani e dei principi democratici un elemento essenziale delle relazioni”. E di proporre al Consiglio eventuali “misure appropriate da prendere in considerazione“.

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    Lazzarini da Bruxelles fa il punto della situazione a Gaza. E avverte: “Senza finanziamenti Ue, l’Unrwa in negativo già a marzo”

    Bruxelles – Gli 82 milioni di euro che la Commissione europea dovrebbe versare nelle casse dell’Unrwa a inizio marzo sono fondamentali perché l’Agenzia possa continuare a operare in soccorso ai profughi palestinesi. È fredda e semplice matematica: se diversi donatori non avessero deciso in fretta e furia di sospendere pagamenti per 450 milioni di dollari, l’Unrwa avrebbe potuto resistere fino a fine luglio. Ma ora l’Agenzia, che solo per saldare gli stipendi spende 60 milioni al mese, rischia di andare in rosso di 30-40 milioni già nel mese di marzo.I numeri sono stati snocciolati ai ministri dell’Ue – e alla stampa internazionale – dal commissario generale dell’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini. Invitato a Bruxelles per la riunione informale dei ministri dello sviluppo dei 27, Lazzarini ha fatto il punto sulla drammatica situazione a Gaza – con l’imminente operazione israeliana a Rafah – e sulle contromosse avviate dall’Agenzia dopo le accuse sul presunto coinvolgimento di 12 membri del suo staff negli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina nel sud di Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Anche qui, a parlare sono i numeri: secondo le stime dell’Unrwa ormai il 5 per cento della popolazione gazawi è rimasta uccisa, ferita o dispersa in questi quattro mesi di assedio israeliano. Cento mila persone, su un totale di circa 2 milioni. E pesanti “sacche di malnutrizione, con rischio di carestia”, soprattutto nel nord della Striscia, dove sarebbero rimaste 300 mila persone e dove l’Unrwa non è più riuscita a inviare convogli umanitari dal 20 gennaio. Lazzarini ha inoltre raccontato che ieri a Rafah per la prima volta lo staff “non ha potuto operare con un minimo di protezione” e che i propri veicoli per la distribuzione di generi alimentari sono stati presi d’assalto, perché ormai non esiste più nemmeno la polizia locale.Ma, da quando le autorità israeliane hanno accusato membri dell’Unrwa di complicità con Hamas, gli ostacoli al lavoro dell’Agenzia si sono moltiplicati: “Gli appaltatori hanno ricevuto istruzioni di non inviare il cibo perché serve all’Unrwa, le esenzioni sull’Iva sono state revocate, le banche locali hanno deciso di congelare i conti, i visti non sono più concessi su base giornaliera”, ha elencato Lazzarini. Tutto questo sulla base di accuse che finora non sono state supportate da alcuna prova. “Abbiamo chiesto e chiediamo la piena collaborazione delle autorità israeliane per condividere le prove“, ha ribadito il commissario generale dell’Unrwa, che per cercare di salvaguardare l’Agenzia aveva immediatamente licenziato i dipendenti coinvolti e avviato un’indagine interna.Ora le indagini sono più di una: c’è quella dell’Oios, il massimo organo investigativo delle Nazioni Unite, e la commissione di revisione indipendente guidato dall’ex ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna. Dagli esiti di quest’ultima, che esaminerà tutti i meccanismi interni di gestione dei rischi, le questioni relative al comportamento del personale e alle affiliazioni politiche, le misure preventive e investigative dell’Agenzia, dipendono molti dei fondi che garantiscono la sopravvivenza stessa dell’Unrwa. Perché se l’indagine dell’Onu “durerà tutto il tempo necessario”, il team guidato da Colonna dovrebbe presentare alcune osservazioni preliminari già a meta marzo e il rapporto finale entro il 20 aprile.Il Commissario Generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, al Consiglio informale Sviluppo a Bruxelles (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Molti dei Paesi che hanno sospeso i finanziamenti – Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Romania e Giappone – hanno espresso la volontà di aspettare i risultati della revisione prima di riprendere eventualmente gli impegni con l’Unrwa. Ma l’Ue ha in programma l’esborso di 82 milioni per il 2024 a inizio marzo. Lazzarini ne ha discusso con il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, che avrebbe chiesto alcune garanzie sul reclutamento dello staff di Unrwa, sul rafforzamento del meccanismo interno di supervisione e sul controllo del personale. C’è stato un “impegno reciproco perché l’esborso avvenga”, ha dichiarato il commissario generale svizzero.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, pur ammettendo i “diversi approcci da parte degli Stati membri”, ha sottolineato che alcuni Paesi hanno deciso di aumentare il sostegno all’Unrwa proprio perché in una situazione di difficoltà. Come la Spagna, che ha annunciato oggi l’esborso di ulteriori 3 milioni per l’Agenzia. Borrell, ricordando che spetta sempre a chi accusa dimostrare la colpevolezza dell’accusato, ha voluto chiarire un punto fondamentale. Bisogna “garantire la responsabilità individuale, non punizioni collettive“. Cioè: se anche quei 12 su 30 mila dipendenti fossero riconosciuti implicati nell’attentato di Hamas, a rimetterci non potranno essere le 5,6 milioni di profughi palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, in Siria, in Libano e in Giordania che sopravvivono solo grazie all’assistenza dell’Unrwa.

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    Su Israele Borrell continua a predicare nel deserto. Agli Usa: “Se credete che i morti siano troppi, smettete di vendere armi”

    Bruxelles – Di fronte all’immobilismo atlantico nei confronti della tragedia in corso a Gaza, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell – che su Israele è la più critica voce fuori dal coro nelle istituzioni europee  – punzecchia gli Stati Uniti: “Se credete che il numero di morti sia troppo alto, forse potete fare qualcosa“, ha dichiarato oggi (12 febbraio) dalla capitale europea.Non solo un appello generico a “fare qualcosa di più che esprimere preoccupazione”, che Borrell ha rivolto anche ai Paesi dell’Ue. La critica a Joe Biden è più specifica: “L’Ue non fornisce armi a Israele. Altri lo fanno“, ha precisato. Secondo i dati più recenti, pubblicati a dicembre 2023 dal Sole 24 Ore, da Washington arriva circa il 70 per cento delle armi utilizzate dalle Forza di difesa israeliane (Fdi). Da Bruxelles nessun supporto militare, ma non si può dire lo stesso dei Paesi membri: il secondo fornitore di armi per Tel Aviv è la Germania (24 per cento dell’arsenale israeliano), seguita dall’Italia (5,6 per cento).Questa mattina, al suo arrivo al vertice informale dei ministri dello Sviluppo dell’Ue a Bruxelles, Borrell è sembrato nuovamente molto duro su Israele. “Anche il presidente degli Stati Uniti, che sono i maggiori sostenitori di Israele, ha detto ieri che le operazioni non sono più proporzionate e che il numero di persone uccise è diventato insopportabile (28 mila, secondo il ministero della Salute di Hamas, ndr). Penso che sia una frase sempre più comune da parte di molti, in tutto il mondo”, ha attaccato il capo della diplomazia europea. Che “spera che il mondo intero prenda atto” della situazione nella Striscia di Gaza: quasi 2 milioni di persone che vengono bombardate costantemente senza poter fuggire.Una moschea distrutta dai bombardamenti israeliani a Rafah, 11/2/23 (Photo by MOHAMMED ABED / AFP)A far infuriare l’Alto rappresentante è la nuova operazione che le Fdi hanno lanciato a Rafah, al confine con l’Egitto, dove in questi 4 mesi di conflitto si sono progressivamente ammassati tutti gli sfollati di Gaza. “Netanyahu ha chiesto l’evacuazione di circa 1,7 milioni di persone, senza dire dove queste persone potrebbero essere evacuate”, ha sottolineato Borrell. Che è il punto sollevato anche da Biden nell’ultima telefonata con il premier israeliano: prima dell’operazione a Rafah, Israele avrebbe dovuto “garantire la sicurezza della popolazione con un piano credibile di evacuazione”.Ma il governo guidato da Netanyahu rimane sordo a qualsiasi richiesta della comunità internazionale e prosegue a testa bassa per la sua strada verso la “completa smilitarizzazione di Gaza”. Per ora, l’operazione lanciata a Rafah avrebbe causato oltre 100 vittime palestinesi, e portato alla liberazione di 2 ostaggi israeliani. Anche l’avvertimento dell’Egitto, secondo cui gli aiuti umanitari non riusciranno più a entrare nella Striscia dal valico di Rafah in caso di attacchi massicci israeliani, è rimasto inascoltato.Al vertice informale anche il commissario generale dell’Unrwa, Philippe LazzariniA Bruxelles è arrivato anche Philippe Lazzarini, il commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite sotto accusa per il presunto coinvolgimento di alcuni membri dello staff negli attacchi di Hamas a Israele del 7 ottobre. “Una cosa è certa per me: l’Unrwa oggi svolge un lavoro insostituibile, che nessun altro potrebbe”, ha immediatamente messo in chiaro Borrell. Che ha nuovamente provocato Israele, che finora non ha presentato alcuna prova a corredo delle proprie accuse: “Le accuse devono essere verificate. La presunzione d’innocenza vale sempre, anche per l’Unrwa”. Ma c’è di più: “Non è un segreto che il governo israeliano voglia sbarazzarsi dell’Unrwa. Non ora, ma da molti anni, perché credono che in questo modo si libereranno del problema dei rifugiati palestinesi”, ha affermato l’Alto rappresentante Ue.

    Josep Borrell con il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Quasi una supplica, quella di Borrell, almeno a quei Paesi dell’Ue che hanno deciso troppo presto di interrompere i fondi all’Agenzia Onu per il Soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi. “Aspettiamo che l’indagine abbia luogo“, ha ripetuto due volte. Di indagine in corso ce n’è più di una: quella interna lanciata dallo stesso Lazzarini, quella avviata dal massimo organo investigativo delle Nazioni Unite (Oios), oltre al gruppo di revisione indipendente guidato dall’ex ministra francese, Catherine Colonna.L’Ue per ora sta temporeggiando, affermando che “per ora non c’è stata alcuna sospensione dei fondi”, dal momento che non sono previsti pagamenti all’Unrwa fino alla fine di febbraio. Ma difficilmente nel giro di due settimane le indagini saranno concluse, e a Bruxelles dovranno scegliere da che parte stare. Una scelta che Borrell ha già ben chiara in mente: “L’indagine prenderà il tempo necessario, ma nel frattempo le persone devono poter continuare a mangiare”.

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    Una commissione indipendente indagherà sulle accuse all’Unrwa. Michel: “Non dimentichiamo il lavoro umanitario” a Gaza

    Bruxelles – L’Agenzia dell’Onu per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (Unrwa) è sotto la lente d’ingrandimento, dopo le accuse da parte di Israele ad alcuni dei suoi dipendenti che avrebbero partecipato all’azione terroristica di Hamas del 7 ottobre. Sono già in corso un’indagine interna e una da parte del massimo organo investigativo delle Nazioni Unite (l’Oios). E dal 14 febbraio inizierà il suo scrutinio anche un gruppo indipendente nominato dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.La revisione sarà guidata da Catherine Colonna, ex ministro degli Esteri francese, che collaborerà con tre organizzazioni di ricerca: il Raoul Wallenberg Institute in Svezia, il Chr. Michelsen Institute in Norvegia e l’Istituto danese per i diritti umani. Il team dovrà valutare se l’Agenzia “sta facendo tutto ciò che è in suo potere per garantire la neutralità e per rispondere alle accuse di gravi violazioni”.

    IL Commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, e Josep Borrell (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)È stato lo stesso commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, a chiedere la nomina di una commissione indipendente per fugare ogni dubbio sull’integrità dell’Agenzia. L’equipe è chiamata a presentare un rapporto intermedio sulla scrivania di Guterres alla fine di marzo, mentre il rapporto finale dovrebbe essere redatto e reso pubblico entro la fine di aprile.Rapporto che l’Alto rappresentate Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “attende con ansia”, come ha dichiarato in un post su X. Borrell ha messo in chiaro a più riprese che Bruxelles non ha intenzione di sospendere i finanziamenti all’Unrwa in seguito alle accuse di Tel Aviv, diversamente dalla scelta fatta già da 13 Paesi – Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Romania e Giappone – che rappresentano oltre il 50 per cento dei fondi dell’Unrwa. Alla luce di questi tagli, l’Agenzia ha già denunciato il rischio di non poter proseguire il proprio lavoro sul campo a Gaza dopo la fine di febbraio, se questi Paesi non sbloccheranno i propri finanziamenti. Intanto la Commissione europea ha richiesto all’Unrwa di “effettuare un audit dell’agenzia condotto da esperti esterni indipendenti nominati dall’Ue”, in modo da poter prendere eventuali decisioni su una partnership che prosegue da 50 anni.

    EP Plenary session – European Council and Commission statements – Conclusions of the special European Council meeting of 1 February 2024Sulla vicenda i governi dei 27 hanno preso posizioni differenti: al Consiglio europeo del 1 febbraio “diversi leader hanno menzionato, anzi denunciato, questo grave coinvolgimento di un certo numero di dipendenti dell’Unrwa”, ha ammesso il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, all’Eurocamera di Strasburgo. Michel ha dichiarato che “spetta a noi sostenere le indagini che sono state avviate sotto dalle Nazioni Unite in modo indipendente e in modo che venga fatta luce”, sottolineando tuttavia che “è anche nostro dovere non dimenticare che l’Unrwa ha 13 mila dipendenti che lavorano sul campo, svolgendo un lavoro umanitario estremamente vitale e prezioso”. Secondo i dati dell’Agenzia, circa 1,7 milioni di sfollati interni palestinesi stanno trovando riparo dai bombardamenti israeliani nei suoi rifugi di emergenza.Tel Aviv ha sostenuto, senza finora mostrare prove a corredo delle proprie accuse, che 12 dei 30 mila dipendenti regionali (13 mila ancora a Gaza) dell’agenzia fossero complice degli attacchi ai kibbutz ebraici in cui sono rimasti uccisi oltre 1.100 israeliani, in larga parte civili. Israele sostiene inoltre che in realtà una larga fetta degli operatori dell’Unrwa abbiano legami con Hamas. Il che è probabile oltre che banale, dal momento che Hamas governa il territorio dove l’Agenzia opera e che la maggior parte dei suoi dipendenti sono essi stessi profughi palestinesi. Le Nazioni Unite, nell’annunciare l’istituzione della commissione indipendente guidata da Catherine Colonna, ha evidenziato che “la cooperazione delle autorità israeliane, che hanno formulato queste accuse, sarà fondamentale per il successo dell’indagine“.

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    L’Ue avvia una revisione dei fondi all’Unrwa, diversi Stati membri li hanno già sospesi. A rischio l’assistenza a Gaza

    Bruxelles – È cominciata la reazione a catena dopo le accuse mosse da Israele sul presunto coinvolgimento di 12 dipendenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) nell’attacco terroristico di Hamas dello scorso 7 ottobre. Uno dopo l’altro, diversi governi hanno già annunciato la sospensione dei finanziamenti. L’Ue attende l’esito dell’indagine annunciata dall’Onu. E l’Unrwa fa sapere che così non sarà più in grado di garantire l’assistenza a Gaza oltre il mese di febbraio.Finora sono 13 i Paesi che si sono sfilati dagli impegni con l’Unrwa: Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Romania e Giappone. Più cauta invece l’Unione europea, la cui cooperazione con l’Agenzia dell’Onu per la Palestina risale addirittura al 1971. La Commissione europea – che nel 2023 ha mobilitato 92 milioni di euro per l’Unrwa – ha fatto sapere che “attualmente non sono previsti ulteriori finanziamenti fino alla fine di febbraio” e che riesaminerà la questione “alla luce dell’esito dell’indagine annunciata dall’Onu e delle azioni che intraprenderà”.Nel frattempo, Bruxelles ha richiesto all’Unrwa di “effettuare un audit dell’agenzia che sarà condotto da esperti esterni indipendenti nominati dall’Ue”. In sostanza – ha spiegato il portavoce capo dell’escutivo Ue, Eric Mamer -, quando la Commissione “lavora intensamente come fa con l’Unrwa”, esistono diversi meccanismi di controllo e la possibilità di chiedere un audit “in qualsiasi momento”. Non si tratta di un’indagine sull’accaduto, ma riguarda la “rivalutazione dei pilastri concentrandosi in particolare sui sistemi di controllo con cui l’Unrwa previene il possibile coinvolgimento del suo personale in attività terroristiche”.

    L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell (R) con il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Non si è fatta attendere nemmeno la risposta del Palazzo di vetro. L’Onu ha immediatamente lanciato un’indagine da parte dell’Office of Internal Oversight Services (OIOS), il massimo organo investigativo delle Nazioni Unite, anche se il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, aveva già annunciato l’avvio di un’indagine interna. Delle 12 persone implicate, nove sono state immediatamente identificate e licenziate, uno è stato confermato morto e le identità dei restanti due sono “in fase di chiarimento”.“Qualsiasi dipendente delle Nazioni Unite coinvolto in atti di terrorismo sarà ritenuto responsabile, anche attraverso procedimenti penali”, ha affermato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Riconoscendo le preoccupazioni dei paesi che hanno sospeso i fondi ed esprimendo il proprio orrore per le accuse, Guterres ha tuttavia lanciato un forte appello per garantire almeno la continuità delle operazioni dell’Unrwa. “I presunti atti ripugnanti di questi membri dello staff devono avere delle conseguenze. Ma le decine di migliaia di uomini e donne che lavorano per l’Unrwa, molti dei quali si trovano in alcune delle situazioni più pericolose per gli operatori umanitari, non dovrebbero essere penalizzate”, ha affermato. E con loro naturalmente la popolazione civile di Gaza, i cui “disperati bisogni devono essere soddisfatti”.Secondo i dati dell’Unrwa aggiornati al 27 gennaio, circa 1,7 milioni di sfollati interni stanno trovando riparo nei rifugi di emergenza dell’Agenzia. Delle 21.881 tonnellate metriche di farine distribuite dal 21 ottobre alla popolazione, più della metà (12.987) provenivano dall’Unrwa. Che nello stesso periodo ha consegnato a Gaza medicinali e forniture mediche per un valore totale di oltre 6,2 milioni di dollari, quasi 19 milioni di litri d’acqua, 2,7 milioni di unità di biscotti e biscotti ad alto contenuto energetico, quasi 4,7 milioni di scatole di cibo a base di proteine, oltre 6,5 milioni di unità di prodotti caseari e altri alimenti, tra cui datteri, dolci e succhi di frutta. E quasi 100.000 materassi, 80.000 kit per l’igiene familiare, oltre 3,1 milioni di pannolini, circa 144.000 coperte e oltre 1,9 milioni di articoli per la pulizia.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina a Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Ma l’Agenzia ha dichiarato che non sarà in grado di continuare le operazioni a Gaza e in tutta la regione oltre la fine di febbraio, se non riprenderanno i finanziamenti a suo favore. Anche se l’Ue ha già affermato che “gli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania continueranno senza sosta attraverso altre organizzazioni partner”, è difficile immaginare di poter rimpiazzare il lavoro degli oltre 13 mila dipendenti dell’Unrwa residenti a Gaza, in gran parte essi stessi profughi palestinesi.Tutto questo a pochi giorni dal pronunciamento della Corte di giustizia internazionale, che ha chiesto a Israele che vengano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”. E che, per le accuse mosse allo 0,09 per cento dell’Unrwa, rischia ora tragicamente di interrompersi.

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    La Corte de l’Aia ha ordinato a Israele di “adottare le misure necessarie” per scongiurare il genocidio a Gaza

    Bruxelles – Un’occasione persa per chiedere a Israele di interrompere le operazioni militari a Gaza. O “una vittoria decisiva per lo Stato di diritto internazionale”, come l’ha definita il ministero degli Esteri del Sudafrica. Tutto sta nel voler vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Dalla Corte de l’Aia esce il primo verdetto: Israele deve “adottare tutte le misure in suo potere” per impedire un genocidio contro il popolo palestinese.C’era grande attesa per le misure provvisorie che la Corte Internazionale di Giustizia avrebbe ordinato di intraprendere a Tel Aviv, portata a giudizio dal Sudafrica con l’accusa di aver violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio, alla luce delle oltre 26 mila vittime dei bombardamenti su Gaza. Ma prima ancora, il primo punto fermo che esce dall’aula è che i giudici non hanno archiviato il caso, perché hanno ritenuto che alcune delle denunce presentate dal Sudafrica sono giustificate.Messo nero su bianco questo, l’aspettativa era alta perché il tribunale aveva la possibilità di chiedere – o meglio imporre, essendo le sue decisioni vincolanti – a Israele di porre fine immediatamente alla devastante risposta militare all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. E di spostare dunque le sorti della guerra. Ma dalla giuria, presieduta dalla statunitense Joan Donoghue, non è arrivato l’ordine di un cessate il fuoco. Israele dovrà però riferire alla corte entro un mese le precauzioni adottate per prevenire gli atti di genocidio nella Striscia, e dovrà conservare le prove di queste misure e renderle accessibili a missioni internazionali e altri organismi che operano a Gaza.

    La giudice Joan E. Donoghue [Photograph: UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek]Oltre a “garantire con effetto immediato che il suo esercito non commetta nessuno degli atti” che il Trattato internazionale del 1948 riconosce come genocidio, la Corte ha chiesto ad Israele di adottare tutte le misure in suo potere per “prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio contro i membri della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza”. In linea con quanto gli appelli della comunità internazionale, l’Aia chiede che siano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”.La giuria internazionale ha sottolineato infine che “tutte le parti in conflitto nella Striscia di Gaza sono vincolate dal diritto internazionale umanitario” e ha chiesto “il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi” ancora prigionieri di Hamas.Le reazioni di Israele e Palestina al verdetto della Corte de l’AiaVedono il bicchiere mezzo pieno il Sudafrica, che ha definito la giornata di oggi “una pietra miliare significativa nella ricerca di giustizia per il popolo palestinese“, e l’Autorità nazionale palestinese (Anp), il cui ministro degli Esteri, Riyad al Maliki, ha celebrato la sentenza ricordando che le decisioni del tribunale che fa capo alle Nazioni Unite sono vincolanti.Sospiro di sollievo a Bruxelles, dove le istituzioni europee si sarebbero trovate in difficoltà – dopo tre mesi di supporto a Israele e le recenti dichiarazioni di sostegno incondizionato alla Corte de l’Aia – in caso di una sentenza più dura nei confronti di Tel Aviv. “L’Ue si aspetta una piena, immediata ed effettiva implementazione” delle misure provvisorie richieste dalla Corte di Giustizia Internazionale, si legge in una nota congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell.Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha commentato che “l’impegno di Israele nei confronti del diritto internazionale è incrollabile, così come incrollabile è il nostro sacro impegno a continuare a difendere il nostro Paese”. Secondo Netanyahu la Corte ha “giustamente respinto” il “vile tentativo di negare a Israele il suo diritto fondamentale” all’autodifesa. Ma la stessa “volontà della Corte di discutere” del possibile genocidio contro i palestinesi “è un marchio di vergogna che non sarà cancellato per generazioni”. Secondo media locali, il premier israeliano avrebbe chiesto ai suoi ministri di non commentare la sentenza, per paura di uscite sopra le righe. Che sono puntualmente arrivate: il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha definito la corte de l’Aia “antisemita“, perché “non cerca giustizia, ma la persecuzione del popolo ebraico”. E ha invitato “non ascoltare decisioni che mettono in pericolo la sopravvivenza dello Stato di Israele”.

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    L’Ue crede ancora nella soluzione dei due Stati respinta sia da Israele che da Hamas. E pensa a “condizionalità” per raggiungerla

    Bruxelles – Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato senza remore all’alleato americano che Israele si opporrà alla creazione di uno Stato palestinese alla fine della guerra contro Hamas. Ma l’Ue non si rassegna: al Consiglio Affari Esteri previsto lunedì 22 gennaio, i 27 cercheranno di rilanciare la soluzione dei due Stati in due discussioni separate con i ministri degli Esteri di Israele e dell’Autorità Nazionale Palestinese.Nella capitale europea arriveranno, oltre all’israeliano Israel Katz e il palestinese Riyad al-Maliki, anche i ministri degli Esteri di tre Paesi chiave della regione: Arabia Saudita, Giordania ed Egitto. Ed il Segretario generale della Lega degli Stati arabi, Ahmed Aboul Gheit. Una “coreografia piuttosto complessa”, come l’ha definita un alto funzionario Ue ,su cui l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “ha investito fortemente dal primo giorno” del conflitto.Gli argomenti principali del “balletto” saranno la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e la necessità di un’ assistenza continua e senza ostacoli alla popolazione palestinese, un rinnovato appello per il rilascio degli ostaggi e la piena implementazione – da parte di Israele ed Hamas – delle risoluzioni delle Nazioni Unite, la situazione in Cisgiordania e i rischi di un’escalation regionale, anche nel Mar Rosso. Ma i ministri dei 27, insieme ai partner arabi, rifletteranno anche sul “giorno dopo”, su un possibile piano di pace e della necessità di passi concreti per rilanciare la soluzione dei due Stati, anche attraverso il continuo sostegno all’Autorità palestinese.Benjamin Netanyahu e il ministro Bezalel Smotrich del Partito estremista Sionismo Religioso  (Photo by RONEN ZVULUN / POOL / AFP)Gli obiettivi sono “una piena normalizzazione dei rapporti di Israele con i Paesi arabi, la sicurezza di Israele e uno Stato palestinese indipendente”. Una mission impossible, all’indomani della nuova chiusura di Netanyahu alla possibilità di lavorare per la creazione di uno Stato sovrano palestinese che coesista pacificamente con Israele. “Nessun diplomatico o politico israeliano ha mai parlato della soluzione dei due Stati dal 7 ottobre”, ammettono fonti europee. Anzi, diversi ministri – e ora anche il capo di governo – hanno pubblicamente rigettato quell’orizzonte.Orizzonte negato peraltro anche da Hamas, che aspira alla distruzione dello Stato d’Israele. Ma pe l’Ue è “molto difficile immaginare alternative, per il popolo palestinese l’unica possibilità di avere un futuro è di avere un proprio Stato che conviva di fianco a Israele“. Se con Hamas, che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica, non esistono finestre di dialogo, Tel Aviv è uno strettissimo partner di Bruxelles, con cui l’Ue intrattiene dal 2000 un Accordo di Associazione. Un alto funzionario europeo ha aperto alla possibilità di fare pressione a Israele per sciogliere le resistenze vero la soluzione dei due Stati: “Stiamo proponendo alcune idee agli Stati membri, e parte di queste idee riguardano chiaramente anche come potremo usare le nostre condizionalità in futuro“.Dall’anno della sua istituzione, l’Accordo di Associazione Ue-Israele è stato spesso bersaglio di dure critiche. Un accordo che si fonda sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali, che Israele calpesta sistematicamente non solo nell’attuale bombardamento massivo di Gaza, ma anche con l’occupazione progressiva della Cisgiordania e lo sfollamento forzato delle comunità palestinesi. Rimettere in discussione l’accordo significherebbe mettere sul tavolo una serie di agevolazioni commerciali che per l’economia di Israele – per cui l’Ue è il primo partner commerciale – sono di vitale importanza.A che punto sono i lavori sulla missione navale Ue nel Mar RossoSu un binario parallelo il Servizio Europeo d’Azione Esterna (Seae), è al lavoro per proporre ai 27 un regime di misure restrittive per i coloni israeliani estremisti: “Gli americani l’hanno fatto, il Regno Unito l’ha fatto, ora sta a noi sanzionare persone che sono un ostacolo alla pace”, ha dichiarato una fonte Ue. L’altro punto su cui si concentreranno gli scambi tra i ministri è l’allargamento delle tensioni al Mar Rosso, dove da ormai due mesi i ribelli Houthi – foraggiati dall’Iran – attaccano dallo Yemen le navi cargo che attraversano il canale di Suez.Mar Rosso, una guardia Houthi su una nave con bandiera della Bahamas, sequestrata in un porto yemenita (Photo by AFP)I 27 discuteranno della missione navale a guida europea che il Seae vorrebbe rendere operativa il prima possibile. Sicuramente non già lunedì, dove l’obiettivo è solo confermare che “il principio che l’Ue dovrebbe essere presente con un’operazione militare sia accettato” da tutti. Una missione difensiva, che implichi l’uso della forza per rispondere al “fuoco in arrivo” e che possa contare su almeno “tre navi” militari in grado di abbattere “missili, razzi o droni” lanciati contro le imbarcazioni dirette o provenienti dal Canale di Suez.L’idea è quella di allargare Agenor, un’operazione già esistente sullo stretto di Hormuz, nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano. Sarebbe la scelta più rapida, perché eviterebbe di passare dai parlamenti nazionali (quelli che lo richiedono): “Stiamo parlando con i Paesi membri che ne fanno parte”, ha spiegato la fonte. Della missione Agenor fanno parte Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Olanda e Norvegia. La missione, che non prevede “operazione a terra”, sarà infatti “aperta” alla partecipazione di Paesi non Ue, interessati a preservare la libertà di navigazione nel Mar Rosso. L’obiettivo resta approvare la missione nel Consiglio Affari Esteri del 19 febbraio.

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    Per il Sudafrica Israele “ha commesso e continua a commettere atti di genocidio” a Gaza. Ora tocca alla difesa

    Bruxelles – Un’accusa che parte da molto lontano. Dalla Nakba del 1948, passando per l’occupazione israeliana dei territori palestinesi nella guerra dei sei giorni del 1967, fino alla più recente chiusura della Striscia di Gaza nel 2007. E che si conclude con i numeri sconvolgenti – oltre 23 mila morti – delle vittime dei bombardamenti degli ultimi tre mesi. Per il Sudafrica “Israele ha commesso, sta commettendo e vuol continuare a commettere atti di genocidio contro i palestinesi di Gaza“.Nella prima delle due udienze per stabilire l’ammissibilità del caso che Pretoria ha sottomesso alla Corte Internazionale di Giustizia, il team legale sudafricano ha puntato il dito soprattutto contro l’entità delle devastazioni a Gaza e la retorica “disumanizzante” utilizzata sempre più di frequente da esponenti del governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Sono stati otto gli interventi per convincere i 17 giudici de l’Aia, 15 di nomina delle Nazioni Unite e uno per ciascuno Stato contendente, che Israele abbia violato la Convenzione per la prevenzione e repressione del genocidio del 1948.Perché, come sottolineato dal ministro della Giustizia sudafricano, Ronald Lamola, “nessun attacco, per quanto grave, può giustificare una violazione della Convenzione, sia sul piano della legge che della moralità” e “Israele ha oltrepassato questa linea e ha violato la Convenzione sul genocidio”. L’avvocato 87enne John Dugard, uno dei padri costituenti del Sudafrica post-apartheid, ha definito la Striscia di Gaza “un campo di concentramento dove è in corso un genocidio”.Membri della delegazione del Sudafrica (UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek)In un documento di 84 pagine, il team legale di Pretoria ha raccolto prove di uccisioni, gravi danni mentali e fisici, evacuazioni forzate, fame diffusa. Della creazione cioè di “condizioni calcolate per provocare la distruzione fisica” del popolo palestinese, ha spiegato l’avvocata Adila Hassim. I palestinesi di Gaza “vengono uccisi nelle loro case, nei luoghi in cui cercano rifugio, negli ospedali, nelle scuole, nelle moschee, nelle chiese”, ha dichiarato Hassim rivolgendosi ai giudici, “il livello di uccisioni è così ampio che i corpi trovati sepolti in fosse comuni spesso non vengono identificati”. Nel suo intervento, il legale Tembeka Ngcukaitobi si è invece concentrato sulla “retorica genocida”, citando le parole del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e del ministro per la Sicurezza Nazionale, Ben Gvir. “Combattiamo contro animali umani” e “Non esistono civili non coinvolti a Gaza”, le due frasi oggetto dell’accusa.Mentre era in corso l’udienza, diversi governi nazionali hanno espresso il proprio sostegno all’iniziativa sudafricana. Oltre ai 57 membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, anche Bolivia, Namibia, Brasile e Cuba hanno dato il loro appoggio, mentre il governo del Cile starebbe già preparando i documenti necessari per aderire alla denuncia contro Israele. Dall’Ue, dopo che la vicepremier del Belgio, Petra De Sutter, ha dichiarato che proporrà al governo belga di “agire presso la Corte internazionale di giustizia, seguendo l’esempio del Sudafrica, anche la Slovenia ha pubblicamente sostenuto Pretoria. Parole di elogio sono arrivate anche da grandi organizzazioni che difendono i diritti umani nel mondo, come Human Rights Watch e Actionaid.Dall’altra parte, gli Stati Uniti hanno già definito il procedimento presso la Corte de L’Aia “controproducente e completamente privo di fondamento“. Giudizio rilanciato anche da Germania e Italia, con la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, che ha chiarito che dal punto di vista di Berlino quella di Israele “è autodifesa, non genocidio”, e il vicepremier Antonio Tajani che ha glissato affermando che “genocidio è altro”.L’avvocato inglese Vaughan Lowe ha specificato in aula che “in questa fase non è necessario determinare se Israele abbia o meno agito contrariamente ai suoi obblighi verso la Convenzione“, ma è quanto più necessario imporre “urgenti misure cautelari“. Oggi (12 gennaio) è il turno della difesa di Israele, che verosimilmente si concentrerà sul tentativo di dimostrare di aver messo in campo quante più precauzioni possibili per distinguere gli obiettivi militari dalla popolazione civile.La delegazione israeliana a l’Aia (UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek)In una nota diplomatica, Israele ha ribadito di impegnarsi a operare “in conformità con il diritto internazionale“, dirigendo le sue operazioni militari a Gaza “esclusivamente contro Hamas e altre organizzazioni terroristiche”. È Hamas che “utilizza la popolazione palestinese come scudi umani” e a tal fine ha “deliberatamente costruito la sua infrastruttura del terrore intorno e sotto ospedali, scuole, moschee e altri siti civili”.In base a quanto scritto nel comunicato, Israele cercherà inoltre di ribaltare l’accusa di genocidio: “Hamas è impegnato nel genocidio del popolo ebraico” e il suo statuto “invita allo sterminio degli ebrei”. Per questo, in definitiva, “diffamando Israele in un momento in cui si sta difendendo da coloro che cercano di annientarlo, il Sudafrica si è reso criminalmente complice di un’organizzazione terroristica e genocida“.