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    A Bruxelles nuovo vertice trilaterale Borrell-Kurti-Vučić per riprendere il filo del dialogo tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – Un nuovo incontro di alto livello, per “fare il punto sui progressi compiuti” nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue. Non è altisonante l’annuncio sul nuovo round di colloqui tra i leader di Kosovo e Serbia, considerate le premesse dell’ultimo anno e le tensioni che ancora non sono risolte dopo l’ondata di violenza dal maggio 2023. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha reso noto con un comunicato che domani (26 giugno) il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, saranno a Bruxelles per incontri bilaterali e un vertice trilaterale finale.Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Sono passati nove mesi dall’ultima riunione di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado a Bruxelles – infruttuoso e incagliato sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo – e nel mezzo si è assistito a uno dei momenti più bassi per i rapporti dei due Paesi balcanici impegnati dal 2011 in un complessissimo confronto diplomatico mediato dall’Unione Europea per la normalizzazione delle relazioni. Quando i rapporti non si sono di certo ristabiliti su un livello di normalità accettabile da Bruxelles, si dovrà cercare di spingere per riprendere il filo del discorso lasciato in sospeso da quelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord. Il 18 marzo 2023 era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Eppure, dopo più di un anno è scarso l’impegno di Belgrado e Pristina per rispettare quegli impegni, e per questo motivo – prima di dare l’addio all’istituzione che rappresenta – Borrell vuole lanciare un ultimo segnale che l’Unione non molla la presa.Il punto di domani a Bruxelles partirà da quei pochi progressi registrati su tre elementi menzionati già nella riunione di alto livello del 14 settembre dello scorso anno. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrativeLe tensioni tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti di quest’anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La Serbia ha un nuovo governo, già molto controverso per la presenza di due filo-russi sanzionati dagli Usa

    Bruxelles – Dopo quasi cinque mesi dalle contestatissime elezioni la Serbia ha un nuovo governo. Ma, nemmeno il tempo di insediarsi, e già si mostrano i primi segnali di un rapporto tutto in salita con i partner occidentali. Perché tra i membri del gabinetto guidato da Miloš Vučević compaiono due figure particolarmente controverse per i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, tanto da comparire nella lista delle persone sanzionate dagli Stati Uniti nell’ultimo anno: l’ex-capo dell’intelligence serba, Aleksandar Vulin, e il politico di lungo corso e proprietario di aziende con sede in Russia Nenad Popović. E anche per l’Unione Europea il futuro di breve periodo continua a prospettarsi complesso – tanto quanto lo è stato con l’ex-premier e oggi speaker dell’Assemblea nazionale, Ana Brnabić – in particolare per quanto riguarda il dialogo mediato da Bruxelles per la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si congratula con il neo-primo ministro, Miloš Vučević, 2 maggio 2024 (credits: Oliver Bunic / Afp)È stato lo stesso neo-premier Vučević a definire il suo governo in linea di “continuità” con quello precedente, nel corso della sessione parlamentare che ieri (2 maggio) ha dato il via libera al nuovo esecutivo. Nessuna sorpresa, anche considerato il fatto che Vučević è stato vicepremier e ministro della Difesa proprio nell’ultimo gabinetto guidato da Brnabić. “Continuità” significherà senza dubbio nessuno stravolgimento nella politica estera – sia per la strada verso l’adesione all’Ue sia per il mantenimento dei rapporti con Russia e Cina – ma anche nelle questioni considerate a Belgrado di politica interna (cioè il rapporto con il Kosovo, di cui non è mai stata riconosciuta l’indipendenza dal 2008). E soprattutto per quanto riguarda la presa forte del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, sul partito al potere – Vučević è un suo stretto alleato, nonché leader del Partito Progressista Serbo (Sns) dopo le dimissioni dello stesso Vučić lo scorso anno – e sulla politica di governo più in generale.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, alle urne il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Al momento però l’attenzione è tutta puntata sulla squadra di governo, composta da 31 membri (di cui la maggior parte espressione dell’Sns). Tra questi in particolare l’ex-capo dell’Agenzia per le informazioni sulla sicurezza della Serbia Vulin, che sarà uno dei nuovi vicepremier. Dal luglio dello scorso anno Vulin compare nella lista dei sanzionati degli Stati Uniti non solo per essere coinvolto “in attività di criminalità organizzata transnazionale, operazioni illegali di narcotici e abuso di ufficio pubblico”, ma anche per aver utilizzato le sue posizioni pubbliche per “facilitare le attività maligne della Russia che degradano la sicurezza e la stabilità dei Balcani Occidentali e fornendo alla Russia una piattaforma per promuovere la sua influenza nella regione“. Come se non bastasse anche l’imprenditore e fondatore del Partito Popolare Serbo nazionalista Popović è stato nominato ministro senza portafoglio, nonostante sia sanzionato dal novembre 2023 sempre dagli Stati Uniti per aver “utilizzato le sue aziende con sede in Russia per arricchirsi e ottenere stretti legami con gli alti dirigenti del Cremlino” nei settori “della consulenza, dell’immobiliare e dell’elettronica dell’economia russa” attraverso “appropriazioni indebite e schemi fiscali”.Con Bruxelles rimane poi particolarmente spinosa la questione del rispetto degli standard democratici. Nel suo rapporto finale sulle elezioni anticipate del 17 dicembre 2023, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) aveva avvertito che nonostante “le libertà fondamentali sono state generalmente rispettate durante la campagna elettorale”, il voto è stato “inficiato da una retorica aspra, dalla parzialità dei media, dalle pressioni sui dipendenti del settore pubblico e dall’uso improprio delle risorse pubbliche”. È per questo che il Parlamento Europeo ha richiesto alla Commissione Ue azioni pesanti nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità nei brogli elettorali, tra cui la “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione. La premier uscente Brnabić ha poi chiuso la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, ma a Bruxelles rimangono ancora grosse preoccupazioni sulle irregolarità alle urne e la mancanza di completa trasparenza nel processo elettorale.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateLe proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione è rimasta tesa per settimane dopo la vittoria rivendicata dal filo-russo Aleksandar Šapić, al punto da costringere il governo serbo a ripetere le elezioni amministrative il prossimo 2 giugno. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba – ora membro del nuovo governo – Vulin aveva riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Le istituzioni Ue dovranno discutere del ritiro delle misure contro il Kosovo dopo le nuove elezioni locali

    Bruxelles – Dopo mesi di misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo scarsamente giustificate dalla Commissione Europea per gli episodi di violenza dello scorso anno nel nord del Paese – mentre sono rimaste lettera morta le sanzioni contro la Serbia, non meno responsabile per gli stessi eventi – ora le istituzioni Ue sono chiamate a prendere seriamente in considerazione la necessità di ritirarle, visto l’impegno di Pristina nel mettere a terra tutti i passi richiesti dal piano per la de-escalation tracciato l’estate scorsa da Bruxelles. “Il Consiglio discuterà le misure dell’Ue sulla base di una relazione dell’alto rappresentante sull’adempimento delle richieste dell’Unione“, ha ricordato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, commentando a Eunews i prossimi passi dopo le elezioni anticipate nei quattro comuni del nord del Kosovo al centro da un anno di una controversia diplomatica che ha scatenato l’ondata di violenza tra maggio e settembre.Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono i quattro comuni in cui sono andate in scena domenica scorsa (21 aprile) le elezioni anticipate per ripetere il voto contestato dell’aprile 2023. Così come richiesto dal Consiglio Affari Generali il 12 dicembre dello scorso anno, il governo di Pristina ha fatto in modo che la componente etnica serba potesse partecipare “attivamente, senza alcuna condizione preliminare”. Tuttavia, proprio come accaduto nella primavera 2023, il maggiore partito serbo-kosovaro Lista Srpska ha deciso di boicottare le elezioni, determinando “una serie di difficoltà, tra cui la costituzione di alcune commissioni elettorali senza alcun membro serbo del Kosovo”, ha ricordato il portavoce Stano, ponendo l’accento sull’accusa di Bruxelles all’indirizzo di Lista Srpska per aver “perso l’opportunità di esercitare il diritto di voto e di eleggere sindaci realmente rappresentativi”. Un risultato che, di nuovo, “non contribuisce a disinnescare le tensioni e a spianare la strada per il ritorno dei serbi nelle istituzioni” del Kosovo, tappa “essenziale per la normalizzazione delle relazioni” all’interno del Paese e con la vicina Serbia (il cui presidente, Aleksandar Vučić, controlla indirettamente Lista Srpska).Allo stesso tempo però le istituzioni Ue devono fare ora i conti con le richieste pressanti da Pristina di ritirare le misure “temporanee e reversibili” imposte a fine giugno dello scorso anno a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione scaturita dopo l’insediamento dei quattro sindaci. Queste misure – che sono attualmente in vigore – prevedono la sospensione del lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione e delle visite bilaterali (fatta eccezione per quelle del dialogo Pristina-Belgrado), il congelamento della programmazione dei fondi per il Kosovo nell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024 (Strumento di assistenza pre-adesione) e delle proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif). Per eliminare queste misure era stata concordata il 12 luglio una tabella di marcia con quattro tappe, che prevedeva anche il ritorno alle urne anticipato nei quattro comuni nel nord del Paese.“Il Kosovo ha dimostrato ancora una volta maturità, organizzazione esemplare e pieno rispetto delle leggi e della Costituzione, offrendo a tutte le comunità, senza distinzioni, l’opportunità di scegliere i propri rappresentanti”, ha rivendicato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, esortando Bruxelles a “revocare immediatamente le misure ingiuste contro il Kosovo” dopo aver “soddisfatto tutte le condizioni richieste dall’Ue”. Sulla stessa linea il primo ministro, Albin Kurti: “Ogni fase del processo necessario per rendere possibile il voto è stata intrapresa dal nostro governo”, ha messo in chiaro in un post su X, ricordando non solo che “anche questo voto è stato boicottato e la soglia minima legale per le dimissioni dei sindaci non è stata quindi raggiunta”, ma soprattutto che “abbiamo rispettato i nostri obblighi“. Al momento il portavoce del Seae non ha saputo ancora fornire indicazioni precise su quando l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, presenterà la relazione ai 27 ministri Ue responsabili per gli Affari europei ma – se sarà prima delle elezioni del 6-9 giugno – si dovrà fare attenzione al Consiglio Affari Generali informale del 29-30 aprile e a quello ordinario del 21 maggio.Le tensioni tra Kosovo e SerbiaÈ da quasi un anno che la relazione tra Serbia e Kosovo è entrata in una delle fasi più difficili e violente dalla dichiarazione (unilaterale) di indipendenza di Pristina da Belgrado nel febbraio 2008. Proprio a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica (gli stessi comuni in cui si sono tenute la scorsa settimana le nuove elezioni) il 26 maggio 2023 sono scoppiate violentissime proteste da parte delle frange estremiste della minoranza serba, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.(credits: Armen Nimani / Afp)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza).Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo. Il tutto mentre procede – e sembra ormai inarrestabile nonostante l’opposizione serba – il processo di adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa, che costituirebbe il primo ingresso del suo Paese balcanico in un’organizzazione internazionale dalla dichiarazione di indipendenza nel 2008.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Una schiacciante maggioranza al Consiglio d’Europa sta sostenendo l’ingresso del Kosovo

    Bruxelles – Una maggioranza schiacciante, che avvicina sempre di più il Kosovo verso l’ingresso nel Consiglio d’Europa. Con 131 voti a favore, 29 contrari e 11 astensioni, l’Assemblea parlamentare dell’organizzazione internazionale con sede a Strasburgo (che non è tra le istituzioni dell’Unione Europea) ha dato il via libera ieri (16 aprile) alla raccomandazione della relatrice greca Dora Bakoyannis che sottolinea come l’adesione di Pristina porterebbe al “rafforzamento degli standard dei diritti umani garantendo l’accesso alla Corte europea dei diritti umani a tutti coloro che sono sotto la giurisdizione del Kosovo”.Un voto che non mette in dubbio l’orientamento dell’Assemblea parlamentare in vista della decisione finale del Comitato dei Ministri (l’organo esecutivo dell’organizzazione composto dai ministri degli Esteri dei 46 Paesi membri) prevista nel mese di maggio, ma che fornisce alcune indicazioni interessanti sull’approccio di diversi Paesi membri anche dell’Unione Europea alla questione dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia e della sua possibile adesione alle organizzazioni internazionali (secondo quanto previsto dall’accordo di Bruxelles del 27 febbraio 2023). Tra i cinque Paesi membri Ue che non riconoscono la sovranità di Pristina, Cipro e Spagna mostrano ancora una dura opposizione (rispettivamente due delegati su due, e otto su nove contrari), Romania e Grecia sono le più aperturiste (due su due, e quattro su cinque a favore), mentre la Slovacchia non ha partecipato al voto. Da rilevare anche il voto contrario di tutti e quattro i membri ungheresi, a dimostrazione del sostegno incondizionato di Budapest a Belgrado (proprio il premier ungherese, Viktor Orbán, è il più stretto alleato del presidente serbo, Aleksandar Vučić, all’interno dell’Unione).“La voce degli europei è stata ascoltata“, ha esultato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, commentando il “nuovo passo avanti” verso il primo ingresso del suo Paese in un’organizzazione internazionale dalla dichiarazione di indipendenza nel 2008. Così come rilevato poche settimane fa in occasione del parere positivo della Commissione per gli affari politici e la democrazia dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, l’adesione del Kosovo come 47esimo Paese membro sarebbe “il culmine di un dialogo che si è sviluppato nell’arco di due decenni“, anche se “non dovrebbe in alcun modo essere vista come la fine di un processo”. Al contrario dovrebbe “catalizzare lo slancio per continuare a fare progressi nel rafforzamento dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto”. Di particolare rilevanza è anche il modo in cui si potrebbe aiutare il Paese balcanico ad “affrontare le sfide e le questioni in sospeso”, in particolare per quanto riguarda l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo (a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative): “Dovrebbe figurare nel futuro esame da parte del Comitato dei Ministri della domanda di adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa, come impegno post-adesione”.La sede del Consiglio d’Europa a StrasburgoA proposito di Kosovo e Serbia, vale la pena ricordare che le massime autorità politiche a Belgrado hanno minacciato che un ingresso del Kosovo nel Consiglio d’Europa potrebbe implicare un’uscita della Serbia. Un ricatto che, ancora una volta, è in violazione del punto 4 dell’accordo di Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi: “La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“. Ma in ogni caso, secondo l’articolo 4 dello Statuto, “ogni Stato europeo che sia ritenuto in grado e disposto ad adempiere alle disposizioni dell’articolo 3 [accettare i principi dello Stato di diritto e del godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ndr] può essere invitato a diventare membro del Consiglio d’Europa dal Comitato dei Ministri”. Tutti i sette delegati serbi si sono opposti alla raccomandazione votata ieri all’Assemblea parlamentare, ma senza più la Federazione Russa – espulsa/uscita dall’organizzazione dopo la decisione del Comitato dei Ministri del 16 marzo 2022 per l’invasione dell’Ucraina – Belgrado ha perso un potente alleato al Consiglio d’Europa per continuare a tenere in stallo la questione dell’adesione di Pristina.Le tensioni tra Kosovo e SerbiaIl primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo è andato in scena il 26 maggio 2023. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    (credits: Armen Nimani / Afp)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La raccomandazione sul Kosovo nel Consiglio d’Europa torna a esacerbare i rapporti con la Serbia

    Bruxelles – Meno di un mese e il Consiglio d’Europa potrebbe tornare a contare 47 membri. Oppure ancora 46, con una nuova adesione e la seconda defezione in tre anni. Dopo la raccomandazione positiva della Commissione per gli affari politici e la democrazia dell’Assemblea parlamentare a Strasburgo, la sessione plenaria si riunirà il 18 aprile per votare sull’invito al Kosovo a diventare membro del Consiglio d’Europa. L’ultimo passo prima della conta dei voti tra i 46 Paesi membri dell’organizzazione internazionale per i diritti umani, che sta continuando a esacerbare i rapporti con la Serbia (in violazione degli accordi assunti da Belgrado nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’Ue).Dopo il via libera dal Comitato dei Ministri alla richiesta di Pristina di diventare il 47esimo membro del Consiglio d’Europa (presentata il 12 maggio 2022), la relazione a firma della greca Dora Bakoyannis ha accolto con favore “un ampio elenco di impegni presi per iscritto dalle autorità kosovare”, sottolineando che l’adesione “porterebbe al rafforzamento degli standard dei diritti umani garantendo l’accesso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a tutti coloro che sono sotto la giurisdizione del Kosovo”. Anche a seconda dell’esito del voto del 18 aprile, sarà poi il Comitato dei Ministri a pronunciarsi definitivamente a maggio. Non passa inosservato dalle motivazioni della Commissione il deterioramento dell’ultimo anno della situazione di sicurezza nel nord del Paese: “Il rischio di violenza aperta in Kosovo è fin troppo reale“, dal momento in cui dipende dalla “protezione dei diritti della comunità serba, dalla riduzione delle tensioni e dalla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”. Per questo motivo nella relazione compare la richiesta di un “impegno post-adesione” per Pristina di istituire l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative.La relazione è passata ieri (27 marzo) con 31 voti a favore, 4 contrari (due rappresentanti della Serbia, più Montenegro e Bosnia ed Erzegovina) e 1 astensione (Grecia), ma ha comunque evidenziato le “circostanze senza precedenti” della candidatura – dal momento in cui diversi Stati membri del Consiglio d’Europa non riconoscono il Kosovo come Stato sovrano (tra cui Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna tra quelli Ue) – e ha invitato il Comitato dei Ministri a garantire che l’adesione “non pregiudichi le posizioni dei singoli Stati membri in merito alla statualità del Kosovo”. Questo non ha però evitato di scatenare di nuovo le ire di Belgrado, che ha definito “vergognosa e scandalosa” la decisione di Strasburgo secondo le parole del primo ministro ad interim, Ivica Dačić. Nei giorni scorsi sia il presidente serbo, Aleksandar Vučić, sia l’ex-premier e oggi presidente del Parlamento, Ana Brnabić, hanno minacciato che un ingresso del Kosovo nel Consiglio d’Europa potrebbe implicare un’uscita della Serbia. Un ricatto che, ancora una volta, è in violazione del punto 4 dell’accordo di Bruxelles del 27 febbraio 2023 sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi: “La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“.In ogni caso le possibilità per l’adesione di Pristina all’organizzazione internazionale (che non è tra le istituzioni dell’Unione Europea) sono aumentate dopo l’espulsione/uscita della Federazione Russa, arrivata a seguito della decisione del Comitato dei Ministri del 16 marzo 2022 per l’invasione dell’Ucraina. Mosca è uno degli alleati più stretti della Serbia, in particolare sulla controversia diplomatica con il Kosovo indipendente, e anche al Consiglio d’Europa ha contribuito a tenere in stallo la questione dell’adesione di Pristina. Secondo l’articolo 4 dello Statuto, “ogni Stato europeo che sia ritenuto in grado e disposto ad adempiere alle disposizioni dell’articolo 3 [accettare i principi dello Stato di diritto e del godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ndr] può essere invitato a diventare membro del Consiglio d’Europa dal Comitato dei Ministri”.Le tensioni tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    (credits: Armen Nimani / Afp)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    A un anno dall’accordo di Ohrid è scarso l’impegno di Kosovo e Serbia per l’implementazione

    Bruxelles – È passato un anno, ma i rapporti tra Kosovo e Serbia non sono migliorati. Al contrario. “È deplorevole che, nonostante gli sforzi profusi dall’Ue e dalla più ampia comunità internazionale, i progressi compiuti dal Kosovo e dalla Serbia nell’attuazione degli obblighi assunti con l’Accordo di Ohrid siano stati finora molto limitati“, è il secco commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sul primo anniversario di quello che – il 18 marzo 2023 – veniva considerato un punto di svolta assolutamente positiva per la regione balcanica e per la risoluzione delle controversie tra Pristina e Belgrado.

    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Nelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, un anno fa era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Accordo e relativo allegato di attuazione sono diventati così parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue dei due Paesi balcanici, rendendo di fatto vincolante l’implementazione di tutte le misure messe nero su bianco. “L’Ue ha ricordato più volte che l’Accordo è vincolante nella sua interezza ai sensi del diritto internazionale”, ha ricordato Borrell, ribadendo che “la mancata attuazione non solo mette a rischio l’integrazione europea delle parti, ma danneggia anche la loro reputazione di partner credibili e affidabili“.A oggi non si registrano progressi se non su quei tre elementi già menzionati nell’ultima riunione di alto livello a Bruxelles il 14 settembre dello scorso anno nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. “È giunto il momento per il Kosovo e la Serbia di interrompere l’attuale circolo vizioso di crisi e tensioni e di entrare in una nuova era, quella europea“, ha continuato l’affondo l’alto rappresentante Ue, rilanciando il dialogo di alto livello con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti: “Ci aspettiamo che i leader diano prova di responsabilità, visione e leadership facendo progressi nell’attuazione senza ulteriori ritardi”.L’annus horribilis tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Le autorità del Kosovo vogliono chiudere le istituzioni temporanee serbe nonostante il monito dell’Ue

    Bruxelles – L’Unione Europea guarda con “con grande preoccupazione” agli ultimi sviluppi in Kosovo, con “due esempi di azioni non coordinate, unilaterali e prese senza il necessario livello di consultazioni preventive“. È il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, a spiegare alla stampa europea oggi (5 febbraio) il clima che si respira a Bruxelles sulle recenti decisioni delle autorità di Pristina nei confronti della minoranza serbo-kosovara. Dopo il Regolamento che ha introdotto l’uso esclusivo dell’euro come valuta nazionale, sono le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo a mettere in allerta le istituzioni comunitarie e i partner internazionali.

    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (credits: Michal Cizek / Afp)“Queste azioni non contribuiscono alla de-esclation, a calmare la situazione e a garantire alle persone che la loro vita andrà a migliorare”, ha avvertito Stano, approfondendo le ragioni della “grande preoccupazione” espresse nella nota di ieri (4 febbraio) del Seae a proposito delle operazioni di polizia nei comuni di Dragash, Pejë, Istog e Klinë e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina. “L’improvvisa chiusura di questi uffici avrà effetti negativi sulla vita quotidiana e sulle condizioni di vita delle comunità serbo-kosovare”, si legge nel comunicato coordinato con i partner internazionali dell’Unione, Stati Uniti inclusi: “Limiterà il loro accesso ai servizi sociali di base, data l’apparente assenza di alternative in questo momento“. Il portavoce Stano ha aggiunto anche che le conseguenze di queste decisioni unilaterali del governo di Pristina “potrebbero portare a qualcosa che non vogliamo vedere, cioè il deterioramento della situazione sul campo”.Dal 2008 – anno della dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – Belgrado ha continuato a finanziare proprie istituzioni temporanee nel Paese confinante al servizio della minoranza serba. Comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali finanziati direttamente dal governo serbo, ma illegali secondo la Costituzioni del Kosovo. Il ministro degli Interni del Kosovo, Xhelal Sveçla, ha dichiarato “l’era dell’illegalità è giunta al termine” con la chiusura delle istituzioni temporanee serbe e ora “l’unica istituzione della Serbia in Kosovo sarà la sua ambasciata a Pristina“. Un’opzione al momento inaccettabile per le autorità di Belgrado, che ancora si rifiutano di riconoscere l’indipendenza e la sovranità di Pristina. Tecnicamente un accordo sull’abolizione è stato raggiunto nell’aprile 2013 nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue, ma non è mai stato messo in pratica. È proprio su questo punto che Bruxelles cerca di forzare la mano: “È importante ritornare a impegnarsi più seriamente” nel dialogo Pristina-Belgrado, entro i cui negoziati “si prevede che lo status di queste strutture sarà risolto con l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba“, ha ribadito Stano, parlando di uno dei punti più delicati di tutta la mediazione dell’Ue. Senza poter anticipare ancora una data, il portavoce del Seae si è detto speranzoso di poter annunciare “presto” un nuovo dialogo di alto livello, a quasi cinque mesi dall’ultimo infruttuoso incontro a Bruxelles tra il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić.Tutti i motivi di tensione tra Serbia e KosovoDopo le due riunioni estive del 2021 tra il premier Kurti e il presidente Vučić a Bruxelles, a metà settembre dello stesso anno è scoppiata per la prima volta nel nord del Kosovo la cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘. Inizialmente si è trattata di una controversia diplomatica tra Pristina e Belgrado, legata alla decisione di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro, usate in larga parte dalla minoranza serba nel Paese. L’assenza di una soluzione definitiva ha infiammato il luglio/agosto 2022, con blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara e due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles.

    Manifestazioni dei serbo-kosovari nel nord Kosovo del Kosovo, 5 novembre 2022 (credits: Armend Nimani / Afp)La situazione si è aggravata quando Lista Sprska ha preso in mano le redini della protesta popolare nel nord del Kosovo. Il 5 novembre sono andate in scena dimissioni di massa dei rappresentanti serbi delle istituzioni nazionali in protesta contro il piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe: a Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavić si è reso necessario tornare alle urne a causa delle dimissioni dei quattro sindaci. Parallelamente è stata raggiunta una soluzione di compromesso sulle targhe nella notte tra il 23 e il 24 novembre a Bruxelles, anche se il presidente serbo ha minacciato di boicottare il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana a causa della nomina di Nenad Rašić nel governo kosovaro (al posto del leader di Lista Srpska, Goran Rakić), come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Il 2022 si è chiuso con una nuova escalation di tensione ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per sopperire alla mancanza di agenti dimessisi sempre a novembre. L’appuntamento alla nuova crisi doveva attendere solo cinque mesi, il 26 maggio 2023. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    (credits: Armen Nimani / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto.Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado (8 luglio 2021)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari. Il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il presidente serbo Vučić ha avvertito che utilizzerà “tutti i mezzi disponibili contro il divieto del dinaro in Kosovo” (anche se si tratta di un’interpretazione non fattuale della realtà), coinvolgendo la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Ho chiesto che usi tutte le sue forze ed energie per fare in modo che una cosa del genere non accada”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’estrema destra europea ha una visione distorta dei rapporti tra Unione Europea e Serbia (e Russia)

    Bruxelles – Viktor Orbán non è solo. Il più stretto alleato della Serbia di Aleksandar Vučić, il primo ministro che sta creando più problemi per l’unità dei Ventisette – e lo stesso che sta mettendo i bastoni fra le ruote di Bruxelles all’introduzione di misure contro Belgrado per il non rispetto degli impegni assunti per la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo – sta trovando buona compagnia nello schieramento di estrema destra al Parlamento Europeo. Destabilizzazione, ingerenze, tentativi di ricreare “una nuova Maidan”. Sono le accuse lanciate da alcuni esponenti del gruppo Identità e Democrazia (Id) all’indirizzo non della Russia o della Cina, ma contro l’Unione Europea, dopo il risultato quantomeno controverso delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso in Serbia.(credits: Andrej Isakovic / Afp)Le insinuazioni avanzate in particolare da due eurodeputati francesi di Rassemblement National sono state senza dubbio la nota più frizzante del dibattito di questa settimana alla sessione plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo a proposito della situazione in Serbia dopo le elezioni di dicembre (il voto sulla risoluzione è previsto per alla sessione di febbraio). Tutti i gruppi politici, compreso quello dei Conservatori e Riformisti Europei, si sono ritrovati d’accordo sul fatto che si sono registrate “gravi irregolarità e compravendita di voti” – come affermato dal croato Ladislav Ilčić (Ecr), anche se animato da ragioni puramente nazionalistiche – e che “i cittadini serbi meritano riforme europee e risultati concreti” (Vladimír Bilčík, Ppe), con critiche poco velate a Commissione e Consiglio sulla “reazione molto morbida” per la necessità di “pragmatismo a sostegno della stabilocrazia nel Paese, che però non porta ai risultati previsti” (Klemen Grošelj, Renew Europe). Tutti eccetto gli eurodeputati francesi intervenuti nell’emiciclo di Strasburgo a nome del gruppo Id, che hanno espresso il proprio dissenso con parole più controverse del previsto.“L’ideologia motiva questo dibattito, qual è il vostro problema? La vittoria di Vučić e la sconfitta dei vostri alleati politici di opposizione? È per questo che l’Ue cerca di destabilizzare la Serbia?“, ha attaccato il francese Jean-Lin Lacapelle (Id), accusando le istituzioni comunitarie di “ingerenze nella politica serba, perché ogni Paese è sovrano e indipendente, fino a quando le sue scelte democratiche non vi piacciono”. Ancora più esplicito il connazionale Thierry Mariani: “Sono preoccupato perché questa regione ha bisogno di riappacificazione, mentre questo dibattito farà sì che l’opposizione continui a smuovere le acque”. Fino alla chiusura più sibillina: “Vorrei capire qual è la ragione dietro questa discussione, stimolare una seconda Maidan?” Il riferimento è a uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra la Russia e l’Ucraina nel 2013, e che per Kiev e Bruxelles è considerato il primo momento di espressione della volontà popolare di seguire la prospettiva europea per il Paese oggi invaso dall’esercito russo.Le parole dei due eurodeputati di estrema destra – e in particolare il riferimento alla “seconda Maidan” con accezione negativa – evidenziano non solo la visione distorta dei rapporti tra Ue e Serbia secondo una parte specifica dello spettro politico europeo, ma anche una strizzata d’occhio alla Russia di Vladimir Putin che non è mai stata rinnegata (ma diventata solo meno esplicita dopo lo scoppio della guerra in Ucraina). Parlare di “destabilizzazione” del sistema di potere del presidente Vučić da parte delle istituzioni comunitarie è fuorviante per due ragioni. In primis perché non fattuale: la Serbia è un Paese candidato dall’adesione all’Unione Europea, i cui impegni sanciti dai Trattati Ue (compreso il rispetto dei principi dello Stato di diritto messo in discussione dallo svolgimento delle ultime elezioni) sono stati sottoscritti volontariamente da Belgrado. In secondo luogo perché – ammesso e non concesso che a Bruxelles ci sia un disegno di pressioni illecite contro la Serbia – i meccanismi democratici dell’Unione consentono al premier Orbán di opporsi in sede di Consiglio all’introduzione delle misure “temporanee e reversibili” in discussione da mesi a Bruxelles (le stesse che invece sono in atto nei confronti del Kosovo) nonostante il via libera di tutti gli altri Paesi membri.Ancora più preoccupante è la visione dei rapporti alla luce del ruolo della Russia nella regione. In particolare va considerato il fatto che la Serbia di Vučić è l’unico partner dell’Unione che rivendica il non-allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina (nemmeno a livello di principio) e che fino a oggi non ha mai voluto allontanarsi eccessivamente dal legame con il Cremlino. Al contrario, nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro, nel maggio 2022 Vučić ha siglato un’intesa con Putin per tre anni di gas russo a condizioni favorevoli. Per il Cremlino la Serbia è una sorta di testa di ponte nei Balcani Occidentali, tanto che Bruxelles continua a sollevare preoccupazioni sulla possibile destabilizzazione russa della regione dopo l’attacco armato all’Ucraina. A proposito di Ucraina, getta una luce inquietante il parallelismo fatto dai due eurodeputati di Rassemblement National tra il supporto di Bruxelles alle “legittime manifestazioni di piazza” a Belgrado (come le ha definite il commissario per la Giustizia, Didier Reynders) e a quelle del 2013 di Euromaidan. La critica nemmeno troppo velata di sostenere le richieste dei manifestanti – serbi oggi come ucraini allora – di maggiore trasparenza elettorale e contro le violazioni dello Stato di diritto è una potenziale cassa di risonanza della propaganda del Cremlino secondo cui le proteste popolari europeiste sono frutto di manipolazione delle potenze occidentali e richiedono un intervento più o meno diretto della Russia.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateDa sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Andrej Isakovic / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews