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    Von der Leyen risponde alle tensioni nei Balcani Occidentali con un nuovo piano di crescita per la regione su 4 pilastri

    Bruxelles – La situazione nei Balcani Occidentali preoccupa i vertici delle istituzioni comunitarie e non potrebbe essere altrimenti. Ma la risposta non può essere sempre e solo cercare di gettare acqua sugli incendi che regolarmente scoppiano soprattutto nella regione di confine tra Kosovo e Serbia, ma deve essere più strutturale. La pensa così la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, secondo quanto emerso dal suo intervento al GlobSec 2023 Bratislava Forum, in cui ha annunciato una nuova iniziativa dell’Unione che risponde anche a un nuovo approccio verso la regione: “Non chiediamo solo ai nostri partner di fare nuovi passi verso di noi, anche noi facciamo un grande passo verso di loro“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in Albania (27 ottobre 2022)
    Quanto anticipato questa mattina (31 maggio) nella capitale della Slovacchia dalla numero uno dell’esecutivo comunitario è un nuovo piano di crescita per i Balcani Occidentali basato su quattro pilastri: “Avvicinarli al Mercato unico dell’Ue, approfondire l’integrazione economica regionale, accelerare le riforme fondamentali e aumentare i fondi di pre-adesione”. Una strategia che secondo la visione di Bruxelles porterà quasi nell’immediato “alcuni dei vantaggi dell’adesione all’Ue ai cittadini dei Balcani Occidentali” (ovvero Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Per esempio, “entrando a far parte del nostro Mercato unico digitale in settori quali il commercio elettronico o la sicurezza informatica”, ha illustrato von der Leyen, sottolineando però parallelamente il ruolo “fondamentale” di un mercato regionale comune per “rendere la regione un luogo più attraente per gli investitori europei”. Anche le riforme e l’aumento dei finanziamenti pre-adesione rientrano nella stessa visione di aumentare la “fiducia degli investitori”, ha precisato von der Leyen: “C’è un disperato bisogno di investimenti nei Balcani Occidentali“.
    Al centro di tutta la riflessione di von der Leyen c’è la questione energetica. “La regione dei Balcani Occidentali ha un enorme potenziale di diversificazione dai combustibili fossili russi“, tuttavia “deve aumentare l’efficienza energetica, intensificare la diversificazione e accelerare la diffusione di un maggior numero di energie rinnovabili” per ottenere due vantaggi: “L’indipendenza energetica dalla Russia e un più stretto allineamento con l’Unione Europea per accelerare l’adesione”. Ma allo stesso tempo anche i Ventisette devono “assumersi la responsabilità di avvicinare molto di più gli aspiranti membri dell’Unione”, perché “le onde d’urto inviate dalla guerra di aggressione di Putin hanno già raggiunto” anche i partner balcanici. Questo comunque per von der Leyen “non ha fatto altro che avvicinarci”, grazie al piano di sostegno dell’Unione che ha garantito le stesse misure di solidarietà come quelle all’interno dell’Unione: “Abbiamo sostenuto le famiglie vulnerabili contro gli alti costi dell’energia e stiamo costruendo nuove infrastrutture per ridurre la dipendenza dei Balcani Occidentali dai combustibili fossili russi“, ha rivendicato da Bratislava la numero uno della Commissione.
    Le tensioni in Kosovo
    Nel presentare il nuovo piano di crescita economica per i Balcani Occidentali, la presidente della Commissione Ue non ha dimenticato di citare la situazione in corso nel nord del Kosovo. “Le recenti tensioni sono preoccupanti, mi associo agli appelli rivolti a tutte le parti ad abbandonare lo scontro e ad adottare misure urgenti per ristabilire la calma“. Proprio questa mattina l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha salutato con favore la decisione del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, di dispiegare nel Paese balcanico 700 truppe aggiuntive della forza militare internazionale Kfor: “Continueremo lo stretto coordinamento e la cooperazione anche attraverso la nostra missione Eulex”, ha commentato Borrell (ritwittato poi dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel).
    Le proteste delle frange violente della minoranza serba nel nord del Kosovo sono scoppiate venerdì scorso (26 maggio) a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica, trasformatesi poi lunedì (29 maggio) in violente proteste che hanno coinvolto anche i soldati Kfor (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). A far deflagrare la tensione è stata la decisione del governo di Pristina di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci, nonostante le perplessità internazionali per l’affluenza al voto tendente all’irrisorio alle elezioni dello scorso 23 aprile – attorno al 3 per cento. Secondo il governo di Albin Kurti la decisione è stata determinata dagli episodi di ostruzionismo messi in atto dagli esponenti di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić. Una scelta che però ha scatenato la dura reazione dei partner statunitensi, che hanno duramente accusato Pristina per l’escalation di tensione e imposto lo stop momentaneo alle esercitazioni ‘Defender 23’ come misura sanzionatoria.
    Mentre la Nato ha annunciato un rafforzamento della presenza attraverso il dispiegamento delle Forze di Riserva Operativa per i Balcani Occidentali, a Bruxelles le istituzioni comunitarie hanno iniziato a prepararsi per rafforzare subito il dialogo tra Serbia e Kosovo e riportare la situazione alla calma attraverso la diplomazia. “Ho chiesto a entrambe le parti di prendere misure urgenti per la de-escalation immediata e incondizionata”, ha reso noto ieri (30 maggio) in un punto stampa l’alto rappresentante Borrell, annunciando di essersi attivato per “un incontro di alto livello urgente del dialogo Pristina-Belgrado“. Se il diktat ai “manifestanti violenti” rimane sempre quello di “ritirarsi”, al governo del Kosovo la richiesta è quella di “sospendere le operazioni di polizia incentrate sui municipi nel nord del Paese”, ha ribadito Borrell, che oggi a Bratislava ha incontrato il premier Kurti: “La situazione attuale è pericolosa e insostenibile, abbiamo bisogno di una soluzione attraverso il dialogo per tornare a lavorare sull’attuazione dell’Accordo raggiunto” il 27 febbraio a Bruxelles.
    Il piano energetico per i Balcani Occidentali
    Per la presidente von der Leyen le tensioni nella regione devono però essere affrontate anche da un punto di vista strutturale, come dimostra il nuovo piano di crescita. Lo sforzo anche energetico dell’Unione Europea a sostegno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali è stato messo su bianco nel corso del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre 2022 a Tirana, secondo le direttrici anticipate dalla stessa presidente della Commissione nel corso del suo viaggio nelle capitali balcaniche. Il pacchetto da 1 miliardo di euro complessivo sarà finanziato attraverso lo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa III), si stima che mobiliterà in tutto 2,5 miliardi in investimenti e sarà diviso in due parti, ciascuna da 500 milioni.
    Il primo pilastro è un sostegno diretto al bilancio per affrontare l’impatto degli alti prezzi dell’energia in ciascuno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali: 30 milioni per il Montenegro, 70 per la Bosnia ed Erzegovina, 75 per il Kosovo, 80 per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania e 165 per la Serbia. L’obiettivo è quello di mitigare i prezzi per piccole e medie imprese, tenere il costo dell’energia accessibile per le famiglie vulnerabili e supportare misure per accelerare la transizione energetica dalle fonti fossili russe.
    Per quanto riguarda il secondo pilastro da mezzo miliardo di euro del Pacchetto di supporto energetico ai Balcani Occidentali, i finanziamenti per le misure a medio termine arriveranno dal Western Balkans Investment Framework (Wbif), per far avanzare la diversificazione energetica, le fonti rinnovabili, le infrastrutture per il gas e l’elettricità e gli interconnettori. Secondo le previsioni di Bruxelles, questo importo dovrebbe generare ulteriori investimenti pubblici e privati pari a 1,4 miliardi di euro, sia per la riduzione dell’impatto della crisi energetica sia per il sostegno alla transizione verde. Tutto ciò sarà reso possibile da una copertura di garanzia Ue fino a 419 milioni di euro verso sei progetti nella regione, aumentando la capacità di investimento nelle priorità dell’energia pulita.

    Avvicinare i sei Paesi al mercato unico dell’Ue, approfondire l’integrazione economica regionale, accelerare le riforme e aumentare i fondi di pre-adesione. Ma sull’escalation in Kosovo la presidente della Commissione Ue chiede “misure immediate per ristabilire la calma”

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    Dure condanne della comunità internazionale agli scontri nel nord del Kosovo in cui sono rimasti feriti anche soldati Kfor

    Bruxelles – Gli ultimi sviluppi nel nord del Kosovo non sono più una semplice questione di preoccupazione – come spesso le istituzioni comunitarie esprimono in maniera più o meno partecipata – ma richiedono una forte presenza della comunità internazionale per non permettere che la situazione sfugga di mano. Le premesse ci sono tutte, parlare di rischio guerra è un totale azzardo, ma il modo in cui le proteste della minoranza serbo-kosovara sono sfociate ieri (29 maggio) in violenze anche contro i soldati della missione Kfor a guida Nato dimostra la necessità di un intervento deciso a sostegno della soluzione diplomatica su cui Bruxelles sta spingendo per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo. L’unico modo per creare condizioni di sicurezza e stabilità anche in una regione fragile come il nord del Kosovo.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, nel nord del Kosovo (29 maggio 2023)
    “L’Ue condanna nella maniera più forte possibile le violenze che abbiamo visto negli ultimi giorni“, ha commentato in modo secco l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in un punto stampa oggi (30 maggio) a Bruxelles con il neo-eletto presidente del Montenegro, Jakov Milatović: “È impossibile non discuterne visto ciò che accade nelle vostre immediate prossimità”, ha sottolineato Borrell parlando con il leader montenegrino degli “atti violenti assolutamente inaccettabili contro i cittadini, i media, le forze dell’ordine e le truppe Kfor”. A proposito dello scoppio delle violenze nel comune di Zvečan, che ha coinvolto anche i membri della forza militare internazionale, Borrell ha ribadito che l’Ue sostiene la Nato “nel suo mandato nell’interesse della pace e della stabilità del Kosovo”, così come ricordato nel corso di due telefonate con il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, e con il presidente serbo, Aleksandar Vučić: “Ho chiesto a entrambe le parti di prendere misure urgenti per la de-escalation immediata e incondizionata”. A Pristina la richiesta è quella di “sospendere le operazioni di polizia incentrate sui municipi nel nord del Paese”, mentre i “manifestanti violenti devono ritirarsi”. Nel frattempo a Bruxelles è lo stesso alto rappresentante a essersi attivato per organizzare “un incontro di alto livello urgente del dialogo Pristina-Belgrado“, ha reso noto.
    Proteste a Zvečan, nel nord del Kosovo, il 26 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    Le proteste nel nord del Kosovo sono scoppiate venerdì scorso (26 maggio) a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di etnia albanese di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica (quest’ultimo è stato l’unico comune in cui non si sono registrate resistenze della popolazione serba). Nonostante l’affluenza al voto tendente all’irrisorio alle elezioni dello scorso 23 aprile – attorno al 3 per cento – il governo di Pristina ha deciso di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci. Una situazione determinata dagli episodi di ostruzionismo messi in atto dagli esponenti di Lista Srpska – il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić – con scontri prima con le forze di polizia kosovare e poi con i soldati Kfor in particolare a Zvečan. Come ha reso noto la stessa forza militare internazionale in un comunicato, sono 30 i membri che hanno riportato “ferite multiple, tra cui fratture e ustioni da ordigni incendiari improvvisati”. Di questi, 11 soldati appartengono dal contingente italiano e 19 a quello ungherese, ma “nessuno è in pericolo di vita”.
    Al momento due sindaci si sono già insediati nei rispettivi municipi. A Leposavić, Ljuljzim Hetemi (di etnia albanese) è da ieri nel suo ufficio e per motivi di sicurezza ci è restato tutta la scorsa notte. A Kosovska Mitrovica invece Erden Atić (della minoranza bosniaca) non ha mai avuto problemi con la popolazione e ha iniziato a svolgere la propria attività. A Zvečan, Iljir Peci (di etnia albanese) ha confermato di voler iniziare il mandato da un ufficio distaccato, mentre a Zubin Potok, Izmir Zeqiri (di etnia albanese) non si è presentato in municipio per evitare altre tensioni. Proprio in questi due comuni si sono radunati anche oggi gli esponenti di Lista Srpska per protestare contro i sindaci definiti “illegittimi e usurpatori”, come urlato ieri prima dello scoppio delle violenze. Anche se la situazione non è tesa come 24 ore fa, la forza Kfor ha aumentato i propri soldati di stanza sul campo attraverso il dispiegamento delle Forze di Riserva Operativa per i Balcani Occidentali della Nato.
    C’è la Kosovo Force della Nato
    La Kosovo Force (Kfor) è una forza di pace internazionale a guida Nato, la cui missione è stata avviata il 10 giugno 1999 dopo il mandato dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I primi soldati della forza militare internazionale sono entrati in Kosovo due giorni più tardi, con il ritiro completo delle forze dell’allora Jugoslavia. Inizialmente la Kfor era composta da 50 mila membri, ma il miglioramento del contesto di sicurezza ha permesso di diminuirne gradualmente il numero fino alle attuali 3762 unità presenti sul terreno, e il trasferimento delle competenze alle forze di polizia kosovare.
    L’obiettivo della forza militare internazionale a guida Nato è quello di mantenere un ambiente sicuro e la libertà di movimento – compresa la presenza civile internazionale e di altre organizzazioni – e il sostegno a un Kosovo “stabile, democratico, multietnico e pacifico”. I contingenti della Kfor sono stati inizialmente raggruppati in cinque brigate multinazionali e per ogni brigata era stata designata una nazione guida. Nell’agosto del 2019 la struttura è stata razionalizzata in due Comandi regionali, il Comando regionale orientale basato a Camp Bondsteel e il Comando regionale occidentale basato a Camp Villaggio Italia. La forza è attualmente guidata dal generale italiano Michele Ristuccia e l’Italia rappresenta anche il Paese con il contingente più consistente tra i 27 che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi della missione (715 su 3762, più degli Stati Uniti con 561).
    Due anni di tensione nel nord del Kosovo
    Negli ultimi due anni la tensione nel nord del Kosovo ha conosciuto diversi momenti di escalation, intrecciandosi con lo sforzo di Bruxelles di spingere sul percorso di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado. Già nel 2021 era scoppiata la cosiddetta battaglia delle targhe tra i due Paesi, scatenata dalla decisione del governo guidato da Kurti di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. Una questione che, dopo essere stata momentaneamente risolta grazie alla mediazione Ue, è tornata a infiammare la seconda metà del 2022, con blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara a fine luglio.
    Due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles non avevano portato a nessuno sbocco politico. La situazione si era aggravata ancora di più il 5 novembre, con le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali in protesta contro il piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe e contro quella che Lista Srpska aveva definito una “violazione del diritto internazionale e dell’Accordo di Bruxelles” del 2013, ovvero la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Tra i dimissionari c’erano anche i sindaci di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavić e per questo motivo si è reso necessario tornare alle urne nelle quattro città: in programma inizialmente per il 18 dicembre, sono state rinviate al 23 aprile per non rischiare di rendere la situazione fuori controllo.
    Parallelamente era stata raggiunta una soluzione di compromesso sulle targhe nella notte tra il 23 e il 24 novembre tra il leader serbo e quello kosovaro, anche se prima del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre a Tirana si era registrato un altro episodio di tensione politica tra Pristina e Belgrado, sempre legata alla questione del nord del Kosovo. Il presidente serbo aveva minacciato di boicottare il vertice di Tirana a causa della nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro: Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska il cui leader, Goran Rakić, si era dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese durante l’ondata di dimissioni di inizio novembre. Il 2022 si è chiuso con una nuova escalation di tensione ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per sopperire alla mancanza di agenti dimessisi sempre a novembre. Le barricate delle frange serbo-kosovare più estremiste è stata risolta solo dopo alcune settimane grazie allo sforzo diplomatico dei partner europei e statunitensi.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, alla riunione di alto livello a Ohrid, Macedonia del Nord (18 marzo 2023)
    Con il nuovo anno Bruxelles ha spinto con forza per arrivare a un’intesa definitiva tra le due parti che risolva di riflesso anche i continui episodi più o meno violenti nel nord del Kosovo. È del 27 febbraio l’accordo di Bruxelles che ha definito gli impegni specifici che Serbia e Kosovo devono assumersi per la normalizzazione dei rapporti reciproci: una proposta in 11 punti avanzata dall’Ue e concordata da entrambi i leader dei due Paesi balcanici nel corso della riunione-fiume nella capitale dell’Unione Europea. Nonostante il testo non sia stato firmato, a renderlo vincolante per Pristina e Belgrado è stata l’intesa sull’allegato di implementazione (anche questo non firmato, ma con pesantissime conseguenze finanziarie in caso di mancato rispetto), raggiunto dopo una sessione di 12 ore di riunioni bilaterali e congiunte a Ohrid (Macedonia del Nord). A rischiare di rimettere tutto in discussione è però ancora la situazione nel nord del Kosovo, a causa della bassissima affluenza alle elezioni del 23 aprile nei quattro comuni: “Non offrono una soluzione politica a lungo termine, ma hanno il potenziale di portare a un’escalation e di minare l’attuazione dell’Accordo di Ohrid”, è stato l’allarme lanciato dall’alto rappresentante Borrell al termine dell’ultimo confronto di alto livello a Bruxelles di inizio maggio.

    Tra i membri della forza militare internazionale guidata dalla Nato intervenuti per disperdere i manifestanti violenti serbo-kosovari contrari all’insediamento del nuovo sindaco di etnia albanese di Zvečan, 30 hanno riportato ferite anche gravi e quasi la metà sono italiani

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    Le 12 ore di Ohrid. L’Ue riesce a far trovare l’intesa a Serbia e Kosovo per l’attuazione dell’accordo di normalizzazione

    Bruxelles – Il diavolo sta nei dettagli, “ma a volte sta nel calendario e nelle tempistiche”. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha fornito una sua personalissima interpretazione della “lunga e difficile” discussione di 12 ore a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, teatro dell’ultimo round di alto livello del dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Un appuntamento atteso con particolare urgenza a Bruxelles, dopo il vertice del 27 febbraio decisivo per far trovare alle due parti una complicatissima intesa sulla proposta Ue in 11 punti. Mancava solo il via libera all’allegato di attuazione dell’accordo – la vera chiave di volta di tutta l’intesa che stabilisce “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come” – e ad Ohrid si può dire che quantomeno non c’è stata nessuna battuta di arresto.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (18 marzo 2023)
    Perché i due leader di Kosovo e Serbia, rispettivamente il premier Albin Kurti e il presidente Aleksander Vučić, hanno avallato l’allegato di attuazione, ma non l’hanno firmato. Il 18 marzo ad Ohrid è andato in scena un duello diplomatico, in cui l’alto rappresentante Borrell e il suo braccio destro, il rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, hanno dovuto destreggiarsi per arrivare alle 23.10 e poter dire “abbiamo un accordo”. Tra luci e ombre. “Devo ammettere che inizialmente abbiamo proposto un annesso più ambizioso e dettagliato, ma sfortunatamente le parti non hanno trovato un accordo“, ha confessato Borrell, puntando il dito sulla responsabilità condivisa tra Pristina e Belgrado: “Da una parte, al Kosovo è mancata flessibilità nella sostanza, dall’altra parte, la Serbia aveva dichiarato a priori che non l’avrebbe firmato, anche se era pronta a implementarlo pienamente”. Ecco perché i due diplomatici europei hanno dovuto mettere sul tavolo “diverse proposte creative” – anche se “non così ambiziose come le prime” – e così, con la dichiarazione alla stampa dell’alto rappresentante Ue, “l’annesso è considerato adottato”.
    Non si tratta solo di parole o promesse, ma di un documento che ha un impatto concreto, anche senza firma. “Quello che hanno accettato – l’accordo e l’annesso di implementazione – diventeranno una parte integrante dei rispettivi percorsi verso l’adesione Ue“, ha puntualizzato l’alto rappresentante Borrell. In altre parole, se Pristina e Belgrado vorranno continuare a seguire la strada verso l’adesione Ue, è esplicito l’obbligo di mettere a terra tutti i punti concordati e adottati in principio. Anche senza firma. “Per renderlo concreto, lancerò immediatamente i lavori per includere gli emendamenti nel capitolo di negoziazione 35 con la Serbia [sulle relazioni esterne, ndr] e nell’agenda del gruppo speciale sulla normalizzazione del Kosovo”, e da questo momento “entrambe le parti saranno legate dall’accordo”. Il retro della medaglia è perfettamente intuibile: “Ora gli obblighi sono parte del percorso europei, non rispettarli avrà conseguenze“. Anche perché il dialogo Pristina-Belgrado “non riguarda solo Kosovo e Serbia”, ha spiegato ancora Borrell, facendo riferimento alla “stabilità, sicurezza e prosperità” dell’intera regione dei Balcani Occidentali.
    Cosa prevede l’allegato di attuazione dell’accordo tra Serbia e Kosovo
    L’allegato di attuazione dell’accordo sul percorso di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia è composto di 12 punti, che costituiscono “parte integrante dell’accordo” stesso. Le due parti si impegnano “pienamente” a rispettare tutti gli articoli non solo dell’intesa del 27 febbraio, ma anche dell’allegato che mette nero su bianco i “rispettivi obblighi da adempiere tempestivamente e in buona fede“. Il presupposto è proprio il fatto che entrambi i documenti sono ora “parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue“, con le misure annunciate dall’alto rappresentante per rendere questo punto effettivo nei rapporti bilaterali tra Bruxelles e Pristina e tra Bruxelles e Belgrado.
    Come obblighi da attuare, Kosovo e Serbia “convengono di approvare con urgenza la Dichiarazione sulle persone scomparse“, negoziata nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue e Pristina deve “avviare immediatamente negoziati per la definizione di accordi e garanzie specifici che assicurino un livello adeguato di autogestione per la comunità serba in Kosovo“, così come già concordato 10 anni fa. Si tratta dell’Associazione delle municipalità serbe nel Paese prevista dall’accordo del 2013, mai implementato. Sul piano dell’attuazione di tutte le disposizioni sia dell’accordo sia dell’allegato, le due parti istituiranno un Comitato congiunto di monitoraggio presieduto dall’Ue, da istituire “entro 30 giorni”. Tra le scadenze viene inclusa anche quella di metà agosto 2023 (“entro 150 giorni) per l’organizzazione di una Conferenza dei donatori per definire un pacchetto di investimenti e aiuti finanziari per Kosovo e Serbia, in modo da attuare l’articolo 9 sull’impegno dell’Ue “in materia di sviluppo economico, connettività, transizione ecologica e altri settori chiave”. In ogni caso l’Unione Europea “non effettuerà alcun esborso prima di aver accertato la piena attuazione di tutte le disposizioni dell’accordo”.
    Il rispetto dei due documenti implica il fatto che “tutti gli articoli saranno attuati indipendentemente l’uno dall’altro“, che l’ordine dei paragrafi dell’allegato “non pregiudica l’ordine di attuazione” e che non dovrà essere bloccata l’attuazione di “nessuno degli articoli”. Le discussioni tra le parti per l’attuazione dell’accordo continueranno “nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue” e il mancato rispetto degli obblighi derivanti “dall’accordo, dal presente allegato o dai precedenti Accordi di dialogo” può avere “conseguenze negative dirette sui rispettivi processi di adesione e sugli aiuti finanziari che ricevono dall’Ue“, è quanto si legge a chiare lettere nel documento avallato da Kurti e Vučić..

    Sulle sponde del lago macedone il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, hanno avallato (ma non firmato) l’allegato di implementazione del vertice di Bruxelles. Un vincolo per i rispettivi percorsi Ue su “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”

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    Cosa prevede la proposta Ue in 11 punti accettata da Serbia e Kosovo per la normalizzazione dei loro rapporti

    Bruxelles – C’è il via libera delle parti, ora servirà un intenso lavoro per l’implementazione e la firma dell’accordo definitivo. A Bruxelles è scattato ieri sera (27 febbraio) il semaforo verde all’ultimissima versione di quella che fu la proposta franco-tedesca per la normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia e che oggi è a tutti gli effetti una proposta Ue perché, come puntualizzato dall’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, “tutti i 27 Paesi membri l’hanno appoggiata”. Compresi i cinque che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia).
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (27 febbraio 2023)
    Un totale di 11 punti, due in più rispetto alla versione di partenza dello scorso settembre, che dovranno regolare i rapporti futuri tra i due Paesi balcanici. L’intesa politica tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti – esplicita a Bruxelles, ma più o meno tacita in patria per tutte le sue implicazioni nei due Paesi – è sicuramente un passo in avanti rispetto agli altri sei vertici di alto livello svoltisi a Bruxelles dal 2019 a ieri. Tuttavia l’attenzione è già rivolta al prossimo incontro di metà marzo, quando si dovranno prendere decisioni pratiche per mettere a terra gli impegni di principio sanciti negli 11 punti della proposta Ue dal titolo Agreement on the path to normalization between Kosovo and Serbia.
    Il testo della proposta Ue sui rapporti Kosovo-Serbia
    Leggendo il testo della proposta Ue è palese la ripresa della base di partenza franco-tedesca, sviscerata con i risultati di cinque mesi di confronto diplomatico tra Bruxelles, Pristina e Belgrado. L’articolo 1 si imposta sull’incipit originario “le Parti sviluppano tra loro relazioni normali e di buon vicinato sulla base della parità di diritti”, ma aggiunge che i due Paesi dovranno anche “riconoscere reciprocamente i rispettivi documenti e simboli nazionali, compresi passaporti, diplomi, targhe e timbri doganali”. Un evidente richiamo a quanto accaduto rispetto alle tensioni nel nord del Kosovo tra fine luglio e dicembre per l’imposizione delle targhe kosovare alla minoranza serba.
    Sparito dall’articolo 2 il riferimento alle reciproche aspirazioni all’adesione all’Ue, sostituito dagli “obiettivi e principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare quelli dell’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati, del rispetto della loro indipendenza, autonomia e integrità territoriale, del diritto all’autodeterminazione, della tutela dei diritti umani e della non discriminazione”. Rimane implicito il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia (in vigore unilateralmente dal 17 febbraio 2008), rafforzato dal punto 4: “Le Parti partono dal presupposto che nessuna delle due può rappresentare l’altra nella sfera internazionale o agire per suo conto”. La nuova aggiunta di peso è il paragrafo che precisa senza ambiguità che “la Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“. Eventuali controversie dovranno essere risolte “esclusivamente con mezzi pacifici” e astenendosi “dalla minaccia o dall’uso della forza”, precisa l’articolo 3.
    Il riferimento al ruolo dell’Ue trova invece spazio nei due punti successivi. L’articolo 5 mette nero su bianco che “nessuna delle due Parti bloccherà, né incoraggerà altri a bloccare” – un richiamo tra le righe ai membri Ue contrari all’adesione del Kosovo, ma anche allo stretto rapporto tra Serbia e Ungheria – “i progressi dell’altra Parte nel rispettivo cammino verso l’Ue sulla base dei propri meriti”. L’articolo 6 aggiunge che Pristina e Belgrado “proseguiranno con nuovo slancio il processo di dialogo guidato dall’Ue che dovrebbe portare a un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione globale delle loro relazioni“. Più nello specifico serviranno “accordi aggiuntivi” sulla “futura cooperazione nei settori dell’economia, della scienza e della tecnologia, dei trasporti e della connettività, delle relazioni giudiziarie e delle forze dell’ordine, delle poste e delle telecomunicazioni, della sanità, della cultura, della religione, dello sport, della tutela dell’ambiente, delle persone scomparse, degli sfollati “.
    I comuni interessati dall’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo del 2013
    L’articolo 7 sviluppa il punto precedente, ma focalizzandosi sui diritti della minoranza serba in Kosovo. Anche in questo caso non è esplicito il riferimento all’Associazione delle municipalità serbe nel Paese prevista dall’accordo del 2013 (mai implementato), ma non è difficile leggere le condizioni che Pristina dovrà accettare. Gli “accordi e garanzie specifiche” per “assicurare un livello adeguato di autogestione per la comunità serba in Kosovo e la capacità di fornire servizi in settori specifici” si baseranno su “strumenti pertinenti del Consiglio d’Europa e attingendo alle esperienze europee esistenti”. È prevista anche la possibilità di un “sostegno finanziario da parte della Serbia e un canale di comunicazione diretto per la comunità serba con il governo del Kosovo”, ma anche una formalizzazione dello status della Chiesa serbo-ortodossa in Kosovo e un “forte livello di protezione ai siti del patrimonio religioso e culturale serbo” nel Paese confinante.
    L’articolo 8 riprende integralmente lo stesso punto della proposta franco-tedesca: “Le Parti si scambiano missioni permanenti, che saranno istituite presso la sede del rispettivo governo” e “le questioni pratiche relative all’istituzione delle missioni saranno trattate separatamente”. Prima della precisazione all’articolo 10 che Pristina e Belgrado “confermano l’obbligo di attuare tutti i precedenti accordi di dialogo, che restano validi e vincolanti” sotto l’egida di un “comitato congiunto presieduto dall’Ue per il monitoraggio dell’attuazione del presente accordo” – che riprende e amplia l’ultimo punto della versione di partenza della proposta di mediazione – a Bruxelles è stato deciso di inserire un altro articolo. Quello che ricorda e rafforza “l’impegno dell’Ue e di altri donatori a creare un pacchetto speciale di investimenti e di sostegno finanziario per i progetti comuni delle Parti in materia di sviluppo economico, connettività, transizione ecologica e altri settori chiave”.
    L’ultimo punto è quello su cui ci sarà più da lavorare, perché è la vera chiave di volta di tutta l’intesa: “Le Parti si impegnano a rispettare la tabella di marcia per l’attuazione allegata al presente Accordo“. Il testo dell’allegato non è pubblico, fonti diplomatiche a Bruxelles spiegano a Eunews che al momento dovrebbe rimanere riservato per una serie di motivazioni non meglio specificate (ma intuibili, considerato il delicato equilibrio per raggiungere un accordo definitivo tra Pristina e Belgrado). È certo però che sui dettagli di questo documento di implementazione dell’intesa si concentrerà il lavoro delle prossime settimane, in attesa del nuovo faccia a faccia tra Vučić, Kurti e i negoziatori Ue a metà marzo.

    Rimangono impliciti (ma evidenti nelle implicazioni pratiche) il riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da Belgrado e l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Sarà decisivo il rispetto della tabella di marcia allegata per l’implementazione dell’accordo

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    Si stringono i tempi per trovare l’intesa definitiva tra Serbia e Kosovo. A Bruxelles il nuovo incontro tra Vučić e Kurti

    Bruxelles – Proprio nel giorno del quindicesimo anniversario dalla proclamazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia. Se è un caso, è uno di quelli particolarmente curiosi, anche considerata l’urgenza della questione. Come rende noto il Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), il prossimo 27 febbraio l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha convocato a Bruxelles una riunione di alto livello del dialogo Belgrado-Pristina.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    La nota del Seae precisa che alla riunione saranno presenti sia il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, sia il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, avendo entrambi “confermato la loro partecipazione”. L’appuntamento arriva a tre mesi dall’ultimo incontro fallimentare andato in scena proprio a Bruxelles il 21 novembre dello scorso anno, in cui non erano stati fatti passi in avanti sulla questione della re-immatricolazione delle auto con targhe kosovare su tutto il territorio amministrato da Pristina (risolta solo da un accordo in extremis raggiunto alla mezzanotte di due giorni più tardi).
    Gli ultimi eventi nel rapporto tra Serbia e Kosovo
    Da allora però molte cose sono cambiate, nonostante siano trascorsi solo tre mesi. Dopo le dure tensioni con Belgrado per la nomina del nuovo ministro kosonaro per le Comunità e il ritorno dei profughi, Pristina è ancora sotto pressione dei partner europei e statunitense per l’istituzione delle Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Ma nel corso del mese di dicembre sono andati in scena altri tre importanti eventi che hanno reso sempre più urgente la risoluzione di un dialogo mediato dall’Ue che sta per compiere 12 anni. Prima della richiesta ufficiale del Kosovo di aderire all’Unione Europa, al vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre a Tirana è stata messa nero su bianco la necessità di compere “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado. Ma pochi giorni più tardi si sono riaccese le tensioni nel nord del Kosovo (risolte grazie alla diplomazia internazionale), con blocchi stradali e barricate messi in atto dalle frange più estremiste della minoranza serba.
    Da sinistra: il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Una serie di eventi e di posizioni sempre più radicalizzate e in un certo senso più ravvicinate temporalmente rispetto al passato. Il che da una parte ha reso evidente che solo una soluzione definitiva tra i due Paesi può mettere fine a rischi di un’esacerbazione delle violenze, e dall’altra sembra suggerire che davvero questo accordo potrebbe essere più vicino, con entrambi gli attori politici (caratterizzati da marcati tratti nazionalisti) che esasperano la propria retorica per uscire dai negoziati con un compromesso più favorevole. Ecco perché sarà decisivo quantomeno cercare – ma poi tutto si gioca sul trovarlo – uno sbocco politico alla “proposta dell’Ue sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”, su cui sarà incentrata la riunione di alto livello del 27 febbraio. Prima della sessione congiunta, l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, terranno “incontri separati” sia con Vučić sia con Kurti: sul tavolo dei lavori ci sarà la nuova versione della proposta di mediazione franco-tedesca che dovrebbe portare a un’intesa entro la fine dell’anno.

    L’alto rappresentante Josep Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, presiederanno la riunione di alto livello per cercare uno sbocco politico alla proposta dell’Unione Europea sulla normalizzazione delle relazioni Pristina-Belgrado

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    Cos’è l’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo al centro dell’anno cruciale per il dialogo Pristina-Belgrado

    Bruxelles – Non c’è speranza di chiudere nel 2023 un accordo definitivo per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, se non si raggiunge un’intesa vincolante per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo di Bruxelles siglato esattamente 10 anni fa. Passano da qui gli sforzi diplomatici di Unione Europea e Stati Uniti per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado, entrato nel suo tredicesimo anno di vita e diventato ormai l’unica soluzione per chiudere contese e tensioni tra i due vicini balcanici.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 novembre 2022)
    Mentre le pressioni della diplomazia europea e statunitense rimangono particolarmente forti su Belgrado – per l’adozione delle sanzioni internazionali contro la Russia e l’allineamento alla politica estera dell’Ue – non sono da meno quelle nei confronti di Pristina, proprio sulla questione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Già nel dicembre del 2021 l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva avvertito il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, che è imperativo il rispetto di tutti gli accordi sottoscritti con Belgrado, ma nel corso delle ultime settimane le missioni diplomatiche di Bruxelles e Washington – spinte anche dal tridente Francia-Germania-Italia – hanno puntato con forza su questo punto, per sgombrare il campo da ripensamenti o passi indietro rispetto agli impegni presi nel contesto del dialogo mediato dall’Ue.
    Lo dimostra in tutta la sua evidenza la nota del consigliere del Dipartimento di Stato americano, Derek Chollet, e dell’inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani Occidentali, Gabriel Escobar, pubblicata oggi (30 gennaio) a proposito delle “condizioni per una relazione sana, pacifica e sostenibile tra Serbia e Kosovo”. La proposta di mediazione franco-tedesca – ormai divenuta a tutti gli effetti la proposta di mediazione europea – è studiata per “interrompere la spirale di crisi e scontri e far progredire con decisione l’integrazione” dei due Paesi nell’Unione, ma per l’amministrazione Biden “uno dei compiti più critici” è sempre quello che riguarda l’attuazione dell’accordo sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Un “obbligo internazionale, giuridicamente vincolante, che richiede un’azione da parte del Kosovo, della Serbia e dell’Unione Europea”, ma che allo stesso tempo “non mina la Costituzione né minaccia la sovranità, l’indipendenza o le istituzioni democratiche” del Kosovo.

    As Kosovo’s closest friend & ally, we believe that by working to establish the ASM, Kosovo will realize a critical element needed to build its rightful future as a sovereign, multiethnic, and independent country, integrated into Euro-Atlantic structures. https://t.co/iFfSYo2Qao pic.twitter.com/c8yGJYVeHl
    — U.S. Embassy Pristina (@USEmbPristina) January 30, 2023

    Il nodo tra Serbia e Kosovo
    Secondo quanto sottoscritto dalle due parti nell’accordo di Bruxelles del 2013, per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi balcanici dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia il 17 febbraio 2008 è prevista l’istituzione di “un’associazione/comunità di comuni a maggioranza serba in Kosovo”, aperta a “qualsiasi altro comune, purché i membri siano d’accordo”. Un’Associazione creata “da uno statuto”, con un suo presidente, vicepresidente, Assemblea e Consiglio e la possibilità di “cooperare nell’esercizio dei loro poteri in modo collettivo” nei settori dello “sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale“. Forze di polizia e autorità giudiziarie saranno uniche per tutto il Kosovo, ma con l’autorizzazione alla formazione di un comando regionale di polizia per le quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba (Mitrovica settentrionale, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic) e un collegio di giudici istituito dalla Corte d’Appello di Pristina per occuparsi di tutte le municipalità a maggioranza serba del Kosovo.
    A 10 anni dall’accordo di Bruxelles non sono stati compiuti progressi sostanziali per l’implementazione sul campo dei 15 punti, mentre si sono acuite nell’ultimo anno le tensioni nel nord del Kosovo sia sulla questione delle targhe per i veicoli sia per le conseguenze delle dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia serbo-kosovari dalle rispettive istituzioni nazionali. L’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo è considerata da Belgrado un’entità di governo che deve essere istituita proprio a partire dall’intesa giuridicamente vincolante di Bruxelles, ma è anche una potenziale leva politica in mano del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, per continuare a controllare indirettamente una zona contesa (l’intero Kosovo è tutt’ora considerato parte del Paese). Quello che invece contesta Pristina – dopo il deciso cambio di rotta del governo nazionalista di Kurti dall’elezione del 2021 – è che la nuova Associazione in Kosovo non sia nient’altro che una replica della fallimentare Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina, l’entità a maggioranza serba nel Paese che negli ultimi anni ha portato a una destabilizzazione sempre maggiore del Paese proprio per l’eccessiva autonomia garantita a un establishment politico filo-russo.
    “Siamo assolutamente contrari alla creazione di qualsiasi entità che assomigli alla Repubblica Srpska in Bosnia ed Erzegovina“, hanno assicurato i due diplomatici statunitensi nella nota, chiedendo invece a Pristina di “fornire la propria visione di questa associazione”. Secondo quanto emerge dalle parole di Chollet ed Escobar, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, avrebbe fatto notare al premier Kurti che “esistono 14 accordi simili all’interno dell’Unione Europea, nessuno dei quali viola i sistemi europei di governo effettivo”, che garantiscono autonomie specifiche all’interno del quadro degli Stati nazionali. L’associazione “non sarebbe mono-etnica” e “non aggiungerebbe un nuovo livello di potere esecutivo e legislativo al governo del Kosovo”, assicurano i mediatori, mentre l’aspetto più positivo potrebbe essere il fatto che “i comuni che condividono interessi, lingua e cultura potrebbero lavorare insieme in modo più efficace per affrontare le sfide comuni” negli ambiti autorizzati dall’accordo di Bruxelles del 2013.

    Unione Europea e Stati Uniti stanno cercando di mediare tra Serbia e Kosovo su uno dei punti più divisivi dei negoziati. La creazione della comunità è prevista dall’accordo di Bruxelles del 2013, ma il rischio è quello di istituzionalizzare la divisione etnica, come con la Republika Srpska in Bosnia

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    Il Kosovo ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea

    Bruxelles – Era una questione di giorni, se non di ore, dopo le anticipazioni dalla presidente Vjosa Osmani al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana martedì scorso (6 dicembre). Nella tarda mattinata di oggi (mercoledì 14 novembre) il Kosovo ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea. A partire da oggi tutti gli Stati extra-Ue interessati dal processo di allargamento dell’Unione si trovano almeno nella casella di partenza della richiesta di adesione, in un anno che ha visto il più grande sconvolgimento per le prospettive di espansione dei Ventisette a nuovi membri sul continente.
    Da sinistra: il presidente dell’Assemblea del Kosovo, Glauk Konjufca, la presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e il primo ministro, Albin Kurti (Pristina, 14 dicembre 2022)
    “Un momento storico per Kosovo e Unione Europea“, è il commento entusiasta della presidente Osmani al termine della cerimonia di firma della domanda di adesione all’Ue con il premier Albin Kurti e il presidente dell’Assemblea nazionale, Glauk Konjufca. Secondo la leader kosovara si tratta di “un passo più vicino alla realizzazione del sogno di coloro che hanno sacrificato le loro vite per la libertà, l’indipendenza e la democrazia”, ma anche alla “realizzazione della nostra comune e incrollabile ambizione di entrare nell’Unione Europea“. Per il Paese “non c’è mai stata un’alternativa, ma i sogni diventano realtà solo quando si lavora per realizzarli”, come ha dimostrato l’ultima relazione sui progressi di Pristina nel Pacchetto Allargamento 2022 della Commissione Ue.
    “I progressi dipenderanno dal nostro impegno per riforme profonde, che facciano progredire la democrazia, rafforzino lo Stato di diritto e sviluppino la nostra economia”, ha dichiarato in conferenza stampa il premier Kurti, precisando che la lettera sarà presentata nei prossimi giorni alla Commissione e alla presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue (che terminerà il proprio semestre il prossimo 31 dicembre). Il Kosovo dovrà però affrontare una doppia sfida, che al momento blocca la strada verso l’ottenimento dello status di Paese candidato all’adesione Ue: cinque Stati membri non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e la finalizzazione di un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia (da cui Pristina ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 2008). Nonostante le aspre tensioni tra i due Paesi nel nord del Kosovo, a Bruxelles il 2023 è considerato l’anno decisivo per portare a termine un dialogo mediato dall’Ue ormai più che decennale.

    A historic moment. 🇽🇰 🇪🇺
    A step closer to fulfilling the dream of those who sacrificed their lives for freedom, independence & democracy, as well as, fulfilling our common and unwavering ambition of joining the European Union. pic.twitter.com/TX9Ygwl2MJ
    — Vjosa Osmani (@VjosaOsmaniPRKS) December 14, 2022

    Tra Kosovo e allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). Dopo sei anni dalla richiesta di adesione per la Bosnia ed Erzegovina è quasi arrivato il momento della concessione dello status di Paese candidato, mente il Kosovo ha firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione nel 2016 e da oggi ha completato il quadro degli Stati balcanici che si trovano formalmente sulla strada di adesione all’Unione.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen: per i Balcani Occidentali è compresa la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, a cui viene offerta la prospettiva di adesione. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    La lettera è stata firmata dalla presidente Vjosa Osmani, dal premier Albin Kurti e dal leader dell’Assemblea nazionale Glauk Konjufca: “Un passo più vicino alla realizzazione della nostra comune e incrollabile ambizione di entrare nell’Ue”. Ma prima l’accordo sui rapporti con la Serbia

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    Si riaccendono le tensioni nel nord del Kosovo. Escalation tra barricate, retorica incendiaria e attacco alla missione Ue

    Bruxelles – Un fine settimana di ordinaria follia nel nord del Kosovo, dove da venerdì (9 dicembre) la tensione è tornata ancora a crescere in maniera preoccupante, anche complice la retorica incendiaria di Belgrado. Barricate ai passaggi di frontiera, arresti e granata stordente contro la missione Eulex dell’Unione Europea: l’escalation degli ultimi mesi nelle regioni settentrionali del Paese, dove si concentra la minoranza serba, ha raggiunto uno dei livelli di criticità più alti mai toccati. Anche se parlare di rischio di guerra tra Serbia e Kosovo è al momento del tutto azzardato.
    Tutto è iniziato – di nuovo – nel pomeriggio di venerdì, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per tenere sotto controllo la situazione a Kosovska Mitrovica e ai valichi di confine (dal momento in cui gli agenti serbo-kosovari dimessisi in massa a inizio novembre non sono ancora tornati in servizio). Nonostante le rassicurazioni del premier Albin Kurti del fatto che le operazioni non hanno alcun target etnico – ma sarebbero indirizzate a contrastare la criminalità che rischia di prendere il sopravvento nella regione senza un’adeguata presenza di forze dell’ordine – la reazione di Belgrado è stata violentissima. La premier serba, Ana Brnabić, è arrivata a minacciare la possibilità di inviare mille soldati da Belgrado sul territorio kosovaro (cosa non possibile senza il consenso della Nato, secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 1999) per contrastare un “comportamento irresponsabile” da parte del governo di Pristina.
    Soldati della Kosovo Force (Kfor) della Nato a Zubin Potok, dove è stata eretta una barricata da manifestanti serbo-kosovara (credits: Armend Nimani /Afp)
    La situazione tesa è andata esasperandosi proprio per la retorica nazionalista dei due governi. Da una parte la presidente kosovara, Vjosa Osmani, ha attaccato Belgrado, affermando che “il sogno egemonico della Serbia non si avvererà, non ci saranno mai poliziotti e militari serbi sul territorio del Kosovo”, mentre la premier serba Brnabić ha alzato l’asticella, avvertendo che il rapporto “è al limite di un nuovo conflitto”. Dichiarazioni che – come fanno notare diversi analisti – rispondo a logiche di rafforzamento politico a livello interno e hanno poca aderenza con la realtà: sul campo è presente la più grande missione militare della Nato, la Kosovo Force (Kfor), con i suoi 3.700 soldati, e un nuovo conflitto armato – dopo quello tra il 1998 e il 1999, conclusosi solo grazie all’intervento dell’Alleanza Atlantica – sarebbe un suicidio diplomatico per entrambi i Paesi.
    Allo stesso tempo la situazione non deve essere sottostimata, dal momento in cui era da mesi che non si vedevano barricate ai valichi di frontiera, alzate dalle frange più estremiste e violente della minoranza serba-kosovara. Nella giornata di sabato le proteste si sono esacerbate con la notizia dell’arresto di un ex-agente della polizia kosovara, Dejan Pantić, accusato di “attacchi terroristici”. I blocchi stradali nel settore nord di Kosovska Mitrovica, Zvecan e Leposavic sono stati realizzati con mezzi pesanti – tra cui anche alcuni donati da Bruxelles attraverso i progetti finanziati dall’Ue – mentre sono aumentati gli atti di sabotaggio, che hanno coinvolto anche Eulex.
    Nel corso della notte tra sabato e domenica (10-11 dicembre) vicino a Rudare una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione civile nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione, senza causare nessun ferito né danneggiamento di materiale. “Chiediamo ai responsabili di astenersi da ulteriori azioni di provocazione e sollecitiamo le istituzioni del Kosovo a portare i colpevoli davanti alla giustizia”, si legge in una dichiarazione della missione Eulex. “L’Ue non tollererà attacchi a Eulex o il ricorso ad atti violenti e criminali nel nord del Paese“, è l’attacco dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I gruppi serbi del Kosovo devono rimuovere immediatamente le barricate” e “tutti gli attori devono evitare un’escalation”.

    Stun grenade attack on #EULEX reconnaissance patrol.
    Read the full statement in English, Albanian and Serbian here:https://t.co/52yvDy8HEx pic.twitter.com/9YZG2vmudZ
    — EULEX Kosovo (@EULEXKosovo) December 11, 2022

    Il rinvio delle elezioni locali nel nord del Kosovo
    A questo si aggiunge la situazione politica nel nord del Kosovo, che si intreccia strettamente con le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali del 5 novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina (in larga parte utilizzate dalla minoranza serba nel Kosovo settentrionale). Tra i dimissionari ci sono anche i sindaci di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavic e per questo motivo nelle quattro città si dovrà tornare alle urne, altro elemento di tensione con le frange più estremiste della minoranza serba in Kosovo. Le elezioni anticipate – in programma inizialmente per il 18 dicembre – sono state rinviate il prossimo 23 aprile dalle istituzioni di Pristina, per non rischiare di rendere la situazione fuori controllo. Ad annunciarlo è stata la stessa presidente Osmani, dopo consultazioni con diverse forze politiche.
    Manifestazioni di serbi del Kosovo nel nord del Paese (credits: Armend Nimani / AFP)
    Nel quadro dell’escalation di tensione nel nord del Kosovo, la politica locale si interseca con quella internazionale. In vista di quelli che sono ormai considerati gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo, la proposta di mediazione franco-tedesca che dovrebbe portare a termine il dialogo tra Pristina e Belgrado insisterà sulla completa implementazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). Se il 2023 sarà davvero l’anno dell’accordo definitivo tra i due Paesi balcanici, chi vincerà le elezioni locali nelle quattro città sarà verosimilmente il rappresentante dei serbi del Kosovo all’interno della Associazione delle municipalità. E Belgrado ha tutto l’interesse che Lista Srpska – il partito più vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić – non perda la presa politica sul territorio.
    Non è un caso se il leader serbo ha avuto recentemente uno scatto d’ira per la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska, il cui leader Goran Rakić si era dimesso dallo stesso ministero a inizio novembre. Vučić ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” proprio perché la questione nel Kosovo settentrionale è strettamente legata alla politica interna serba: “Per anni ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, ha spiegato in un’intervista a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche. Dentro e fuori i confini nazionali Vučić tenta di far apparire “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non ‘abbastanza’ serbi”. La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado “sembra uno scacco matto” e per Belgrado è cruciale che lo stesso scenario non si ripeta nelle quattro amministrazioni locali finora controllate nel nord del Paese.
    Gli sforzi diplomatici dell’Ue
    Dopo settimane di tensione per la questione delle targhe e le nomine ministeriali in Kosovo – che ha spinto lo stesso presidente serbo Vučić a minacciare, e poi ritrattare, un boicottaggio del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana – i Ventisette stanno spingendo perché i due Paesi balcanici raggiungano “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle loro relazioni, come messo in chiaro dalle conclusioni del summit in Albania. Bruxelles sta puntando tutte le sue carte su un aggiornamento della proposta franco-tedesca, che – come riportano fonti europee – dovrebbe consentire di raggiungere un’intesa “in meno di un anno”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Solo tre settimane fa l’alto rappresentante Borrell era riuscito in extremis a far raggiungere un accordo di compromesso tra le due parti per porre termine alla grave crisi sulle targhe nel nord del Kosovo. La mediazione di Bruxelles con i capi-negoziatori, arrivata dopo un incontro fallimentare tra Vučić e Kurti, si è rivelata decisiva anche per l’avanzamento del dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado: il testo del 23 novembre in cinque paragrafi si concentra “pienamente, e con urgenza, sulla proposta di normalizzazione” secondo quanto “presentato questo settembre dal facilitatore dell’Ue e sostenuto da Francia e Germania”. In questo modo la proposta di Parigi e Berlino è entrata ufficialmente nel cuore del dialogo mediato da Bruxelles, che nelle intenzioni dei maggiori attori diplomatici a livello europeo si dovrebbe chiudere entro la fine dell’anno prossimo.
    Anche l’Italia sta cercando di ritagliarsi un ruolo decisivo per la distensione dei rapporti tra Serbia e Kosovo. A fine novembre la missione diplomatica a Belgrado e Pristina dei ministri degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, aveva spinto “la ricerca e le soluzioni ai problemi” emersi con sempre più urgenza negli ultimi mesi. Nel corso del vertice di Tirana la stessa premier Giorgia Meloni si era intrattenuta in contatti bilaterali con i presidenti Vučić e Osmani per affrontare “una questione annosa per questa regione” e per “portare avanti il ruolo dell’Italia di amicizia e cooperazione” con i partner balcanici. A fronte della nuova ondata di escalation sul campo il ministro Tajani ha chiesto in particolare a Belgrado di allentare le tensioni e si è rivolto direttamente al presidente serbo in una telefonata, chiedendo “moderazione” per evitare un peggioramento della situazione: “La stabilità della regione è un obiettivo italiano ed europeo“, ha precisato il titolare della Farnesina.
    Il tema è stato oggetto della riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette. Alla luce della situazione l’Alto rappresentante Borrell ha deciso di inviare in missione Tomáš Szunyog, il rappresentante speciale per il Kosovo, così da poter fornire un quadro più preciso della situazione in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo. La missione è prevista per mercoledì, 14 dicembre, in tempo utile per poter informare i leader il giorno seguente.

    Una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione Eulex: “L’Ue non tollererà il ricorso ad atti violenti e criminali”, avverte l’alto rappresentante Borrell. Posticipate le elezioni locali in quattro città per non aggravare la situazione. Ma non c’è rischio di conflitto