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    La bandiera della Svezia sventola al quartier generale Nato a Bruxelles

    Bruxelles – E ora sono 32 bandiere che sventolano fuori dal quartier generale della Nato a Bruxelles. Con la cerimonia dell’alzabandiera svoltasi oggi (11 marzo) la Svezia ha fatto la sua prima apparizione ufficiale da nuovo membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, portando a compimento l’ultima fase dell’allargamento dell’Alleanza Atlantica nell’anno del 75esimo anniversario dalla firma del Trattato del Nord Atlantico a Washington nel 1949. “L’adesione alla Nato è positiva per la Svezia, per la stabilità del Nord e per la sicurezza dell’intera Alleanza“, ha messo in chiaro il segretario generale dell’organizzazione militare intergovernativa, Jens Stoltenberg, accogliendo al quartier generale di Bruxelles il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, a tre giorni dalla conclusione del processo di adesione di Stoccolma.

    La cerimonia dell’alzabandiera a Bruxelles (11 marzo 2024)Nell’arco di meno di un anno Stoltenberg ha visto issare due nuove bandiere, quella svedese e quella finlandese (il 4 aprile 2023), appena prima della fine del suo mandato da segretario generale a ottobre di quest’anno: “L’adesione della Svezia dimostra ancora una volta che la porta della Nato rimane aperta, nessuno può chiuderla, ogni nazione ha il diritto di scegliere la propria strada“. Una risposta chiara alle accuse dell’autocrate russo, Vladimir Putin, e alle polemiche sulla questione dell’allargamento della stessa Alleanza Atlantica in riferimento alle aspirazioni dell’Ucraina di farne parte in futuro. “Quando Putin ha lanciato la sua invasione due anni fa voleva meno Nato e più controlli sui suoi vicini, voleva distruggere l’Ucraina come nazione indipendente, ma ha fallito“, ha sottolineato con forza Stoltenberg in conferenza stampa: “La Nato è più forte, l’Ucraina è più vicina all’adesione come mai prima, e continuiamo a essere al suo fianco”.

    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (11 marzo 2024)A proposito del sostegno dei 32 alleati a Kiev, Stoltenberg ha ribadito che “la resa non è pace” – mettendo un punto fermo alla posizione della Nato rispetto alle parole del fine settimana del capo della Chiesa cattolica, Papa Francesco – e “continueremo a rafforzare l’Ucraina per dimostrare a Putin che non otterrà ciò che vuole sul campo di battaglia”, perché “Putin ha iniziato questa guerra e potrebbe finirla oggi, ma l’Ucraina non ha questa opzione“. Sulla stessa lunghezza d’onda il premier svedese: “La situazione della sicurezza nella nostra regione non era così seria dai tempi della Seconda Guerra Mondiale e la Russia continuerà a costituire una minaccia per la sicurezza euroatlantica nel prossimo futuro“. È per questo motivo che la Svezia ha chiesto di aderire all’Alleanza “per ottenere sicurezza, ma anche per garantirla”, ha assicurato Kristersson, anche se ha escluso la necessità di ospitare sul territorio nazionale armi nucleari o basi permanenti: “Non ci sono piani di espandere il numero di Paesi alleati Nato con armi nucleari“.Il protocollo di adesione di Svezia era stato firmato (insieme alla Finlandia) il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Madrid, l’Ungheria era rimasto all’inizio di quest’anno l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia aveva messo fine al suo durissimo blocco. Un mese e mezzo fa il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non aveva fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. Il via libera da Budapest è arrivato infine lo scorso 26 febbraio, dopo l’incontro nella capitale ungherese tra i premier Orbán e Kristersson per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza.Svezia e Finlandia gli ultimi membri nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    La Svezia è diventata ufficialmente il 32esimo Paese membro Nato

    Bruxelles – Dopo quasi due anni di attesa, il processo di adesione è ufficialmente concluso e da oggi (7 marzo) la Svezia entra a far parte “con pari voce in capitolo nella definizione delle politiche e delle decisioni” della Nato. È quanto annunciato dal segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, sottolineando “il giorno storico” per Stoccolma e per tutta l’Alleanza: “Avrà ora il posto che le spetta al tavolo della Nato”.

    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergStoltenberg ha così accolto il 32esimo Paese membro dell’Alleanza Atlantica, a meno di un anno dall’ultimo ingresso, quello della Finlandia (il 4 aprile 2023). “Dopo oltre 200 anni di non allineamento la Svezia gode ora della protezione garantita dall’articolo 5, la massima garanzia per la libertà e la sicurezza degli Alleati”, ha ricordato il segretario generale Stoltenberg, che accoglie con favore “forze armate capaci e un’industria della difesa di prim’ordine”. Senza risparmiare una stoccata alla Russia sul tema della libera scelta da parte dell’Ucraina (e non solo) di poter accedere all’Alleanza in futuro: “L’adesione di oggi dimostra che la porta della Nato rimane aperta e che ogni nazione ha il diritto di scegliere la propria strada“.A questo punto si attende solo la cerimonia dell’alzabandiera lunedì prossimo (11 marzo), quando la bandiera svedese sarà issata insieme a quelle degli altri 31 alleati presso il quartier generale della Nato a Bruxelles e in tutti i comandi in Europa e in Nord America. “Grazie a tutti gli alleati per averci accolto come 32esimo membro”, ha commentato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, dopo l’incontro a Washington con il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken: “Ci impegneremo per l’unità, la solidarietà e la condivisione degli oneri e aderiremo pienamente ai valori del Trattato di Washington”, ovvero “libertà, democrazia, libertà individuale e Stato di diritto”.

    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, al vertice di Vilnius (10 luglio 2023)Il protocollo di adesione di Svezia era stato firmato (insieme alla Finlandia) il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Madrid, l’Ungheria era rimasto all’inizio di quest’anno l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia aveva messo fine al suo durissimo blocco. Un mese e mezzo fa il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non aveva fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. Il via libera da Budapest è arrivato infine lo scorso 26 febbraio, dopo l’incontro nella capitale ungherese tra i premier Orbán e Kristersson per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza.Come si entra nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    Macron non sta trovando appoggio all’ipotesi di inviare soldati Nato in Ucraina contro l’esercito russo

    Bruxelles – È la prima volta che il tema dell’invio di soldati Nato sul territorio ucraino diventa un terreno di confronto tra i leader occidentali, ma la possibilità ipotizzata dal presidente francese, Emmanuel Macron, non sta trovando al momento alcuno spiraglio di manovra. Al contrario, a poche ore dalle parole dell’inquilino dell’Eliseo in conferenza stampa al termine della Conferenza di Parigi sul sostegno all’Ucraina, i maggiori alleati Ue e Nato della Francia prendono nettamente le distanze da uno scenario che implicherebbe un confronto diretto tra l’Alleanza Atlantica e la Russia.

    Il presidente della Francia, Emmanuel Macron“La posizione dell’Unione Europea è chiara dall’inizio della guerra, dobbiamo sostenere l’Ucraina per vincere questa guerra di difesa, la maniera e la forma del sostegno specifico militare è una decisione autonoma di competenza sovrana degli Stati membri“, ha ricordato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, in un punto con la stampa oggi (27 febbraio) a Bruxelles, sottolineando però con forza che “non c’è alcuna decisione a livello Ue sull’invio di truppe per rafforzare l’esercito ucraino“, anche perché “non c’è un esercito europeo, stiamo discutendo di diverse visioni degli Stati membri”. Stano ha fatto un passo indietro rispetto alla richiesta di commentare le dichiarazioni di ieri sera (26 febbraio) del presidente Macron – “non è nostro compito” – ma ha comunque sostenuto a nome della Commissione Europea l’appello per un “maggiore sostegno con missili a lungo raggio e munizioni, dobbiamo mobilitare di più e più velocemente, perché è ciò di cui hanno bisogno gli ucraini per la difesa”.L’ipotesi di inviare truppe Nato in Ucraina “non è da escludere”, ha ventilato Macron al termine del vertice di ieri in cui si è discusso (senza nessun leader dell’Unione Europea) della futura assistenza all’Ucraina con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, il presidente polacco, Andrzej Duda, il primo ministro olandese, Mark Rutte, e altri funzionari europei, statunitensi e canadesi. Il presidente francese ha inserito l’eventualità nel quadro della necessità della sconfitta dell’esercito di Mosca “per la sicurezza e la stabilità in Europa“, anche se ha subito messo in chiaro che “non c’è consenso” su questa ipotesi “in modo ufficiale, scontato e approvato”. Lasciando aperta la porta a un cambio di strategia in futuro se cambieranno gli equilibri, l’inquilino dell’Eliseo non ha risparmiato una critica velata alla Germania di Scholz – “Molti di quelli che dicono ‘Mai, mai’ oggi, sono gli stessi che dicevano ‘Mai carri armati, mai aerei, mai missili a lungo raggio’ due anni fa” – e ha invocato “l’umiltà di constatare che spesso siamo arrivati in ritardo di sei o dodici mesi“. L’obiettivo è comunque chiaro (e condiviso da tutti i leader occidentali) sul fatto che “la Russia non può vincere questa guerra”, ha concluso Macron.Le reazioni alle parole di Macron

    Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergDopo le parole di Macro solo il primo ministro francese, Gabriel Attal, si è schierato al fianco del suo presidente – “Non si può escludere niente in una guerra in corso nel cuore dell’Europa” – mentre dalle altre capitali sono arrivate prese di distanza dalla possibilità di un dispiegamento di soldati occidentali in Ucraina per fronteggiare quelli russi. Tra i primissimi a chiudere la porta è stato lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: “Gli alleati stanno fornendo un sostegno senza precedenti all’Ucraina, lo facciamo dal 2014 e lo abbiamo intensificato dopo l’invasione su larga scala, ma non ci sono piani per truppe da combattimento della Nato sul terreno in Ucraina“. Nessuna reazione ufficiale dalla Casa Bianca, ma un funzionario statunitense ha confermato a Reuters che l’opzione non è in discussione a Washington. Per l’Italia è stato invece il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a ribadire che “non siamo in guerra con la Russia e l’invio di truppe in Ucraina darebbe invece questa idea“, invocando “molta prudenza” per non dare adito a fraintendimenti e scatenare un conflitto su più larga scala.

    Netta la risposta del cancelliere tedesco Scholz, che non solo ha sottolineato che la possibilità “non è sul tavolo”, ma ha anche precisato che “c’è consenso” sul fatto che questo principio rimarrà anche “in futuro”. Gli ha fatto eco da Londra il primo ministro britannico, Rishi Sunak, che ha ricordato come “oltre al piccolo gruppo di personale” nel Regno Unito per addestrare i soldati ucraini, “non abbiamo alcun piano per un dispiegamento su larga scala“. Da Madrid il governo spagnolo ha fatto sapere attraverso i propri portavoce che “non è d’accordo” con lo scenario tratteggiato da Macron e che piuttosto “dobbiamo concentrarci sull’accelerare l’invio di armi, l’unità è stata finora l’arma più efficace dell’Unione Europea contro Putin“. La Svezia – che è in procinto di diventare il 32esimo membro Nato fra pochi giorni – allo stesso modo ha evidenziato per voce del suo premier, Ulf Kristersson, che “non c’è richiesta” di Kiev su questo fronte e perciò la “questione non è attuale”. Né la Polonia né la Repubblica Ceca – come hanno confermato i rispettivi primi ministri, Donald Tusk e Petr Fiala – hanno piani per l’invio di soldati in Ucraina, mentre il presidente della Bulgaria, Rumen Radev, ha avvertito che un intervento di questo tipo da parte di un qualsiasi Paese Nato – anche sulla base di un accordo bilaterale – “significa provocare un conflitto globale“.

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    Via libera dall’Ungheria all’ingresso della Svezia nella Nato. L’Alleanza tocca quota 32 Paesi membri

    Bruxelles – E anche l’ultimo ostacolo di fronte alla strada della Svezia nella Nato è caduto. L’Assemblea Nazionale dell’Ungheria ha votato oggi (26 febbraio) a favore della ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord e fra pochi giorni il Paese scandinavo potrà diventare ufficialmente il 32esimo Paese membro dell’Alleanza Atlantica. “Oggi è una giornata storica”, ha esultato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson: “Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità per la sicurezza euro-atlantica”.

    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Javier Soriano / Afp)Il via libera è arrivato con 188 voti a favore e 6 contrari, dopo che ormai era stato chiaro dalle parole del primo ministro, Viktor Orbán, in apertura della seduta parlamentare che i deputati del partito al potere Fidesz non avrebbero più creato problemi alla ratifica. I due premier si erano incontrati venerdì scorso (23 febbraio) a Budapest per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza, e dai negoziati era emerso che l’Ungheria potrà acquistare quattro nuovi aerei da combattimento Gripen di fabbricazione svedese, mentre Stoccolma non avrebbe più visto ostruzionismo da Budapest nel suo percorso verso l’adesione all’Alleanza Atlantica. “L’ingresso della Svezia nella Nato rafforzerà la sicurezza dell’Ungheria“, ha commentato oggi Orbán, definendo la visita di Kristersson nella capitale ungherese come un passo essenziale verso la costruzione di “un rapporto equo e rispettoso tra i due Paesi”.Il protocollo di adesione di Svezia (e Finlandia, 31esimo Paese membro dal 4 aprile 2023) era stato firmato il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Vilnius, l’Ungheria era rimasto l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia ha messo fine al suo durissimo blocco. Un mese fa Orbán aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non ha fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. “Ora che tutti gli alleati hanno approvato, la Svezia diventerà il 32esimo alleato della Nato“, ha accolto il voto favorevole dell’Assemblea Nazionale di Budapest il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, sottolineando che “l’adesione della Svezia ci renderà tutti più forti e sicuri”. La cerimonia di ingresso del nuovo membro dell’Alleanza si potrebbe tenere al quartier generale della Nato già venerdì (primo marzo). I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    Rutte si rafforza in cima alla lista dei candidati come prossimo segretario generale della Nato

    Bruxelles – Si scalda la campagna per la successione di Jens Stoltenberg a segretario generale della Nato. Il primo ministro olandese dimissionario dal luglio 2023, Mark Rutte, è a oggi il candidato più quotato dopo aver incassato l’appoggio di 20 Paesi membri (su 31) dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, in particolare di Stati Uniti e Regno Unito. È quanto emerge da diverse fonti di Reuters e Politico, tutte a indicare proprio Rutte come candidato favorito a diventare il prossimo segretario generale dell’Alleanza Atlantica.Il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark RutteLa corsa per la successione di Stoltenberg, segretario generale in carica dal primo ottobre 2014, è iniziata da qualche mese, dopo la proroga di un anno confermata all’ultimo vertice Nato di Vilnius. “Il presidente Joe Biden appoggia con forza la candidatura del premier Rutte“, ha reso noto un funzionario statunitense parlando con Reuters, elencando tra le caratteristiche del quasi ex-premier olandese la “profonda comprensione dell’importanza dell’Alleanza”, il fatto di essere “un leader e un comunicatore naturale, la sua leadership sarebbe utile all’Alleanza in questo momento critico“. Il mandato di Stoltenberg terminerà a ottobre, ma per evitare una sovrapposizione con gli appuntamenti elettorali in Europa e negli Stati Uniti, la decisione potrebbe già arrivare in primavera (prima del vertice di Washington del 9-11 luglio). Il successore o la successora avrà il compito di sostenere i 31 alleati nella difesa dell’Ucraina dall’invasione russa, ma senza esacerbare i rapporti con Mosca fino a trascinare l’intera Alleanza in guerra.La selezione della figura del segretario generale della Nato avviene attraverso consultazioni diplomatiche informali tra i Paesi membri, che propongono i candidati alla carica (tradizionalmente un’alta personalità politica europea): non c’è una votazione vera e propria, ma la decisione non viene confermata finché non si raggiunge il consenso su un candidato. Altre fonti all’interno dell’Alleanza hanno confermato a Politico che Rutte ha finora incassato il sostegno di 20 Paesi membri – compreso il Regno Unito – con un’altra decina che sarebbe invece ancora incerta o da convincere: “Continueremo ad ascoltare le loro domande e preoccupazioni”, hanno confermato le fonti a proposito delle possibili resistenze di Turchia, Ungheria e Paesi baltici. Proprio i Baltici avevano messo gli occhi sulla carica di vertice dell’Alleanza, ma né il ministro degli Esteri ed ex-premier della Lettonia, Krišjānis Kariņš, né la prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas, sarebbero ancora stati presentati formalmente come possibili candidati. La prima ministra della Danimarca, Mette Frederiksen, ha invece escluso l’opzione.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergAlcune indicazioni sul fatto che Rutte possa essere il favorito nella corsa alla segreteria della Nato erano già emerse da un editoriale dell’ex-portavoce dell’Alleanza Atlantica (fino a settembre 2023), Oana Lungescu: “Creare consenso tra i 31 alleati della Nato è il compito principale del segretario generale” e Rutte, “a volte chiamato ‘Teflon Mark’ per la sua capacità di guidare coalizioni diverse e di sopravvivere agli scandali politici, è un pragmatico negoziatore e un maestro del consenso“. In questo senso, il premier olandese ha stretto i rapporti non solo con Stoltenberg, ma anche con altri leader dell’Alleanza, dall’Albania alla Lituania, dalla Polonia agli Stati Uniti. La questione dei legami con Washington sarà una delle questioni decisive nella scelta del segretario generale dell’Alleanza: va ricordato che Rutte ha sviluppato un ottimo rapporto con il presidente Joe Biden, e allo stesso tempo è anche uno dei pochi leader europei ad aver cercato di mantenere stabile quello con il suo predecessore Trump, che potrebbe ritornare alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre.Il punto di debolezza del premier olandese è il fatto di non aver ancora allineato il suo Paese alla soglia minima di spesa per la difesa del 2 per cento rispetto al Pil (anche se non è ancora nota la lista completa dei 18 membri che nel 2024 l’avranno fatto, come anticipato da Stoltenberg). È questa una delle criticità maggiori, in particolare se si considerano le recenti minacce di Trump, secondo cui Washington non dovrebbe difendere da un’eventuale aggressione russa gli alleati che non spendono abbastanza per la difesa. D’altra parte Rutte si è ritagliato un ruolo di alleato affidabile per l’Ucraina, dopo aver preso l’iniziativa insieme alla Danimarca di Frederiksen di creare un centro di addestramento di piloti di caccia F-16 in Romania e inviando sistemi di difesa aerea Patriot e carri armati Leopard.

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    INTERVISTA / Spajić: “Il Montenegro investe su Ue e Nato. La presenza cinese non ci preoccupa più”

    Bruxelles – Il Montenegro sembra finalmente aver trovato un suo equilibrio, dopo anni di instabilità politica e istituzionale. Podgorica non ha mai perso la bussola del percorso verso l’Unione Europea, ma ora che la tempesta lunga più di tre anni è passata, l’obiettivo è ancora più visibile all’orizzonte. “Stiamo lavorando duramente e credo che sarà davvero epocale avere 28 membri entro il 2028“, confessa il primo ministro del Montenegro in carica dal primo novembre 2023, Milojko Spajić, nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata a Eunews a margine dell’inaugurazione dell’iniziativa del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ‘Membri candidati all’allargamento Ue’ a Bruxelles.

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićPrimo ministro Spajić, quanto ritiene realistico che – a cinque anni da oggi – il Montenegro parteciperà alle prossime elezioni europee?“Noi saremo pronti anche prima del 2028. Ma sappiamo anche che la politica di allargamento Ue è un processo a doppio senso e faremo del nostro meglio per concludere i negoziati di adesione nel 2026 e attendere fino al 2028 per la ratifica del Trattato di adesione da parte di tutti gli Stati membri. Dal momento in cui l’Unione contava già 28 membri, non è necessaria una revisione interna dei Trattati prima del nostro ingresso. Sarebbe un passo storico vedere i politici montenegrini in corsa per le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nel 2029”.Che tipo di partner è il Montenegro per l’Unione Europea?“Oggi il rapporto con l’Unione Europea e con gli altri Paesi dei Balcani Occidentali è il più positivo di sempre, ma dobbiamo migliorare ancora. Per quanto riguarda gli investimenti, vogliamo invitare società, imprese e istituzioni europee a ricostruire le infrastrutture, vogliamo ancora più scambi commerciali tra il Montenegro e l’Unione Europea, e ancora più imprese che aprono da noi e viceversa. Questa è una grande opportunità per Paesi come l’Italia, per esempio: Il Montenegro e tutti i Balcani Occidentali sono un frutto a portata di mano, perché i nostri cittadini amano l’Italia, la guardano come un modello in termini di società e di adesione all’Ue. Vogliamo più imprese italiane in Montenegro, così come da altri Paesi dell’Unione”.Eppure il Montenegro negli ultimi anni ha sollevato non poche perplessità a Bruxelles.“Il problema più grande del Montenegro è che nel 2020, quando sono diventato ministro delle Finanze, quasi il 60 per cento del turismo proveniva da Paesi esterni all’Unione Europea, alla regione e alla NATO. Le infrastrutture erano finanziate al 100 per cento da Paesi ed entità esterne a questo spazio politico, e anche il 90 per cento degli investimenti proveniva da Oriente. Allo stesso tempo, dal punto di vista geopolitico siamo membri della Nato e potenziali membri dell’Ue, con un 100 per cento di allineamento alla sua Politica estera e di sicurezza comune. Era una sorta di situazione bipolare, in cui geopoliticamente eravamo allineati da una parte, ma economicamente eravamo completamente isolati dal continente europeo e ci comportavamo come una nazione dell’Asia centrale. In quattro anni – all’inizio come ministro delle Finanze e ora da primo ministro – abbiamo cambiato completamente la rotta economica del Montenegro”.Ma quanto è ancora preoccupante la presenza cinese nell’economia del Paese?“Abbiamo ereditato il prestito con la China Investment Bank, lo abbiamo coperto con successo e abbiamo ridotto l’esposizione dal 27 per cento del Pil al 7/8 per cento. Ora è completamente gestibile, quasi trascurabile, è solo uno dei prestiti nel nostro portafoglio e non ci preoccupa molto. Vogliamo che il finanziamento delle infrastrutture in futuro provenga quasi esclusivamente dai nostri alleati della regione, dell’Ue e della Nato. Stiamo finalmente regolando l’economia e la geopolitica nel modo giusto”.

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićA proposito di Nato. È preoccupato dalle minacce di Trump, secondo cui gli Stati Uniti non dovrebbero difendere gli alleati che non spendono abbastanza nella difesa da un’eventuale aggressione russa?“Rischierei di entrare nella campagna politica statunitense, se commentassi questa dichiarazione. Io voglio intenderla come un messaggio cruciale per gli Stati Uniti, non solo per Trump ma anche per Biden: che Washington vuole vedere un contributo più attivo da parte di tutti i partner della Nato. Abbiamo ricevuto il massaggio, il Montenegro vuole essere un partner credibile per tutti coloro che fanno parte dell’Alleanza. Il governo è entrato in carica il primo novembre scorso, non abbiamo avuto molto tempo: la precedente bozza di bilancio diceva che la spesa per gli scopi Nato era pari all’1,8 per cento del Pil, ma in un solo mese siamo riusciti ad aumentarla al 2,01 per cento”.Diventando così uno dei 18 Paesi Nato che quest’anno avranno raggiunto la soglia minima di spesa del 2 per cento per la difesa in rapporto al Pil.“Questa è la dimostrazione di quanto siamo impegnati. Dopo l’aggressione russa all’Ucraina è fondamentale rendersi conto di quanto sia importante la sicurezza non più solo a livello teorico, ma anche e soprattutto pratico. È inimmaginabile che un membro della Nato possa essere invaso e conquistato da una potenza straniera come ha fatto la Russia con l’Ucraina”.

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    “Aumenti significativi” della Nato nella difesa collettiva in risposta a Trump: “Non minare la deterrenza”

    Bruxelles – Dopo la prima reazione sdegnata, la risposta della Nato alle minacce di Donald Trump di non voler difendere gli alleati che non spendono abbastanza nella difesa è tutta nei dati. “Oggi posso annunciare gli ultimi dati sugli investimenti nella difesa, da quando abbiamo preso l’impegno nel 2014 gli alleati europei e il Canada hanno investito più di 600 miliardi di dollari aggiuntivi“, ha reso noto il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, durante la conferenza stampa pre-ministeriale Difesa a Bruxelles: “La Nato è stata in grado di prevenire attacchi agli alleati per oltre 70 anni, e questo perché è sempre stato comunicato in ogni momento e in modo chiaro che siamo pronti a difenderci”, è l’avvertimento a chiunque diventerà il nuovo presidente degli Stati Uniti, ribandendo che “l’idea che un attacco a un alleato provocherà la risposta di tutta l’Alleanza è una deterrenza credibile“.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergUna deterrenza che – seguendo le parole di Stoltenberg – si traduce in un “aumento senza precedenti” degli investimenti in questo settore (lo scorso anno “pari all’11 per cento”) da parte dei Paesi membri dell’Alleanza, in attesa dei dati del 2024: “Quest’anno mi aspetto che 18 alleati spenderanno il 2 per cento del Pil nella difesa, nel 2014 erano solo 3“, ha anticipato il segretario generale della Nato. Per quanto riguarda più specificamente i 29 Paesi membri europei, sempre quest’anno sono previsti “380 miliardi di dollari spesi nella difesa“, che complessivamente parlando raggiungono “per la prima volta”” il famoso target del 2 per cento del Pil. Stoltenberg non ha fornito la lista degli alleati che si allineeranno all’obiettivo concordato nel 2014, ma ha esortato a continuare il lavoro: “Molti di loro hanno ancora strada da fare, perché a Vilnius [all’ultimo vertice Nato del 2023, ndr] abbiamo concordato che tutti dobbiamo farlo, e questa è la soglia minima“.Se i dati sono la maniera più concreta per rispondere alle minacce di Trump – secondo cui Washington potrebbe disinteressarsi da un’eventuale aggressione russa – Stoltenberg non ha evitato di approfondire il tema di fronte alle insistenti domande della stampa prima dell’inizio del vertice dei ministri della Difesa Nato in programma oggi (15 febbraio). “Non dobbiamo minare la deterrenza della Nato su cui stiamo investendo, anche nel modo in cui comunichiamo“, anche per “non lasciare spazio a Mosca per errori di calcolo e malintesi sulla nostra risolutezza nel difenderci”, ha spiegato il segretario generale dell’Alleanza: “Fino a quando saremo uniti dietro questo messaggio, preverremo attacchi a ogni alleato e manterremo la pace”, ma al contrario “ogni suggerimento che non ci proteggeremo, ci mette tutti a rischio“. Una questione di non secondaria importanza nemmeno per Washington: “Gli Stati Uniti non hanno mai combattuto una guerra da soli senza gli alleati Nato, dalla Corea all’Afghanistan, e l’unica volta in cui siamo ricorsi al’articolo 5 è stato per un attacco agli Stati Uniti“, non ha risparmiato una stoccata al membro più importante dell’Alleanza Stoltenberg, ricordando che “più sono preoccupati dalla Cina, più hanno bisogno di una Nato forte”.Le parole di Trump sulla NatoA scatenare il polverone di polemiche sono state le parole durissime di Trump contro gli altri 30 alleati della Nato, quando sabato (10 febbraio) nel corso di un comizio in South Carolina ha ricordato i suoi anni da presidente degli Stati Uniti: “Uno dei leader di un grosso Paese ha chiesto ‘Se non paghiamo e veniamo attaccati dalla Russia, ci proteggerete?’, e io ho risposto ‘Non avete pagato, non vi proteggeremo. Li incoraggerei [i russi, ndr] a farvi quello che diavolo vogliono”. Una prospettiva inquietante in vista di una eventuale ri-elezione di The Donald alla Casa Bianca e dello scetticismo dilagante dei repubblicani al Congresso nel fornire ulteriore sostegno militare e finanziario a Kiev, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022 e dei rischi di una futura estensione del conflitto in Europa. È per questo che non si sono fatte attendere le reazioni dei leader delle istituzioni comunitarie e dei Paesi membri Ue.

    “L’Alleanza transatlantica ha sostenuto la sicurezza e la prosperità di americani, canadesi ed europei per 75 anni, le dichiarazioni avventate sulla sicurezza della Nato e sulla solidarietà dell’articolo 5 servono solo agli interessi di Putin, non portano maggiore sicurezza o pace al mondo”, è quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che invoca allo stesso tempo “la necessità per l’Ue di sviluppare ulteriormente e con urgenza la propria autonomia strategica e di investire nella propria difesa”, mantenendo “forte la nostra Alleanza”. Anche il primo ministro belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Alexander De Croo, ha ribadito che “la nostra più grande risorsa di fronte a Putin è la nostra unità, e l’ultima cosa che dovremmo fare è comprometterla”. Secco il commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a quella che definisce “una sciocca idea” come “tante ne vedremo e sentiremo durante la campagna elettorale” statunitense: “La Nato non può essere un’alleanza militare à la carte, che dipende dall’umore del presidente degli Stati Uniti“, perché “o esiste o non esiste”. Il ministro della Difesa della Polonia, Władysław Kosiniak-Kamysz, ha avvertito che “nessuna campagna elettorale è una scusa per giocare con la sicurezza dell’Alleanza”, mentre il ministero degli Esteri della Germania ha pubblicato su X il motto “uno per tutti e tutti per uno”, ricordando che “la Nato tiene al sicuro più di 950 milioni di persone, da Anchorage a Erzurum”.

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    Lo sdegno di Bruxelles alle minacce di Trump sulla Nato: “Se gli alleati non si difendono, tutti a rischio”

    Bruxelles – La corsa per le presidenziali degli Stati Uniti ora inizia a preoccupare seriamente Bruxelles, e non solo l’Unione Europea. Con le ultime minacce dell’ex-presidente Donald Trump – in corsa per diventare il candidato repubblicano alle elezioni 2024 per la Casa Bianca – è tutta la Nato a ritrovarsi in un incubo che negli ultimi anni di presidenza democratica di Joe Biden sembrava essere ormai alle spalle. “Qualsiasi indicazione che gli alleati non si difenderanno a vicenda mina tutta la nostra sicurezza, compresa quella degli Stati Uniti, e mette i soldati americani ed europei a maggior rischio”, ha denunciato il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, rispondendo alle minacce di Trump secondo cui Washington non dovrebbe difendere da un’aggressione russa gli alleati che non spendono abbastanza per la difesa.

    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’ex-presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (14 novembre 2019)Il punto di rottura si è registrato sabato (10 febbraio), quando nel corso di un comizio in South Carolina Trump ha usato parole durissime contro gli altri 30 alleati della Nato, ricordando i suoi anni da presidente degli Stati Uniti: “Uno dei leader di un grosso Paese ha chiesto ‘Se non paghiamo e veniamo attaccati dalla Russia, ci proteggerete?’, e io ho risposto ‘Non avete pagato, non vi proteggeremo. Li incoraggerei [i russi, ndr] a farvi quello che diavolo vogliono”. Una prospettiva inquietante in vista di una eventuale ri-elezione di The Donald alla Casa Bianca e dello scetticismo dilagante dei repubblicani al Congresso nel fornire ulteriore sostegno militare e finanziario a Kiev, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022 e dei rischi di una futura estensione del conflitto in Europa. È per questo che non si sono fatte attendere le reazioni sdegnate non solo di Stoltenberg, ma anche dei leader delle istituzioni comunitarie e dei Paesi membri Ue, a pochi giorni dal vertice dei ministri della Difesa Nato in programma giovedì (15 febbraio) e dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco tra venerdì e domenica (16-18 febbraio) che vedrà questi temi sul tavolo delle discussioni.

    “L’Alleanza transatlantica ha sostenuto la sicurezza e la prosperità di americani, canadesi ed europei per 75 anni, le dichiarazioni avventate sulla sicurezza della Nato e sulla solidarietà dell’articolo 5 servono solo agli interessi di Putin, non portano maggiore sicurezza o pace al mondo”, è quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che invoca allo stesso tempo “la necessità per l’Ue di sviluppare ulteriormente e con urgenza la propria autonomia strategica e di investire nella propria difesa”, mantenendo “forte la nostra Alleanza”. Anche il primo ministro belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Alexander De Croo, ha ribadito che “la nostra più grande risorsa di fronte a Putin è la nostra unità, e l’ultima cosa che dovremmo fare è comprometterla”. Secco il commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a quella che definisce “una sciocca idea” come “tante ne vedremo e sentiremo durante la campagna elettorale” statunitense: “La Nato non può essere un’alleanza militare à la carte, che dipende dall’umore del presidente degli Stati Uniti“, perché “o esiste o non esiste”. Il ministro della Difesa della Polonia, Władysław Kosiniak-Kamysz, ha avvertito che “nessuna campagna elettorale è una scusa per giocare con la sicurezza dell’Alleanza”, mentre il ministero degli Esteri della Germania ha pubblicato su X il motto “uno per tutti e tutti per uno”, ricordando che “la Nato tiene al sicuro più di 950 milioni di persone, da Anchorage a Erzurum”.“Mi aspetto che, indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali, gli Stati Uniti rimarranno un alleato della Nato forte e impegnato“, ha riassunto il segretario generale della Nato Stoltenberg: “Qualsiasi attacco all’Alleanza sarà affrontato con una risposta unita e decisa”. Al centro della questione ci sono due temi: gli investimenti nazionali nella difesa e l’articolo 5 della Nato. Nel 2014 gli alleati hanno concordato l’obiettivo di spendere almeno il 2 per cento del Pil nel settore della difesa e della sicurezza, anche se diversi Paesi membri dell’Alleanza (Italia compresa) non si sono ancora allineati a questo target. L’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico afferma che un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza e che, di conseguenza, ognuno dei 31 Paesi Nato “assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata”. In altre parole si tratta di una clausola di mutua difesa collettiva, che può essere attivata (ma non necessariamente o in modo obbligatorio) nel caso di un’aggressione a un componente della Nato. “Se il mio avversario riuscirà a riconquistare il potere, sta dicendo chiaramente che abbandonerà i nostri alleati in caso di attacco da parte della Russia e permetterà a quest’ultima di ‘fare quello che diavolo vuole’ con loro”, è stato l’affondo dell’attuale presidente Usa e candidato democratico anche per il 2024, Joe Biden.