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    La Turchia pronta a ratificare il protocollo di adesione Nato della Svezia. Ma manca ancora l’Ungheria

    Bruxelles – Si sta per chiudere uno dei capitoli più spinosi degli ultimi due anni all’interno della Nato: lo stallo turco sulla ratifica del protocollo di adesione della Svezia all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ma un altro rischia di diventare ancora più imbarazzante. Mentre la Grande Assemblea Nazionale Turca è pronta a ratificare in settimana (tra oggi e giovedì) il protocollo di adesione di Stoccolma sei mesi dopo l’intesa decisiva tra i leader dei due Paesi al vertice Nato di Vilnius, il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, ha reso noto di aver invitato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, a Budapest per “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato“.

    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, a Vilnius (10 luglio 2023)Quello turco sembrava l’ostacolo più arduo da superare per le aspirazioni della Svezia di diventare il 32esimo membro dell’Alleanza Atlantica, considerato il continuo rinvio imposto dal presidente Recep Tayyip Erdoǧan per una serie di criteri a suo avviso non rispettati secondo il memorandum d’intesa firmato alla vigilia del vertice di Madrid del 2022. Tra queste in particolare le richieste di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La posizione irremovibile del leader turco ha portato al punto più basso dei rapporti con gli altri alleati in occasione del via libera alla richiesta della Finlandia, quando è stato invece ribadito lo stop a Stoccolma: in questo modo è sfumato l’ingresso congiunto dei due Paesi scandinavi nell’Alleanza Atlantica nello stesso giorno (il 4 aprile 2023). Appena prima dell’inizio del vertice di Vilnius nel luglio dello scorso anno – e dopo aver minacciato di voler legare il percorso di allargamento della Nato a quello di adesione della Turchia all’Unione Europea – lo stesso Erdoǧan ha dato il via libera all’ingresso della Svezia in un trilaterale risolutorio con il premier Kristersson e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. A distanza di sei mesi il Parlamento turco è pronto a rispettare l’impegno di ratificare il protocollo di adesione di Stoccolma, mettendo fine al suo ostruzionismo.

    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Javier Soriano / Afp)Ma ora tutti gli occhi sono puntati sull’Ungheria di Orbán, che si sta distinguendo in senso negativo a Bruxelles per i suoi continui ricatti non solo all’interno dell’Unione Europea (in particolare sulle questioni dei fondi Ue e del sostegno all’Ucraina) ma anche della Nato. Mentre l’attenzione era tutta rivolta ad Ankara e alle minacce esplicite di Erdoǧan di bloccare il processo in caso di non rispetto delle condizioni richieste, a Budapest il dossier della ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato non è mai avanzato soprattutto per il contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue. Proprio durante il semestre di presidenza svedese del Consiglio dell’Ue (tra gennaio e luglio 2023), il premier Kristersson è stato particolarmente duro nelle sue critiche all’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo Orbán e tutt’ora è uno dei leader più intransigenti sui ricatti del premier ungherese al tavolo del Consiglio Europeo. Il messaggio di Orbán sul “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato” è anche un chiaro segnale di subordinazione del Parlamento ungherese alle decisioni del premier (così come successo in Turchia), considerato anche il fatto che a oggi non è in agenda un voto per la ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma.I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    UE e NATO ora preoccupati: “Dobbiamo essere pronti a un attacco della Russia”

    Bruxelles – La Russia minaccia sempre più reale e probabile, in grado di tramutarsi in un vero e proprio attacco alla NATO. In Europa iniziano a farsi ricorrenti gli allarmi e gli avvertimenti di possibili se non addirittura probabili aggressioni russe. Non da ultima quella del ministro delle difesa tedesco, Boris Pistorius, che considera lo scenario possa verificarsi tra 5-8 anni. Per la prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, invece, potrebbe materializzarsi anche prima, nel giro di tre anni. Tre anni, esattamente quanto sostenuto da Eirik Kristoffersen, ministro della difesa della Norvegia.Una preoccupazione tutta interno ai membri UE della NATO, che plana prepotentemente sui tavoli di confronto, e non solo quelli politici. Perché l’ammiraglio Rob Bauer, capo del consiglio militare della NATO, ha messo in chiaro al termine dell’ultima riunione dell’organismo, giovedì scorso (18 gennaio), che “consideriamo la Russia una minaccia, e dobbiamo essere pronti per un attacco“. In questo contesto serve “un’industria che produca armi e munizioni più velocemente” rispetto a capacità e ritmi avuti prima dell’invasione dell’Ucraina.Dichiarazioni figlie di un mutato contesto, che vede la guerra allungarsi senza che se ne riesca ad immaginare il momento della fine, e la necessità che i Paesi dell’Unione tengano fede alle loro promesse ad esempio sulle munizioni all’Ucraina. Il sospetto che si voglia alzare la tensione per accelerare la produzione militare, come in realtà Bauer dice in maniera esplicita, c’è.Kallas vorrebbe sostituire Jens Stoltenberg alla guida dell’Alleanza atlantica e l’Estonia è attaccata alla Russia, dalla quale si sente da sempre minacciata, dunque è possibile che la premier sia guidata un po’ da preoccupazioni difensive e un po’ dalla volontà ri rinforzarsi come candidata alla Nato. D’altra parte è vero che dalla Russia ci sono continue azioni di disturbo sui confini estoni e finlandesi, ad esempio spingendovi dei migranti e molte sono anche le azioni realizzate con attacchi cibernetici.Il capo del comitato militare della Nato, nella stessa conferenza stampa, ha anche affermato che “non cerchiamo la guerra, ma dobbiamo essere pronti per la guerra“. Affermazione comprensibile. Eppure, a rileggere il discorso di Monaco pronunciato dal presidente russo Vladimir Putin alla conferenza sulla sicurezza globale del 2007, sembra che Europa e occidente abbiano colpevolmente ignorato le minacce di una Russia che chiedeva più meno NATO vicina ai suoi confini, annunciando passo passo le cose che poi ha fatto. Putin non ha mai fatto mistero di voler riprendere gli spazi di quello che fu l’impero russo e molti dei Paesi oggi confinanti ne erano parte.Dopo il discorso di Monaco del 2007 l’UE ha intensificato rapporti con Georgia, Ucraina, Kazakistan. La risposta russa, più o meno diretta, è stata l’intervento a fianco degli indipendentisti dell’Ossezia del sud, in chiave anti-georgiana (2008), l’annessione della Crimea (2014), l’aiuto militare per sedare proteste di piazza in Kazakistan, su richiesta del presidente kazako (gennaio 2022, poco prima dell’avvio delle operazioni in Ucraina). Tutti modi per ribadire che Mosca ha scelto una sua sfera d’influenza, sulla quali non vuole intromissioni. Neanche da parte dei governi legittimi di quei Paesi.La destabilizzazione è un’altra arma che Mosca ha usato spesso, armando e favorendo forze secessioniste quando ce ne sono, o esaltando fenomeni, esecrabili ma piccoli, come i partiti che si richiamano direttamente al nazismo o al fascismo indicando dunque quei Paesi come pericolosi.Di recente un drone russo è precipitato in Romania, ma si è deciso di tenere un profilo basso, di evitare di poter dare pretesti per un acuirsi del confronto.Non preoccuparsi di cosa potrebbe fare la Russia dunque, visti i precedenti, sarebbe, secondo molti osservatori “da sconsiderati”. Non c’è bisogno di invadere militarmente l’Estonia per creare un problema alla Nato, ci sono molte altre azioni che possono essere compiute, e che Mosca ha compiuto che possono essere viste come un attacco all’Alleanza, che difficilmente può essere un’invasione con i carri armati, anche perché la Russia si rende conto che un’azione del genere creerebbe una situazione di debolezza per il Cremlino. Almeno finché non arriva magari un Trump che negozia una sua pace con Mosca e abbandona la Nato e l’Europa a sé stesse.

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    Nato e Ucraina a colloquio dopo l’intensificarsi degli attacchi russi. Kiev: “Più armi per la difesa aerea”

    Bruxelles – Nato e Ucraina cercano di serrare le fila in uno dei momenti più difficili dopo l’inizio dell’invasione russa del Paese. Mentre Kiev affronta le conseguenze del più vasto bombardamento da quando l’esercito russo ha dato il via all’invasione del Paese quasi due anni fa, a Bruxelles si è riunito oggi pomeriggio (10 gennaio) in via straordinaria il Consiglio Nato-Ucraina a livello di di ambasciatori per discutere del rafforzamento della difesa aerea ucraina contro i bombardamenti missilistici e con droni. La richiesta del governo ucraino ai partner è quella di aumentare l’invio di armi, mettendo pressione alle capitali europee per incrementare il supporto alla difesa contro nuovi attacchi russi nel corso dell’inverno.Da sinistra: il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, e il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba (29 novembre 2023)La riunione del Consiglio ad hoc convocata dal segretario generale della Nato, Jens Stoltonberg, è stata richiesta proprio dall’Ucraina, a seguito del recente attacco con 158 tra missili nordcoreani e droni Shahed di fabbricazione iraniana per colpire tutte le maggiori città del Paese, da Kiev a Leopoli, da Odessa a Kharkiv. Dei 158 droni e missili lanciati la mattina del 29 dicembre, 114 sono stati abbattuti dalla contraerea ucraina ma i restanti 44 hanno colpito edifici civili e ucciso oltre 30 persone. Ecco perché sul tavolo degli ambasciatori non poteva non essere centrale il dossier sul rafforzamento delle difese aeree di Kiev, nonostante i 31 alleati abbiano già fornito “quantità significative” di sistemi antiaerei, ha sottolineato il portavoce della Nato, Dylan White. “Ci aspettiamo che si accelerino le decisioni sull’ulteriore rafforzamento delle capacità di difesa aerea sia in termini di sistemi moderni sia di munizioni”, è stata l’esortazione del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, parlando con Politico.(credits: Nikolay Doychinov / Afp)Solo due giorni fa il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, aveva esortato gli altri partner europei a fornire maggiori aiuti militari all’Ucraina, anche.se Berlino ancora non ha dato il via libera all’invio dei tanto richiesti missili da crociera Taurus. La Germania è diventata il secondo Paese donatore di armi al mondo dopo gli Stati Uniti e da questa posizione sta cercando di trainare gli altri 26 governi per un impegno più deciso. “Maggiore è il successo della difesa aerea ucraina, minore è la probabilità che un missile o un drone russo voli accidentalmente nello spazio aereo della Nato”, ha aggiunto Kuleba, facendo riferimento all’attraversamento dello spazio aereo polacco di un missile russo diretto in Ucraina, così come riportato da Varsavia a fine dicembre. Nel frattempo dall’Italia è arrivato un nuovo via libera proprio all’invio di una nuova tranche di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, grazie all’approvazione da parte del Parlamento della risoluzione che impegna il governo a proseguire con il sostegno a Kiev “in linea con gli impegni assunti e con quanto sarà ulteriormente concordato in ambito Ue e Nato”. Compatta la maggioranza, favorevoli anche +Europa, Italia Viva e Azione, astensione del Partito Democratico, contrari Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra.

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    Un altro inverno di guerra alle porte dell’Ucraina. La Nato non sottovaluta la Russia, “ma dipende da Iran e Corea del Nord”

    Bruxelles – Dopo il confronto serrato sullo scenario di guerra a Gaza, le discussioni dei 31 ministri degli Esteri della Nato si sono spostate oggi (29 novembre) sull’altro versante di guerra caldo. “L’Ucraina ha prevalso ed è progredita come nazione sovrana, indipendente e democratica, mentre la Russia ha subito una regressione e ora è più debole politicamente, militarmente ed economicamente“, è il riassunto fornito dal segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, nel corso della conferenza stampa che ha chiuso la due-giorni di vertice ministeriale.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg“L’Ucraina ha riconquistato il 50 per cento del territorio originario, nel Mar Nero ha respinto la flotta russa e stabilito rotte per le esportazioni di grano, rafforzando la sicurezza alimentare globale”, è il punto dei successi militari di Kiev in un anno e mezzo di guerra. Al contempo vanno sottolineate le difficoltà di Mosca. “Militarmente la Russia ha perso una parte sostanziale delle sue forze convenzionali“, vale a dire “centinaia di aerei, migliaia di carri armati e più di 300 mila soldati”, ha fatto notare Stoltenberg, ricordando inoltre la pressione economica: “I ricavi del petrolio e del gas stanno diminuendo, gli asset bancari sono soggetti a sanzioni, oltre mille aziende straniere hanno interrotto o ridotto le proprie attività nel Paese e l’anno scorso 1,3 milioni di persone hanno lasciato la Russia”. Sul piano politico “la Russia sta perdendo influenza nei Paesi vicini, anche nel Caucaso e in Asia Centrale” e il Paese è sempre più dipendente dalla Cina e non solo.(credits: Anatolii Stepanov / Afp)È proprio su questo punto che il segretario generale della Nato si è soffermato maggiormente, riferendosi alla Russia come un Paese che “ha ipotecato il suo futuro alla Cina anno dopo anno“. Lo sta facendo per il “finanziamento delle materie prime e anche di materie prime chiave per l’industria della difesa” – una dimostrazione che “è diventata sempre più debole” come risultato dell’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 – quanto in precedenza “l’Europa era il mercato principale e più importante, non ultimo per il gas naturale”. A questo si aggiunge il fatto che per continuare la propria guerra il Cremlino è “sempre più dipendente da Paesi come Iran e Corea del Nord per la fornitura di armi“, come dimostrato dal “notevole sostegno” di quest’ultima sia per l’invio di munizioni sia per il lavoro “a stretto contatto” che ha portato anche al lancio di un satellite militare.Da sinistra: il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, e il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba (29 novembre 2023)Di qui però scaturisce una riflessione in seno all’Alleanza Atlantica. “La Russia ha accumulato una grande riserva missilistica in vista dell’inverno“, è l’avvertimento lanciato dal segretario generale Stoltenberg, che invita a “non sottostimare” le forze di Mosca: “L’economia russa è sul piede di guerra e Vladimir Putin ha un’alta tolleranza per le vittime”. Ecco perché sia l’Ucraina sia gli alleati si stanno preparando a un nuovo inverno di guerra alle porte, con “nuovi attacchi aerei e missilistici”. Gli obiettivi russi in Ucraina “non sono cambiati” e lo dimostra proprio l’accumulo della riserva missilistica dell’esercito invasore: “Assistiamo a nuovi tentativi di colpire la rete elettrica e le infrastrutture energetiche, per lasciare gli ucraini al buio e al freddo”. Il supporto dell’Alleanza Atlantica sarà portato avanti con “8 miliardi di euro dalla Germania, 2 miliardi e mezzo dai Paesi Bassi, una coalizione per la difesa aerea formata da 20 alleati e un centro di addestramento per i piloti F-16 in Romania”. Perché, secondo Stoltenberg, “è anche nel nostro interesse in termini di sicurezza che l’Ucraina prevalga“.E infine c’è la spinosa questione dell’adesione dell’Ucraina alla Nato. “Abbiamo discusso il percorso, gli alleati concordano che diventerà un membro” dell’Alleanza, ha ricordato Stoltenberg, che ha reso noto il fatto che durante il primo Consiglio Nato-Ucraina in formato ministeriale Esteri sono state fornite le raccomandazioni “sulle riforme prioritarie” da mettere in campo, “compresa la lotta alla corruzione, il rafforzamento dello Stato di diritto e il sostegno dei diritti umani e delle minoranze”. Se è vero che l’adesione di Kiev “è più vicina che mai”, c’è da fare i conti con una guerra che non accenna a finire e per questo dal quartier generale della Nato a Bruxelles c’è “unanime sostegno alla lotta dell’Ucraina per la libertà”.
    Si chiude il vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord con un confronto in sede di Consiglio Nato-Ucraina sui rischi della “grande riserva missilistica” accumulata da Mosca. Che però con l’invasione “ha ipotecato il suo futuro alla Cina”

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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah

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    L’Ue rilancia l’industria bellica: “Studiamo cosa manca e dove investire”

    Bruxelles – “Analizzeremo la nostra capacità militari per vedere, esercito per esercito, dove ci sono lacune, cosa manca, e dove investire“. L’Europa si riarma. Il messaggio che invia l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, è il rilancio in grande stile dell’industria bellica. E’ giustificato dalla necessità di rispondere alle manovre militari della Russia in Ucraina, e dal fatto che le munizioni di cui Kiev ha bisogno l’Ue le sta prendendo dalle riserve nazionali degli Stati membri, ora sguarnite. La produzione serve più che mai e la linea dunque è tracciata.C’era una volta l’Unione europea, progetto di pace e addirittura premio Nobel per la pace, nel 2012. Dopo un decennio e poco più benvenuti in tutt’altra Europa. La riunione dei ministri della Difesa dei Ventisette riunisce attorno al tavolo i rappresentanti dell’Agenzia europea per la difesa (EDA) e pure il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Non è la prima volta né una novità. Ma è in questo formato che Borrell conduce l’analisi sulle lacune dell’industria bellica a dodici stelle, con l’Alleanza atlantica a fare da sponsor.“Putin deve capire che non vincerà, e l’unico modo che abbiamo per farglielo capire è continuare a sostenere militarmente l’Ucraina”, scandisce Stoltenberg. Che proietta l’Europa e il mondo di oggi nell’universo orwelliano per cui ‘guerra è pace’. Del resto essere positivi non è semplice. “Non credo che nessuno sia davvero ottimista” per ciò che riguarda il conflitto russo-ucraino, scandisce la ministra della Difesa olandese, Kajsa Ollongren. “La visione ottimistica sarebbe quella di una Russia che smette di combattere, ma è ciò che non sta accadendo”. Dal punto di vista euro-occidentale dunque, giusto andare avanti e sostenere quanto più possibile l’Ucraina. Anche perché ha molto da perdere, l’Ue. La faccia, l’immagine, la credibilità. I ritardi nella consegna del milione di munizione, con le promesse che non saranno mantenute, non depongono a favore di un’Europa decisa, a maggior ragione, alla corsa bellica.
    L’annuncio dell’Alto rappresentante Borrell. “Valuteremo le lacune esercito per esercito”. Il sostegno della Nato: “Putin deve capire che in Ucraina non può vincere”

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    I porti europei ‘cinesi’ un problema per la sicurezza Ue e Nato

    Bruxelles – Adesso la presenza cinese nei porti europei spaventa davvero. Perché all’aspetto economico si aggiunge anche quello della difesa e della sicurezza nazionale. La presenza cinese nei porti dell’Ue è una questione che si pone da anni, ma contro cui l’Unione europea ha fatto fatica. Da una parte il mercato unico, con le sue regole e il suo approccio aperto, non impedisce a operatori stranieri di fare affari in Europa. Dall’altra parte, per stessa ammissione dell’esecutivo comunitario, si fa fatica a capire il giro di affari delle imprese collegate al governo di Pechino.Un nuovo studio prodotto per conto della commissione trasporti del Parlamento europeo stima che tra il 2004 e il 2021 le compagnie del dragone abbiamo speso oltre 9,1 miliardi di euro per acquisizioni di e negli scali marittimi a dodici stelle.“I rischi derivanti dagli investimenti cinesi sono evidenti oltre determinate soglie di livelli di proprietà”, avverte il documento. In particolare il problema si pone in termini di influenza sulla strategia portuale e in termini di rischi informatici “se le aziende cinesi possono accedere ai sistemi di comunicazione e alle reti locali”. Ciò presenta certamente “un rischio a livello locale”, ma allo stesso tempo “potrebbe anche comportare rischi più ampi per l’Europa, soprattutto per quanto riguarda le forze armate degli Stati membri e la NATO”.Il problema è che la Cina appare aver goduto troppo dei diritti che l’Ue concede ad operatori stranieri. Su tutti China Ocean Shipping Company (COSCO) e China Merchants sono quelli che più massicciamente hanno investito in Europa. Tanto che oggi COSCO controlla il porto di Atene e si mette in risalto come “alcuni dei rischi più significativi emergono non solo dagli investimenti nelle infrastrutture ma anche dalle successive espansioni delle operazioni di COSCO”. Questi includono “rischi di influenza e coercizione localizzata”. In che modo? Viene offerto un chiaro esempio. COSCO potrebbe minacciare di dirottare i suoi trasbordi verso altri porti del Mediterraneo se la Grecia dovesse intraprendere un’azione che dispiacesse a Pechino.Un caso non isolato, visto che In Italia nel 2016 COSCO ha acquistato il 40 per cento del porto di Vado Ligure e in Germania controlla il 24,9 per cento dell’impresa che controllo il porto di Amburgo. All’Ue “manca una valutazione dei colli di bottiglia nella spedizione di merci dalla Cina all’Europa che consideri il trasbordo”, vale a dire il trasferimento di merci. “A seguito di tale valutazione, dovrebbero essere creati piani di emergenza per prepararsi a un conflitto con la Cina”.Ma in tema di sicurezza il caso ellenico è forse quello più emblematico. Nel porto del Pireo “la presenza di COSCO accanto a infrastrutture civili e militari critiche è altamente problematica, in termini di rischi informatici e potenziali fughe di dati sensibili”. Un rischio considerato dagli autori dell’analisi realistico poiché “vi sono indicazioni che in futuro gli scali delle navi militari statunitensi saranno più frequenti”. Alla luce di questo “è ragionevole supporre che i servizi segreti cinesi siano interessati a raccogliere dati sulle tecnologie militari avanzate degli Stati Uniti”. Si rende dunque “un’azione approfondita del rischio dell’investimento di COSCO” attraverso “uno stretto coordinamento con i partner occidentali in termini di assistenza tecnica”. Allo stesso modo, “la creazione di un meccanismo di gestione delle crisi e la mitigazione di vari rischi potenziali sono possibili solo di concerto con i partner dell’UE e della NATO”.Lo studio di nuova pubblicazione evidenzia una situazione in contrapposizione con la nuova strategia dell’Ue per la difesa navale e la sicurezza marittima. Questa include la protezione delle infrastrutture marittime critiche che includono gasdotti, cavi sottomarini e anche porti. Rispetto a questa necessità l’Ue appare già in ritardo. 
    Un nuovo studio del Parlamento europeo per la prima volta evidenzia i rischi non-economici di una troppa presenza asiatica negli scali marittimi a dodici stelle

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    La Nato promette una “risposta determinata” in caso di sabotaggio al gasdotto Baltico

    Bruxelles – La Nato promette una “risposta determinata” se i danni al gasdotto Baltic Connector e al cavo delle telecomunicazioni che connette Estonia e Finlandia dovessero dimostrarsi il risultato di un “atto deliberato”. Non punta il dito, né fa nomi. Ma il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, nella prima giornata di ministeriale della difesa che si è tenuta oggi (11 ottobre) a Bruxelles promette che la risposta dell’alleanza militare fra i 31 Paesi dell’America settentrionale e dell’Europa non sarà indulgente quando le cause del presunto sabotaggio saranno accertate. La prima giornata di ministeriale è stata movimentata, a sorpresa, dalla visita al quartier generale della Nato del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. “Se si dimostrerà che si tratta di un attacco alle infrastrutture critiche della NATO, otterremo una risposta unita e determinata da parte della NATO”, ha assicurato Stoltenberg prima di iniziare i lavori. Il presidente finlandese, Sauli Niinistö, ha annunciato ieri di avviato un’indagine sulle perdite di gas che sono state osservate a partire da domenica scorsa in un gasdotto sottomarino che collega Finlandia ed Estonia passando sotto il Mar Baltico, il Baltic Connector, e di un cavo di telecomunicazioni. L’indagine è condotta in collaborazione con l’Estonia, e secondo il presidente è probabile che il danno al gasdotto e al cavo adiacente sia il risultato di “attività esterne” anche se “non è ancora noto cosa abbia causato concretamente il danno”.Il presunto sabotaggio è finito oggi sul tavolo della ministeriale Nato, anche se ancora è presto per stabilire quali potrebbero esserne le cause. In conferenza stampa, Stoltenberg ha confermato di aver sentito ieri il presidente finlandese, Sauli Niinisto, e la premier estone, Kaja Kallas, che lo hanno “aggiornato sulle indagini in Finlandia e in Estonia. Hanno condiviso con la Nato ciò che hanno scoperto e ho detto loro che siamo pronti ad aiutarli con le indagini. Ha poi aggiunto che è troppo “presto per stabilire con esattezza cosa abbia causato il danneggiamento delle condutture e dei cavi. Ci sono indagini in corso e finché non saranno concluse, è troppo presto per dirlo”. Ha aggiunto però che se i danni subiti dal gasdotto Balticconnector tra Finlandia e Estonia dovessero risultare frutto di un attacco deliberato, si tratterebbe di un fatto “molto grave”. Ha ricordato ancora che queste infrastrutture critiche sottomarine “sono vulnerabili”, perché “si parla di migliaia di chilometri di condutture, di cavi, di rete internet, di rete elettrica, che per loro natura sono vulnerabili”. 
    Il presunto sabotaggio del tubo sottomarino che collega Finlandia ed Estonia, Baltic Connector, e di un cavo di telecomunicazione sul tavolo della prima giornata di ministeriale della difesa dell’Alleanza Atlantica che a sorpresa ha visto la presenza di Zelensky