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    L’eurodeputato condannato in Albania arriva a Strasburgo. Giallo sull’immunità parlamentare

    dall’inviato a Strasburgo – La partita tra Grecia e Albania si sposta a Strasburgo, nell’Aula del Parlamento Europeo. Alla sessione inaugurale del 16-19 luglio ci sarà anche Fredi Beleri, sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë condannato a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023, ma risultato il terzo candidato più votato in Grecia alle elezioni europee del 9 giugno tra le fila del partito al potere Nuova Democrazia. La giustizia albanese gli ha concesso di partecipare ai lavori dell’istituzione Ue di questa settimana, ma richiedendo il suo ritorno in carcere per scontare il resto della pena in Albania subito dopo la fine della sessione plenaria.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis (credits: Adnan Beci / Afp)Secondo quanto riportano i media greci, Beleri ha lasciato questa mattina (15 luglio) il carcere in Albania grazie a un permesso di cinque giorni, viaggiando per Tirana prima di volare ad Atene e di lì a Strasburgo. Potrà così partecipare alla votazione per l’elezione della presidenza del Parlamento Ue e delle cariche di vertice domani (16 luglio) e per quella sulla conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Europea giovedì (18 luglio), ma dovrà rimanere in contatto costante con la polizia albanese prima di tornare in carcere già questo fine settimana. “Il rispetto del diritto di voto e di essere eletti è un elemento chiave di qualsiasi Stato di diritto“, ha commentato il vicepresidente (greco) della Commissione Ue responsabile per lo Stile di vita europeo, Margaritis Schinas.Secondo quanto previsto dal regolamento interno del Parlamento Europeo, i suoi membri godono dell’immunità dai procedimenti giudiziari, anche se le accuse riguardano reati commessi prima della loro elezione. Tuttavia il ‘Protocollo 7’ fa esplicito riferimento all’applicazione dell’immunità sul territorio dei Paesi membri dell’Unione e, nel caso di Beleri, non ci sono appigli nonostante l’elezione a eurodeputato, in quanto sta scontando la pena per un reato commesso in Albania, Paese extra-Ue. Il verdetto della Corte d’appello speciale albanese dello scorso 25 giugno ha confermato la condanna di primo grado di marzo e ha tolto a Beleri la carica di sindaco di Himarë (il 4 agosto si terranno nuove elezioni nel paese). Dopo che sarà entrato ufficialmente in carica domani, il neo-eurodeputato molto probabilmente presenterà ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei prossimi mesi.Il caso Beleri tra Grecia e AlbaniaIl caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo di Kyriakos Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisCon l’elezione al Parlamento Europeo di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento.

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    In Georgia continuano da giorni le proteste organizzate e spontanee contro la legge sugli agenti stranieri

    Bruxelles – È infuocata la strada che porterà al voto del Parlamento della Georgia sul controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, come ultimo atto del partito al potere Sogno Georgiano prima del ritorno alle urne il 26 ottobre. Da quattro giorni si stanno svolgendo ininterrottamente enormi proteste nella capitale Tbilisi – più precisamente su viale Rustaveli, su cui si affaccia la sede del Parlamento – animate da decine di migliaia di manifestanti che si oppongono a una legge molto simile a quella in vigore nella vicina e temuta Russia. E da Bruxelles tutte le istituzioni Ue si sono schierate nuovamente dalla parte dei cittadini georgiani e delle loro aspirazioni di fare ingresso un giorno nell’Unione, esattamente come successo un anno fa.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 17 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)Dopo il primo ritorno nelle piazze all’inizio della scorsa settimana, la protesta si è allargata a oltre diecimila manifestanti lunedì (15 aprile) per diventare la più grande di sempre in Georgia solo due giorni più tardi, quando i deputati georgiani hanno adottato in prima lettura il progetto di legge leggermente emendato rispetto a quello proposto – e poi ritirato a causa delle manifestazioni popolari oceaniche – nel marzo del 2023. Secondo il controverso progetto di legge tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovranno registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ e non più come ‘agente di influenza straniera’ (così è in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Per i gruppi pro-democrazia di opposizione nel Paese la sostanza non cambia rispetto a un anno fa e per questo, in corrispondenza dell’appuntamento in Parlamento di questa settimana, hanno deciso di convocare la popolazione in piazza. Dopo tre giorni di proteste organizzate, ieri sera (18 aprile) migliaia di cittadini georgiani sono tornati spontaneamente in viale Rustaveli per dimostrare quanto sia sentita la questione del percorso verso l’adesione all’Unione Europea e nonostante episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine.“Siamo preoccupati per le notizie che riportano l’uso della forza da parte della polizia antisommossa per disperdere i manifestanti che dimostrano contro il controverso progetto di legge“, è la denuncia comune dei principali eurodeputati competenti sulla Georgia (il presidente della commissione Affari esteri, David McAllister, la presidente della delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, Marina Kaljurand, e il relatore permanente per la Georgia, Sven Mikser). I tre membri del Parlamento Ue hanno messo in chiaro che “il diritto alle proteste pacifiche è un diritto fondamentale e deve essere rigorosamente rispettato, soprattutto in un Paese che aspira all’adesione all’Ue”. Proprio a questo proposito la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ viene definita “un attacco ai media indipendenti e alle organizzazioni della società civile”, che non solo “è incompatibile con i valori e i principi democratici dell’Ue” ma mette anche “a rischio l’integrazione euro-atlantica del Paese”. Lo stesso era stato evidenziato pochi giorni fa con un duro monito anche dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Porterà la Georgia più lontana dall’Ue e non più vicina”.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 9 aprile 2024 (credits: Vano Shlamov / Afp)Parole simili sono state utilizzate dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, in una nota congiunta: “Si tratta di uno sviluppo molto preoccupante e l’adozione definitiva avrebbe un impatto negativo sui progressi della Georgia nel suo percorso verso l’Ue“. Questa legge “non è in linea con le norme e i valori fondamentali” dell’Unione a cui Tbilisi aspira a fare ingresso, in particolare dopo aver ricevuto lo status di Paese candidato all’adesione Ue il 14 dicembre dello scorso anno dal Consiglio Europeo (condizionato anche dai progressi sulle raccomandazioni della Commissione Ue sulla libertà della società civile e sulla lotta alla disinformazione). In vista del voto definitivo in Parlamento previsto per il 17 maggio, le istituzioni Ue continuano a esortare il partito al governo ad “astenersi dall’adottare” una legislazione che minerebbe le basi del percorso di avvicinamento Ue “sostenuto dalla stragrande maggioranza dei cittadini georgiani”. In altre parole rischierebbe di portare a uno stop del processo di adesione all’Unione Europea per il Paese.Il complesso rapporto tra Ue e GeorgiaLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Non solo è evidente la difficoltà a implementare le riforme richieste dal cammino di avvicinamento all’Unione, ma nel corso degli ultimi due anni si sono registrati episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano – il cui fondatore è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Ue che chiede sanzioni personali nei suoi confronti. Per esempio, nel maggio dello scorso anno sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica per una serie di viaggi nell’Unione Europea che che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Prima dello scoppio delle dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che almeno fino a oggi hanno portato all’accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    Strasburgo alza la voce sul rischio di “imminente carestia” a Gaza: Israele deve garantire l’accesso degli aiuti da tutti i varchi

    Bruxelles – Un cessate il fuoco “immediato e permanente” e l’accesso umanitario “rapido, sicuro e senza ostacoli di aiuti in tutta Gaza attraverso tutti i varchi esistenti“. Sono le richieste per Israele da parte di un Parlamento europeo “profondamente preoccupato per la catastrofica situazione umanitaria a Gaza”. E per il rischio di “un’imminente carestia”.In una risoluzione non vincolante approvata con 327 voti favorevoli, 44 contrari e 120 astensioni, l’emiciclo di Strasburgo fa sentire la sua voce in difesa della popolazione palestinese di Gaza. Il testo è stato appoggiato da tutti i gruppi politici – con qualche isolata defezione -, fatta eccezione per l’estrema destra di Conservatori e Riformisti (Ecr) e Identità e Democrazia (Id). Le delegazioni italiane appartenenti ai due gruppi, Fratelli d’Italia e Lega, hanno scelto di astenersi.

    Palestinian children collect food at a donation point provided by a charity group in the southern Gaza Strip city of Rafah, on December 6, 2023, (Photo by MOHAMMED ABED / AFP)Dopo le durissime parole dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha accusato Israele di “usare la fame come un’arma di guerra”, affamando cioè deliberatamente la popolazione civile di Gaza per raggiungere i propri scopi militari, da Strasburgo un altro chiaro messaggio a Tel Aviv. Un messaggio che – per evitare ogni possibile fraintendimento – parte ancora dalla condanna dello “spregevole attacco del 7 ottobre” e dal “diritto di Israele all’autodifesa nei limiti del diritto internazionale”.Ma la risposta militare “sproporzionata” delle autorità israeliane ha già provocato oltre 30 mila morti e 70 mila feriti a Gaza. E oggi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quasi il 16 per cento dei bambini di Gaza soffre di malnutrizione acuta. Prendendo in prestito le parole di Borrell, non è la conseguenza di “un disastro naturale, un terremoto o un’alluvione”, ma è una situazione provocata artificialmente”.Il palco non regge più: l’Eurocamera “condanna fermamente l’ostruzione degli aiuti umanitari e gli attacchi contro i convogli umanitari”, con un riferimento particolare al 29 febbraio 2024, “quando le truppe israeliane hanno aperto il fuoco durante le consegne di aiuti umanitari” uccidendo oltre 100 palestinesi e ferendone 700. Anche ieri (13 marzo) il Commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha denunciato l’attacco da parte delle forze di difesa israeliane a un centro di distribuzione del cibo nella parte orientale di Rafah, che ha ucciso un membro dello staff dell’Agenza Onu e ferito altre 22 persone. “Ogni giorno condividiamo con le parti in conflitto le coordinate di tutte le nostre strutture nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha ricevuto ieri le coordinate di questa struttura”, ha dichiarato Lazzarini. In questo contesto, l’Eurocamera “condanna l’uccisione di 161 operatori umanitari delle Nazioni Unite, 340 operatori sanitari e 7 operatori umanitari” dall’inizio del conflitto.

    Il Parlamento accoglie con favore l’apertura del corridoio marittimo cipriota per Gaza, ma sottolinea che “la distribuzione via terra deve essere la priorità”. Israele deve garantire l’apertura dei varchi di Rafah, Kerem Shalom, Karmi ed Erez.Anche qui, l’appello dell’Eurocamera arriva in contemporanea con quello degli attori coinvolti nell’operazione Amalthea, il corridoio via mare da Cipro: nella riunione ministeriale tenutasi ieri sera, Cipro, la Commissione europea, gli Emirati Arabi Uniti, il Regno Unito, il Qatar e gli Stati Uniti hanno ribadito che “non esiste un sostituto significativo alle rotte terrestri attraverso l’Egitto e la Giordania e ai punti di ingresso da Israele a Gaza per la consegna degli aiuti su larga scala”. E sottolineato di conseguenza la necessità che Israele “apra altri varchi per consentire a un maggior numero di aiuti di raggiungere Gaza, anche nel nord, e che allenti le restrizioni doganali per facilitare un maggior flusso di assistenza umanitaria”. La stessa Ursula von der Leyen, a margine dell’incontro, ha insistito perché a Gaza entrino “un minimo di 500 camion al giorno o l’equivalente”.Nella risoluzione approvata dall’Eurocamera viene menzionato anche “il ruolo indispensabile dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (Unrwa) nella regione”. E passa un emendamento che ricorda l’urgenza di mettere in discussione il rispetto delle clausole sui diritti umani dell’accordo di associazione Ue-Israele, come richiesto in una lettera congiunta a Ursula von der Leyen dai primi ministri di Spagna e Irlanda. Perché l’Unione europea ha a disposizione strumenti diplomatici più efficaci di una risoluzione non vincolante dell’Eurocamera per fermare la carneficina a Gaza.

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    Litio, rame, idrogeno e tanto commercio: l’Europarlamento approva il nuovo accordo Ue-Cile

    Bruxelles – Migliore accesso alle materie prime e all’energia verde, più cooperazione in materia di affari esteri, rafforzamento del commercio bilaterale. L’Aula del Parlamento europeo dice ‘sì’ all’accordo quadro avanzato Ue-Cile e il suo accordo complementare sulla liberalizzazione del commercio e degli investimenti. A grande maggioranza (358 voti a favore, 147 contrari e 45 astensioni) gli europarlamentari chiedono agli Stati membri di procedere alla definizione delle nuove relazioni con il Paese del sud America. Spetterà al Consiglio dell’Ue dare via libera alla parte commerciale dell’accordo, e i 27 Parlamenti nazionali dovranno poi ratificarlo.Per quanto riguarda il commercio circa il 99,9 per cento delle esportazioni dell’Ue sarà esente da dazi ad eccezione dello zucchero, mentre i prodotti agricoli più sensibili sono esentati dalla piena liberalizzazione. Tra questi prodotti ‘sensibili’ figurano carne, alcuni tipi di frutta e verdura e olio d’oliva.Il voto dell’Aula dà seguito all’azione della Commissione europea, che con il governo di Santiago ha trovato l’intesa preliminare più di un anno fa, a dicembre 2022. L’accordo Ue-Cile, una volta in vigore, dovrebbe garantire un migliore accesso alle materie prime utili per la transizione verde e la realizzazione degli obiettivi del Green Deal, quali litio (utile in particolare per le batterie della auto elettriche), rame (necessario per auto elettriche e turbine eoliche), carburante pulito e  idrogeno.“Il nuovo accordo quadro UE-Cile è di fondamentale importanza geopolitica“, sottolinea Maria Soraya Rodriguez Ramos (Renew), relatrice della dossier in commissione Affari esteri. Con un’Unione europea povera di quelle materie prime necessarie per la doppia transizione e la necessità di affrancarsi dalle forte dipendenza cinese, che comunque l’Ue non potrà ridurre a zero, l’accesso a litio e rame cileni acquista una valenza strategica.Non solo. Messo in soffitta l’accordo commerciale con il Mercosur i Paesi del blocco (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso) per la forte protesta del mondo agricolo a dodici stelle, quello con il Cile, Paese associato al Mercosur, “sarà l’unico accordo commerciale con l’America Latina approvato durante questo mandato“, ricorda ancora Rodriguez Ramos. Questo accordo, dunque, testimonia “l’impegno politico dell’Ue a rafforzare la nostra cooperazione regionale e a rafforzare i nostri legami con un partner fondamentale latinoamericano”.

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    Il governo serbo chiude le porte alle indagini richieste dal Parlamento Ue sui possibili brogli elettorali

    Bruxelles – Il governo della Serbia strappa con le istituzioni dell’Unione Europea, chiudendo completamente la porta alle indagini indipendenti sui possibili brogli alle elezioni del 17 dicembre 2023. “Non permetterò mai un’indagine internazionale, perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale“, ha messo in chiaro senza mezzi termini la prima ministra serba in carica, Ana Brnabić, nel corso di un’intervista all’emittente serba Prva televizija: “Sospenderebbe il Parlamento, le istituzioni, la democrazia e finirebbe per portare gli stranieri al potere”.

    Cartelloni delle opposizioni alla prima seduta dell’Assemblea Nazionale della Serbia il 6 febbraio 2024 contro il presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, definito ‘capo-mafia’ (credits: Andrej Isakovic / Afp)Parole durissime, arrivate a poco più di due settimane dalla risoluzione del Parlamento Europeo votata a larghissima maggioranza, in cui non sono solo state sollevate enormi preoccupazioni sullo Stato di diritto in Serbia, ma che ha anche chiesto azioni pesanti alla Commissione nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali. “Non è stato rubato nemmeno un voto”, ha risposto secca la premier Brnabić, che ha attaccato gli eurodeputati e le opposizioni nel Paese: “A quanto pare ora si rivolgono alla Commissione Europea per fantasticare su come dovrebbe essere l’indagine, non solo vogliono solo cancellare la nostra sovranità, ma anche sospendere le istituzioni e il diritto nazionale”. Con un contrattacco sulla richiesta di aprire le banche dati per controllare la registrazione regolare degli aventi diritto al voto: “Come si può fare opposizione facendo sì che gli stranieri chiedano controlli come il conteggio di quante persone vivono in un appartamento o in una casa?“.La risoluzione congiunta del Parlamento Europeo aveva esortato la Commissione Ue a “lanciare un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia per valutare la situazione” relativa alle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso e agli sviluppi post-elettorali, facendo attenzione soprattutto alla “sistematicità dei brogli che hanno compromesso l’integrità” della tornata elettorale e alle interferenze del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, a sostegno del suo Partito Progressista Serbo (Sns). Per questo motivo la missione Ue dovrebbe essere accompagnata da “un’indagine internazionale indipendente” sulle “irregolarità delle elezioni parlamentari, provinciali e comunali”, in particolare per l’Assemblea di Belgrado. Nel caso in cui le autorità serbe non attueranno le raccomandazioni elettorali “o se i risultati di questa indagine indicano che sono direttamente coinvolte nei brogli elettorali”, lo stesso esecutivo comunitario dovrebbe considerare una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipate

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’opposizione russa è sotto torchio in vista delle elezioni del 2024. Ma il Parlamento Ue prova a darle voce

    Bruxelles – C’è una frase che riassume efficacemente il complesso ruolo costruttivo che l’Unione Europea può svolgere nel Paese che da due anni è preso di mira per la guerra di aggressione all’Ucraina: “Il momento migliore per supportare la democrazia in Russia era 20 anni fa, il secondo è ora“. A pronunciare queste parole è la presidente dell’organizzazione non governativa Free Russia Foundation, Natalia Arno, che al Parlamento Europeo ha messo in chiaro la necessità di un sostegno da parte di Bruxelles all’altra faccia della guerra russa in Ucraina: la società civile russa zittita e perseguitata con ancora più intransigenza dal regime di Vladimir Putin.

    L’eurodeputato Tomas Tobé (Ppe)Un confronto tra eurodeputati ed esponenti dell’opposizione russa andato in scena oggi (14 febbraio) all’Eurocamera, per ricordare che “una pace sostenibile in Europa richiede la trasformazione della Russia in una democrazia, e serve una strategia per arrivarci“, ha aperto le discussioni l’eurodeputato del Ppe, Tomas Tobé. L’appuntamento arriva a un mese dalle elezioni presidenziali in Russia, da cui le forze di opposizione democratica sono state completamente escluse (oltre a Putin sono stati autorizzati a correre solo tre candidati comunisti, liberal-nazionalisti e ultra-nazionalisti). “Serve uno scambio regolare con l’opposizione democratica russa e con le persone che si permettono di sfidare il regime autoritario e antidemocratico, anche con grandi rischi personali” – dall’avvelenamento a lunghe pene detentive in colonie di lavoro in Siberia – è l’esortazione dell’eurodeputato francese che ha presieduto la conferenza di oggi.

    La presidente di Free Russia Foundation, Natalia Arno“Putin è arrivato al potere con le bombe sulla Cecenia e un quarto di secolo dopo continua a governare bombardando un Paese sovrano e scatenando la più grande guerra in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale”, è stato l’esordio all’Eurocamera della presidente di Free Russia Foundation. In patria Putin ha reso “la Russia un regime corrotto e sanguinario, con censura, repressione, propaganda e controllo dei media”, una Russia “basata sulla distruzione dello Stato di dritto, sull’intolleranza e sull’ingiustizia”, dove “nessuna elezione dal 2000 a oggi è stata definita libera ed equa dagli osservatori internazionali”. Invasione dell’Ucraina e repressione interna vanno a braccetto, non solo nell’ottica dell’Unione Europea ma anche dell’opposizione a Putin nel Paese: “Da due anni ha catapultato la Russia da un’autocrazia a una dittatura sanguinaria, rafforzando la legislazione repressiva e colpendo la società civile, le opposizioni politiche, i giornalisti indipendenti e gli avvocati per i diritti umani”.

    La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Federazione Russa, Mariana KatzarovaAnche le elezioni sono tali solo per modo di dire. “Non serve la sfera di cristallo per predire quello che succederà: Putin vincerà queste elezioni, rafforzerà il suo potere nel Paese e le considererà una conferma della sua guerra in Ucraina”, ha sintetizzato Arno, ricordando che il voto sarà svolto anche nei territori occupati illegalmente” in Ucraina. Perché – nonostante non si tratti di elezioni libere e gli oppositori politici vengano eliminati anche fisicamente – Putin “vuole legittimazione” dal popolo, come tutti i dittatori. Parole confermate anche dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Federazione Russa, Mariana Katzarova: “I leader autocratici che vogliono rimanere in carica, prima zittiscono la stampa e i media liberi, rendendoli strumenti di propaganda, poi la società civile e infine attaccano i Paesi vicini, anche i migliori dittatori del Novecento l’hanno fatto”. Il trend di repressione in Russia “va avanti da vent’anni, ma negli ultimi due si è cristallizzata la totale repressione politica e civile”, una dimostrazione che “le elezioni democratiche non possono funzionare in Paesi dove c’è una dittatura“, ha ricordato Katzarova, esortando i Paesi europei a non ostacolare i russi che fuggono dalla guerra e dai regimi di Russia e Bielorussia: “Dobbiamo difendere tutti, anche chi scappa perché non vuole uccidere o farsi uccidere”. All’orizzonte ci deve essere il futuro comune dell’Ue e della Russia che, anche senza Putin, ormai non è più tutto roseo: “Il regime è fragile e vulnerabile, ma quando cadrà sarà solo l’inizio di un duro processo verso la democrazia, perché ogni guerra è stata accompagnata da attacchi alla società civile”, ha avvertito Arno.

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    L’Eurocamera contro la Serbia di Vučić. Stop ai finanziamenti Ue se le autorità coinvolte nei brogli

    Bruxelles – La denuncia del Parlamento Europeo su quanto andato in scena in Serbia il 17 dicembre non poteva essere più dura, considerato il livello di sostegno dell’Aula di Strasburgo. Con 461 a favore, 53 contrari (tutto il gruppo di Id a parte gli italiani della Lega, astenuti) e 43 astenuti (tra cui tutti gli eurodeputati di Fratelli d’Italia, a differenza della maggioranza del gruppo Ecr a favore), la sessione plenaria dell’Eurocamera ha dato il via libera oggi (8 febbraio) alla risoluzione congiunta sulla situazione in Serbia dopo le elezioni di dicembre, in cui non solo vengono sollevate enormi preoccupazioni sullo Stato di diritto nel Paese candidato all’adesione Ue, ma che chiede anche azioni pesanti da parte della Commissione nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, all’urna elettorale il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Una risoluzione condivisa nella sua interezza da tutti i gruppi politici all’Eurocamera (le sei mozioni di risoluzioni a firma Ppe, S&D, Renew Europe, Verdi/Ale, Ecr e Sinistra sono confluite in un unico testo), fatta eccezione per l’estrema destra di Identità e Democrazia, che come nel corso del dibattito di gennaio in sessione plenaria si è schierata contro la denuncia delle irregolarità del voto e ha portato avanti una retorica distorta dei rapporti tra Ue e Serbia (e Russia). Ma sono proprio i numeri all’Eurocamera a mettere in chiaro che per l’istituzione comunitaria è tempo di fare sul serio con Belgrado: “Esortiamo la Commissione Ue a lanciare un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia per valutare la situazione relativa alle recenti elezioni e agli sviluppi post-elettorali“, con l’obiettivo di facilitare il dialogo sociale e di “valutare e affrontare le questioni sistemiche dello Stato di diritto in Serbia, guardando all’esempio dei ‘rapporti Priebe’ [raccomandazioni di un gruppo di esperti incaricato dalla Commissione nel 2015 sulla Macedonia del Nord, ndr]”. Gli eurodeputati ricordano in particolare il fatto che le elezioni parlamentari anticipate di dicembre si sono “discostate dagli standard internazionali”, sia per le interferenze del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, a sostegno del suo Partito Progressista Serbo (Sns), sia per la “sistematicità dei brogli che hanno compromesso l’integrità” della tornata elettorale. Per questo motivo la missione Ue dovrebbe essere accompagnata da “un’indagine internazionale indipendente” sulle “irregolarità delle elezioni parlamentari, provinciali e comunali”, con particolare attenzione a quelle per l’Assemblea di Belgrado.Nonostante i ripetuti appelli da parte della comunità internazionale, non è arrivata alcuna “risposta istituzionale alle gravi accuse di coinvolgimento in manipolazioni e abusi elettorali, che contribuisce a creare un’atmosfera di impunità e garantisce la continuazione di queste pratiche” e – avvertono gli eurodeputati – “se si lascia che persista senza alcuna ripercussione, questa pratica continuerà a minare la fiducia nel processo elettorale e nelle istituzioni serbe, ostacolando irrimediabilmente il regime democratico e l’ulteriore integrazione europea”. Di fronte a un quadro allarmante sul piano del deterioramento degli standard di rispetto dello Stato di diritto per un Paese candidato da 12 anni all’adesione Ue, il Parlamento Ue non risparmia un affondo anche all’esecutivo comunitario per la “mancanza di critiche esplicite”, in particolare da parte del più controverso membro del Collegio dei commissari, l’ungherese Olivér Várhelyi responsabile proprio per l’Allargamento.

    Cartelloni delle opposizioni alla prima seduta dell’Assemblea Nazionale della Serbia il 6 febbraio 2024 contro il presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, definito ‘capo-mafia’ (credits: Andrej Isakovic / Afp)Ma proprio la Commissione è chiamata a prendere le azioni più dure se Belgrado non attuerà le raccomandazioni elettorali “o se i risultati di questa indagine indicano che le autorità serbe sono direttamente coinvolte nei brogli elettorali”. Vale a dire una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”, si legge nella risoluzione. Senza dimenticare le accuse dello stesso presidente serbo all’indirizzo di Stati membri Ue e media europei, secondo cui “sarebbero stati coinvolti nell’organizzazione delle proteste post-elettorali”. A questo proposito tutte le istituzioni Ue sono allineate nella denuncia alle allusioni di Vučić di “una guerra speciale” condotta dalla stampa occidentale: “Se osserva ciò che viene fatto con il sostegno della sua amministrazione per quanto riguarda la qualità del giornalismo”, a Belgrado permette “allo strumento della propaganda e della menzogna russa di mettere piede sul suolo serbo”, ha attaccato in un punto con la stampa il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano. Il riferimento è a Russia Today Balkan (dal luglio 2022 operativa in Serbia), “un’emittente bandita dall’Unione Europea per le sue attività sovversive in relazione alla guerra illegale contro l’Ucraina”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateNonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’estrema destra europea ha una visione distorta dei rapporti tra Unione Europea e Serbia (e Russia)

    Bruxelles – Viktor Orbán non è solo. Il più stretto alleato della Serbia di Aleksandar Vučić, il primo ministro che sta creando più problemi per l’unità dei Ventisette – e lo stesso che sta mettendo i bastoni fra le ruote di Bruxelles all’introduzione di misure contro Belgrado per il non rispetto degli impegni assunti per la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo – sta trovando buona compagnia nello schieramento di estrema destra al Parlamento Europeo. Destabilizzazione, ingerenze, tentativi di ricreare “una nuova Maidan”. Sono le accuse lanciate da alcuni esponenti del gruppo Identità e Democrazia (Id) all’indirizzo non della Russia o della Cina, ma contro l’Unione Europea, dopo il risultato quantomeno controverso delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso in Serbia.(credits: Andrej Isakovic / Afp)Le insinuazioni avanzate in particolare da due eurodeputati francesi di Rassemblement National sono state senza dubbio la nota più frizzante del dibattito di questa settimana alla sessione plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo a proposito della situazione in Serbia dopo le elezioni di dicembre (il voto sulla risoluzione è previsto per alla sessione di febbraio). Tutti i gruppi politici, compreso quello dei Conservatori e Riformisti Europei, si sono ritrovati d’accordo sul fatto che si sono registrate “gravi irregolarità e compravendita di voti” – come affermato dal croato Ladislav Ilčić (Ecr), anche se animato da ragioni puramente nazionalistiche – e che “i cittadini serbi meritano riforme europee e risultati concreti” (Vladimír Bilčík, Ppe), con critiche poco velate a Commissione e Consiglio sulla “reazione molto morbida” per la necessità di “pragmatismo a sostegno della stabilocrazia nel Paese, che però non porta ai risultati previsti” (Klemen Grošelj, Renew Europe). Tutti eccetto gli eurodeputati francesi intervenuti nell’emiciclo di Strasburgo a nome del gruppo Id, che hanno espresso il proprio dissenso con parole più controverse del previsto.“L’ideologia motiva questo dibattito, qual è il vostro problema? La vittoria di Vučić e la sconfitta dei vostri alleati politici di opposizione? È per questo che l’Ue cerca di destabilizzare la Serbia?“, ha attaccato il francese Jean-Lin Lacapelle (Id), accusando le istituzioni comunitarie di “ingerenze nella politica serba, perché ogni Paese è sovrano e indipendente, fino a quando le sue scelte democratiche non vi piacciono”. Ancora più esplicito il connazionale Thierry Mariani: “Sono preoccupato perché questa regione ha bisogno di riappacificazione, mentre questo dibattito farà sì che l’opposizione continui a smuovere le acque”. Fino alla chiusura più sibillina: “Vorrei capire qual è la ragione dietro questa discussione, stimolare una seconda Maidan?” Il riferimento è a uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra la Russia e l’Ucraina nel 2013, e che per Kiev e Bruxelles è considerato il primo momento di espressione della volontà popolare di seguire la prospettiva europea per il Paese oggi invaso dall’esercito russo.Le parole dei due eurodeputati di estrema destra – e in particolare il riferimento alla “seconda Maidan” con accezione negativa – evidenziano non solo la visione distorta dei rapporti tra Ue e Serbia secondo una parte specifica dello spettro politico europeo, ma anche una strizzata d’occhio alla Russia di Vladimir Putin che non è mai stata rinnegata (ma diventata solo meno esplicita dopo lo scoppio della guerra in Ucraina). Parlare di “destabilizzazione” del sistema di potere del presidente Vučić da parte delle istituzioni comunitarie è fuorviante per due ragioni. In primis perché non fattuale: la Serbia è un Paese candidato dall’adesione all’Unione Europea, i cui impegni sanciti dai Trattati Ue (compreso il rispetto dei principi dello Stato di diritto messo in discussione dallo svolgimento delle ultime elezioni) sono stati sottoscritti volontariamente da Belgrado. In secondo luogo perché – ammesso e non concesso che a Bruxelles ci sia un disegno di pressioni illecite contro la Serbia – i meccanismi democratici dell’Unione consentono al premier Orbán di opporsi in sede di Consiglio all’introduzione delle misure “temporanee e reversibili” in discussione da mesi a Bruxelles (le stesse che invece sono in atto nei confronti del Kosovo) nonostante il via libera di tutti gli altri Paesi membri.Ancora più preoccupante è la visione dei rapporti alla luce del ruolo della Russia nella regione. In particolare va considerato il fatto che la Serbia di Vučić è l’unico partner dell’Unione che rivendica il non-allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina (nemmeno a livello di principio) e che fino a oggi non ha mai voluto allontanarsi eccessivamente dal legame con il Cremlino. Al contrario, nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro, nel maggio 2022 Vučić ha siglato un’intesa con Putin per tre anni di gas russo a condizioni favorevoli. Per il Cremlino la Serbia è una sorta di testa di ponte nei Balcani Occidentali, tanto che Bruxelles continua a sollevare preoccupazioni sulla possibile destabilizzazione russa della regione dopo l’attacco armato all’Ucraina. A proposito di Ucraina, getta una luce inquietante il parallelismo fatto dai due eurodeputati di Rassemblement National tra il supporto di Bruxelles alle “legittime manifestazioni di piazza” a Belgrado (come le ha definite il commissario per la Giustizia, Didier Reynders) e a quelle del 2013 di Euromaidan. La critica nemmeno troppo velata di sostenere le richieste dei manifestanti – serbi oggi come ucraini allora – di maggiore trasparenza elettorale e contro le violazioni dello Stato di diritto è una potenziale cassa di risonanza della propaganda del Cremlino secondo cui le proteste popolari europeiste sono frutto di manipolazione delle potenze occidentali e richiedono un intervento più o meno diretto della Russia.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateDa sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Andrej Isakovic / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews