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    La controffensiva ucraina “avanza lentamente, ma avanza” con il supporto Nato. Stoltenberg: “Mai detto fosse facile”

    Bruxelles – Non c’è bisogno di allarmarsi, era uno scenario preventivato. Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, ha presentato così lo stato della controffensiva ucraina per riconquistare i territori ancora in mano dell’esercito russo dopo l’invasione del 24 febbraio 2022. L’Alleanza Atlantica è stata ed è tuttora decisiva per le operazioni militari di Kiev e per questo motivo gli eurodeputati della commissione per gli Affari esteri (Afet) hanno richiesto un’audizione al segretario Stoltenberg per ricevere un aggiornamento sullo stato delle operazioni sul campo di battaglia e sul sostegno portato avanti dalla maggior parte dei Paesi membri Ue.
    Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, in audizione al Parlamento Europeo (7 settembre 2023)
    “Gli ucraini stanno gradualmente guadagnando terreno“, ha messo in chiaro Stoltenberg questa mattina (7 settembre), precisando che la controffensiva dell’esercito di Kiev “avanza lentamente, ma avanza”. Si tratta di “un combattimento pesante ed estremamente difficile, ma ha permesso di rompere le linee difensive delle forze russe“. Perché se “nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile, sapevamo che erano state predisposte linee di difesa dall’esercito russo”, in pochi si aspettavano di trovare “un dispiegamento di mine come in Ucraina, poche altre volte nella storia l’abbiamo mai visto”. È questo che ha reso l’avanzata “meno rapida di come vorremmo”, ma rimane il fatto che “quando avanzano gli ucraini, i russi perdono terreno, centinaia di metri al giorno“. E poi c’è un fattore psicologico da tenere in considerazione: “All’inizio l’esercito russo si riteneva il secondo più forte al mondo [dopo gli Stati Uniti, ndr], ora è chiaro che è secondo, ma a quello ucraino”. Perché Kiev – invece di “cadere in qualche settimana, come dicevano gli esperti” – è riuscita a “respingere prima l’invasore dalla capitale, poi a nord-est e conquistando territori a sud, e ora ne sta liberando altri”, ha voluto ricordare il segretario generale della Nato.
    Da sinistra: il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky
    Tutto questo “dimostra l’importanza del nostro sostegno e della nostra volontà di continuare a fornire supporto militare” a Kiev, a prescindere dalla situazione contingente del momento: “Non si sa come sarà il destino di una guerra dopo una settimana o un anno, bisogna accettare che anche l’Ucraina possa avere momenti difficili”. Finora il supporto militare dell’Alleanza Atlantica è stato “senza precedenti”, con la fornitura di artiglieria, munizioni, missili a lunga gittata, sistemi avanzati di difesa aerea e addestramento di soldati ucraini: “Vorrei anche rendere omaggio a Paesi Bassi, Danimarca e Norvegia per aver annunciato di essere pronti a consegnare F-16 a Kiev“, è stato il ringraziamento di Stoltenberg. Ora però “la priorità numero uno è fare in modo che i sistemi consegnati funzionino davvero e vengano assicurate munizioni“, ha precisato il segretario generale della Nato, avvertendo che “il dibattito pubblico è troppo focalizzato sulla consegna di nuovi sistemi, invece che sulla manutenzione necessaria”.
    La possibile adesione dell’Ucraina alla Nato
    Nel corso del dibattito con gli eurodeputati Stoltenberg ha anche fatto il punto sulla possibile adesione dell’Ucraina alla Nato, dopo quanto accaduto al vertice di Vilnius di metà luglio con l’impegno concreto attraverso una dichiarazione del G7: “Non è mai stata così vicina e questo riflette la realtà politica secondo cui le nazioni sono sovrane”. Come sempre sostenuto dagli alleati, Kiev “ha il diritto di decidere la propria strada” e spetta a solo queste due parti “decidere se e quando diventerà membro dell’Alleanza”. Al contrario, “la Russia non può porre il veto all’adesione di nessuno Stato sovrano e indipendente“.
    A questo proposito Stoltenberg ha ricordato quanto accaduto nei mesi precedenti all’invasione dell’Ucraina. “Nell’autunno del 2021 Vladimir Putin voleva la promessa per cui la Nato non si sarebbe mai più ampliata, ci ha inviato una proposta di trattato che abbiamo deciso di non firmare”, dal momento in cui “quello costituiva il suo presupposto per non invadere l’Ucraina”. Il segretario generale dell’Alleanza ha spiegato così quello che considera un ricatto dell’autocrate russo: “Voleva che firmassimo anche una promessa per rimuovere le infrastrutture militari in tutti i Paesi Nato che hanno aderito dopo il 1997, cioè la metà dei membri attuali”. L’Alleanza – di cui la Russia non fa parte e in cui non ha diritto di interferenza – avrebbe dovuto introdurre “una sorta classificazione con membri di seconda categoria“. Dopo il rifiuto, Putin ha mosso guerra contro Kiev “e ha ottenuto l’esatto opposto” rispetto a quanto chiedeva: “Ha avuto maggiore presenza della Nato sul fronte orientale, la Finlandia ha aderito e la Svezia lo farà a breve“.
    La speranza rimane comunque il ritorno della pace sul continente, perché “la storia dell’Europa ci dimostra che i nemici possono diventare amici, è possibile farlo anche con la Russia“. Tuttavia al momento Putin persevera nel suo errore di “tornare a controllare i Paesi vicini e se qualcuno vuole entrare nella Nato la considera una provocazione”, ha sottolineato ancora Stoltenberg. Ma “non lo è, è un diritto democratico di ciascun Paese”. Contro l’altro errore dell’autocrate russo – “di sottovalutare la forza e il coraggio degli ucraini e anche la nostra volontà e impegno nel supportarli” – secondo il segretario generale della Nato per il momento è necessario “sostenere le spese per la nostra difesa e per l’Ucraina, per assicurare la pace futura”.

    Nel corso di un’audizione al Parlamento Ue, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica ha fatto il punto sull’avanzamento delle truppe di Kiev a sud: “Mai visto un dispiegamento simile di mine. Ma le linee difensive russe sono state rotte e ora stanno gradualmente recuperando terreno”

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    Ucraina, danni ambientali per 52,4 miliardi e difficili da risarcire

    Bruxelles – Laghi, fiumi, boschi, aria, e soprattutto suolo, suolo agricolo. Tra le vittime del conflitto in corso in Ucraina ci sono anche loro, natura e ambiente. Danni quantificati fin qui in oltre 50 miliardi di euro, non tutti riparabili nel giro di poco tempo, e che pongono non pochi problemi, non solo per l’Ucraina. Il Parlamento europeo inizia a fare calcoli e considerazioni fin qui passate in secondo in piano, accendendo i riflettori sugli ‘eco-contraccolpi’ del conflitto, in un documento di lavoro dal titolo inequivocabile: ‘La guerra della Russia in Ucraina: l’alto pegno ambientale’.
    Al 18 luglio 2023 in Ucraina si registrano “2.317 segnalazioni verificate di azioni militari con un effetto ambientale diretto” sulla natura, anche se le denuncia sono di più (2.450). Le stime basate sulle ispezioni ambientali dell’Ucraina mostrano che l’invasione della Russia fin qui “ha causato danni ambientali per circa 52,4 miliardi di euro” tra impatti negativi sull’aria (27 miliardi), per l’acqua (1,5 miliardi), al suolo (0,3 miliardi), e inquinamento da rifiuti (23,6 miliardi).
    Numeri che confermano come e quanto la guerra ancora in corso non abbia prodotto solo morte e distruzione, ma “ha avuto anche un impatto negativo sulla ricca biodiversità dell’Ucraina”. Incendi boschivi e atti di deforestazione, esplosioni, costruzione di fortificazioni e avvelenamento del suolo e dell’acqua “hanno tutti un impatto sulla fauna selvatica e distruggono gli habitat naturali, compresi quelli protetti nelle riserve della biosfera e nei parchi nazionali, molti dei quali fanno anche parte della Rete Smeraldo paneuropea”.
    Ma è soprattutto la questione del suolo a preoccupare a Bruxelles, per le implicazioni sulla produzione agricola. Quanto accaduto finora “ha compromesso” il settore primario ucraino, “vitale per l’economia del Paese e per la sicurezza alimentare globale”, entrambe a rischio perché “la contaminazione causata dalle armi pone un problema a lungo termine”, che si aggiunge alla questione del grano. Bonificare e rendere nuovamente coltivabili e produttivi i campi del Paese “richiede risorse significative, richiede tempi lunghi e comporta rischi”. Ad ogni modo, si precisa, prima che la situazione torni alla normalità “una parte significativa dei seminativi sarebbe inutilizzabile per anni”. Tre i tipi principali di danni per il settore primario ucraino: degrado fisico, inquinamento chimico diffuso da miniere e industrie colpite, e munizioni esplose. Tutte tipologie di danni che “hanno colpito gravemente milioni di ettari di terreni agricoli ucraini”, e il cui rimborso da parte dell’aggressore non è scontato.
    La strada per esigere eventuali riparazioni dei danni ambientali causati dalla guerra in Ucraina “non è priva di sfide”, si riconosce nel documento di lavoro. Innanzitutto perché “raccogliere prove e quantificare i danni è problematico”. E poi perché “mentre potrebbero esserci alcune possibili procedure legali per ottenere un risarcimento per il danno ambientale causato, il processo è complicato e tutt’altro che semplice, con pochissimi precedenti esistenti di tali risarcimenti”.

    Dal Parlamento Ue focus sulle ricadute del conflitto per la natura. Rischi per l’agricoltura. “Raccogliere prove e quantificare i danni è problematico”

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    Turchia, veto dell’Europarlamento: “Processo di adesione non può riprendere”

    Bruxelles – Adesione della Turchia all’Unione europea? No. Dal Parlamento Ue arriva un chiaro stop alle ambizioni comunitarie di Ankara. “Il processo di adesione non può riprendere nelle circostanze attuali“, stabilisce la commissione Affari esteri nel parere adottato a larga maggioranza (49 favorevoli, 10 astenuti, nessun contrario). Un voto che rappresenta una vera e propria bocciatura del modello Erdogan, visto che il veto degli europarlamentari può essere rimosso “a meno che non ci sia un drastico cambio di rotta da parte del governo turco”.
    L’invito, per entrambe le parti impegnate nel non semplice negoziato, è esplorare formule alternative di cooperazione quale “un partenariato più stretto”, o “un quadro parallelo e realistico per le relazioni UE-Turchia”.
    Il voto parlamentare irrompe nell’agenda del consiglio Affari esteri. I Ventisette ministri si ritroveranno a Bruxelles giovedì (20 luglio) per discutere, tra le altre cose, anche delle relazioni con Ankara. Non affiora, per il momento, la possibilità di una ripresa del processo di adesione, avviato nel 2005 ma congelato dal 2018. La linea scelta, fanno sapere a Bruxelles, è “continuare a ricercare progressi nei settori in cui possibile”, perché anche in Consiglio si sposa la tesi avallata oggi dagli eurodeputati: “Date le attuali circostanze i negoziati di adesione di Turchia si sono fermati”.
    L’espressione della commissione Affari esteri dell’europarlamento dunque invita gli Stati membri a non cedere, non cambiare idea, non fare concessioni. “Recentemente abbiamo assistito a un rinnovato interesse da parte del governo turco nel rilanciare il processo di adesione all’Ue, ma ciò non accadrà a seguito di contrattazioni geopolitiche”, scandisce Nacho Sánchez Amor (S&D), relatore del parere approvato, in riferimento al tentativo di Ankara di legare l’adesione della Svezia alla Nato con lo sblocco del processo di adesione all’Ue della Turchia. “Quando le autorità turche mostreranno un reale interesse a fermare il continuo regresso nelle libertà fondamentali e nello stato di diritto” allora l’Ue potrà rivedere le proprie posizioni.

    L’invito in vista della riunione dei ministri degli Esteri. Ragionare a “un partenariato più stretto” o a “un quadro parallelo e realistico per le relazioni UE-Turchia”

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    L’Europarlamento chiede di avviare l’iter di adesione dell’Ucraina alla NATO dopo la fine della guerra

    Bruxelles – Spianare la strada all’ingresso dell’Ucraina nella NATO subito dopo la fine della guerra. E’ quanto chiede l’Europarlamento in una risoluzione non legislativa adottata oggi in plenaria a Strasburgo con 425 voti a favore, 38 contrari e 42 astensioni, precisando che il processo di adesione dovrebbe essere avviato dopo la fine della guerra e “ultimato quanto prima”.

    Solo di recente, al secondo vertice della Comunità politica europea che si è tenuto a inizio mese in Moldavia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è tornato a battere sul punto con gli alleati europei e non. “L’Ucraina è pronta per entrare nella Nato” e alla riunione dei capi di stato e di governo della NATO che si terrà l’11 e 12 luglio a Vilnius “è necessario ci sia un chiaro invito per l’Ucraina ad aderire all’Alleanza proprio come sono necessarie garanzie di sicurezza sul cammino verso l’adesione in futuro. Ed è necessaria una chiara decisione positiva sull’adesione dell’Ucraina alla Ue”, ha detto ai 45 capi di Stato e governo del blocco europeo.
    Nella risoluzione adottata l’Eurocamera ribadisce il proprio sostegno alla decisione del Consiglio europeo, adottata lo scorso anno, di concedere all’Ucraina lo status di candidato all’adesione e incalza anche ad avviare dopo la fine della guerra anche l’iter di adesione all’Alleanza Atlantica di cui fanno oggi parte 31 Paesi.
    Gli eurodeputati riuniti a Strasburgo hanno discusso martedì mattina con la Commissione Ue le conseguenze ambientali e umanitarie dell’esplosione che nelle scorse settimane ha coinvolto la diga idroelettrica di Nova Kakhovka, situata nelle aree occupate dai russi della regione di Kherson, nel sud del Paese, che ha messo a rischio inondazioni i territori costieri di 14 località dove risiedono più di 22.000 persone, tanto da costringere le autorità locali a cominciare l’evacuazione di migliaia di residenti. Gli eurodeputati hanno condannato con fermezza la distruzione, da parte della Russia, della diga, definendola senza mezzi termini un “crimine di guerra” e chiedendo inoltre un pacchetto finanziario di misure per la ripresa dell’Ucraina, che sia incentrato sul “soccorso, la ricostruzione e la ripresa del Paese nell’immediato e a medio e lungo termine”.

    L’Aula di Strasburgo incalza con una risoluzione non legislativa adottata con 425 voti a favore, 38 contrari e 42 astensioni ad avviare il processo di adesione di Kiev alla NATO subito dopo la fine della guerra

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    Per la prima volta nella storia una leader del Kosovo è intervenuta alla sessione plenaria del Parlamento Europeo

    Bruxelles – Un lungo discorso appassionato, che ha toccato molti punti di contatto tra l’Unione Europea e il Paese balcanico che più sostiene l’adesione all’Ue, nonostante le recenti tensioni che mettono Pristina di fronte al rischio concreto di sanzioni internazionali. La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, è intervenuta alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, la prima leader nella storia del giovane Stato europeo a rivolgersi agli eurodeputati nell’emiciclo a Strasburgo. “Oggi il Kosovo è libero, è indipendente, è un faro di democrazia“, ha aperto il suo discorso Osmani, prendendo parola dopo l’incoraggiamento da parte della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola: “Conosco i suoi sforzi per la de-escalation e la stabilità nella regione”.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (14 giugno 2023)
    Un intervento iniziato con il ricordo del Premio Sakharov 1998 consegnato dal Parlamento Ue al primo presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova (prima che il Paese dichiarasse l’indipendenza nel 2008): “Voglio ringraziarvi dell’incommensurabile e continuo contributo che questa istituzione ha dato alla nostra libertà, democrazia e indipendenza”, ha affermato Osmani, chiedendo agli eurodeputati di “rimanere saldamente al fianco” del Paese più favorevole all’Ue, con “oltre il 90 per cento della nostra popolazione esprime il desiderio intransigente di entrare a far parte di queste istituzioni“. Esattamente sei mesi fa Pristina ha fatto richiesta di diventare Paese candidato e “il nostro avanzamento verso l’adesione fungerebbe da catalizzatore per la pace e la riconciliazione in una regione in cui le forze maligne hanno storicamente e continuano a seminare divisioni”. Così come dimostrato dall’ingresso di Slovenia e Croazia nell’Ue, o da Albania, Macedonia del Nord e Montenegro nella Nato, “l’integrazione della nostra regione non è solo di primaria importanza, ma ha anche un significato strategico“. Per la presidente Osmani, “è tempo di decisioni coraggiose, non di passi a metà, il Kosovo e i Paesi democratici dei Balcani Occidentali meritano di meglio”. D’altra parte “non ci allontaneremo mai dal nostro percorso euro-atlantico”, è la promessa della leader kosovara.
    A proposito di integrazione europea, la numero uno del Kosovo si è voluta soffermare sul fatto che il Parlamento Europeo “ha lottato insieme a noi per la causa della liberalizzazione dei visti“, fino al voto decisivo dello scorso 18 aprile: “Ha dato ai giovani brillanti e ambiziosi del mio Paese la possibilità di prosperare proprio come i loro coetanei in tutta l’Unione”. Come ricordato dalla presidente dell’Eurocamera Metsola, “è stato un percorso irto di ostacoli, ma insieme possiamo essere orgogliosi che dal primo gennaio 2024 ci sarà questa libertà di movimento”. E poi, proprio come i Ventisette, il Kosovo è particolarmente vicino all’Ucraina nella sua lotta di resistenza contro l’esercito russo: “Il 24 febbraio 2022 è stato un giorno buio per l’Europa e per noi è stato un ricordo rivissuto, a cui speravamo di non assistere mai più”, ha puntualizzato la presidente Osmani. Ecco perché “siamo stati il primo Paese della nostra regione a imporre sanzioni alla Russia” e sono state portate avanti diverse iniziative a sostegno di Kiev: “Dall’addestramento degli ucraini allo sminamento, dal lavoro per sostenere i sopravvissuti alle violenze sessuali, fino a un programma dedicato per sostenere i giornalisti ucraini per continuare a raccontare la verità”.
    Tornando alla situazione interna del Paese balcanico, Osmani si è soffermata a lungo sui miglioramenti democratici nei 15 anni di indipendenza del Kosovo e soprattutto sulla spinta verso l’uguaglianza di genere. Non solo in termini astratti. Diverse donne kosovare hanno accompagnato la presidente a Strasburgo, tra cui Vasfije Krasniqi Goodman, sopravvissuta e testimone delle violenze sessuali durante la guerra in Kosovo (1998-1999), Fahrije Hoti, vedova di guerra e proprietaria della Kooperativa Krusha – “un’azienda che ha dato il via allo sviluppo economico e all’emancipazione delle donne attraverso il loro impegno attivo nella forza lavoro” – Blerta Basholli, regista che ha trasformato la storia di Hoti in un film che ha vinto premi al Sundance Festival 2021, e Hana Qerimi, co-fondatrice delle start-up Digital School e StarLabs che “stanno facendo del Kosovo un leader nella regione come hub tecnologico”. Esempi concreti di cosa sta diventando il Paese balcanico ancora non riconosciuto da tutti i membri Ue, che dà un significato al “percorso di trasformazione, crescita e crescente prosperità” e allo “Stato di diritto come fondamento di una democrazia funzionante”.
    L’ultimo punto trattato da Osmani è legato a quanto sta accadendo nel nord del Kosovo. “Siamo assolutamente determinati nei nostri sforzi per garantire che tutti gli individui, indipendentemente dalla loro posizione o influenza, siano ritenuti responsabili delle loro azioni“, è il riferimento alle violenze dell’ultimo mese nei comuni di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Ma allo stesso tempo “costruire una società sempre più diversificata rimane il nostro impegno quotidiano” e “in questo spirito di inclusione, invito tutti i serbi che vivono in Kosovo ad avvalersi dei diritti avanzati previsti dalla Costituzione, questa Repubblica è la vostra casa e noi faremo tutto ciò che è in nostro potere per assicurarci che vi sentiate protetti, inclusi, uguali e ascoltati”, ha concluso la presidente kosovara il suo intervento davanti agli eurodeputati.
    La situazione in Kosovo
    È proprio la situazione in corso nel nord del Kosovo a preoccupare particolarmente le istituzioni comunitarie e la comunità internazionale. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 truppe aggiuntive della forza militare internazionale Kfor, sono state ripetute le richieste al primo ministro kosovaro, Albin Kurti, di non aumentare la tensioni nelle regioni di confine con la Serbia e di sospendere le operazioni di polizia, per spingere sulla strada del dialogo e di nuove elezioni amministrative. Tuttavia, per la comunità internazionale queste esortazioni non sembrano aver avuto sufficiente effetto, al punto che proprio oggi (14 giugno) il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, ha confermato esplicitamente alla stampa di Bruxelles che “mentre il lavoro diplomatico continua, l’Ue ha preparato delle proposte di misure con effetto immediato“. L’esortazione è sempre quella di rispettare le “richieste contenute nella lettera” inviata dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che rimane la chiave per ritornare al tavolo del dialogo non solo con la Serbia, ma a questo punto anche con Bruxelles, Washington e Tirana (il premier albanese, Edi Rama, ha annullato una riunione con il governo kosovaro prevista per oggi, nonostante sia il primo sponsor della causa kosovara).
    Tutto è iniziato con lo scoppio dele proteste delle frange violente della minoranza serba nel nord del Kosovo lo scorso 26 maggio, a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica, trasformatesi tre giorni più tardi in violente proteste che hanno coinvolto anche i soldati Kfor (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). A far deflagrare la tensione è stata la decisione del governo di Pristina di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci, nonostante le perplessità internazionali per l’affluenza al voto tendente all’irrisorio alle elezioni dello scorso 23 aprile – attorno al 3 per cento. Secondo il governo Kurti la decisione è stata determinata dagli episodi di ostruzionismo messi in atto dagli esponenti di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić. Dopo una settimana di apparente stallo, le proteste sono scoppiate nuovamente negli ultimi giorni per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra gli organizzatori delle proteste violente di fine maggio.

    Mentre Pristina rischia sanzioni internazionali per le tensioni nel nord, la presidente Vjosa Osmani si è soffermata sul percorso di adesione all’Unione, sul sostegno alla resistenza ucraina, sul rispetto dello Stato di diritto e sulle garanzie di inclusione della minoranza serba nel Paese

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    L’appello della presidente della Georgia alla plenaria del Parlamento Ue: “Status di candidato entro fine 2023”

    Bruxelles – C’è un solo Paese che è sulla strada dell’Unione Europea, ma non ha ancora ottenuto lo status di candidato all’adesione. È la Georgia, uno dei partner più europeisti nelle aspirazioni della popolazione, ma allo stesso tempo più complicato nella gestione dei rapporti con il governo in carica. “Aldilà delle passioni politiche tutti i georgiani condividono la speranza di ritrovare la famiglia europea, è una scelta legittima e che non prevede alternative, perché si basa su valori, storia, lotte e determinazione per il futuro comuni”, è stato il messaggio della presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, dal cuore dell’Unione Europea, intervenendo alla sessione plenaria del Parlamento Europeo nell’emiciclo di Bruxelles. Con un chiaro messaggio per il prossimo futuro: “C’è un’unica strada da percorrere, garantire alla Georgia entro la fine dell’anno lo status di Paese candidato all’adesione Ue“.
    La presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (31 maggio 2023)
    Era da 13 anni che un leader georgiano non interveniva al Parlamento Europeo – l’ultima volta era stato Mikheil Saakashvili il 22 novembre 2010, le cui condizioni di salute in carcere oggi preoccupano gli eurodeputati – e il ritorno non poteva essere più d’impatto. “Sarebbe il riconoscimento delle lotte del nostro popolo, dell’identità e dell’importanza dell’Ue, è una richiesta come membri della stessa famiglia“, ha ricordato Zourabichvili, riconoscendo “le nostre lacune” sulla strada verso l’adesione: “Tanto deve essere ancora fatto, è il compito comune nei prossimi mesi per non perdere una seconda opportunità che il popolo stavolta non ci perdonerebbe“. Anche la numero uno dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha ribadito la necessità di “spingere di più per dare lo status di candidato” alla Georgia, per non rischiare di perdere un popolo fortemente europeista: “Vi sosterremo nel viaggio per diventare parte dell’Ue, ma serve più decisione sulle riforme-chiave“.
    La Georgia ha fatto richiesta di adesione all’Ue il 3 marzo dello scorso anno. Tuttavia, in linea con il parere della Commissione, al vertice dei leader del 23 giugno è stato deciso di garantire non lo status di Paese candidato ma la ‘prospettiva europea” con 12 riforme-chiave sullo Stato di diritto e le libertà fondamentali da implementare prima della concessione dello status. Proprio ai “12 passi richiesti” ha fatto riferimento nel suo intervento la presidente Zourabichvili, che non li considera un vincolo ma “raccomandazioni di essere fedeli alla nostra identità e riconciliarci con essa“. L’obiettivo è quello di “vedere una Georgia libera in un’Europa libera, l’unica strada per farlo è far parte nell’Ue”, è stata l’esortazione della leader georgiana.
    Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    A questo si ricollega la questione delle minacce della Russia, Paese con cui confina a nord. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. “Quando invoco il futuro europeo della Georgia, lo faccio anche per gli abitanti delle regioni di Abkhazia e Tskhinvali [capitale dell’Ossezia del Sud, ndr], non sono in vendita”, ha attaccato Zourabichvili da Bruxelles. La presidente della Georgia ha fatto anche riferimento alla guerra russa in Ucraina e alla politica di espansionismo intrinseca di Mosca: “Le politiche di appeasement non hanno mai funzionato, è la sua natura imperialistica che le fa portare avanti attacchi contro i vicini“, perché “il Paese più grande al mondo non accetta di avere dei confini”.
    La complessa strada della Georgia nell’Ue
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). Tra le ultime notizie che hanno sollevato più preoccupazioni va ricordato il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest). Ma anche la ripresa dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore.
    A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo georgiano ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo per aver fallito l’obiettivo sulla candidatura all’adesione. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia (quello ufficiale dell’Unione Europea).
    Quasi tre mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.

    La leader georgiana Salomé Zourabichvili si è rivolta alle istituzioni comunitarie direttamente dall’emiciclo di Bruxelles: “Tanto deve essere ancora fatto, è il nostro compito comune nei prossimi mesi per non perdere una seconda opportunità che il popolo non ci perdonerebbe”

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    Il Parlamento europeo suona l’allarme sullo stato di diritto in Israele, da Tel Aviv accuse di ingerenze

    Bruxelles – “Deterioramento della democrazia in Israele e conseguenze sui territori occupati”. Nel titolo scelto per il dibattito che si è tenuto ieri sera (14 marzo) all’emiciclo di Strasburgo, c’erano già tutti gli indizi necessari per capire la posizione del Parlamento europeo sulla situazione dello stato di diritto a Tel Aviv e sull’escalation di violenza in atto contro il popolo palestinese.
    Eli Cohen e Antonio Tajani, 14/03/23 [Ph Account Twitter Eli Cohen]Prima di cominciare il dibattito, gli eurodeputati hanno ascoltato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, appositamente in aula per riferire sullo stato dell’arte delle relazioni tra l’Unione e Israele: “Voglio sottolineare che siamo impegnati con entrambe le parti, Israele e Palestina”, ha esordito il capo della diplomazia europea, che solo poche ore prima aveva avuto una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Eli Cohen. “Non era molto contento del dibattito, era preoccupato, mi ha chiesto perché il Parlamento europeo ingerisce nelle questioni interne israeliane“: il racconto di Borrell combacia con la richiesta di “agire per impedire l’intervento europeo nel conflitto israelo-palestinese” fatta dallo stesso Cohen all’omologo italiano, Antonio Tajani, proprio ieri in visita in Israele.
    “L’interesse non implica né l’ingerenza né la volontà di imporre lezioni a nessuno”, ha replicato Borrell. I motivi di preoccupazione sono vari e riguardano la politica estera e l’involuzione dello stato democratico: da un lato l’aumento di estremismo e violenza contro la popolazione palestinese e la continua espansione delle colonie illegali israeliane nei territori occupati, dall’altro la riforma del sistema giudiziario portata avanti dal governo di Benjamin Netanyahu e la possibile reintroduzione delle pena di morte nel Paese.
    Dal Parlamento europeo l’invito a sospendere l’accordo di associazione con Israele
    Brando Benifei, 14/03/23
    Per Pedro Marques, vicepresidente del gruppo dei Socialisti e democratici, la riforma della giustizia proposta da Tel Aviv “non è accettabile e non è accettata neanche in Israele”, viste le “manifestazioni di massa” che imperversano nel Paese. “Un assalto alla democrazia”, “una catastrofe”, “un attentato”, l’hanno definita a turno Marques, l’eurodeputata dei Verdi/Ale, Margrete Auken e la socialista Maria Arena. Secondo il capo delegazione del Partito democratico a Bruxelles, Brando Benifei, la riforma fa parte di “un disegno nazionalista e autoritario di un governo che minaccia la democrazia israeliana”. Una riforma che “vuole concentrare il potere nelle mani dell’esecutivo e depotenziare la Corte suprema”, grazie alla quale “il governo potrebbe nominare facilmente i giudici della corte e sarebbe in grado di bloccare le sentenze della corte stessa”.
    Durissimo è stato Manu Pineda, membro della Sinistra europea e presidente della delegazione dell’eurocamera per i rapporti con la Palestina (Dpal): dopo aver ricordato i “183 palestinesi uccisi” e la “distruzione di centinaia di abitazioni” nella Striscia di Gaza solo nell’ultimo anno, Pineda ha incalzato l’alto rappresentante Borrell chiedendo cosa sta facendo l’Ue nei confronti di un “regime coloniale che sancisce l’apartheid ai danni del popolo del Paese che occupa”. La proposta che sorge a più riprese è di sospendere l’accordo di associazione con Israele, firmato nel 2000 e rinnovato nel 2022: per l’Ue l’accordo “si fonda sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali”, ma come sottolinea Maria Arena, “il governo israeliano rompe completamente” quei valori.
    Grace O’Sullivan, 14/02/23
    Margrete Auken, che si è recata più volte in Palestina con la delegazione Dpal, riassume così l’atteggiamento dell’Ue sul conflitto israelo-palestinese: “Se sei neutrale in situazioni ingiuste, hai scelto di essere dalla parte dell’oppressore”. Durante l’ultima missione della delegazione, che risale al mese scorso, l’eurodeputata dei Verdi/Ale Grace O’Sullivan racconta di aver visto “che Israele estrae direttamente carburante fossile dai territori occupati”. Combustibile che viene poi venduto anche in Europa, che nel giugno scorso ha firmato un importante accordo con Tel Aviv per incrementare le forniture di gas dalla regione. “Perché il petrolio e il gas di uno Stato occupante sono più accettabili di quelli di un altro?”, è la domanda di O’Sullivan in riferimento alla determinazione con cui l’Ue ha limitato e bandito gas e petrolio russi.
    “Se un altro Paese avesse fatto quello che fa Israele avremmo già imposto delle sanzioni, e invece dobbiamo scusarci per l’ingerenza” attacca Marc Botenga, della Sinistra europea, che reitera l’invito a sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele. Josep Borrell, alla fine del dibattito, ha rivendicato la dichiarazione firmata dai 27 Paesi membri in cui “ha lanciato un appello ad ambo le parti per agire in maniera responsabile” e ha ribadito che “Israele deve smettere l’espansione delle colonie, illegali secondo il diritto internazionale”.
    Ma sulla possibilità di congelare il partenariato con Tel Aviv, il capo della diplomazia europea ha frenato con decisione: “Gli accordi di partenariato non sono con un governo, ma con uno Stato. Non possono cambiare solo perché in un Paese cambia il governo “, ha chiuso Borrell. Che ora ha un’altra gatta da pelare: Eli Cohen, dopo aver espresso le sue perplessità per il dibattito al Parlamento europeo, in un tweet ha definito “un’ingiustizia morale” il paragone che Borrell avrebbe fatto durante la loro telefonata, in cui metteva sullo stesso piano “gli attacchi terroristici di Hamas, il cui unico scopo è uccidere gli ebrei, e le azioni effettuate dall’IDF per la sicurezza dei cittadini israeliani”.

    Nel dibattito all’emiciclo di Strasburgo, la riforma della giustizia del governo Netanyahu è stata definita a più riprese “una catastrofe” e “un attentato alla democrazia”. Diversi eurodeputati chiedono la sospensione del partenariato con Tel Aviv, ma Borrell chiude. E viene attaccato dal Ministro degli Esteri Eli Cohen

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    Inizia a Londra il primo viaggio continentale di Zelensky. Domani è atteso a Bruxelles da Parlamento e Consiglio Ue

    Bruxelles – Ora è ufficiale. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha lasciato il Paese invaso dall’esercito russo dal 24 febbraio 2022 per il suo primo viaggio sul continente europeo. A renderlo noto è il governo britannico, annunciando che il leader dell’Ucraina è in viaggio per il Regno Unito, prima tappa della trasferta europea che domani (9 febbraio) lo vedrà a Bruxelles per partecipare alla sessione plenaria straordinaria del Parlamento Europeo e al vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue. Per questa sera è invece prevista una seconda tappa a Parigi, dove all’Eliseo si svolgerà un colloquio a tre tra il presidente ucraino, l’omologo francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz.
    Da sinistra: il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Londra l’8 febbraio 2023 (credits: Justin Tallis / Afp)
    “La visita del presidente Zelensky nel Regno Unito è una testimonianza del coraggio, della determinazione e della lotta del suo Paese, e una testimonianza dell’amicizia indissolubile tra i nostri due Paesi”, è il saluto del primo ministro britannico, Rishi Sunak, a poche ore dall’arrivo del numero uno di Kiev a Londra. Nel confronto tra Sunak e Zelensky sarà discussa l’ulteriore fornitura militare a sostegno della difesa del Paese, l’addestramento di piloti di aerei da combattimento e nuove sanzioni contro la Russia, si apprende dalla nota diffusa da Downing Street 10. Il presidente ucraino si rivolgerà poi al Parlamento britannico a Westminster, dove esporrà il piano per una pace “giusta e sostenibile”, e ci si aspetta un incontro anche con re Carlo II.
    Ma a Bruxelles si aspetta solo lo scoccare della mezzanotte di giovedì 9 febbraio, quando avrà inizio la lunga giornata del presidente Zelensky presso le istituzioni comunitarie, per la prima volta di persona da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Dopo le indiscrezioni degli ultimi giorni ancora non sono arrivate conferme ufficiali – per questioni di sicurezza – dai portavoce del Consiglio e del Parlamento Ue, ma ormai nella capitale dell’Unione si stanno facendo tutti i preparativi per accogliere il leader ucraino sia nell’emiciclo dell’Eurocamera sia al Consiglio Europeo straordinario (che dopo migrazione e aiuti di Stato ora avrà un terzo dossier di peso sul tavolo). Non solo è stata spostata la riunione del Comitato delle Regioni, organizzata inizialmente nell’emiciclo del Parlamento Ue, ma anche la conferenza dei presidenti dei gruppi all’Eurocamera, prevista per domani, è slitatta di un giorno.
    Un camion dei pompieri distrutto da una mina a Kiev e un’ambulanza colpita dall’esercito russo a Kharkiv, davanti alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (8 febbraio 2023)
    Come anticipano fonti europee, Zelensky domattina comparirà tra le 10 e le 11 davanti a tutti gli eurodeputati all’emiciclo di Bruxelles, presieduto dalla sua leader Roberta Metsola. Considerati gli stretti orari degli appuntamenti delle due istituzioni, è possibile che Zelensky si recherà prima a Palazzo Europa e poi si sposterà in rue Wiertz 60: altre fonti Ue prevedono che l’inizio dei lavori del vertice dei leader dei Ventisette sarà verso le ore 9.30/10, appena prima della visita di Zelensky all’Eurocamera. Il discorso del presidente ucraino al Consiglio Ue dovrebbe anticipare le discussioni previste su migrazione e risposta Ue all’Inflation Reduction Act (Ira) statunitense, che al momento si puntano a chiudere entrambe in una sola giornata.

    Tappa nel Regno Unito per il leader del Paese invaso dall’esercito russo da quasi un anno. Dopo il confronto con il premier Sunak e re Carlo III si dirigerà verso la capitale dell’Unione per partecipare alla sessione plenaria dell’Eurocamera e al vertice dei leader dei Ventisette