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    La relatrice Onu per i diritti umani del popolo palestinese a Bruxelles: Israele sta commettendo un genocidio a Gaza

    Bruxelles – Il Parlamento europeo di fronte al durissimo rapporto di Francesca Albanese sul genocidio perpetrato dallo Stato di Israele a Gaza. La relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, invitata a Bruxelles da Manu Pineda, eurodeputato spagnolo e presidente della delegazione dell’Eurocamera per le relazioni con la Palestina, ha tirato le somme di cinque mesi di dati, analisi e studi sull’offensiva di Tel Aviv: con la conclusione che “ci sono ragionevoli motivi per credere che la soglia che indica che Israele abbia commesso un genocidio è stata raggiunta“.Per stendere il rapporto, Albanese si è basata sul lavoro delle delle organizzazioni sul campo, sulla giurisprudenza internazionale, sui rapporti investigativi e sulle consultazioni con le persone colpite, le autorità, la società civile e gli esperti. Perché a lei, Israele vieta l’ingresso a Gaza. Dei cinque atti specifici “commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale”, che costituiscono il crimine di genocidio secondo la Convenzione internazionale del 1948, Israele ne avrebbe perpetrati tre: “uccidere membri del gruppo, causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo e infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portare alla sua distruzione fisica totale o parziale“.

    (credits: Yahya Hassouna / Afp)I dati a supporto della tesi di Albanese sono agghiaccianti. In cinque mesi di operazioni militari, Israele ha sganciato su Gaza 25 mila tonnellate di esplosivo, l’equivalente di due bombe nucleari. Oltre 30 mila palestinesi uccisi, tra cui più di 13 mila minori. Più di 12 mila presunti morti e 71 mila feriti, molti dei quali con mutilazioni che cambiano la vita. Il 70 per cento delle aree residenziali è stato distrutto. L’80 per cento dell’intera popolazione è stata sfollata con la forza. “L’incalcolabile trauma collettivo sarà eredità delle generazioni a venire”, scrive la Relatrice delle Nazioni Unite.Secondo Albanese “gli atti di genocidio sono stati approvati e resi effettivi a seguito di dichiarazioni di intenti genocidari rilasciate da alti funzionari militari e governativi”. Le accuse sono pesantissime: lo stato di Israele e gli alti gradi delle Idf hanno “cercato di nascondere la propria condotta eliminazionista“, distorcendo le regole del diritto internazionale umanitario e trattando un intero gruppo protetto e le sue infrastrutture vitali come “terroristi” o “sostenitori del terrorismo”. Trasformando così “tutto e tutti in un bersaglio o in un danno collaterale”.La giurista e docente specializzata in diritti umani ripercorre anche le cause profonde, andando ben al di là dell’atroce attacco di Hamas del 7 ottobre. “Il genocidio di Israele sui palestinesi di Gaza è una fase di escalation di un processo di cancellazione coloniale di lunga data. Per oltre sette decenni questo processo ha soffocato il popolo palestinese come gruppo – demograficamente, culturalmente, economicamente e politicamente, cercando di spostarlo e di espropriare e controllare la sua terra e le sue risorse”, scrive ancora Albanese.Alla luce delle evidenze elencate nel rapporto, la Relatrice dell’Onu lancia l’appello a tutti gli Stati membri per “attuare immediatamente un embargo sulle armi nei confronti di Israele“. Perché lo Stato ebraico e i Paesi “che si sono resi complici di ciò che può essere ragionevolmente concluso come genocidio, dovranno essere chiamati a rispondere e a fornire risarcimenti commisurati alla distruzione, morte e ai danni inflitti al popolo palestinese”. Albanese chiede anche alla comunità internazionale di sostenere il Sudafrica, che ha fatto ricorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a seguito del mancato rispetto da parte di Israele delle misure imposte dalla Corte internazionale di giustizia per prevenire il crimine di genocidio.

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    Gaza, l’Ue prende nota degli annunci di Netanyahu su nuovi corridoi umanitari. “Attuare tutto e in fretta”

    Bruxelles – Ben vengano gli annunci sull’apertura di nuovi corridoi umanitari per la popolazione palestinese a Gaza, ma “occorre attuarli in pieno e rapidamente”. La Commissione europea accoglie con favore le intenzioni del primo ministro israeliano, Benjamin Netahyahu, di aprire il porto di Ashdod e il valico di Erez per consentire il flusso diretto degli aiuti nel nord di Gaza. Ma pretende che non restino parole vuote. Per il momento, dunque, a Bruxelles “si prende nota” delle parole del leader israeliano, ma non ci si limita a quello.Certo, il ruolo dell’Unione europea risulta ridimensionato, visto che l’annuncio di Netanyahu arriva dopo una telefonata con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a riprova di ruolo e peso diversi nella regione e nella gestione della crisi in Medio Oriente.L’esecutivo comunitario coglie comunque l’occasione per tornare a fare pressioni sullo Stato ebraico, rinnovando l’appello a “proteggere i civili innocenti e gli operatori umanitari, in linea con il diritto umanitario internazionale“. Un richiamo che si aggiunge alla condanna per l’uccisione, in un raid condotto dalle forze armate israeliane, di sette operatori della Ong World Central Kitchen. Un episodio che ha probabilmente segnato il punto più basso nelle relazioni tra Israele e i suoi partner.Proprio la prospettiva di nuove vie di aiuti umanitari spiega la Commissione europea a ricordare come e quanto siano fondamentali organizzazione non governative e Nazioni Unite, inclusa l’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) che Israele ha rimesso in discussione dopo il sospetto che funzionari abbiano partecipato agli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso. “La Commissione europea continuerà il suo intenso lavoro con i partner regionali e globali, le Nazioni Unite e le ONG partner”, fa sapere l’esecutivo comunitario. Un modo per mandare un messaggio a Tel Aviv.

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    Israele, bombe sugli operatori umanitari e sul consolato iraniano a Damasco: il giorno in cui (forse) il mondo ha perso la pazienza

    Bruxelles – Nell’arco di ventiquattro ore, due decisioni fatali che aumentano la distanza tra Tel Aviv e l’Occidente. Le reazioni all’uccisione dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen e all’attacco al consolato iraniano a Damasco sono forti. Tanto che anche Netanyahu promette che “verificherà fino in fondo i fatti”.Le vittime del raid israeliano all’ospedale Al-Aqsa, durante la distribuzione degli aiuti arrivati con difficoltà via mare da Cipro, non sono i primi cooperanti che perdono la vita nell’enclave palestinese. Anzi, secondo l’alto funzionario delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari a Gaza, Jamie McGoldrick, “almeno 196 operatori umanitari sono stati uccisi” dal 7 ottobre 2023 al 20 marzo. Ma questa volta di mezzo c’è una richiesta vincolante del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per un cessate il fuoco immediato che sta rimanendo inascoltata. E c’è la nazionalità di almeno tre delle vittime: i passaporti trovati appartengono a Gran Bretagna, Australia e Polonia.

    La vettura dell’ong World Central Kitchen colpita dai bombardamenti israeliani (Photo by AFP)La Commissione europea ha chiesto “un’indagine approfondita” sulla vicenda. “Gli operatori umanitari devono essere sempre protetti, in linea con il diritto umanitario internazionale”, ha scritto l’esecutivo Ue su X. Dai leader Ue il solito pattern: Ursula von der Leyen si limita a “rendere omaggio” agli operatori uccisi, Charles Michel sostiene che “è necessario già da molto tempo fermare il massacro di civili innocenti e di operatori umanitari”, Josep Borrell “condanna l’attacco e sollecita un’indagine”. Nel frattempo il governo britannico ha convocato l’ambasciatore israeliano a Londra e il segretario di Stato a stelle e strisce, Antony Blinken, ha chiesto un’indagine “rapida e imparziale”.Se sull’accaduto Netanyahu si è giustificato affermando che “può succedere in guerra”, come se fosse frutto di un errore – anche se da tempo l’Unrwa denuncia di essere bersaglio di bombardamenti israeliani nonostante condivida in anticipo le coordinate dei luoghi scelti per la distribuzione degli aiuti -, lo stesso non può dire sulla decisione di attaccare e distruggere il consolato iraniano a Damasco, in Siria. In spregio alle più antiche regole del diritto internazionale, che sanciscono l’inviolabilità dei siti diplomatici e consolari.

    I resti del palazzo del consolato iraniano a Damasco (Photo by Louai Beshara / AFP)Secondo la Repubblica islamica, il bilancio dell’attacco è di 13 morti, tra cui sette membri delle Guardie della Rivoluzione. L’Iran ha già promesso che Israele sarà “punito” e ha attribuito la responsabilità anche agli Stati Uniti. L’attacco alla sede diplomatica di una potenza imprevedibile come l’Iran rischia di provocare un pericoloso allargamento del conflitto: il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto “a tutte le parti interessate di esercitare la massima moderazione e di evitare un’ulteriore escalation”, ammonendo sul fatto che “qualsiasi errore di calcolo potrebbe portare a un conflitto più ampio in una regione già instabile, con conseguenze devastanti per i civili che già assistono a sofferenze senza precedenti”.Incurante del rischio, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato al Parlamento ebraico che Israele “lavora ovunque per impedire il rafforzamento dei nostri nemici”. Mentre sulla morte dei sette di World Central Kitchen, che ha causato inoltre la sospensione degli impegni da parte dell’ong, in una nota diffusa da Tel Aviv ha fatto riferimento alla “tragica natura dell’incidente” e ha sottolineato l’importanza di “condurre un’indagine approfondita e professionale”.Sullo sfondo, proseguono le trattative per in Egitto per un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Ma le due parti restano lontanissime. A una settimana dalla fine del Ramadan, non resta più nulla della soddisfazione espressa il 25 marzo per la risoluzione con cui l’Onu chiedeva la fine delle ostilità almeno fino alla fine del mese sacro per l’Islam. Ma la consapevolezza che né Israele né Hamas intendono ascoltare gli ordini vincolanti della comunità internazionale.

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    Per la Corte dell’Aia le condizioni a Gaza stanno precipitando, Israele deve “garantire aiuti umanitari senza restrizioni”

    Bruxelles – La popolazione di Gaza non sta più affrontando soltanto il rischio di carestia, ma “la carestia è già in atto“. Ne ha preso atto la Corte di Giustizia Internazionale, che ha aggiornato la lista di misure provvisorie imposte a Israele lo scorso 26 gennaio per prevenire possibili crimini di genocidio contro i palestinesi della Striscia. Tel Aviv dovrà “garantire senza indugi la fornitura senza ostacoli e su larga scala dell’assistenza umanitaria urgentemente necessaria”.Gli ultimi numeri registrati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha-Opt) sono agghiaccianti: almeno 31 persone, tra cui 27 bambini, sono già morte per malnutrizione e disidratazione. Al Tribunale dell’Aia insistono quindi che le autorità israeliane debbano “aumentare la capacità e il numero dei valichi terrestri e mantenerli aperti per tutto il tempo necessario”, per permettere l’ingresso di “cibo, acqua, elettricità, combustibile, riparo, abbigliamento, igiene e servizi igienici, oltre a forniture e assistenza medica ai palestinesi di tutta Gaza”.

    Il collegio di magistrati che si occupa del caso di possibile genocidio a Gaza [Photograph: UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek]Con un’unica defezione dell’ex presidente della Corte suprema israeliana, Aharon Barak, il collegio di 15 magistrati che si sta occupando del caso sul rischio di genocidio a Gaza sollevato dal Sudafrica ha ordinato inoltre a Israele di “garantire con effetto immediato che i suoi militari non commettano atti che costituiscano una violazione dei diritti dei palestinesi di Gaza, in quanto gruppo protetto dalla Convenzione sul genocidio”. Tra cui il deliberato impedimento alla consegna degli aiuti.Dal primo verdetto della Corte che chiedeva a Israele di “adottare tutte le misure necessarie per impedire un genocidio a Gaza” sono passati due mesi. Lo Stato ebraico, il 26 febbraio scorso (il mese successivo), ha inviato all’Aia un rapporto in cui illustrava le azioni intraprese per proteggere la popolazione civile. Ma nell’aggiornamento delle misure richiesto ieri, la Corte non ha potuto far altro che “osservare con rammarico che, da allora, le condizioni di vita catastrofiche dei palestinesi nella Striscia di Gaza si sono ulteriormente deteriorate, in particolare alla luce della prolungata e diffusa privazione di cibo e di altri beni di prima necessità”. Dal 26 gennaio inoltre le operazioni militari israeliane avrebbero causato oltre 6.600 vittime e quasi 11.000 feriti in più. Portando il bilancio complessivo delle vittime a oltre 32.400 e quello dei feriti a quasi 75 mila.Israele ha ribadito che esiste “un’ampia registrazione di sforzi israeliani in ambito umanitario per alleviare le sofferenze della popolazione civile in generale e per affrontare la sfida dell’insicurezza alimentare in particolare”. E ha respinto “con la massima fermezza” le accuse del Sudafrica secondo cui la fame a Gaza sia il risultato diretto di “azioni e omissioni deliberate”.La Corte Onu ha concesso ora un altro mese a Tel Aviv per presentare un nuovo rapporto in cui dia conto delle misure prese per attuare l’ordine e scongiurare così il diffondersi della carestia. Ma i giudici dell’Aia sono consapevoli “che vi è urgenza”, nel senso che “esiste un rischio reale e imminente che tale danno ai diritti plausibili rivendicati dal Sudafrica sia causato prima che la Corte di pronunci in via definitiva sul caso”.

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    Gli Usa si fanno da parte e il Consiglio di sicurezza Onu chiede un cessate il fuoco immediato a Gaza. Esulta anche l’Ue

    Bruxelles – Dopo mesi di veti incrociati – soprattutto tra i tre grandi, Stati Uniti, Russia e Cina – il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato per la prima volta una risoluzione che chiede un cessate il fuoco immediato a Gaza. A farsi da parte Washington, che si è astenuta, mentre gli altri 14 membri hanno votato a favore. Un appello che va oltre quello per una “pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile” uscito dal Consiglio europeo del 21-22 marzo. I leader Ue però esultano e chiedono ora “un’attuazione urgente”.La risoluzione prevede un cessate il fuoco per il periodo del Ramadan, cominciato già il 10 marzo e che si concluderà tra il 9 e il 10 aprile. Contemporaneamente prevede la liberazione immediata di tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e invita Israele a fare di più per facilitare l’ingresso massivo di aiuti umanitari nella Striscia. “L’attuazione di questa risoluzione è vitale per la protezione di tutti i civili”, ha commentato su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. A cui hanno fatto eco gli altri tenori della politica estera del blocco, Charles Michel e Josep Borrell, secondo cui la risoluzione “necessita di un’attuazione urgente da parte di tutti”.Nell’organo internazionale più autorevole, l’unico che può prendere decisioni che sulla carta sono vincolanti per tutti i Paesi membri dell’Onu, ci sono attualmente tre Paesi dell’Ue: la Francia – che è membro permanente -, la Slovenia e Malta. Tutti e tre hanno appoggiato la risoluzione proposta in modo congiunto dai dieci membri a rotazione. Proprio la Francia, subito dopo l’approvazione del testo, ha annunciato di essere al lavoro su una nuova risoluzione per arrivare a un cessate il fuoco permanente a Gaza dopo il Ramadan.Decisiva è stata l’astensione degli Stati Uniti, che ha mandato su tutte le furie il gabinetto del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Una decisione che “danneggia lo sforzo bellico di Israele“, commentano da Tel Aviv. Che ha immediatamente cancellato la visita di una delegazione israeliana prevista per i prossimi giorni a Washington.

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    I leader Ue chiedono una “pausa umanitaria immediata” a Gaza

    Bruxelles – I capi di stato e di governo dell’Ue trovano un linguaggio comune sulla “tragedia umanitaria” a Gaza. È già una notizia, perché non succedeva dal 26 ottobre, neanche tre settimane dopo l’inizio del conflitto tra Israele e Hamas. A distanza di cinque mesi, quell’appello a “corridoi o pause umanitarie” si è trasformato nella richiesta di “una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile”.L’unanimità ha un costo, e sulla crisi in Medio Oriente è evidentemente quello di andare al ribasso. “So che c’è voluto bisogno di tempo per trovare unità, ma questa sera dimostriamo di poter giocare un ruolo positivo“, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella conferenza stampa a margine dei lavori. Ma nel momento in cui gli Stati Uniti stanno per proporre una risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu in cui per la prima volta chiedono di cessare le ostilità nella Striscia, la dichiarazione finale dei 27 sembra già superata. Con tanta pace dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, e del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che in mattinata avevano utilizzato toni ben più duri su Israele.L’aveva già denunciato il primo ministro belga, Alexander De Croo, al suo arrivo al vertice: “L’Ue deve essere leader, non seguire”. Proprio in riferimento al “buon esempio” di Washington, che dopo aver posto il veto diverse volte a risoluzione che chiedevano di deporre le armi, domani per la prima volta non anteporranno la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas alla richiesta di mettere fine ai bombardamenti sulla popolazione civile palestinese. Lo stesso De Croo, a margine del Consiglio, ha ammesso che “il fatto che gli Stati Uniti stiano adottando questa posizione ha fatto la sua parte“.Nel capitolo dedicato al Medio Oriente della tradizionale dichiarazione a 27 che chiude il vertice europeo, l’Ue “esorta” il governo israeliano a non intraprendere un’operazione di terra a Rafah, “chiede” di garantire la fornitura di assistenza umanitaria, “sottolinea” l’importanza di rispettare e attuare le misure provvisorie richieste dalla Corte internazionale di Giustizia per impedire un genocidio a Gaza. Di condanne, c’è la sacrosanta condanna “nei termini più forti possibili” delle atrocità perpetrate da Hamas il 7 ottobre e quella della violenze commesse dai coloni israeliani estremisti in Cisgiordania. Ma non dei bombardamenti israeliani che hanno causato oltre 30 mila vittime, di cui la maggior parte donne e minori, e nemmeno degli ostacoli all’ingresso degli aiuti umanitari, che stanno portando 2 milioni di persone sull’orlo di una carestia.

    Ursula von der Leyen e Charles Michel in conferenza stampa, 21/03/24I capi di stato e di governo dell’Ue hanno espresso “profonda preoccupazione per la catastrofica situazione umanitaria a Gaza e per il suo effetto sproporzionato sui civili, in particolare sui bambini, nonché per l’imminente rischio di carestia“. Rispetto all’ultima bozza delle conclusioni del Consiglio europeo, hanno avuto l’ardire di aggiungere: “Causata dall’ingresso insufficiente di aiuti a Gaza”.Michel ha insistito che “bisogna fare tutto il possibile per convincere, per assicurarsi che ci sia una reale possibilità di accesso umanitario”. E ha ribadito l’unità dei 27 nel supporto al “ruolo essenziale” svolto dall’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) nella regione. Un’unità che – anche qui – dovrà essere confermata non solo a parole dai Paesi Ue che ancora non hanno sbloccato i fondi all’Agenzia dopo le accuse di complicità con Hamas mosse da Israele contro una decina di dipendenti dell’Unrwa. Tra cui Italia e Germania.

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    A Gaza “il fallimento dell’umanità”. Borrell e il segretario dell’Onu Guterres chiedono all’Ue un messaggio forte su Israele

    Bruxelles – Quello che sta accadendo a Gaza è “il fallimento dell’umanità”. Non ha ancora finito le parole l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che da cinque mesi è la voce più critica nelle istituzioni Ue sulle operazioni militari israeliane per annientare Hamas. Quelle scelte oggi, al suo arrivo al Consiglio europeo a Bruxelles, sono tra le più pesanti e non arrivano per caso: i capi di stato e di governo sono chiamati ad andare oltre la posizione sul conflitto concordata a ottobre. E in ballo c’è la richiesta di “una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile“, recita l’ultima versione delle conclusioni del vertice.Potrebbe sembrare ancora troppo poco, alla luce degli appelli alla cessazione delle ostilità che si moltiplicano da mesi da parte di una buona fetta della comunità internazionale. Ma il conflitto a Gaza ha dimostrato la difficoltà dei 27 a cantare all’unisono quando si parla di politica estera. “Sono felice che oggi il Consiglio approvi delle conclusioni che vanno ben oltre le precedenti di ottobre”, ha confermato Borrell. Oltre a limare l’appello per abbassare le armi, i governi nazionali ribadiranno la richiesta di liberazione degli ostaggi e “mostreranno una forte preoccupazione” per la situazione della popolazione civile.Una situazione “inaccettabile” secondo il capo della diplomazia Ue. Oltre 31 mila vittime e il rischio di una carestia imminente “non sono una crisi umanitaria, ma il fallimento dell’umanità“. Che per Borrell ha una solo via d’uscita: “Israele deve rispettare la popolazione civile e permettere l’ingresso di aiuti a Gaza”. Visibilmente contrariato, Borrell ha elencato tutto ciò che Tel Aviv non sta facendo: “C’è un aeroporto a un’ora di macchina da dove stiamo paracadutando gli aiuti, ma è chiuso. Stiamo costruendo un porto, anche se a Gaza un porto c’è già. Ma è chiuso. E le frontiere di terra sono aperte così poco che i rifornimenti non entrano”.Per convincere i capi di stato e di governo che è il momento di lanciare un messaggio forte a Tel Aviv, è intervenuto in apertura al vertice il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Un alto funzionario Ue ha riferito di un colloquio di due ore e mezzo tra i leader e il segretario dell’Onu. “Positivo, franco”, nel quale i 27 hanno appoggiato integralmente le preoccupazioni di Guterres. Che ha fatto il punto della situazione sull’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e sulla distribuzione di aiuti umanitari. I leader Ue dovrebbero riaffermare al vertice che “i servizi forniti dall’Unrwa a Gaza e in tutta la regione sono essenziali”.Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel con Antonio Guterres“Viviamo in un mondo caotico, con superpotenze che si combattono e situazioni di impunità dove Paesi o gruppi armati pensano di poter fare quello che vogliono perché non ne devono rispondere”, ha dichiarato Guterres al suo arrivo a Bruxelles. Ribadendo i principi che guidano il diritto internazionale, ha insistito sull’importanza di fugare ogni dubbio sull’applicazione di doppi standard in Ucraina e a Gaza. “Gli stessi motivi per cui crediamo che in Ucraina sia essenziale una pace pienamente in linea con il diritto internazionale, crediamo che sia necessario un cessate il fuoco a Gaza”. E allo stesso modo, “come abbiamo condannato gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, condanniamo il fatto che stiamo assistendo a un numero di vittime civili a Gaza senza precedenti”.Una svolta potrebbe arrivare proprio dal palazzo di vetro di New York: gli Stati Uniti hanno presentato una bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu in cui per la prima volta Washington non antepone la liberazione degli ostaggi al cessate il fuoco, ma li mette sullo stesso piano. L’ha sottolineato Borrell, l’ha ribadito anche il primo ministro belga, Alexandre De Croo: “È ora di essere chiari, di chiedere un cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi e di mettere tutti sulla strada dei negoziati per la soluzione dei due Stati. Quello che gli Stati Uniti hanno presentato ieri al Consiglio di Sicurezza è un buon esempio”, ha dichiarato prima dei lavori.Sulla stessa linea Madrid, con Pedro Sanchez che ha parlato della “necessità di arrivare a un cessate il fuoco e di aprire la porte a aiuti umanitari proporzionati alla catastrofe umanitaria di Gaza”. Si avvicina a questa posizione anche Berlino: “Per noi è molto chiaro che abbiamo bisogno di un cessate il fuoco più duraturo”, ha confermato il cancelliere Olaf Scholz. Mentre l’olandese Mark Rutte ha preferito insistere perché “tutta l’enfasi sia posta sui colloqui per ottenere una pausa di sei settimane nei combattimenti, in modo che gli ostaggi possano uscire e gli aiuti massicci possano arrivare”. Colloqui attualmente in corso in Egitto, mediati da Stati Uniti e Qatar.L’Alto rappresentante Borrell ha infine confermato che inviterà alla prossima riunione dei ministri degli Esteri Ue il loro omologo israeliano, Israel Katz, perché “spieghi cosa sta facendo Israele”. Ma allo stesso tempo, l’Ue “deve analizzare cosa sta accadendo”, e Borrell lo farà insieme al rappresentante speciale Ue per i diritti umani. In modo da poter riferire ai ministri degli Esteri dei 27 e mettere pressione su Tel Aviv. “Israele ha diritto di difendersi, non di vendicarsi”, ha concluso il capo della diplomazia Ue.

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    A Gaza la carestia è imminente. Borrell attacca Israele: “Usa la fame come arma di guerra”

    Bruxelles – Secondo l’ultima valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), l’intera popolazione della Striscia di Gaza è in condizioni di grave insicurezza alimentare. Ma nel Nord dell’enclave palestinese, il 70 per cento di chi è rimasto sta già affrontando la carestia. E nei governatorati centrali e meridionali, la metà della popolazione soffre un’insicurezza alimentare catastrofica. Alla luce del rapporto, l’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, rilancia l’accusa a Israele: “Usa la fame come arma di guerra”.Un’accusa durissima: affamare volontariamente una popolazione è un crimine di guerra, e rientra nelle azioni deliberate che costituiscono un atto di genocidio. Questa volta, accanto a Borrell – che aveva già lanciato l’accusa di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu – anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič. I due hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui, commentando l’analisi degli esperti dell’Ipc, ribadiscono che “la fame non può essere usata come arma di guerra” e che “quello a cui stiamo assistendo non è un rischio naturale, ma un disastro provocato dall’uomo, ed è nostro dovere morale fermarlo“.

    Josep Borrell al Consiglio Ue Affari Esteri, 18/03/24Nel frattempo, a Bruxelles è in corso la riunione dei ministri degli Esteri dei 27, e la crisi umanitaria a Gaza è in agenda. Borrell, arrivando in Consiglio, ha rincarato la dose. Perché “ci sono derrate alimentari accumulate per mesi, che aspettano di entrare a Gaza, mentre al di là del confine si muore di fame”. Per il capo della diplomazia europea “prima della guerra Gaza era una grande prigione a cielo aperto, oggi è un grande cimitero a cielo aperto, anche per quello che riguarda il rispetto delle regole internazionali”.A far rabbrividire non è solo la situazione attuale fotografata dall’Ipc, in cui 2,2 milioni di persone affrontano “alti livelli di insicurezza alimentare”, ma le proiezioni per i prossimi mesi: “Da metà marzo a metà luglio, nello scenario più probabile e nell’ipotesi di un’escalation del conflitto che includa un’offensiva di terra a Rafah, metà della popolazione si troverà ad affrontare il rischio di carestia“. Nella scala da 1 a 5 utilizzata dall’Ipc, la carestia rappresenta il livello più grave dell’insicurezza alimentare acuta.

    [Fonte: Integrated Food Security Phase Classification]“È una situazione senza precedenti. Nessuna analisi dell’Ipc ha mai registrato tali livelli di insicurezza alimentare in nessuna parte del mondo“, sottolineano Borrell e Lenarčič . Nella Striscia il 50 per cento degli edifici sono stati danneggiati o distrutti. Abitazioni, negozi, ospedali e scuole, ma anche impianti idrici, igienici e le infrastrutture necessarie per la produzione e la distribuzione di cibo. Limitando notevolmente la funzionalità del sistema alimentare. Il rapporto dell’Icp snocciola anche le cifre degli ingressi di aiuti via terra: “Da una media pre-escalation di 500 camion al giorno, di cui 150 che trasportavano cibo, nel periodo tra il 7 ottobre 2023 e il 24 febbraio 2024, solo 90 camion al giorno, di cui solo 60 che trasportavano cibo, sono entrati nella Striscia di Gaza”.Dopo cinque mesi e mezzo di conflitto, Israele non ha ancora aperto tutti i varchi ai convogli umanitari e anzi, di aiuti ne entrano sempre meno. Le responsabilità di Tel Aviv sono sotto gli occhi di tutti: anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz – uno dei più prudenti sul denunciare le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele – ha sottolineato al premier israeliano Netanyahu che “non possiamo stare a guardare i palestinesi morire di fame”, precisando la situazione “è interamente opera dell’uomo” e deriva “da chi impedisce che il sostegno umanitario entri a Gaza“.Tajani: “Posizione non concordata”. Israele nega le accuseMa l’accusa lanciata dal capo della diplomazia europea non è condivisa da tutti a Bruxelles. A partire dal vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che ha commentato: “È una posizione di Borrell, non l’ha concordata con nessuno”. A Tel Aviv invece, non l’hanno presa proprio bene: Borrell “la smetta di attaccare Israele e riconosca il nostro diritto all’autodifesa contro i crimini di Hamas”, ha replicato con un post su X il ministro degli Esteri, Israel Katz.

    Il ministro degli Esteri di Israele, Israel Katz, e Josep BorrellIn un documento che le autorità israeliane hanno sottomesso alla Corte di Giustizia Internazionale relativamente al procedimento intentato dal Sudafrica per il possibile genocidio a Gaza, Israele nega con fermezza di ostacolare l’arrivo di beni di prima necessità per la popolazione palestinese. L’insicurezza alimentare a Gaza “è una sfida seria” ma “non è una questione semplice”, sostengono i legali di Tel Aviv, ribandendo che “Israele si è impegnata, insieme a una serie di parti interessate, a compiere sforzi costanti ed estesi per affrontare questa sfida”. Un impegno che dimostrerebbe “l’esatto contrario di un intento genocida o di un tentativo di affamare la popolazione”.Anzi: Israele si starebbe prodigando per la “continua facilitazione dell’ingresso dei carichi di aiuti umanitari a Gaza e l’utilizzo di ulteriori vie di comunicazione a tale scopo e il rafforzamento della capacità di quelle esistenti”. Le autorità israeliane puntano il dito contro la “spregevole strategia di Hamas”, che “assume il controllo delle forniture umanitarie” e le “devia dalla loro destinazione civile”.