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    L’Ue mette una pezza al blocco israeliano delle risorse dell’Autorità palestinese: 25 milioni per garantire stipendi e pensioni

    Bruxelles – La Commissione europea ha annunciato l’esborso di 25 milioni di euro di assistenza all’Autorità Nazionale Palestinese, la seconda tranche del pacchetto da 118,4 milioni adottato da Bruxelles a dicembre 2023. Allo stesso tempo, via libera anche a 16 milioni di euro per l’Agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), completamente riabilitata dall’Ue dopo le accuse israeliane – finora mai dimostrate – di complicità con Hamas.Mentre la Striscia di Gaza è ormai ridotta completamente in macerie, il territorio governato dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) è una bomba a orologeria, stretto tra l’inasprimento degli attacchi dei coloni israeliani e dalla mancanza di fondi per mandare avanti una parvenza di macchina statale. Tel Aviv sta bloccando le entrate fiscali che raccoglie per l’Anp, senza le quali non è possibile pagare stipendi, pensioni, assegni sociali per le famiglie vulnerabili, prestazioni mediche. In questo senso, i 25 milioni mobilitati dall’Ue sono una manna dal cielo a sostegno della capacità amministrativa e tecnica delle istituzioni dell’Autorità palestinese. La prima tranche da altrettanti 25 milioni era stata versata a marzo.Per quanto riguarda l’Unrwa, la fiducia ristabilita tra Bruxelles e l’Agenzia per i rifugiati palestinesi segna un’ulteriore frattura con Israele, il cui Parlamento ha approvato pochi giorni fa in via preliminare un disegno di legge che designa l’Unrwa come organizzazione terroristica. “Alla luce dei progressi compiuti dall’Agenzia rispetto alle condizioni e alle misure concordate” con Bruxelles per garantirne l’imparzialità, la Commissione ha dato il via libera alla seconda tranche da 16 milioni, dopo un primo finanziamento di 50 milioni sbloccato già il primo marzo.L’Agenzia delle Nazioni Unite ha presentato un piano d’azione per attuare le raccomandazioni formulate a metà aprile dal gruppo di revisione indipendente guidato dall’ex ministra francese Catherine Colonna, che ha convinto tutti gli Stati membri a sbloccare anche i loro finanziamenti nazionali, fondamentali per mantenerla in vita e garantire assistenza agli oltre 6 milioni di rifugiati palestinesi a Gaza, nei territori occupati della Cisgiordania, in Libano, Giordania e Siria.La Commissione europea ha dichiarato in una nota che la terza e ultima tranche annuale da 16 milioni di euro “sarà subordinata all’attuazione dell’accordo con l’Unrwa e al rispetto da parte dell’Agenzia delle condizioni e delle misure concordate”.

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    L’Ue “inorridita” dal massacro nel campo profughi a Rafah chiede di convocare un Consiglio di associazione con Israele

    Bruxelles – L’uccisione di almeno 45 sfollati palestinesi – tra cui diversi bambini – in un bombardamento israeliano sul campo profughi di Tal-Sultan, a Rafah, “dimostra che non esiste luogo sicuro a Gaza“. E “inorridisce” a tal punto le coscienze dei Paesi Ue, che i ministri degli Esteri dei 27 decidono all’unanimità che è ora di convocare un Consiglio di associazione con Israele per discutere del rispetto dei diritti umani previsto nell’accordo di associazione tra Bruxelles e Tel Aviv.Al termine di una due giorni dedicata al conflitto a Gaza, con l’incontro di ieri (26 maggio) con il neo-premier dell’Autorità nazionale palestinese, Mohammad Mustafa, e la riunione dei ministri degli Esteri Ue a cui oggi si sono uniti gli omologhi da Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Emirati Arabi e Qatar, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, si è presentato in conferenza stampa scuro in volto. “Voglio insistere sulle orribili notizie provenienti da Rafah“, ha esordito, sottolineando che l’attacco israeliano è arrivato poche ore dopo l’ordine della Corte di Giustizia Internazionale di astenersi da qualsiasi operazione militare a Rafah.“Per ora, quello che stiamo vedendo non è uno stop delle attività militari, ma al contrario un aumento di bombe e vittime civili”, ha constatato Borrell. La sfacciata noncuranza delle misure richieste dall’Aia con cui ha agito il governo di Netanyahu ha convinto i 27 a convocare un Consiglio di associazione Ue-Israele. Chiedere conto al partner del rispetto degli impegni presi nell’ambito dell’accordo di Associazione è il primo passo per una sua eventuale sospensione. Come avevano chiesto oltre tre mesi fa in una lettera a Ursula von der Leyen i governi di Spagna e Irlanda, ma la richiesta era stata finora rimasta inascoltata.Proprio Madrid e Dublino domani procederanno al riconoscimento formale dello Stato palestinese. Sulla reazione israeliana all’annuncio, Borrell ha commentato: “Con Spagna e Irlanda non la chiamerei escalation diplomatica, ma aggressione verbale assolutamente ingiustificata ed estrema da parte del governo Netanyahu”.La pazienza del capo della diplomazia europea nei confronti delle scelte del primo ministro israeliano è ai minimi storici. Addirittura, Borrell ha dichiarato che “d’ora in poi non dirò più Israele, ma governo Netanyahu”, per sottolineare ancora di più le responsabilità dell’esecutivo di estrema destra israeliano. Che ha deciso di bloccare l’esborso delle tasse che raccoglie in Cisgiordania per l’Autorità Nazionale Palestinese, risorse con cui l’ANP paga i salari ai dipendenti pubblici e garantisce un minimo di servizi in un territorio già “in ebollizione”. Una decisione pensata “per asfissiare economicamente e finanziariamente l’Anp”, ha denunciato ancora l’Alto rappresentante.Con i rappresentanti dei Paesi arabi, i 27 hanno provato a immaginare il day-after. I cinque mediorientali hanno “gettato il guanto sul tavolo – ha spiegato Borrell -, ora tocca a noi coglierlo”. Hanno cioè presentato una sorta di piano di pace, ipotizzando l’organizzazione di una conferenza di pace internazionale su “come implementare la soluzione dei 2 Stati”. Un impegno che Borrell vuole prendersi, ma “fino a quel giorno, la cosa più importante è sostenere l’Anp e l’Unrwa”.Sull’Agenzia Onu per il soccorso l’occupazione dei rifugiati palestinesi, la terza richiesta di Borrell al governo Netanyahu: “Basta chiamarla organizzazione terroristica”. Perché Tel Aviv non ha fornito prove alle sue accuse di complicità di membri dello staff con Hamas, e perché senza l’Unrwa la distribuzione degli aiuti a Gaza è impensabile. Questo l’ultimo punto toccato dall’Alto rappresentante: “L’unica cosa che possiamo fare per facilitare gli aiuti è riaprire la missione Ue a Rafah”, la missione con cui – dal 2005 al 2007 – l’Ue ha gestito il passaggio di merci e persone alla frontiera tra Gaza e l’Egitto. “Ci è stato chiesto, i ministri mi hanno dato il via libera politico per riattivare EUBAM Rafah, ma deve essere fatto in accordo con l’Anp, l’Egitto e ovviamente Israele”.

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    Gaza, l’Ue studia come riprendere la gestione del varco di Rafah. Cos’è la missione europea sospesa dal 2007

    Bruxelles – Sono in corso colloqui a vari livelli per approfondire le possibilità che l’Unione Europea riprenda in mano la gestione del passaggio di merci e persone dal varco di Rafah, come già aveva fatto con EUBAM Rafah dal 2005 al 2007. Ne stanno parlando gli operatori della missione Ue ancora sul posto con Egitto e Israele, ne stanno studiando la fattibilità Bruxelles e Washington. E, come confermato da un alto funzionario Ue, ne discuteranno i ministri dei 27 al prossimo Consiglio Affari Esteri, previsto lunedì 27 maggio.“Siamo ancora in una fase molto preliminare”, placa gli entusiasmi la fonte. Ma è vero che nelle ultime settimane l’Ue “ha ricevuto richieste da diverse parti, compreso Israele, per studiare le opportunità di riaprire” la missione avviata nel novembre del 2005, dopo il disimpegno di Israele da Gaza, al fine di assicurare una presenza come parte terza al valico di Rafah tra la striscia di Gaza e l’Egitto e creare un clima di fiducia tra il governo di Israele e l’Autorità palestinese.Personale Ue e palestinese al Rafah Crossing Point nel novembre 2005 (Photo by PEDRO UGARTE / AFP)Una missione che dal 25 novembre 2005 fino all’ultimo giorno di monitoraggio Ue, il 9 giugno 2007, secondo i dati registrati da EUBAM, favorì l’attraversamento di un totale di 443.975 persone, 229.429 da Gaza in territorio egiziano, 214.117 per il percorso inverso. Il personale europeo fece in fretta e furia le valigie il 13 giugno 2007, poche ore prima che Hamas prendesse il controllo della città di Rafah e inaugurasse così il suo governo nella Striscia di Gaza.Da quel giorno, la missione EUBAM Rafah è sospesa, ma ha attuato – attraverso il lavoro di 10 membri dello staff internazionale e 8 locali – un progetto di preparazione a lungo termine con le sue controparti palestinesi, vale a dire “attività di rafforzamento delle capacità per migliorare la loro capacità di ridispiegarsi presso il varco di Rafah quando le condizioni lo consentiranno“. Nel giugno 2023, il Consiglio dell’Ue ha deciso di prorogare la missione di un anno, fino al 30 giugno 2024, con possibilità di proroga per un ulteriore anno. E con un budget di 2,36 milioni di euro per il periodo dal primo luglio 2023 al 30 giugno 2024.Ecco perché, con l’aggravarsi della situazione nel sud della Striscia a causa dell’avvio delle operazioni militari israeliane a Rafah e la conseguente chiusura delle frontiere ai convogli umanitari, gli attori regionali e internazionali hanno intravisto la possibilità di chiamare nuovamente in causa l’Ue. Secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense Politico, funzionari dell’amministrazione Biden stanno lavorando da settimane dietro le quinte, mediando i colloqui tra Israele ed Egitto, per trovare un accordo che metta la missione europea a capo del varco di Rafah e migliori in modo significativo il flusso di aiuti nell’enclave.Un alto funzionario a stelle e strisce avrebbe dichiarato alla testata americana che – se le trattative in corso tra Israele e Egitto sulla riapertura della frontiera andassero a buon fine e se l’Unione europea sottoscrivesse l’idea – il varco di Rafah “potrebbe essere aperto nelle prossime settimane“.A Bruxelles sono più cauti, la fase è appunto ancora “preliminare”, ma a quanto si apprende l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, già il prossimo lunedì potrebbe chiedere ai ministri dei 27 di conferirgli un mandato per studiare a fondo la possibilità di rilanciare la missione.L’urgenza di trovare una soluzione è evidente. Ed è stata sottolineata una volta di più dalla Corte di Giustizia Internazionale, che nel pomeriggio si è pronunciata per la terza volta sul possibile genocidio a Gaza e ha imposto nuove misure provvisorie a Israele. Tra cui “interrompere immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possano infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica, totale o parziale” e “mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari”.

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    Gli atenei d’Europa si sollevano per fermare il genocidio a Gaza, la presidente dell’Eui: “Garantire spazio di discussione”

    Bruxelles – Dalle università americane agli atenei di tutta Europa. Le proteste studentesche contro la guerra di Israele a Gaza si sono propagate a macchia d’olio, fino a raggiungere l’Istituto universitario europeo (Eui) di Badia Fiesolana, alle porte di Firenze. E hanno costretto la presidente dell’ente di studio e di ricerca finanziato dagli Stati Ue, Patrizia Nanz, a prendere posizione: “Intendo garantire uno spazio in cui docenti e ricercatori possano porre tutte le domande“, ha assicurato la politologa tedesca in difesa dei manifestanti.Da Berlino a Roma, da Parigi a Barcellona, passando da Cambridge e Helsinki, numerosi gruppi studenteschi stanno protestando contro l’intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza e contro la presunta complicità dei Paesi del blocco Ue. A Bruxelles, la tensione rimane alta sia all’Université libre de Bruxelles (ULB), con alcuni studenti che hanno aggredito il leader del sindacato degli studenti ebrei durante un’azione di protesta, sia all’Università fiamminga (VUB), dove per giorni è stato occupato un edificio dell’ateneo.Proprio la VUB ha deciso di interrompere un progetto di ricerca sull’intelligenza artificiale con due organizzazioni israeliane. Seguita dall’Università di Ghent, il cui rettore ha annunciato di voler chiudere la cooperazione con tre organizzazioni israeliane partner dell’ateneo, coinvolte nella produzione di equipaggiamento militare o direttamente collegate al governo di Tel Aviv.A Firenze – e in diverse città italiane – è cominciata l’Intifada studentesca, con gli allievi delle università italiane e internazionali accampati in Piazza San Marco per chiedere di fermare il genocidio a Gaza. Nel manifesto, rilanciato anche dall’Unione dei ricercatori dell’Eui, gli studenti chiedono con urgenza che ogni università si esponga pubblicamente per il cessate il fuoco e contro l’invasione israeliana di Rafah. Ma non solo: pretendono che le università rendano pubbliche le proprie attività economiche, che “disinvestano e taglino i ponti con qualsiasi organizzazione complice del genocidio“, e che intraprendano nuove iniziative per ospitare e supportare l’istruzione e la ricerca a Gaza.La presidente dell’Eui, Patriza Nanz [Ph: European University Institute]Nella giornata di ieri (16 maggio), mentre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ne discuteva con gli studenti della Sapienza alla cerimonia per i laureati, il Consiglio Accademico dell’Eui – l’organo che rappresenta tutti i professori dell’istituto – ha pubblicato una dichiarazione di ferma condanna delle violenze contro i civili in Medio Oriente, in cui ha chiesto un cessate il fuoco immediato e la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Ma soprattutto, l’Eui si è impegnato a garantire che l’Istituto “rimanga uno spazio sicuro per tutti, in particolare i suoi studenti e ricercatori, per esprimere liberamente le proprie opinioni e intraprendere proteste pacifiche”.La stessa presidente si è poi esposta personalmente: “In qualità di Presidente dell’Istituto Universitario Europeo, intendo garantire uno spazio in cui docenti e ricercatori possano porre tutte le domande, anche quelle che mettono in discussione ciò che diamo per scontato, purché ciò avvenga con rigore intellettuale e rispetto della dignità delle persone coinvolte”, ha dichiarato Nanz. Spronando chi nel mondo politico e accademico si è immediatamente opposto alle proteste a “distinguere tra i vari appelli e slogan che emergono da queste proteste – alcuni dei quali possono non essere condivisi – e le loro profonde radici nella difesa della pace, dello Stato di diritto e della vita umana“.

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    Borrell avverte Israele, con l’operazione militare a Rafah mette “a dura prova” le relazioni con l’Ue

    Bruxelles – Delle linee rosse che la comunità internazionale ha indicato a Israele nella sua feroce risposta all’attacco terroristico di Hamas, l’ultima è stata quella di non intraprendere alcuna operazione militare a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dove in questi otto mesi si sono ammassati più di un milione di sfollati palestinesi. Ora che Tel Aviv ha già un piede e mezzo oltre questa linea, arriva l’ennesimo avvertimento dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell: a rischio – se Netanyahu continuerà per la sua strada – ci sono le relazioni stesse tra l’Ue e Israele.In una nota pubblicata oggi (15 maggio), il capo della diplomazia europea ha esortato Israele – a nome dei 27 – a “porre fine immediatamente all’operazione militare a Rafah”. Un’operazione che sta causando “ulteriori interruzioni” nella distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza, “nuovi sfollamenti interni, esposizione alla carestia e sofferenza”. Secondo l’Ufficio di coordinamento per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha), l’offensiva di terra israeliana continua a espandersi, in particolare nella parte orientale di Rafah e intorno ai varchi di Kerem Shalom e Rafah. “A causa delle attuali operazioni militari israeliane e dell’insicurezza”, le rotte terrestri critiche di Kerem Shalom e Rafah – da lì dovrebbe entrare la maggior parte degli aiuti umanitari – “sono state chiuse dal 6 al 10 maggio 2024”, conferma Ocha.Tendopoli sulla spiaggia di Deir el-Balah, nel centro della Striscia di Gaza, in cui si stanno riversando migliaia di sfollati da Rafah (Photo by AFP)Nelle ultime settimane circa 150 mila persone hanno deciso di lasciare Rafah, seguendo l’ordine di evacuazione emanato dalle autorità israeliane verso aree che – come ritenuto dalle Nazioni Unite e sottolineato ancora una volta da Borrell – “non possono essere considerate sicure”. Per l’Alto rappresentante l’offensiva a Rafah è un punto di non ritorno: se Israele dovesse continuare a ignorare gli appelli della comunità internazionale, “ciò metterebbe inevitabilmente a dura prova le relazioni con l’Ue“.Fino ad oggi, il governo di Netanyahu è rimasto sordo a qualsiasi appello – vincolante o meno – delle maggiori istituzioni multilaterali globali. Anzi, le ha attaccate frontalmente: l’ultimo scontro si è consumato dopo la Risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu che consentirà alla Palestina di divenire membro delle Nazioni Unite. Il governo israeliano l’ha respinta, e l’ufficio del primo ministro ha dichiarato che “non permetteremo loro di creare uno stato terrorista dal quale possano attaccarci ancora più forte”. Parallelamente – e non è la prima volta – l’ambasciatore israeliano presso l’Onu ha dichiarato alla radio dell’esercito che l’Onu è diventato “un’entità terroristica“.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep BorrellBorrell ha ribadito anche che “Israele deve consentire e facilitare il passaggio senza ostacoli dei soccorsi umanitari per i civili”. Come stabilito dalle misure provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia il 26 gennaio e il 28 marzo per impedire un genocidio a Gaza. Sempre secondo Ocha, nei primi 10 giorni di maggio solo 9 delle 32 missioni di aiuto umanitario nel nord di Gaza sono state agevolate dalle autorità israeliane. Cinque sono state negate, undici sono state ostacolate e sette sono state cancellate a causa di problemi logistici. Allo stesso modo, nel sud della Striscia, Tel Aviv ha facilitato solo 25 delle 46 missioni di aiuto. Nove missioni sono state negate, tre ostacolate e nove sono state cancellate a causa di problemi logistici.Ricordando che, con il lancio di razzi su Kerem Shalom del 5 maggio scorso, anche Hamas è responsabile di aver ostacolato la consegna di aiuti umanitari, Borrell ha rilanciato l’invito “a tutte le parti a raddoppiare gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco immediato e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas”.

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    Israele rompe gli indugi e muove l’esercito su Rafah. Borrell: “Ci saranno molte vittime civili, non esistono zone sicure a Gaza”

    Bruxelles – Nella notte tra il 6 e il 7 maggio, Israele ha mosso le prime pedine della temuta – e osteggiata dalla comunità internazionale – operazione militare a Rafah, città nel sud della Striscia di Gaza dove si sono rifugiati più di un milione di sfollati palestinesi. Proprio mentre Hamas aveva accettato l’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione di una parte degli ostaggi, ritenuto però da Tel Aviv “ben lontano da soddisfare le richieste di Israele”.A seguito dell’uccisione di quattro soldati israeliani in un attacco di gruppi armati palestinesi, le forze di difesa israeliane avrebbero chiuso in modo congiunto i due varchi al confine con l’Egitto, Rafah e Kerem Shalom, e – secondo quanto denunciato dall’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) – starebbero momentaneamente bloccando l’ingresso degli aiuti alla popolazione civile. Mentre l’Associated Press ha riportato che almeno 23 palestinesi, tra cui almeno sei donne e cinque bambini, sarebbero morti nella raffica di attacchi e bombardamenti a Rafah effettuata dall’esercito israeliano durante la notte.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, a Bruxelles il 7/5/24“L’ultima triste notizia è che non esiste un accordo per un cessate il fuoco. Hamas ha accettato, Israele ha rifiutato e l’offensiva terrestre contro Rafah è ricominciata, nonostante tutte le richieste della comunità internazionale”, ha commentato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, in un punto stampa a Bruxelles. Nonostante Israele abbia ordinato l’evacuazione della parte orientale di Rafah verso una cosiddetta “area umanitaria allargata” ad Al Mawassi, cittadina sulla costa meridionale della Striscia, Borrell teme che “ciò causerà nuovamente molte vittime, vittime civili, qualunque cosa si dica”. Perché – come già sottolineato dalle Nazioni Unite – “non esistono zone sicure a Gaza“.Oltretutto, Ocha spiega che l’area da evacuare comprende nove siti che ospitano sfollati, tre cliniche e sei magazzini per la distribuzione di aiuti umanitari. “Con gli ordini di evacuazione odierni, 277 chilometri quadrati o circa il 76 per cento della Striscia di Gaza sono stati posti sotto ordine di evacuazione”, sottolinea l’ufficio dell’Onu. A Rafah, dal 7 ottobre a oggi, si sono man mano rifugiati circa 1,4 milioni di sfollati. Ultimo grande centro abitato non ancora raso al suolo dai bombardamenti israeliani, da settimane è al centro di un braccio di ferro tra Tel Aviv e la comunità internazionale, con le Nazioni Unite e l’Unione europea in testa a chiedere con fermezza a Netanyahu di rinunciare all’invasione.Un giovane palestinese tra le rovine di un palazzo distrutto dai bombardamenti israeliani su Rafah, 7/5/24 (Photo by AFP)Ma secondo Israele la vittoria su Hamas è impossibile senza prendere anche la roccaforte dove si nasconderebbero migliaia di combattenti e dove sarebbero custoditi gli oltre cento ostaggi ancora in mano al gruppo terroristico palestinese. L’invasione di Rafah sarebbe “intollerabile” per le sue “devastanti conseguenze umanitarie e l’impatto destabilizzante nella regione“, ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a cui ha fatto eco anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič: “Un’offensiva di terra su Rafah è totalmente inaccettabile. Aggiungerebbe una catastrofe alla catastrofe”.La scorsa settimana, nel corso di un dibattito a Maastricht, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva definito “totalmente inaccettabile” un eventuale attacco a Rafah, affermando che la Commissione avrebbe preso misure concrete nel caso di un’invasione israeliana. Ora che Netanyahu sembra aver definitivamente forzato la mano, “rifletteremo con i Paesi membri sulla risposta più appropriata“, ha dichiarato il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Peter Stano. Alla prossima riunione dei ministri degli Esteri dei 27, il prossimo 27 maggio.

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    Israele, l’imperativo dell’Ue è evitare l’escalation regionale. Borrell dal G7 avverte: “Mantenere alta l’attenzione su Gaza”

    Bruxelles – I centinaia di droni e missili lanciati dall’Iran verso il territorio israeliano, in risposta al bombardamento della sede diplomatica di Teheran a Damasco, hanno convogliato le energie – e le preoccupazioni – dei capi di stato e di governo Ue riuniti per il Consiglio europeo straordinario a Bruxelles. Ora l’imperativo è evitare ad ogni modo l’escalation tra le due potenze regionali: nelle conclusioni i 27 esortano “tutte le parti a esercitare la massima moderazione e ad astenersi da qualsiasi azione che possa aumentare la tensione” e mettono in chiaro di essere pronti a sanzionare ulteriormente l’Iran.Il nuovo scenario aperto dall’attacco iraniano riporta il blocco Ue a parlare con una voce unica. Sul Medio Oriente, dal 7 ottobre, farlo è sempre stata un’impresa. Nessuna ambiguità nella “condanna ferma e inequivocabile dell’attacco iraniano a Israele“, con i capi di stato e di governo che ribadiscono la “piena solidarietà al popolo israeliano e l’impegno per la sicurezza di Israele e per la stabilità regionale”.Contro Teheran, colpevole secondo l’Ue di una risposta “sproporzionata”, i leader danno il via libera al Servizio Europeo di Azione Esterna per proporre ulteriori misure restrittive, ” in particolare in relazione ai veicoli aerei senza pilota (UAV) e ai missili“. Al termine della prima giornata di lavori del vertice, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha sottolineato alla stampa che “l’impegno nella regione è fondamentale e dobbiamo isolare l’Iran, poniamo delle sanzioni contro l’Iran e lavoriamo con i nostri partner”.

    il presidente del Consiglio europeo, Charles MichelNon solo l’Iran, ma anche il Libano, dove al confine meridionale con Israele proseguono gli scambi di “cortesie” tra Hezbollah e le forze di difesa Israeliane. I 27 ricordano il “forte sostegno al Libano e al popolo libanese e riconoscono le difficili circostanze che il Libano sta attraversando a livello interno e a causa delle tensioni regionali”.Al di là della tensione crescente tra lo Stato ebraico e il regime degli ayatollah iraniani, l’epicentro del conflitto rimane però a Gaza. Dove Israele, nel tentativo di stanare e eliminare completamente Hamas, ha raso al suolo la gran parte della Striscia e causato più di 33 mila vittime palestinesi. “È necessario mantenere alta l’attenzione verso la guerra in corso a Gaza, dove la violenza è in aumento, e, al contempo, sostenere la difesa di Israele dagli attacchi dell’Iran”, ha avvertito l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, in un punto stampa a Capri, prima dell’inizio dei lavori della seconda giornata della ministeriale Esteri del G7 sotto presidenza italiana.Nelle conclusioni del vertice in corso a Bruxelles, il Consiglio europeo “ribadisce il suo impegno a collaborare con i partner per porre fine senza indugio alla crisi a Gaza”. Per la prima volta, i 27 mettono nero su bianco che l’assedio israeliano – che secondo la Corte di Giustizia Internazionale rischia di presentare alcuni tratti di un vero e proprio genocidio – può essere fermato “anche attraverso il raggiungimento di un cessate il fuoco immediato e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi”.Il muro di Netanyahu: “Apprezzo i consigli, ma Israele prende decisioni da solo”Agli appelli dell’Ue ha risposto indirettamente il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che alla riunione del suo gabinetto ha dichiarato: “Ringrazio i nostri amici per il loro sostegno in difesa di Israele. Hanno anche suggerimenti e consigli di ogni tipo, che apprezzo; tuttavia, vorrei anche chiarire che prenderemo le nostre decisioni da soli. Lo Stato di Israele farà tutto ciò che è necessario per difendersi“.Per ribadire l’intenzione di tirare dritto e non piegarsi alle richieste della comunità internazionale, Netanyahu ha annunciato l’approvazione di un nuovo Piano di espansione dei coloni nel Negev occidentale, con un investimento di 19 miliardi di Nis, circa 5 miliardi di euro. “I terroristi di Hamas hanno cercato di sradicarci. Noi li sradicheremo e approfondiremo le nostre radici. Costruiremo la Terra d’Israele e salvaguarderemo il nostro Stato”, ha chiuso il discorso Netanyahu. Tutto questo mentre Borrell, da Capri, insisteva perché “l’Ue adotti delle sanzioni contro chi ha commesso delle violenze contro i palestinesi in Cisgiordania”.

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    La relatrice Onu per i diritti umani del popolo palestinese a Bruxelles: Israele sta commettendo un genocidio a Gaza

    Bruxelles – Il Parlamento europeo di fronte al durissimo rapporto di Francesca Albanese sul genocidio perpetrato dallo Stato di Israele a Gaza. La relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, invitata a Bruxelles da Manu Pineda, eurodeputato spagnolo e presidente della delegazione dell’Eurocamera per le relazioni con la Palestina, ha tirato le somme di cinque mesi di dati, analisi e studi sull’offensiva di Tel Aviv: con la conclusione che “ci sono ragionevoli motivi per credere che la soglia che indica che Israele abbia commesso un genocidio è stata raggiunta“.Per stendere il rapporto, Albanese si è basata sul lavoro delle delle organizzazioni sul campo, sulla giurisprudenza internazionale, sui rapporti investigativi e sulle consultazioni con le persone colpite, le autorità, la società civile e gli esperti. Perché a lei, Israele vieta l’ingresso a Gaza. Dei cinque atti specifici “commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale”, che costituiscono il crimine di genocidio secondo la Convenzione internazionale del 1948, Israele ne avrebbe perpetrati tre: “uccidere membri del gruppo, causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo e infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portare alla sua distruzione fisica totale o parziale“.

    (credits: Yahya Hassouna / Afp)I dati a supporto della tesi di Albanese sono agghiaccianti. In cinque mesi di operazioni militari, Israele ha sganciato su Gaza 25 mila tonnellate di esplosivo, l’equivalente di due bombe nucleari. Oltre 30 mila palestinesi uccisi, tra cui più di 13 mila minori. Più di 12 mila presunti morti e 71 mila feriti, molti dei quali con mutilazioni che cambiano la vita. Il 70 per cento delle aree residenziali è stato distrutto. L’80 per cento dell’intera popolazione è stata sfollata con la forza. “L’incalcolabile trauma collettivo sarà eredità delle generazioni a venire”, scrive la Relatrice delle Nazioni Unite.Secondo Albanese “gli atti di genocidio sono stati approvati e resi effettivi a seguito di dichiarazioni di intenti genocidari rilasciate da alti funzionari militari e governativi”. Le accuse sono pesantissime: lo stato di Israele e gli alti gradi delle Idf hanno “cercato di nascondere la propria condotta eliminazionista“, distorcendo le regole del diritto internazionale umanitario e trattando un intero gruppo protetto e le sue infrastrutture vitali come “terroristi” o “sostenitori del terrorismo”. Trasformando così “tutto e tutti in un bersaglio o in un danno collaterale”.La giurista e docente specializzata in diritti umani ripercorre anche le cause profonde, andando ben al di là dell’atroce attacco di Hamas del 7 ottobre. “Il genocidio di Israele sui palestinesi di Gaza è una fase di escalation di un processo di cancellazione coloniale di lunga data. Per oltre sette decenni questo processo ha soffocato il popolo palestinese come gruppo – demograficamente, culturalmente, economicamente e politicamente, cercando di spostarlo e di espropriare e controllare la sua terra e le sue risorse”, scrive ancora Albanese.Alla luce delle evidenze elencate nel rapporto, la Relatrice dell’Onu lancia l’appello a tutti gli Stati membri per “attuare immediatamente un embargo sulle armi nei confronti di Israele“. Perché lo Stato ebraico e i Paesi “che si sono resi complici di ciò che può essere ragionevolmente concluso come genocidio, dovranno essere chiamati a rispondere e a fornire risarcimenti commisurati alla distruzione, morte e ai danni inflitti al popolo palestinese”. Albanese chiede anche alla comunità internazionale di sostenere il Sudafrica, che ha fatto ricorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a seguito del mancato rispetto da parte di Israele delle misure imposte dalla Corte internazionale di giustizia per prevenire il crimine di genocidio.