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    La Corte de l’Aia ha ordinato a Israele di “adottare le misure necessarie” per scongiurare il genocidio a Gaza

    Bruxelles – Un’occasione persa per chiedere a Israele di interrompere le operazioni militari a Gaza. O “una vittoria decisiva per lo Stato di diritto internazionale”, come l’ha definita il ministero degli Esteri del Sudafrica. Tutto sta nel voler vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Dalla Corte de l’Aia esce il primo verdetto: Israele deve “adottare tutte le misure in suo potere” per impedire un genocidio contro il popolo palestinese.C’era grande attesa per le misure provvisorie che la Corte Internazionale di Giustizia avrebbe ordinato di intraprendere a Tel Aviv, portata a giudizio dal Sudafrica con l’accusa di aver violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio, alla luce delle oltre 26 mila vittime dei bombardamenti su Gaza. Ma prima ancora, il primo punto fermo che esce dall’aula è che i giudici non hanno archiviato il caso, perché hanno ritenuto che alcune delle denunce presentate dal Sudafrica sono giustificate.Messo nero su bianco questo, l’aspettativa era alta perché il tribunale aveva la possibilità di chiedere – o meglio imporre, essendo le sue decisioni vincolanti – a Israele di porre fine immediatamente alla devastante risposta militare all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. E di spostare dunque le sorti della guerra. Ma dalla giuria, presieduta dalla statunitense Joan Donoghue, non è arrivato l’ordine di un cessate il fuoco. Israele dovrà però riferire alla corte entro un mese le precauzioni adottate per prevenire gli atti di genocidio nella Striscia, e dovrà conservare le prove di queste misure e renderle accessibili a missioni internazionali e altri organismi che operano a Gaza.

    La giudice Joan E. Donoghue [Photograph: UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek]Oltre a “garantire con effetto immediato che il suo esercito non commetta nessuno degli atti” che il Trattato internazionale del 1948 riconosce come genocidio, la Corte ha chiesto ad Israele di adottare tutte le misure in suo potere per “prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio contro i membri della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza”. In linea con quanto gli appelli della comunità internazionale, l’Aia chiede che siano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”.La giuria internazionale ha sottolineato infine che “tutte le parti in conflitto nella Striscia di Gaza sono vincolate dal diritto internazionale umanitario” e ha chiesto “il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi” ancora prigionieri di Hamas.Le reazioni di Israele e Palestina al verdetto della Corte de l’AiaVedono il bicchiere mezzo pieno il Sudafrica, che ha definito la giornata di oggi “una pietra miliare significativa nella ricerca di giustizia per il popolo palestinese“, e l’Autorità nazionale palestinese (Anp), il cui ministro degli Esteri, Riyad al Maliki, ha celebrato la sentenza ricordando che le decisioni del tribunale che fa capo alle Nazioni Unite sono vincolanti.Sospiro di sollievo a Bruxelles, dove le istituzioni europee si sarebbero trovate in difficoltà – dopo tre mesi di supporto a Israele e le recenti dichiarazioni di sostegno incondizionato alla Corte de l’Aia – in caso di una sentenza più dura nei confronti di Tel Aviv. “L’Ue si aspetta una piena, immediata ed effettiva implementazione” delle misure provvisorie richieste dalla Corte di Giustizia Internazionale, si legge in una nota congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell.Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha commentato che “l’impegno di Israele nei confronti del diritto internazionale è incrollabile, così come incrollabile è il nostro sacro impegno a continuare a difendere il nostro Paese”. Secondo Netanyahu la Corte ha “giustamente respinto” il “vile tentativo di negare a Israele il suo diritto fondamentale” all’autodifesa. Ma la stessa “volontà della Corte di discutere” del possibile genocidio contro i palestinesi “è un marchio di vergogna che non sarà cancellato per generazioni”. Secondo media locali, il premier israeliano avrebbe chiesto ai suoi ministri di non commentare la sentenza, per paura di uscite sopra le righe. Che sono puntualmente arrivate: il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha definito la corte de l’Aia “antisemita“, perché “non cerca giustizia, ma la persecuzione del popolo ebraico”. E ha invitato “non ascoltare decisioni che mettono in pericolo la sopravvivenza dello Stato di Israele”.

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    L’Ue crede ancora nella soluzione dei due Stati respinta sia da Israele che da Hamas. E pensa a “condizionalità” per raggiungerla

    Bruxelles – Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato senza remore all’alleato americano che Israele si opporrà alla creazione di uno Stato palestinese alla fine della guerra contro Hamas. Ma l’Ue non si rassegna: al Consiglio Affari Esteri previsto lunedì 22 gennaio, i 27 cercheranno di rilanciare la soluzione dei due Stati in due discussioni separate con i ministri degli Esteri di Israele e dell’Autorità Nazionale Palestinese.Nella capitale europea arriveranno, oltre all’israeliano Israel Katz e il palestinese Riyad al-Maliki, anche i ministri degli Esteri di tre Paesi chiave della regione: Arabia Saudita, Giordania ed Egitto. Ed il Segretario generale della Lega degli Stati arabi, Ahmed Aboul Gheit. Una “coreografia piuttosto complessa”, come l’ha definita un alto funzionario Ue ,su cui l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “ha investito fortemente dal primo giorno” del conflitto.Gli argomenti principali del “balletto” saranno la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e la necessità di un’ assistenza continua e senza ostacoli alla popolazione palestinese, un rinnovato appello per il rilascio degli ostaggi e la piena implementazione – da parte di Israele ed Hamas – delle risoluzioni delle Nazioni Unite, la situazione in Cisgiordania e i rischi di un’escalation regionale, anche nel Mar Rosso. Ma i ministri dei 27, insieme ai partner arabi, rifletteranno anche sul “giorno dopo”, su un possibile piano di pace e della necessità di passi concreti per rilanciare la soluzione dei due Stati, anche attraverso il continuo sostegno all’Autorità palestinese.Benjamin Netanyahu e il ministro Bezalel Smotrich del Partito estremista Sionismo Religioso  (Photo by RONEN ZVULUN / POOL / AFP)Gli obiettivi sono “una piena normalizzazione dei rapporti di Israele con i Paesi arabi, la sicurezza di Israele e uno Stato palestinese indipendente”. Una mission impossible, all’indomani della nuova chiusura di Netanyahu alla possibilità di lavorare per la creazione di uno Stato sovrano palestinese che coesista pacificamente con Israele. “Nessun diplomatico o politico israeliano ha mai parlato della soluzione dei due Stati dal 7 ottobre”, ammettono fonti europee. Anzi, diversi ministri – e ora anche il capo di governo – hanno pubblicamente rigettato quell’orizzonte.Orizzonte negato peraltro anche da Hamas, che aspira alla distruzione dello Stato d’Israele. Ma pe l’Ue è “molto difficile immaginare alternative, per il popolo palestinese l’unica possibilità di avere un futuro è di avere un proprio Stato che conviva di fianco a Israele“. Se con Hamas, che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica, non esistono finestre di dialogo, Tel Aviv è uno strettissimo partner di Bruxelles, con cui l’Ue intrattiene dal 2000 un Accordo di Associazione. Un alto funzionario europeo ha aperto alla possibilità di fare pressione a Israele per sciogliere le resistenze vero la soluzione dei due Stati: “Stiamo proponendo alcune idee agli Stati membri, e parte di queste idee riguardano chiaramente anche come potremo usare le nostre condizionalità in futuro“.Dall’anno della sua istituzione, l’Accordo di Associazione Ue-Israele è stato spesso bersaglio di dure critiche. Un accordo che si fonda sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali, che Israele calpesta sistematicamente non solo nell’attuale bombardamento massivo di Gaza, ma anche con l’occupazione progressiva della Cisgiordania e lo sfollamento forzato delle comunità palestinesi. Rimettere in discussione l’accordo significherebbe mettere sul tavolo una serie di agevolazioni commerciali che per l’economia di Israele – per cui l’Ue è il primo partner commerciale – sono di vitale importanza.A che punto sono i lavori sulla missione navale Ue nel Mar RossoSu un binario parallelo il Servizio Europeo d’Azione Esterna (Seae), è al lavoro per proporre ai 27 un regime di misure restrittive per i coloni israeliani estremisti: “Gli americani l’hanno fatto, il Regno Unito l’ha fatto, ora sta a noi sanzionare persone che sono un ostacolo alla pace”, ha dichiarato una fonte Ue. L’altro punto su cui si concentreranno gli scambi tra i ministri è l’allargamento delle tensioni al Mar Rosso, dove da ormai due mesi i ribelli Houthi – foraggiati dall’Iran – attaccano dallo Yemen le navi cargo che attraversano il canale di Suez.Mar Rosso, una guardia Houthi su una nave con bandiera della Bahamas, sequestrata in un porto yemenita (Photo by AFP)I 27 discuteranno della missione navale a guida europea che il Seae vorrebbe rendere operativa il prima possibile. Sicuramente non già lunedì, dove l’obiettivo è solo confermare che “il principio che l’Ue dovrebbe essere presente con un’operazione militare sia accettato” da tutti. Una missione difensiva, che implichi l’uso della forza per rispondere al “fuoco in arrivo” e che possa contare su almeno “tre navi” militari in grado di abbattere “missili, razzi o droni” lanciati contro le imbarcazioni dirette o provenienti dal Canale di Suez.L’idea è quella di allargare Agenor, un’operazione già esistente sullo stretto di Hormuz, nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano. Sarebbe la scelta più rapida, perché eviterebbe di passare dai parlamenti nazionali (quelli che lo richiedono): “Stiamo parlando con i Paesi membri che ne fanno parte”, ha spiegato la fonte. Della missione Agenor fanno parte Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Olanda e Norvegia. La missione, che non prevede “operazione a terra”, sarà infatti “aperta” alla partecipazione di Paesi non Ue, interessati a preservare la libertà di navigazione nel Mar Rosso. L’obiettivo resta approvare la missione nel Consiglio Affari Esteri del 19 febbraio.

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    Per il Sudafrica Israele “ha commesso e continua a commettere atti di genocidio” a Gaza. Ora tocca alla difesa

    Bruxelles – Un’accusa che parte da molto lontano. Dalla Nakba del 1948, passando per l’occupazione israeliana dei territori palestinesi nella guerra dei sei giorni del 1967, fino alla più recente chiusura della Striscia di Gaza nel 2007. E che si conclude con i numeri sconvolgenti – oltre 23 mila morti – delle vittime dei bombardamenti degli ultimi tre mesi. Per il Sudafrica “Israele ha commesso, sta commettendo e vuol continuare a commettere atti di genocidio contro i palestinesi di Gaza“.Nella prima delle due udienze per stabilire l’ammissibilità del caso che Pretoria ha sottomesso alla Corte Internazionale di Giustizia, il team legale sudafricano ha puntato il dito soprattutto contro l’entità delle devastazioni a Gaza e la retorica “disumanizzante” utilizzata sempre più di frequente da esponenti del governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Sono stati otto gli interventi per convincere i 17 giudici de l’Aia, 15 di nomina delle Nazioni Unite e uno per ciascuno Stato contendente, che Israele abbia violato la Convenzione per la prevenzione e repressione del genocidio del 1948.Perché, come sottolineato dal ministro della Giustizia sudafricano, Ronald Lamola, “nessun attacco, per quanto grave, può giustificare una violazione della Convenzione, sia sul piano della legge che della moralità” e “Israele ha oltrepassato questa linea e ha violato la Convenzione sul genocidio”. L’avvocato 87enne John Dugard, uno dei padri costituenti del Sudafrica post-apartheid, ha definito la Striscia di Gaza “un campo di concentramento dove è in corso un genocidio”.Membri della delegazione del Sudafrica (UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek)In un documento di 84 pagine, il team legale di Pretoria ha raccolto prove di uccisioni, gravi danni mentali e fisici, evacuazioni forzate, fame diffusa. Della creazione cioè di “condizioni calcolate per provocare la distruzione fisica” del popolo palestinese, ha spiegato l’avvocata Adila Hassim. I palestinesi di Gaza “vengono uccisi nelle loro case, nei luoghi in cui cercano rifugio, negli ospedali, nelle scuole, nelle moschee, nelle chiese”, ha dichiarato Hassim rivolgendosi ai giudici, “il livello di uccisioni è così ampio che i corpi trovati sepolti in fosse comuni spesso non vengono identificati”. Nel suo intervento, il legale Tembeka Ngcukaitobi si è invece concentrato sulla “retorica genocida”, citando le parole del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e del ministro per la Sicurezza Nazionale, Ben Gvir. “Combattiamo contro animali umani” e “Non esistono civili non coinvolti a Gaza”, le due frasi oggetto dell’accusa.Mentre era in corso l’udienza, diversi governi nazionali hanno espresso il proprio sostegno all’iniziativa sudafricana. Oltre ai 57 membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, anche Bolivia, Namibia, Brasile e Cuba hanno dato il loro appoggio, mentre il governo del Cile starebbe già preparando i documenti necessari per aderire alla denuncia contro Israele. Dall’Ue, dopo che la vicepremier del Belgio, Petra De Sutter, ha dichiarato che proporrà al governo belga di “agire presso la Corte internazionale di giustizia, seguendo l’esempio del Sudafrica, anche la Slovenia ha pubblicamente sostenuto Pretoria. Parole di elogio sono arrivate anche da grandi organizzazioni che difendono i diritti umani nel mondo, come Human Rights Watch e Actionaid.Dall’altra parte, gli Stati Uniti hanno già definito il procedimento presso la Corte de L’Aia “controproducente e completamente privo di fondamento“. Giudizio rilanciato anche da Germania e Italia, con la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, che ha chiarito che dal punto di vista di Berlino quella di Israele “è autodifesa, non genocidio”, e il vicepremier Antonio Tajani che ha glissato affermando che “genocidio è altro”.L’avvocato inglese Vaughan Lowe ha specificato in aula che “in questa fase non è necessario determinare se Israele abbia o meno agito contrariamente ai suoi obblighi verso la Convenzione“, ma è quanto più necessario imporre “urgenti misure cautelari“. Oggi (12 gennaio) è il turno della difesa di Israele, che verosimilmente si concentrerà sul tentativo di dimostrare di aver messo in campo quante più precauzioni possibili per distinguere gli obiettivi militari dalla popolazione civile.La delegazione israeliana a l’Aia (UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek)In una nota diplomatica, Israele ha ribadito di impegnarsi a operare “in conformità con il diritto internazionale“, dirigendo le sue operazioni militari a Gaza “esclusivamente contro Hamas e altre organizzazioni terroristiche”. È Hamas che “utilizza la popolazione palestinese come scudi umani” e a tal fine ha “deliberatamente costruito la sua infrastruttura del terrore intorno e sotto ospedali, scuole, moschee e altri siti civili”.In base a quanto scritto nel comunicato, Israele cercherà inoltre di ribaltare l’accusa di genocidio: “Hamas è impegnato nel genocidio del popolo ebraico” e il suo statuto “invita allo sterminio degli ebrei”. Per questo, in definitiva, “diffamando Israele in un momento in cui si sta difendendo da coloro che cercano di annientarlo, il Sudafrica si è reso criminalmente complice di un’organizzazione terroristica e genocida“.

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    Israele, giovedì 11 a l’Aia la prima udienza sul possibile genocidio in corso a Gaza

    Bruxelles – La questione è complessa, potrebbe richiedere parecchio tempo. A partire da domani (11 gennaio), quando prenderà il via il procedimento immediato invocato dal Sudafrica presso la Corte di Giustizia Internazionale de l’Aia (ICJ), per stabilire se Israele si sta macchiando del crimine di genocidio con la sua azione militare nella Striscia di Gaza.L’accusa di Johannesburg, giunta a l’Aia lo scorso 29 dicembre, sostiene che Israele avrebbe violato la Convenzione sul genocidio, trattato internazionale approvato dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1948 e ratificato da Tel Aviv nel 1950. La convenzione, che conferisce all’ICJ – il massimo organo giuridico delle Nazioni Unite – la giurisdizione per pronunciarsi sulle controversie sul trattato, definisce il genocidio come gli “atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.Nella documentazione di 84 pagine depositata alla Corte si legge che “gli atti e le omissioni di Israele denunciati dal Sudafrica sono di tipo genocida perché volti a provocare la distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese“. Un’accusa pesante, formulata alla luce delle ormai 23 mila vittime dei bombardamenti su Gaza, di cui il 70 per cento donne e bambini. E su diverse ricostruzioni che hanno rivelato che negli ultimi mesi l’esercito israeliano ha sganciato oltre 200 bombe particolarmente distruttive in zone della Striscia che in precedenza aveva indicato come sicure, e dove aveva quindi suggerito ai civili di rifugiarsi.Per arrivare a una sentenza potrebbe volerci molto tempo, a causa dell’impossibilità di accedere alla Striscia di Gaza e portare avanti indagini indipendenti. Israele ha immediatamente “rifiutato con disgusto” le accuse “senza fondamenti fattuali e legali” del Sudafrica, forte del sostegno americano, secondo cui il procedimento è “controproducente e completamente privo di fondamento“. Ma i 57 membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica e alcuni altri governi nel mondo – la Bolivia, la Namibia – hanno sposato l’accusa a Israele.A loro potrebbe presto aggiungersi il Belgio: ieri la vicepremier Petra De Sutter ha dichiarato in un tweet che “il Belgio non può restare a guardare l’immensa sofferenza umana a Gaza” e che è necessario “agire contro la minaccia di genocidio”. De Sutter ha assicurato che proporrà al governo belga di “agire presso la Corte internazionale di giustizia, seguendo l’esempio del Sudafrica“. Una goccia nel mare di indifferenza dei 27 Paesi dell’Ue, che per ora hanno preferito non prendere posizioni nette. Mentre da Bruxelles, il portavoce della Commissione europea Peter Stano ha commentato che “l’Ue supporta l’operato dell’ICJ” ma “non fa parte di questa causa, non spetta a noi commentarla, è ancora un caso in corso“.Raggiunto da Eunews, Stano ha spiegato che “l’Ue non è e non può essere parte o intervenire in un cosiddetto ‘caso controverso’ davanti alla Corte internazionale di giustizia”, cioè un caso che rappresenta una disputa legale tra Stati. Sono gli Stati membri dell’Ue, in quanto Stati parte della Convenzione sul genocidio, ad avere la possibilità di intervenire. “Al momento non ci risulta che nessuno Paese membro abbia espresso l’intenzione di farlo”, ha concluso il portavoce dell’esecutivo Ue.

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    Borrell condanna il presunto piano di Israele per il trasferimento forzato dei Palestinesi da Gaza

    Bruxelles – La comunità internazionale contro i presunti colloqui che lo Stato di Israele starebbe conducendo con il Congo e altri Paesi per sondare la possibilità di trasferirvi migliaia di palestinesi, legittimi abitanti della Striscia di Gaza.Sono in particolare le solite “dichiarazioni provocatorie e irresponsabili” dei ministri israeliani di estrema destra Ben Gvir e Smotrich, come le ha definite l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, a destare preoccupazione. Perché Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, ha ribadito nella giornata di ieri (3 gennaio) che “incoraggiare l’emigrazione di massa da Gaza consentirà agli israeliani che vivono al confine di tornare a casa in sicurezza”. A cui ha fatto eco il ministro della Finanze, Bezalel Smotrich: il leader del partito Sionismo religioso ha dichiarato che “più del 70 per cento dell’opinione pubblica israeliana” sostiene la necessità di incoraggiare il trasferimento dei palestinesi dall’enclave di Gaza.I ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich (Photo by AMIR COHEN / POOL / AFP)Immediate le critiche: “Gli spostamenti forzati sono severamente vietati in quanto grave violazione del diritto internazionale umanitario“, ha commentato Borrell, aggiungendo un laconico “e le parole contano”. Anche il dipartimento di Stato americano ha bollato le dichiarazioni dei due ministri di Tel Aviv come “retorica infiammatoria e irresponsabile“. Ma Smotrich, rigettando le critiche dell’alleato a stelle e strisce, avrebbe insistito che una politica di reinsediamento è necessaria, perché “a quattro minuti dalle nostre comunità c’è un focolaio di odio e terrorismo, dove due milioni di persone si svegliano ogni mattina con l’aspirazione alla distruzione di dello Stato di Israele e con il desiderio di massacrare, violentare e uccidere gli ebrei ovunque si trovino”.D’altronde – come riportato dal Times of Israel – lo stesso Benjamin Netanyahu, durante una riunione del Likud, il suo partito, avrebbe ammesso di essere al lavoro per facilitare la migrazione volontaria dei palestinesi. “Il nostro problema è solo trovare chi sia disposto ad assorbirli”, avrebbe confidato al suo partito. Ma questa mattina un altro autorevole quotidiano israeliano, Haaretz, ha smentito le voci di contatti segreti tra Netanyahu e il governo del Congo, oltre ad altre nazioni, per l’accoglienza di migliaia di immigrati da Gaza. Una fonte di Tel Aviv avrebbe definito “illusioni infondate” gli appelli dei ministri di estrema destra, perché “non sappiamo come trasportare persone da qua al Congo e nessun Paese accetterebbe di accogliere abitanti di Gaza, non un milione e nemmeno 5.000″.Una zona residenziale di Gaza devastata dai bombardamenti israeliani(credits: Yahya Hassouna / Afp)Al di là del camuffamento dei piani della destra più estremista israeliana sotto il nome di “reinsediamenti volontari”, è chiaro che quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza lascia numerosi dubbi sul futuro che Israele immagina per quella terra. Secondo gli ultimi bollettini diffusi da Ocha-Opt, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari nei territori palestinesi occupati, le forze di difesa israeliane hanno distrutto – almeno parzialmente – più del 60 per cento delle unità abitative della Striscia. E reso l’85 per cento dei suoi abitanti, quasi 2 milioni di persone, sfollati interni.

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    A Gaza lo spettro della fame. L’Ue chiede un “accesso umanitario continuo”, ma senza nominare Israele

    Bruxelles – “Profondamente scioccati” dai risultati della valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc) sulla crisi alimentare a Gaza. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, e il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, parlano di un “campanello d’allarme per il mondo intero affinché agisca ora per prevenire una catastrofe umana mortale“. Ma non chiamano mai in causa Israele.Secondo il sistema di  classificazione sviluppato nel 2004 dalla Fao, l’Agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, tra l’8 dicembre 2023 e il 7 febbraio 2024, l’intera popolazione della Striscia di Gaza – circa 2,2 milioni di persone – si trova almeno nella Fase 3 dell’Ipc, quella che viene chiamata fase di crisi. “Si tratta della percentuale più alta di persone che affrontano livelli elevati di insicurezza alimentare acuta che l’Ipc abbia mai classificato per una determinata area o paese”, viene sottolineato nella valutazione.La scala del rischio alimentare utilizzata nelle valutazioni dell’IpcMa lo scenario è ancora più drammatico. Perché circa il 50 per cento della popolazione (1,17 milioni di persone) è già nella Fase 4, in una situazione di emergenza e almeno una famiglia su quattro – più di mezzo milione di persone – è al gradino finale della scala: chi è nella fase 5 si trova ad affrontare “condizioni catastrofiche” e  “un’estrema mancanza di cibo”.Non è frutto di un disastro naturale, di un’estrema siccità o di un impressionante alluvione: “Le ostilità, i bombardamenti, le operazioni di terra e l’assedio dell’intera popolazione, la riduzione dell’accesso al cibo, ai servizi di base e all’assistenza salvavita, e l’estrema concentrazione o isolamento delle persone in rifugi inadeguati o in aree prive di servizi di base sono i principali fattori” che contribuiscono a raggiungere questi livelli catastrofici di insicurezza alimentare acuta in tutta la Striscia di Gaza, con un rischio sempre più palpabile di carestia.(Photo by MOHAMMED ABED / AFP)È dunque la strategia militare messa in campo da Israele che ha ridotto gli abitanti di Gaza alla fame, denuncia l’IPC. Eppure, nonostante ciò, l’Unione europea sceglie di non chiamare direttamente in causa Israele.  La dichiarazione congiunta di Borrell e Lenarčič, che nel gabinetto di Ursula von der Leyen sono comunque le voci più critiche sul trattamento che Israele sta riservando alla popolazione palestinese, lo dimostra un’altra volta.“Abbiamo urgentemente bisogno di un accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli per evitare un ulteriore peggioramento di una situazione già catastrofica – avvertono Borrell e Lenarčič –. Ribadiamo l’urgente appello al rispetto del diritto internazionale umanitario. Gli aiuti devono raggiungere coloro che ne hanno bisogno attraverso tutti i mezzi necessari, compresi corridoi e pause umanitarie“. Non una volta la responsabilità è attribuita a Israele.I due passano poi in rassegna i numeri della mobilitazione europea: 100 milioni di euro di aiuti umanitari a Gaza, di cui 46 milioni “specificamente destinati all’assistenza alimentare e alla copertura sanitaria e di altri bisogni primari”. E 125 milioni già stanziati per il 2024. Risorse mobilitate per la sopravvivenza di un popolo che forse avrebbe altrettanto bisogno di parole più dure nei confronti di Israele.

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    L’Ambasciatore dell’Autorità Palestinese a Bruxelles: “L’Ue è complice del massacro di Gaza, sta perdendo la propria credibilità”

    Bruxelles – Non sono l’autorità o gli strumenti che mancano, ma “la volontà politica”. Mentre nella Striscia di Gaza si scende ogni giorno un gradino verso l’inferno, con 20 mila vittime in poco più di due mesi a causa dei bombardamenti a tappeto israeliani e oltre un quarto della popolazione che rischia la fame, l’Unione Europea non si schioda da un supporto all’azione militare di Tel Aviv che nel resto del mondo risulta sempre più ambiguo.“Oggi chi crede più all’Europa quando dichiara di difendere il diritto internazionale?”, si chiede Adel Atieh, ambasciatore dell’Autorità Nazionale Palestinese presso l’Ue. In un’intervista a Eunews, il diplomatico palestinese ha spiegato la frustrazione di un popolo che “non ha più un orizzonte politico” e che sta vivendo una delle pagine più drammatiche della sua storia.Eunews: Ambasciatore Atieh, cosa ne pensa della posizione espressa dai Paesi Ue sul conflitto tra Israele e Hamas all’ultimo Consiglio europeo?Adel Atieh: “Sono rimasto sorpreso che non ci fossero conclusioni sul Medio Oriente. La situazione sul campo si è evoluta in modo drammatico e davanti ai bombardamenti massivi sui civili a Gaza mi aspettavo che l’Ue adottasse quanto meno delle conclusioni per chiedere un cessate il fuoco. La situazione è drammatica e la crisi umanitaria necessita di una presa di posizione chiara da parte dell’Unione europea. Se non c’è un appello per il cessate il fuoco, significa che si è d’accordo con quello che fa Israele sul campo”.Eunews: Ma lei vede una qualche evoluzione nelle dichiarazioni dell’Ue sul conflitto dal 7 ottobre a oggi?Il campo profughi di Jabalia, nella Striscia di Gaza, devastato dai bombardamenti israeliani (credits: Yahya Hassouna / Afp)Atieh: “Se misuriamo la posizione attuale dell’Ue in rapporto a quella iniziale, si nota effettivamente un’evoluzione: all’inizio un supporto incondizionato a Israele e al suo diritto di difendersi, poi un sì ma rispettando il diritto internazionale umanitario. Ma non è sufficiente, vista la dimensione del massacro. Oggi siamo vicini a 20 mila morti, l’1 per cento della popolazione di Gaza, e più di 7 mila dispersi sotto le macerie. La posizione dell’Ue non è all’altezza della sua responsabilità politica e morale.È inaccettabile che nel 21esimo secolo l’Unione europea chiuda gli occhi sul genocidio in corso a Gaza. Fino ad oggi l’Ue ha scelto di seguire la posizione americana. Bisogna che l’Ue si smarchi dagli Stati Uniti e provi a parlare con una voce ragionevole. L’Ue ha l’autorità e i mezzi per fare pressione su Israele, ma non ha la volontà politica”.Eunews: Lei parla di mancanza di volontà politica. Non è che l’Unione europea è diventata insignificante in Medio Oriente?Atieh: “Israele ha imparato a disprezzare le posizioni della comunità internazionale e dell’Ue perché sa che sono dichiarazioni senza azioni. Per questo Israele se ne frega, perché sa bene che l’Ue adotterà dichiarazioni ma non misure concrete per imporre qualcosa. Al contrario, l’Ue è complice di quel che fa Israele, perché non solo non chiede un cessate il fuoco, ma fornisce la protezione politica e diplomatica a Israele nelle istituzioni internazionali”.Crediamo che l’Ue ha le possibilità e gli strumenti di impattare sul comportamento dello stato di Israele. l’Ue è il primo partner commerciale per Israele: se minacciasse di sospendere l’accordo di associazione, Israele reagirebbe immediatamente. Se incoraggiasse il lavoro della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra commessi da Israele, Israele si fermerebbe a riflettere”.Eunews: Quindi lei è d’accordo con l’accusa mossa all’Ue di utilizzare doppi standard in Ucraina e a Gaza?Atieh: “C’è una politica di doppi standard politici e morali. L’Ue ha degli strumenti potenti per sanzionare Israele, sul piano economico, politico e diplomatico. Ma non solo non fa niente per fermare la guerra, incoraggia anche Israele a continuare il massacro. Per sostenere l’Ucraina l’Ue si è mobilitata in difesa del diritto internazionale, mentre dall’altra parte si mette dietro una potenza occupante che viola tutte le regole del diritto internazionale. L’Ue sta perdendo la propria credibilità e legittimità come attore politico globale che pretende di difendere la legge, è vittima del disequilibrio delle sue posizioni. Oggi chi crede più all’Europa quando dichiara di difendere il diritto internazionale?”Eunews: Però Gaza è governata da un gruppo estremista che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica.Atieh: “È completamente ridicolo dire che non si può chiedere un cessate il fuoco perché bisogna eliminare Hamas. È la quinta guerra di Israele a Hamas e non c’è mai riuscita. E anche se riuscisse a eliminare le sue infrastrutture militari, non significa che Hamas scomparirà. Hamas è un’idea, un’ideologia che trova la sua credibilità nel fallimento del processo di pace. La sola fonte di legittimazione di Hamas oggi è il fallimento della soluzione a due Stati: da trent’anni cerchiamo di negoziare con Israele per mettere fine all’occupazione, ma Israele l’ha solo rinforzata. Nel 1993 c’erano 250 mila coloni, ora sono 750 mila. Dal momento che Israele ha portato al fallimento il processo di pace, le persone cominciano a riflettere su altri modi per mettere fine all’occupazione. Non amiamo questi altri modi, non siamo d’accordo con Hamas, ma quel che fa Israele da 75 anni è mille volte più grave”.Eunews: Ha provato a spiegarsi il perché dell’attacco messo in atto da Hamas il 7 ottobre?Ursula von der Leyen e Roberta Metsola al kibbutz di Kfar Azza, dove Hamas ha massacrato oltre 100 civili israeliani il 7 ottobreAtieh: “Da quattro anni dico agli ambasciatori dei 27 al Comitato politico e di sicurezza di fare attenzione: le provocazioni sistematiche del governo israeliano e dei suoi estremisti, le violazioni dei luoghi santi musulmani a Gerusalemme, i prigionieri palestinesi, i pogrom e le aggressioni dei coloni, la politica di confisca della terra, la repressione quotidiana dell’esercito israeliano nei villaggi palestinesi. Tutto questo porterà ad un’esplosione. Non si può pensare che la popolazione palestinese possa accettare tutto questo. Questo ha provocato la reazione di Hamas. Chiunque sotto questa pressione reagirebbe. Non sono per niente d’accordo con la reazione, ma come esigere da un popolo sotto occupazione da 75 anni di continuare a essere umiliato?Io avevo avvertito che l’assenza di un orizzonte politico avrebbe portato qualcun altro con un’alternativa, qualcuno che dice che lanciando razzi si potrà cacciare gli occupanti. Anche Israele sa che la soluzione a Gaza non è una soluzione militare, e il solo modo di delegittimare l’altra parte e rinforzare la credibilità dell’Anp è creare un orizzonte credibile per la soluzione a due Stati”.Eunews: Se l’Unione europea non sta facendo abbastanza, cosa pensa della posizione dei Paesi arabi della Regione? Atieh: “È una posizione responsabile perché evita l’escalation del conflitto. Ma sul piano politico sono molto attivi, bisogna riconoscerlo. E sul piano popolare c’è una grande mobilitazione e solidarietà nel mondo arabo. Alcuni rimproverano ai Paesi arabi di non dichiarare guerra a Israele, ma cosa dovrebbero fare? Mettere un embargo sul petrolio contro il mondo occidentale? Sostenere o inviare munizioni a Hamas? Sicuramente non possiamo chiedere ai Paesi arabi di aprire le frontiere e accogliere i rifugiati palestinesi. No. Sarebbe un altra Nakba”.Eunews: E l’Autorità Nazionale Palestinese, sta facendo abbastanza?Bill Clinton, il leader dell’OLP Yasser Arafat (R) e il primo ministro israeliano Yitzahk Rabin alla Casa Bianca dopo la firma degli accordi di Oslo nel 1993 (Photo by J. DAVID AKE / AFP)Atieh: “La nostra preoccupazione è come preservare e portare ad un applicazione la soluzione a due Stati. È il nostro progetto e la nostra priorità. Si può accusare l’Anp di qualsiasi cosa, ma chi sta uccidendo la soluzione a due Stati è chi sta costruendo insediamenti, facendo apartheid, bombardando la popolazione civile. È Israele. Oggi Netanyahu non smette di ripetere di essere fiero di aver sabotato la soluzione a due Stati. Non è l’azione o il comportamento dell’Anp che stanno rovinando la soluzione a due Stati. Se siamo d’accordo su questo, possiamo andare oltre e parlare di alcune cose, la performance delle nostre istituzioni, la democratizzazione, quello che volete. Ma non è questo che distrugge la soluzione a due Stati.Anche la soluzione a Gaza passa per la Soluzione a due stati. Non c’è separazione tra Gaza e Cisgiordania, l’Anp può controllare tutte e due, ma serve un piano d’azione e delle tempistiche chiare per mettere fine all’occupazione”.Eunews: A proposito della West Bank, la Commissione europea è al lavoro su una proposta di sanzioni contro i coloni israeliani ritenuti violenti. È d’accordo?Atieh: “È una proposta molto buona, ma bisognerebbe sanzionare tutti i coloni che stanno illegalmente nei territori palestinesi. È da quattro anni che ne parlo e che spingo i Paesi membri a prendere azioni concrete. Non hanno mai fatto niente, ma ora hanno visto che gli Usa imporranno sanzioni e le vogliono imporre. È ancora la politica del seguire gli Stati Uniti: l’Ue non ha una politica estera indipendente, almeno in Medio Oriente”.Eunews: Ma le cifre sulle vittime rese pubbliche dal Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, vanno messe in dubbio?Atieh: “Siamo noi, l’Anp, che gestiamo il sistema della sanità a Gaza. E come in tutti i Paesi del mondo contiamo i morti e attestiamo i decessi. L’educazione e la sanità sono ancora in mano a funzionari dell’Anp, che ricevono salari dall’Anp. E comunque penso che le cifre sulle vittime fornite dagli ospedali siano troppo basse, si vedrà una volta che la guerra sarà finita e si conteranno i dispersi”.Eunews: Ambasciatore, un’ultima domanda. Cosa ne pensa della posizione del governo italiano?Giorgia Meloni con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a Palazzo Chigi nel marzo 2023 (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)Atieh: “La posizione attuale dell’Italia non aiuta né gli israeliani né i palestinesi. Aiuta solo gli estremisti e allontana ancora di più israeliani e palestinesi. La signora Meloni può continuare a dire che Israele ha il diritto di difendersi, ma dov’è l’assoluto diritto di difendersi del popolo sotto occupazione? Non fa onore all’Italia e al popolo italiano. È molto deludente, perché storicamente l’Italia ha sempre tenuto una posizione equilibrata che ha aiutato entrambe le parti. Ma oggi la posizione del governo è un ostacolo alla fine della guerra”.

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    L’Unione europea mette da parte il Medio Oriente. Dai 27 nessuna richiesta di cessate il fuoco a Gaza

    Bruxelles – Nessuna richiesta di cessate il fuoco: sul conflitto tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza l’Unione europea è un disco rotto, incapace di intonare una musica nonostante le oltre 18 mila vittime civili tra la popolazione palestinese e un appello forte e chiaro per il cessate il fuoco lanciato dalle Nazioni Unite il 12 dicembre.Il paragrafo dedicato al Medio Oriente delle conclusioni del vertice dei leader Ue è emblematico: “Il Consiglio Europeo ha tenuto un profondo dibattito strategico”, niente di più. La sintesi perfetta la fornisce la premier Giorgia Meloni, a margine dei lavori: “Si è preferito ribadire le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo perché se avessimo in qualche maniera rinnovato quelle conclusioni probabilmente alcune divergenze avrebbero reso il lavoro difficile“.La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni [Bruxelles, 15 dicembre 2023 Foto: European Council]Condanna totale all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, liberazione immediata di tutti gli ostaggi, diritto di Israele a difendersi in linea con la legge internazionale umanitaria e accesso continuo di aiuti nella Striscia garantito dall’istituzione di pause umanitarie. Questo era stato partorito gli scorsi 25-26 ottobre. A distanza di quasi due mesi, le Forze di Difesa Israeliane non hanno in alcun modo cambiato la loro strategia militare, di pause umanitarie se n’è vista solamente una e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) ha denunciato senza sosta l’accesso insufficiente di aiuti umanitari nella Striscia.Dopo la risoluzione approvata dall’Assemblea generale dell’Onu, con il voto positivo di 17 Paesi dell’Ue e l’opposizione delle sole Austria e Repubblica Ceca, era filtrato un po’ di ottimismo sulla possibilità che la posizione comune dei 27 potesse evolvere. “È un fatto che molte più persone propendono per la richiesta del cessate il fuoco”, aveva sottolineato ieri l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, pur constatando che sulla questione “non c’è una posizione comune”. Parole forti sono arrivate dal presidente di Cipro, Nikos Christodoulidīs, che in mattinata aveva definito “un fallimento per l’Unione europea” l’eventualità di non arrivare a conclusioni forti e unitarie sul conflitto.L’esito della votazione all’Assemblea Onu il 12 dicembreCi hanno provato anche Spagna, Irlanda e Belgio, a convincere i dieci Paesi ancora reticenti (all’Onu, oltre al no di Austria e Repubblica Ceca, si sono astenute Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Olanda, Romania e Slovacchia). Ma hanno dovuto alzare bandiera bianca. “È vero che tra i membri del Consiglio europeo ci sono diverse sensibilità sulla pausa umanitaria o il cessate il fuoco, ma questo tema non deve nascondere l’essenziale, che è la determinazione comune e condivisa di essere mobilitati sul piano umanitario” e “sul processo politico per arrivare alla soluzione dei due Stati”, ha provato a salvare il salvabile il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.“L’obiettivo di oggi non era di discutere su conclusioni scritte”, ha chiarito inoltre il leader europeo. Ma il paragrafo sul Medio Oriente è presente nel testo definitivo dei messaggi politici del vertice, ed era previsto anche nelle sue versioni dei giorni precedenti. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha preferito focalizzarsi sulla “priorità immediata di fornire il massimo possibile di aiuto umanitario” a Gaza, annunciando che a oggi la Commissione europea è riuscita a coordinare 28 ponti aerei per un totale di 1.200 tonnellate di aiuti per gli oltre 1,9 milioni di sfollati interni. E che ulteriori 5 voli sono stati pianificati.Von der Leyen ha poi dichiarato che “entrambe le parti devono fare il massimo per proteggere le vite dei civili”. Se è vero che – come confermato dai bollettini giornalieri dell’Unrwa, proseguono i lanci di razzi indiscriminati da parte di gruppi armati palestinesi verso Israele, è sempre più pesante la sproporzione del triste bilancio delle vittime: Israele piange 1400 cittadini (quasi tutti risalenti al 7 ottobre), mentre tra la popolazione della striscia di Gaza, secondo i dati forniti dal ministero della Salute e rilanciati dall’Unrwa, a ieri sono stati uccisi almeno 18.787 palestinesi. Di cui circa il 70 per cento sarebbero donne e minori. Con 50.589 feriti e solo 11 ospedali su 36 ancora parzialmente funzionanti.Pochissimo anche sulla possibilità, su cui è al lavoro la Commissione europea, di introdurre un regime di sanzioni per i coloni israeliani che si macchiano di violenze contro la popolazione civile nella West Bank. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite Ocha-Opt, dal 7 ottobre ci sono stati almeno 343 attacchi di coloni in Cisgiordania, con 10 vittime e 263 casi di danneggiamenti a proprietà palestinesi. “Condanniamo le recrudescenze degli attacchi dei coloni in Cisgiordania”, ha accennato Michel.