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    Il Kosovo chiude 9 filiali delle Poste di Serbia nel nord. Per l’Ue è “passo unilaterale e non coordinato”

    Bruxelles – L’Unione Europea è costretta a tornare con l’attenzione al nord del Kosovo. Perché, con la decisione del governo di Pristina, la polizia kosovara è intervenuta ieri (5 agosto) a chiudere nove filiali delle Poste di Serbia nel nord del Paese, scatenando la reazione di Bruxelles. “Si tratta di un passo unilaterale e non coordinato, che viola gli accordi raggiunti nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue“, è quanto si legge nella dichiarazione rilasciata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae).Kosovska Mitrovica (credits: Armend Nimani / Afp)Tre strutture a Kosovska Mitrovica, una Zubin Potok, due Zvečan e tre a Leposavić, sono queste le filiali delle Poste di Serbia interessate dall’azione delle autorità del Kosovo, secondo cui gli uffici operavano senza licenza e senza registrarsi presso le agenzie kosovare competenti. La decisione è arrivata a pochi mesi dalla chiusura di diverse casse di risparmio postale nella regione utilizzate dalla minoranza etnica serba per ricevere stipendi da Belgrado e per effettuare pagamenti in dinari, vietati dallo scorso primo febbraio sul territorio nazionale. Sono queste le prime conseguenze del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, che sta impattando su tutti quei servizi pubblici nel nord del Kosovo che non si sono mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza nel 2008). Belgrado non ha mai riconosciuto la sovranità del Kosovo e per questo motivo paga ancora stipendi, pensioni e assegni per le famiglie in dinari a una quota consistente di cittadini kosovari nelle zone del Paese a maggioranza serba.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro del Kosovo, Albin KurtiL’Unione Europea sta faticando a tenere sotto controllo le tensioni politiche tra Pristina e Belgrado, ma non molla sulla sua opera di mediazione: “Nell’ambito degli accordi sulle telecomunicazioni raggiunti nel 2013 e del piano d’azione concordato nel 2015, entrambe le parti hanno deciso di discutere i servizi postali ‘in una fase successiva’“, in altre parole “riconoscendo che la questione può essere affrontata solo nell’ambito del dialogo” Pristina-Belgrado. Ecco perché, dopo l’ultimo fallimentare vertice trilaterale di fine giugno a Bruxelles tra l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, i negoziatori Ue sono “pronti a inserire la questione nell’agenda della prossima riunione del dialogo”. Ma rimane la richiesta al governo del Kosovo di “riconsiderare la sua decisione e di trovare una soluzione negoziata”.È chiaro che il nodo principale alla base di tutte le questioni regionali nel nord del Paese rimane sempre e comunque l’istituzione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, ovvero la comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative, inclusa l’operatività della Banca Nazionale di Serbia, della Cassa di risparmio e delle Poste di Serbia. “Azioni unilaterali e non coordinate non possono offrire soluzioni a questa o a qualsiasi altra questione che rientra nel processo di normalizzazione tra Kosovo e Serbia”, è l’avvertimento del Seae, che mette in chiaro come “la chiusura dei servizi esistenti per i serbi del Kosovo, senza un nuovo accordo preventivo, avrà un ulteriore impatto negativo sulla vita quotidiana e sulle condizioni di vita di queste comunità”.Le tensioni nel nord del KosovoÈ passato oltre un anno da quando è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli scenari più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica il 26 maggio 2023 sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi nel giro di tre giorni in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Pristina di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti di quest’anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    In Bosnia non c’è l’accordo sull’Agenda di riforme. A rischio i fondi Ue del Piano di crescita

    Bruxelles – Non basta il via libera del Consiglio Europeo all’avvio dei negoziati di adesione. La Bosnia ed Erzegovina rimane nel caos istituzionale, che ora mette a rischio – come da tempo temuto – i fondi Ue stanziati dal nuovo Piano per i Balcani Occidentali che lega la crescita economica con le riforme interne. “La Bosnia ed Erzegovina non ha ancora presentato alla Commissione Europea un’agenda di riforma definitiva, è quindi molto probabile che non riceva già dopo l’estate la prima rata non condizionata di prefinanziamento del 7 cento”, è quanto reso noto dalla delegazione Ue a Sarajevo in una nota pubblicata su X: “Si tratta di un’occasione persa per un finanziamento anticipato e sostanziale“.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, a Sarajevo (primo novembre 2023)Che Sarajevo corresse questo pericolo era già emerso lo scorso autunno, quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nella sua tappa bosniaca del consueto viaggio annuale nei Balcani Occidentali aveva messo in chiaro che la mancata implementazione delle riforme fondamentali comporterà che “le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo“. Con il Piano di crescita approvato in tempi record dai co-legislatori Ue all’inizio di quest’anno, l’esecutivo Ue aveva confermato due mesi fa che in caso di non rispetto degli standard sulle riforme l’Ue potrà decidere di tagliare i fondi. “La prima rata del Piano di crescita potrà essere erogata solo dopo che l’Agenda di riforma sarà stata presentata e formalmente approvata dalla Commissione Europea e dalla Bosnia ed Erzegovina”, ha precisato ieri (25 luglio) la delegazione Ue a Sarajevo, incoraggiando il lavoro “senza ulteriori ritardi, per non perdere del tutto questa opportunità”. La quota di finanziamenti per la Bosnia ed Erzegovina dal Piano di crescita è stimata complessivamente a un miliardo di euro: al momento salta una prima rata di prefinanziamento senza condizioni dal valore di circa 70 milioni di euro.A provocare lo stallo istituzionale sull’approvazione dell’Agenda di riforma è stato il caos istituzionale emerso di fronte alla bozza presentata dal Gruppo di lavoro ad hoc, nonostante la proroga alla scadenza concessa dalla Commissione Ue per raggiungere in extremis in accordo. In quello che a tutti gli effetti è uno degli assetti istituzionali più complicati al mondo – come emerso dagli Accordi di Dayton del 1995 che hanno chiuso tre anni e mezzo di guerra civile ed etnica nel Paese – prima il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, si è rifiutato di accettare due punti (dei 112 dell’Agenda) sulla nomina dei giudici della Corte costituzionale centrale e sul riconoscimento delle decisioni della Corte stessa, poi i rappresentanti di quattro cantoni della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (Bosnia Centrale, Tuzla, Zenica-Doboj e Una-Sana) non hanno dato il consenso al documento, accusandolo di privilegiare le istituzioni delle due entità rispetto a quelle statali e di dare priorità ai progetti nella Republika Srpska e nei cantoni a maggioranza croato-bosniaca rispetto a quelli a maggioranza bosgnacca.Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)“Nonostante tutti gli sforzi e il sostegno delle istituzioni europee, non tutti hanno mostrato un livello minimo di responsabilità politica per indirizzare le nostre attività verso un percorso europeo comune“, ha attaccato la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, annunciando mercoledì (24 luglio) il fallimento delle trattative sull’Agenda di riforme. Oltre alla delegazione Ue, che ribadisce la disponibilità a continuare a supportare le autorità bosniache “se necessario”, è intervenuta in modo duro anche l’ambasciata statunitense a Sarajevo a difesa del Piano di crescita per i Balcani Occidentali, definito in una nota pubblicata ieri “un’offerta senza precedenti dell’Ue ai cittadini della Bosnia ed Erzegovina”. L’attacco diretto di Washington è non solo al presidente serbo-bosniaco Dodik – “un uomo che mette costantemente i suoi interessi davanti a quelli di coloro che dice di rappresentare” e che rappresenta “la più grande minaccia al futuro europeo” del Paese balcanico – ma anche al principale partito bosniaco-musulmano, il Partito d’Azione Democratica (Sda): “La decisione di sfruttare l’occasione per un’esibizione politica, invece di lavorare con gli altri partiti per ottenere l’approvazione degli ultimi due punti in sospeso, è stata inutile e irresponsabile”.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato presentato dalla presidente von der Leyen lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno della Commissione Ue, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme socio-economiche e fondamentali da intraprendere tra il 2024 e il 2027, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo Strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme concordate nelle rispettive Agende (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, con le assegnazioni per ciascun Paese stabilite sulla base del Pil e della popolazione. Il sostegno del Piano di crescita – effettuato due volte l’anno e condizionato dal rispetto delle fasi qualitative e quantitative delle Agende – sarà fornito per metà dal Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) e per metà da prestiti erogati direttamente ai bilanci nazionali dei partner.La ‘grana’ Republika Srpska per la BosniaÈ proprio Dodik uno degli ostacoli maggiori per il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea – e oggi dell’accesso ai fondi Ue del Piano di crescita – da quando si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Quattro Paesi candidati all’adesione entrano per la prima volta nel rapporto Ue sullo Stato di diritto

    Bruxelles – È una prima volta storica, che “mira a mettere subito sullo stesso piano degli Stati membri” i quattro Paesi candidati all’adesione Ue che hanno già avviato i negoziati con Bruxelles. Nel rapporto sullo Stato di diritto 2024 pubblicato oggi (24 luglio) dalla Commissione Europea fanno ingresso anche Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, con quattro capitoli specifici per i più avanzati tra i 10 Paesi coinvolti nel processo di allargamento Ue. Quella che lo stesso esecutivo dell’Unione definisce “la principale novità” del rapporto annuale sullo Stato di diritto arrivato alla sua quinta edizione, costituirà insieme alle raccomandazione del Pacchetto Allargamento Ue la base per “sostenere i loro sforzi di riforma, aiutare le autorità a compiere ulteriori progressi nel processo di adesione, e prepararsi a continuare il lavoro sullo Stato di diritto come futuri Stati membri”.La commissaria europea per i Valori e la trasparenza, Vera Jourová (24 luglio 2024)Nella visione di Bruxelles, rispetto dello Stato di diritto e allargamento Ue vanno di pari passo, in quanto “un obiettivo fondamentale dell’allargamento dell’Unione è quello di radicare saldamente lo Stato di diritto nel nostro continente“. Di qui deriva la decisione di estendere la valutazione del quadro dei progressi e delle carenze su questo “elemento centrale” dell’impalcatura dell’Unione – solitamente riservato ai Ventisette – anche a quattro Paesi che hanno già avviato i negoziati di adesione. L’esclusione momentanea di Ucraina e Moldova è dovuta al fatto che si sono unite da troppo poco tempo (un mese esatto), mentre la Turchia è già stata analizzata separatamente nel novembre dello scorso anno per il suo stallo ormai totale dal 2018.L’analisi generale del gabinetto von der Leyen sul quadro dello Stato di diritto in Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia parte dallo scenario “particolarmente preoccupante” dei “tentativi di interferenza da parte della Russia, con la disinformazione e la retorica antidemocratica e anti-Ue“, in particolare dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. Ma c’è di più, ovvero la necessità di “riforme credibili e sostenibili per progredire verso l’adesione all’Unione” da parte di questi Paesi candidati, oltre che per accedere ai finanziamenti consistenti dello Strumento per la riforma e la crescita dei Balcani occidentali e dello Strumento per l’Ucraina. “Sulla base di criteri oggettivi e basati sul merito” il nuovo approccio adottato dalla Commissione potrà essere “esteso in futuro ad altri Paesi dell’allargamento Ue” (Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Moldova, Turchia e Ucraina), non solo “per ottenere progressi irreversibili in materia di democrazia e Stato di diritto prima dell’adesione”, ma anche “per garantire standard elevati e duraturi dopo l’adesione”.Lo Stato di diritto in AlbaniaL’analisi dello Stato di diritto in Albania parte dalla questione della riforma giudiziaria “sostanziale” attuata dal 2016. Nonostante “il controllo di tutti i giudici e procuratori ha rafforzato la responsabilità”, la Commissione rileva “carenze nelle nomine dei membri non magistrati del Consiglio superiore della magistratura e del Consiglio superiore della procura”, ma soprattutto “preoccupazioni” per la “limitata trasparenza e difficoltà nel garantire valutazioni tempestive e qualitative” nel processo di nomina, promozione e trasferimento dei magistrati, così come per i “tentativi di interferenza e pressione sul sistema giudiziario da parte di funzionari pubblici o politici“. Grosse sfide derivano dalla carenza di risorse finanziarie e umane, che influisce “negativamente” sulla qualità della giustizia, e dalla “lunghezza e grande arretrato” dei procedimenti giudiziari.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama“Sono incoraggianti” i risultati iniziali della Struttura speciale anticorruzione (Spak), ma le autorità specializzate nella repressione e nella prevenzione “segnalano carenze per quanto riguarda le risorse specializzate e gli strumenti disponibili”, mentre il numero di persone indagate, perseguite e condannate per reati in questo campo “è aumentato negli ultimi tre anni”. Dal momento in cui la corruzione “è diffusa in molti settori, anche durante le campagne elettorali” e il quadro giuridico “troppo complesso” limita le misure preventive, Bruxelles punta il dito sia contro la recente legge sull’amnistia sia sulla carenza di coordinamento tra le autorità nazionali. Vengono menzionate anche la “profonda” polarizzazione politica, che ha “un impatto negativo sull’efficacia, la trasparenza e l’obiettività del lavoro parlamentare”, e il “contesto difficile” per le organizzazioni della società civile, “anche in relazione ai requisiti di registrazione e ai limitati finanziamenti pubblici”.Tra gli elementi di maggiore preoccupazione per il rispetto dello Stato di diritto in Albania ci sono in particolare quelli relativi al settore della libertà dei media, tra cui spiccano soprattutto quelli sull’indipendenza dell’emittente pubblica, sulla “limitata regolamentazione sulla trasparenza della proprietà dei media e l’elevata concentrazione“, e sul mancato rispetto di “un’equa allocazione della pubblicità statale e di altre risorse statali”. Anche se il quadro per la protezione dei giornalisti è già in vigore, “le aggressioni verbali e fisiche, le campagne diffamatorie e le azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica sono motivo di preoccupazione”.Lo Stato di diritto in Macedonia del NordLa Macedonia del Nord “ha subito diverse ondate di riforme giudiziarie”, ma l’indipendenza della magistratura e la capacità istituzionale di proteggerla da influenze indebite “rimangono una seria preoccupazione”, così come il livello di indipendenza giudiziaria percepito “è molto basso”. Le decisioni di nomina di pubblici ministeri e giudici “sono state criticate dalla società civile perché non sono motivate in modo esaustivo o basate su criteri oggettivi”, le “limitate” risorse stanziate “possono incidere sull’autonomia finanziaria” e il deficit di risorse umane “potrebbe avere un impatto sulla qualità e sull’efficienza della giustizia”, come dimostrato dal fatto che “sono diminuite per le cause civili, commerciali e penali di primo grado”.Il nuovo primo ministro della Macedonia del Nord, Hristijan Mickoski (credits: Robert Atanasovski / Afp)Nonostante esista una strategia nazionale contro la corruzione, “la sua attuazione è in ritardo”, avverte la Commissione: “Il rischio rimane elevato in molte aree” e le recenti modifiche al Codice penale “hanno indebolito il quadro giuridico, incidendo negativamente sul perseguimento della corruzione”, soprattutto nei casi di alto livello. Tra le maggiori criticità c’è la “scarsità di risorse e la mancanza di cooperazione tra le autorità nazionali”, le lacune sul finanziamento dei partiti politici e “nessun lobbista registrato” nelle liste ufficiali apposite.Rimane centrale la polarizzazione politica al Parlamento nazionale, che “ha causato ritardi nel suo lavoro e ha portato a un uso eccessivo e talvolta inappropriato di procedure legislative accelerate”, anche se le organizzazioni della società civile possono operare in un ambiente “complessivamente favorevole”. A questo proposito le misure legislative “hanno rafforzato le garanzie legali” per la protezione dei giornalisti, “ma sono state registrate minacce e atti di violenza contro i giornalisti”. Il Consiglio per l’etica dei media “continua a essere messo sotto pressione” e persistono sfide sulla trasparenza della proprietà dei media, con “preoccupazioni su alcuni elementi della reintroduzione della pubblicità finanziata dallo Stato”.Lo Stato di diritto in MontenegroPer quanto riguarda il Montenegro, il Paese più avanzato sulla strada di adesione all’Ue, “sta attraversando un’intensa fase di riforme, che prevede l’adozione e la revisione di un pacchetto completo di leggi” sull’indipendenza, la responsabilità e l’imparzialità del sistema giudiziario e della procura, compresa una nuova strategia di riforma giudiziaria 2024-2027. I significativi ritardi nelle nomine giudiziarie di alto livello andati in scena tra il 2022 e l’inizio del 2023 hanno avuto un impatto sul sistema in generale, “ma ormai manca solo la nomina del nuovo presidente della Corte suprema” ed esistono ancora “serie sfide” in particolare per la lunghezza dei procedimenti per le cause amministrative.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićAll’interno della strategia 2024-2028 per la lotta alla corruzione, il Montenegro “criminalizza la maggior parte delle forme di corruzione” e il bilancio delle indagini e dei procedimenti giudiziari nei casi di alto livello “è stabile”, anche se “la mancanza di processi e decisioni finali contribuisce a creare una percezione di impunità“. Mentre numerose istituzioni hanno codici di condotta specifici, quello del governo “è inefficace” e attende l’adozione della legge sul governo con sanzioni disciplinari. Se è positiva l’adozione della nuova legislazione sul lobbismo lo scorso 6 giugno, lo è meno il fatto che il quadro giuridico che regola il finanziamento dei partiti politici “è ostacolato da carenze nella sua portata, chiarezza e attuazione”.Approfondito il capitolo sul pluralismo e la libertà dei media, con il pacchetto legislativo ad hoc composto da emendamenti alla legge sull’emittente pubblica nazionale, una nuova legge sui servizi di media audiovisivi e una sui media che “introduce miglioramenti sulla trasparenza della proprietà e su altre aree sistemiche, con l’obiettivo di allinearla all’acquis dell’Ue“. La nuova legislazione conferisce nuovi poteri all’Agenzia per i servizi di media audiovisivi, “affrontando l’annosa questione della sua efficacia nell’applicazione del quadro normativo, dotandola di strumenti sanzionatori completi”, rileva la Commissione Ue, anche se non si può dimenticare che “sono limitate” le informazioni su pagamenti del settore pubblico e pubblicità istituzionale. Nei casi di violenza contro i giornalisti le autorità montenegrine “forniscono risposte efficaci” a livello istituzionale e di applicazione della legge, “ma non è stato dato un seguito giudiziario efficace a casi emblematici del passato”.Lo Stato di diritto in SerbiaIl rapporto sullo Stato di diritto 2024 si conclude con il capitolo sulla Serbia. “L’attuazione della riforma costituzionale per il rafforzamento dell’indipendenza giudiziaria è in corso”, sottolinea la Commissione, che rileva come “le pressioni politiche sul sistema giudiziario e sulla procura rimangono elevate“. Nel Paese balcanico manca ancora un sistema completo di gestione dei tribunali che colleghi i casi tra i vari tribunali e le procure, mentre “l’efficienza mostra una tendenza positiva per le cause civili, commerciali e penali, ma ci sono serie difficoltà nella gestione delle cause amministrative e dei reclami costituzionali”. La capacità del Parlamento di garantire l’esercizio dei necessari controlli e contrappesi “è limitata da questioni di efficacia, autonomia e trasparenza, anche in termini di supervisione dell’esecutivo e del processo legislativo”.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar VučićL’adozione della Strategia nazionale anticorruzione 2023-2028 “è ancora in sospeso” e il quadro giuridico in vigore mostra “carenze nella pratica”. Nonostante la maggior parte delle forme di corruzione siano considerate reato, “sono necessari ulteriori miglioramenti per stabilire un solido track record di indagini, rinvii a giudizio e condanne definitive nei casi di alto livello”, anche considerate le carenze nella verifica e nell’applicazione delle dichiarazioni patrimoniali e nel finanziamento dei partiti politici. La normativa sul lobbismo “è di portata limitata”, la legislazione sulla protezione degli informatori “non è ancora allineata” all’acquis Ue e quello degli appalti pubblici è un settore “ad alto rischio” di corruzione. Le organizzazioni della società civile “non dispongono di un ambiente favorevole alla loro costituzione, alle loro attività e al loro finanziamento”, avvisa la Commissione, aprendo uno dei capitoli più delicati per il rispetto dello Stato di diritto in Serbia.L’Autorità di regolamentazione per i media elettronici “non riesce a esercitare appieno il suo mandato di salvaguardia del pluralismo e degli standard professionali, e vi sono anche serie preoccupazioni sulla sua indipendenza”. Le misure per la trasparenza delle strutture proprietarie e della pubblicità con risorse statali “non sono ancora state pienamente attuate” e, “sullo sfondo delle denunce di notizie tendenziose”, rimane critica l’autonomia editoriale e il pluralismo del servizio pubblico. A questo si somma il fatto che i giornalisti continuano a trovarsi di fronte a “frequenti rifiuti da parte di enti pubblici di divulgare informazioni di importanza pubblica o a non ricevere alcuna risposta”, e la loro sicurezza “è fonte di preoccupazione, così come la crescente pressione esercitata da cause legali abusive”. A questo proposito, rispondendo alle domande della stampa sul rispetto dello Stato di diritto in Serbia, la commissaria europea per i Valori e la trasparenza, Vera Jourová, ha messo in chiaro che “seguiremo molto da vicino la situazione in Serbia” e la Commissione non tollererà “attacchi, minacce o intimidazioni da parte di politici che bollano i giornalisti come minacce pubbliche”.

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    L’Ue ha iniziato a sospendere i finanziamenti diretti al governo della Georgia: “Solo il primo passo”

    Bruxelles – Non è più solo “de facto”, ora la sospensione del processo di adesione Ue della Georgia è realtà con i primi fondi congelati al governo di Tbilisi. “L’Unione Europea ha congelato il sostegno dal Fondo europeo per la pace, 30 milioni di euro per il 2024“, ha annunciato l’ambasciatore Ue in Georgia, Paweł Herczyński, parlando oggi (9 luglio) alla stampa nella capitale del Paese caucasico, anticipando che “questo è solo il primo passo, ce ne saranno altri” e a Bruxelles “si stanno valutando altre misure se la situazione dovesse ulteriormente deteriorarsi”.L’ambasciatore Ue in Georgia, Paweł Herczyński (9 luglio 2024)A determinare il taglio dei fondi alle forze armate georgiane è stata l’adozione di metà maggio della legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria che – come messo nero su bianco dalle conclusioni del Consiglio Europeo dello scorso 27 giugno – “ha determinato di fatto un arresto del processo di adesione“, nonostante lo status di Paese candidato ricevuto il 14 dicembre 2023 dallo stesso Consiglio Europeo. “Stiamo adottando misure a breve termine e stiamo rivedendo la nostra assistenza finanziaria“, ha precisato a Eunews il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, che ha fatto riferimento alle discussioni del Consiglio Affari Esterni del 24 giugno sulle “diverse opzioni per affrontare la situazione in Georgia”.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 17 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)In ogni caso, “i nostri aiuti diretti al governo georgiano saranno ridotti e cercheremo di spostarli verso la società civile e i media“, ha voluto sgomberare il campo dai dubbi l’ambasciatore Herczyński, mantenendo chiara la distinzione per l’Unione tra il partito al potere Sogno Georgiano filo-russo e la società civile fortemente europeista. Una precisazione particolarmente importante in vista delle elezioni legislative in programma il 26 ottobre. “Spetta al popolo eleggere il prossimo governo, e spetta al prossimo governo decidere la sua politica nei confronti dell’Unione Europea”, è il secco commento dell’ambasciatore Ue, che ha messo le opzioni sul tavolo: “Devono decidere se vogliono far parte del prossimo grande allargamento dell’UE o se hanno altri piani per il loro futuro“.Quando mancano poco più di tre mesi alle elezioni, i partiti di opposizione a Sogno Georgiano si stanno organizzando su una piattaforma comune che prende le mosse dalla ‘Carta georgiana’ presentata a fine maggio dalla presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili. Diverse formazioni politiche hanno già confermato di correre sotto lo stesso ombrello politico (con candidati comuni o diversi, ma comunque alleati) con l’obiettivo dichiarato di “ripristinare il processo di adesione all’Ue e aprire i negoziati di adesione il più presto possibile“. Perché, secondo l’avvertimento dell’ambasciatore Herczyński, “tutto può ancora essere cambiato e siamo più che disposti ad aiutare in ogni modo possibile, ma il tempo sta per scadere”, ed è “triste vedere le relazioni tra l’Ue e la Georgia a un punto così basso, quando avrebbero potuto raggiungere un massimo storico“.La legge sugli agenti stranieri in GeorgiaLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 14 maggio 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)La legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ era stata presentata lo scorso anno da Sogno Georgiano e messa in stallo dopo l’ondata oceanica di proteste del marzo 2023. Con un leggero emendamento al testo, a inizio aprile la legge è stata ripresentata dal governo: tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovrebbero registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ (simile ad ‘agente di influenza straniera’ in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Dopo settimane di altissima tensione dentro e fuori il Parlamento di Tbilisi, e decine di migliaia di cittadini ad animare la più grande ondata di proteste dall’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991 – ogni giorno ininterrottamente per due mesi – il partito al governo ha deciso di tirare dritto con la propria iniziativa legislativa prima del ritorno alle urne il 26 ottobre. E mostrando una disponibilità ad aumentare la portata della violenza messa in campo dalla polizia anti-sommossa e dagli agenti in passamontagna contro i manifestanti pacifici pro-Ue, che non hanno mai smesso di scendere a decine di migliaia in piazza ogni giorno.Dopo il primo via libera alla legge (secondo l’iter legislativo ordinario) dello scorso 14 maggio, è ricominciato un nuovo rapidissimo processo legislativo per superare la decisione della capa dello Stato, che si è sempre opposta fermamente a una legge che riprende in modo inquietante molti elementi della stessa legge in vigore in Russia. Il gesto della presidente Zourabichvili è stato puramente simbolico, dal momento in cui il governo sapeva già in partenza di poter utilizzare la propria maggioranza schiacciante in Parlamento per annullare il veto e far diventare legge la ‘trasparenza dell’influenza straniera’, così come confermato il 28 maggio dalla sessione plenaria del Parlamento.Prima della legge sugli agenti stranieriLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso – e ora tesissimo – a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo di tendenze filo-russe, lo stesso che ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino. Nel corso degli ultimi due anni si sono registrati diversi episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano: nel maggio 2023 sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica Zourabichvili per una serie di viaggi nell’Unione Europea che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.Ma la popolazione georgiana da anni dimostra di non condividere la direzione assunta da Sogno Georgiano e anche per questo motivo saranno cruciali le elezioni per il rinnovo del Parlamento il 26 ottobre. A cavallo della decisione di Bruxelles nel giugno 2022 di non concedere per il momento alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo (senza seguito da parte dell’esecutivo allora guidato da Garibashvili). I tratti comuni evidenziati a partire da queste manifestazioni sono le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Un anno più tardi sono scoppiate le dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che hanno portato al momentaneo accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, fino all’approvazione di questa primavera nel pieno di una nuova ondata di proteste popolari.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    Per la Georgia il processo di adesione Ue è “di fatto” arrestato. A confermarlo è il Consiglio Europeo

    Bruxelles – Era nell’aria da settimane, ma ora a mettere il punto sulle ambizioni della Georgia di essere “pronta più di qualsiasi altro Paese candidato per l’adesione entro il 2030” (come rivendicato a febbraio dal premier, Irakli Kobakhidze) è lo stesso organismo collettivo che definisce priorità e indirizzi politici dell’Unione Europea. “Il Consiglio Europeo invita le autorità georgiane a chiarire le proprie intenzioni invertendo l’attuale rotta che mette a rischio il percorso della Georgia nell’Ue, determinando di fatto un arresto del processo di adesione“, si legge nelle conclusioni del vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue, che riservano quattro punti alla “seria preoccupazione per i recenti sviluppi” politici nel Paese candidato all’adesione Ue.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 17 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)È in particolare l’adozione di metà maggio della legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria a rappresentare “un passo indietro rispetto a quanto stabilito nella raccomandazione della Commissione per lo status di candidato”, che a questo punto mette un freno pesante sulla strada di avvicinamento all’ingresso nell’Unione, nonostante lo status di Paese candidato ricevuto il 14 dicembre 2023 dallo stesso Consiglio Europeo. Anche perché c’è poi da considerare i “i crescenti atti di intimidazione, minacce e aggressioni fisiche contro rappresentanti della società civile, leader politici, attivisti civili e giornalisti in Georgia”, avvertono i Ventisette, che su questo punto non hanno riscontrato le stesse difficoltà per la definizione di una posizione comune come si erano invece viste in occasione della risposta di condanna all’adozione della legge lo scorso 14 maggio. Perché per l’Unione c’è una chiara differenza tra governo e stragrande maggioranza dei cittadini pro-Ue, e per questo motivo i 27 leader ribadiscono la “disponibilità a continuare a sostenere i georgiani nel loro percorso verso un futuro europeo”.È qui che si apre il nuovo capitolo della sfida politica a Tbilisi tra il partito al potere Sogno Georgiano e i cittadini scesi in piazza ininterrottamente per settimane in opposizione alla legge considerata di diretta emanazione del Cremlino. “Il Consiglio Europeo invita le autorità georgiane a garantire che le elezioni parlamentari del prossimo autunno siano libere ed eque“, incoraggiando una “sostanziale osservazione elettorale a lungo e breve termine da parte dei partner”. Il riferimento è alle prossime elezioni legislative del 26 ottobre, su cui si sta organizzando una piattaforma comune dei partiti di opposizione a Sogno Georgiano attorno alla ‘Carta georgiana’ presentata a fine maggio dalla presidente, Salomé Zourabichvili. Diverse formazioni politiche hanno già confermato di correre sotto lo stesso ombrello politico (con candidati comuni o diversi, ma comunque alleati) con l’obiettivo dichiarato di “ripristinare il processo di adesione all’Ue e aprire i negoziati di adesione il più presto possibile“. Visto che ora sono – come definito dal Consiglio Europeo – “di fatto” congelati.La legge sugli agenti stranieri in GeorgiaLa legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ era stata presentata lo scorso anno da Sogno Georgiano e messa in stallo dopo l’ondata oceanica di proteste del marzo 2023. Con un leggero emendamento al testo, a inizio aprile la legge è stata ripresentata dal governo: tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovrebbero registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ (simile ad ‘agente di influenza straniera’ in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Dopo settimane di altissima tensione dentro e fuori il Parlamento di Tbilisi, e decine di migliaia di cittadini ad animare la più grande ondata di proteste dall’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991 – ogni giorno ininterrottamente per due mesi – il partito al governo ha deciso di tirare dritto con la propria iniziativa legislativa prima del ritorno alle urne il 26 ottobre. E mostrando una disponibilità ad aumentare la portata della violenza messa in campo dalla polizia anti-sommossa e dagli agenti in passamontagna contro i manifestanti pacifici pro-Ue, che non hanno mai smesso di scendere a decine di migliaia in piazza ogni giorno.Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 14 maggio 2024Dopo il primo via libera alla legge (secondo l’iter legislativo ordinario) dello scorso 14 maggio, è ricominciato un nuovo rapidissimo processo legislativo per superare la decisione della capa dello Stato, che si è sempre opposta fermamente a una legge che riprende in modo inquietante molti elementi della stessa legge in vigore in Russia. Il gesto della presidente Zourabichvili è stato puramente simbolico, dal momento in cui il governo sapeva già in partenza di poter utilizzare la propria maggioranza schiacciante in Parlamento per annullare il veto e far diventare legge la ‘trasparenza dell’influenza straniera’, così come confermato il 28 maggio dalla sessione plenaria del Parlamento.Prima della legge sugli agenti stranieriLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso – e ora tesissimo – a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo di tendenze filo-russe, lo stesso che ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino. Nel corso degli ultimi due anni si sono registrati diversi episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano: nel maggio 2023 sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica Zourabichvili per una serie di viaggi nell’Unione Europea che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.Ma la popolazione georgiana da anni dimostra di non condividere la direzione assunta da Sogno Georgiano e anche per questo motivo saranno cruciali le elezioni per il rinnovo del Parlamento il 26 ottobre. A cavallo della decisione di Bruxelles nel giugno 2022 di non concedere per il momento alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo (senza seguito da parte dell’esecutivo allora guidato da Garibashvili). I tratti comuni evidenziati a partire da queste manifestazioni sono le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Un anno più tardi sono scoppiate le dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che hanno portato al momentaneo accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, fino all’approvazione di questa primavera nel pieno di una nuova ondata di proteste popolari.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    Dalle parole ai fatti. Il Montenegro è entrato nella fase finale dei negoziati di adesione all’Ue

    Bruxelles – Ormai è diventato un mantra tra Podgorica e Bruxelles, ma sicuramente mostra con quale livello di dedizione il Montenegro si sia impegnato nel processo di adesione all’Unione Europea. “Se raggiungeremo tutti i parametri di riferimento, ci aspettiamo di diventare il 28esimo Paese membro entro il 2028“, ha esordito il primo ministro montenegrino, Milojko Spajić, prima dell’inizio della 16esima conferenza intergovernativa di questo pomeriggio (26 giugno) – la seconda organizzata dalla presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue – che ha segnato un passo decisivo per il percorso di adesione all’Unione.Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićUn conferenza “storica”, come è stata definita dal commissario europeo per l’Allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi, che ha sottolineato il fatto che “finalmente abbiamo visto il Montenegro avanzare sulla strada di adesione”, considerato il fatto che Podgorica ha complessivamente rispettato i parametri intermedi stabiliti per i capitoli 23 (sistema giudiziario e i diritti fondamentali) e 24 (giustizia, libertà e sicurezza): “Adesso apriamo l’ultima fase dei negoziati di adesione, significa che l’adesione è imminente“, ha messo in chiaro il commissario Várhelyi, aggiungendo che “ora dobbiamo iniziare a chiudere questi capitoli, da parte nostra faremo tutto il possibile per farlo nei prossimi mesi”. La prima riunione della conferenza di adesione con il Montenegro a livello ministeriale risale al giugno 2012 e da allora sono stati aperti 33 capitoli negoziali (su un totale di 35), di cui 3 provvisoriamente chiusi. Nel maggio 2021 il Consiglio ha approvato l’applicazione della metodologia di allargamento riveduta ai negoziati di adesione con il Montenegro e la Serbia, con l’obiettivo di rinvigorire il processo di adesione.Ribadendo le parole pronunciate in esclusiva a Eunews a febbraio, il premier Spajić ha messo in chiaro che “anche per l’Unione Europea è un grande giorno, perché siamo il primo Paese con la nuova metodologia di adesione Ue a essere testato, siamo una sorta di rompighiaccio per i Paesi dei Balcani Occidentali e gli altri candidati all’adesione“. C’è enorme entusiasmo a Podgorica, sia per il “momento storico” che rappresenta il risultato odierno, sia per il lavoro che ora si rafforzerà ancora di più nei prossimi mesi per chiudere altri capitoli negoziali. “Negli ultimi sette anni abbiamo accelerato il processo e abbiamo raggiunto risultati come nei sette anni precedenti, siamo davvero orgogliosi”, ha precisato il leader montenegrino a un evento privato a Bruxelles con il personale diplomatico montenegrino, a cui Eunews ha avuto accesso. E come confermato dalla ministra degli Esteri belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Hadja Lahbib, “il cammino di adesione Ue è lungo è arduo, ma questo è un messaggio di speranza che il Montenegro invia a tutta la regione balcanica e oltre”. Ora il testimone passa all’Ungheria a partire da lunedì prossimo (primo luglio), ma diverse fonti diplomatiche – montenegrine e non – assicurano che “non c’è alcuna preoccupazione” sul prosieguo dei negoziati nei prossimi sei mesi.La nuova stabilità in MontenegroDa sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, a Podgorica (31 ottobre 2023)È il 2023 l’anno in cui si è chiusa in Montenegro una crisi non solo istituzionale ma anche politica durata più di tre anni. Dal febbraio dello scorso anno è stato un succedersi di trionfi per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro – rispettivamente Spajić e Jakov Milatović (uscito però dal partito a febbraio 2024) – vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno.Il premier Spajić – eletto nel giorno della visita a Podgorica della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – e il presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić, a Podgorica (31 ottobre 2023)La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) ha messo fine a una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una coalizione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Dritan Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Nel pieno della crisi istituzionale emersa dalla seconda metà dell’anno e dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, non sapendo che di lì a poche settimane avrebbe perso le elezioni presidenziali prima, e le nazionali poi.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Per Ucraina e Moldova è un nuovo giorno storico. Iniziano i negoziati di adesione Ue a 2 anni dalla richiesta

    Bruxelles – Ora il processo di adesione Ue per Ucraina e Moldova è entrato nella fase formale dei negoziati, e da qui si può solo procedere in avanti (i tempi, invece, sono tutti da vedere). Come da programma dopo il via libera ai quadri negoziali da parte del Consiglio dell’Ue, a Lussemburgo sono andate in scena oggi (25 giugno) le prime conferenze intergovernative con i governi di Kiev e Chișinău, che segnano il via ufficiale della fase finale della strada per il futuro ingresso nell’Unione dei due Paesi candidati.Da sinistra: la vicepremier per l’Integrazione europea ed euro-atlantica dell’Ucraina, Olha Stefanishyna, e la ministra degli Esteri belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Hadja Lahbib (25 giugno 2024)“I negoziati che apriamo oggi saranno rigorosi e impegnativi, con determinazione e impegno siamo certi che potranno portarli a termine con successo“, è quanto assicurato dalla ministra degli Esteri belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Hadja Lahbib, aprendo le due conferenze intergovernative prima del passaggio di testimone all’Ungheria a partire da lunedì prossimo (primo luglio). Accompagnata dal commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, la ministra belga ha accolto prima la delegazione ucraina guidata dalla vicepremier per l’Integrazione europea ed euro-atlantica, Olha Stefanishyna, e poi quella moldava con a capo il primo ministro, Dorin Recean. “Questa è una giornata storica”, ha sottolineato nel corso delle due riunioni Lahbib, mettendo in chiaro che “il percorso per arrivare a questo punto è stato impegnativo e la determinazione a intraprendere le riforme necessarie è stata davvero impressionante“, in particolare nel caso dell’Ucraina.Il primo ministro della Moldova, Dorin Recean (25 giugno 2024)A questo punto la Commissione Ue dovrà continuare a valutare lo stato di preparazione dell’Ucraina e della Moldova per l’apertura dei negoziati in settori specifici, individuando le questioni che “con ogni probabilità” emergeranno nei negoziati, “a partire dal settore dei fondamentali che, in conformità con i quadri negoziali, sarà aperto per primo”, specifica il Consiglio. “È un’ottima notizia per i cittadini ucraini, moldavi e per l’intera Unione Europea, il cammino che ci attende sarà impegnativo ma ricco di opportunità”, è l’augurio entusiasta della presidente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, a cui ha fatto eco il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Stiamo assistendo a un momento storico”, in cui i due Paesi candidati “stanno avviando una vera e propria trasformazione verso la piena adesione all’Ue“.È grande la soddisfazione a Kiev e Chișinău per il traguardo raggiunto oggi. “Quando abbiamo firmato la richiesta di adesione all’Ue il quinto giorno della guerra totale, molti dicevano che non era altro che un sogno, ma noi abbiamo trasformato questo sogno in realtà“, ha rivendicato il successo con un lungo post su X il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky: “La determinazione ha funzionato, non ha deluso l’Ucraina e tutta l’Europa, e dimostra che tutti gli ucraini insieme, tutti gli europei insieme, sono capaci di realizzare anche i sogni più grandi”. Anche la presidente moldava, Maia Sandu, ha festeggiato l’avvio formale dei negoziati di adesione Ue: “Insieme, siamo uniti per un futuro di pace e prosperità“, un futuro “all’interno della stessa famiglia europea”.Come funziona il processo di adesione UeIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Oltre Ucraina e Moldova. A che punto è l’allargamento UeLo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre.Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Albania e Macedonia del Nord i negoziati sono iniziati nel luglio 2022, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Montenegro e Serbia si trovano a questo stadio rispettivamente da 12 e 10 anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche la Bosnia ed Erzegovina è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e al Consiglio Europeo del 21 marzo ha ricevuto l’endorsement all’avvio formale dei negoziati di adesione. Il Kosovo è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2023 è stato messo nero su bianco che “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno 2023 il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Trovi ulteriori approfondimenti sull’allargamento Ue nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La Macedonia del Nord ha un nuovo governo nazionalista. A rischio il compromesso Ue con la Bulgaria

    Bruxelles – Sono bastati meno di 50 giorni ai nazionalisti in Macedonia del Nord per occupare le posizioni politiche di vertice dopo il doppio trionfo alle urne dell’8 maggio e per riaccendere tutte le maggiori tensioni politiche di Skopje nella regione balcanica. Il Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone (Vmro-Dpmne) è tornato al governo dopo otto anni all’opposizione grazie al via libera arrivato ieri (23 giugno) dall’Assemblea della Macedonia del Nord, con 77 voti a favore e 22 contrari (su 120 totali) e ora il suo leader, Hristijan Mickoski, è ufficialmente a capo del nuovo esecutivo di Skopje. Ma così come successo in occasione dell’insediamento della nuova presidente della Repubblica, Gordana Siljanovska-Davkova, l’inizio non lascia sperare in una transizione politica facile soprattutto sul piano delle relazioni con i vicini regionali per il prosieguo della strada verso l’adesione all’Unione Europea.Il leader di Vmro-Dpmne e primo ministro della Macedonia del Nord, Hristijan Mickoski (Armend Nimani / Afp)“Continueremo a stare insieme ai nostri partner dell’Ue e armonizzeremo la politica estera comune“, ha assicurato il nuovo capo del governo della Macedonia del Nord nel suo discorso d’insediamento davanti al Parlamento nazionale a proposito delle relazioni internazionali con Russia e Ucraina. Tuttavia è stato chiarissimo il passaggio sui passi per arrivare all’adesione all’Unione, che secondo gli accordi stretti a Bruxelles dovrebbe passare per un compromesso costituzionale per il riconoscimento della minoranza bulgara del Paese (con concessioni linguistiche): “Non passerà, e non ci saranno cambiamenti costituzionali finché sarò qui“. Non si tratta certo di una sorpresa, dal momento in cui già in campagna elettorale Mickoski aveva promesso di mantenere una linea dura sulle questioni linguistiche e storiche, ovvero quelle puramente identitarie. Tuttavia, dopo i tentativi fallimentari dell’ultimo anno e mezzo da parte del governo guidato dai socialdemocratici di emendare la Costituzione per riconoscere la minoranza bulgara (senza mai trovare i due terzi dei deputati necessari per approvare la mozione), potrebbe essere questo il momento di svolta per un nuovo – temuto – stop dei negoziati di adesione Ue per la Macedonia del Nord.È proprio la Bulgaria uno degli ostacoli più grandi per Skopje tra i Ventisette. Era il 9 dicembre 2020 quando si registrava in Consiglio Affari Generali lo stop di Sofia all’avvio dei negoziati di adesione Ue con la Macedonia del Nord, tenuti in stallo per oltre un anno e mezzo fino alla svolta dell’estate 2022. Grazie all’iniziativa del presidente francese, Emmanuel Macron, prima il Parlamento bulgaro ha revocato il veto e poi anche quello macedone ha dato l’approvazione all’intesa: con la firma del protocollo bilaterale tra Sofia e Skopje si è sbloccata definitivamente la situazione e si è potuti arrivare alle prime conferenze intergovernative per Macedonia del Nord (e Albania, legata dallo stesso dossier) il 19 luglio 2022, dopo un’attesa lunga quasi tre anni. Ma per aprire il primo Cluster dei negoziati di adesione Ue sono necessarie non solo tutta una serie di riforme – dal settore giudiziario alla gestione appalti pubblici, dalla lotta alla corruzione alla riforma della pubblica amministrazione – ma anche quegli emendamenti alla Costituzione sulle minoranze nel Paese che il neo-premier Mickoski si rifiuta di attuare.La neo-presidente della Macedonia del Nord, Gordana Siljanovska-Davkova (credits: Robert Atanasovski / Afp)Nell’ultimo mese è poi tornato a scricchiolare anche il rapporto con un altro storico avversario della Macedonia del Nord a livello regionale: la Grecia. Proprio come aveva fatto la neo-presidente della Repubblica Siljanovska-Davkova (candidata di Vmro-Dpmne) nel giorno del suo insediamento il 12 maggio, anche il neo-premier Mickoski ha fatto ripetutamente riferimento al suo Paese come ‘Macedonia’, e non ‘Macedonia del Nord’. L’assenza della locuzione ‘Nord’ ha un significato nazionalistico preciso, a partire dall’indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991 e soprattutto dalla candidatura all’adesione Ue dal 2005. Il percorso di Skopje è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia per la contesa identitaria sull’uso del nome della patria di Alessandro Magno, perché entrambi i Paesi lo rivendicano come parte esclusiva della propria storia ed eredità culturale. Solo con gli Accordi di Prespa firmati il 12 giugno 2018 dagli allora primi ministri greco, Alexis Tsīpras, e macedone, Zoran Zaev, la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord e ha rinunciato a utilizzare il Sole di Verghina – simbolo della dinastia reale macedone – ricevendo in cambio da Atene il riconoscimento della lingua macedone e il via libera all’adesione di Skopje alla Nato e all’Unione Europea.Da sinistra: gli allora primi ministri della Grecia, Alexis Tsīpras, e della Macedonia del Nord, Zoran Zaev, in occasione della firma dell’Accordo di Prespa (12 giugno 2018)Il ministro degli Affari Esteri greco, Georgios Gerapetritis, aveva già condannato apertamente l’atteggiamento di metà maggio della neo-presidente macedone, definendolo “una flagrante violazione dell’Accordo di Prespa e della Costituzione del nostro Paese vicino”, e aveva avvertito in modo minaccioso che “i progressi nel percorso europeo dipendono dalla piena attuazione dell’Accordo di Prespa e principalmente dall’uso del nome costituzionale del Paese”. La nuova provocazione in arrivo dall’esecutivo appena insediatosi a Skopje non va certo nella direzione di una distensione. Ma anche a Bruxelles la linea di Atene (e indirettamente di Sofia) è condivisa appieno: “Affinché la Macedonia del Nord possa continuare il suo percorso di successo verso l’adesione all’Ue, è fondamentale che il Paese prosegua sulla strada delle riforme e del pieno rispetto degli accordi vincolanti, compreso l’Accordo di Prespa”, erano state le parole dei presidenti della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, all’indirizzo del nuovo establishment nazionalista di Skopje.