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    INTERVISTA / Spajić: “Il Montenegro investe su Ue e Nato. La presenza cinese non ci preoccupa più”

    Bruxelles – Il Montenegro sembra finalmente aver trovato un suo equilibrio, dopo anni di instabilità politica e istituzionale. Podgorica non ha mai perso la bussola del percorso verso l’Unione Europea, ma ora che la tempesta lunga più di tre anni è passata, l’obiettivo è ancora più visibile all’orizzonte. “Stiamo lavorando duramente e credo che sarà davvero epocale avere 28 membri entro il 2028“, confessa il primo ministro del Montenegro in carica dal primo novembre 2023, Milojko Spajić, nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata a Eunews a margine dell’inaugurazione dell’iniziativa del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ‘Membri candidati all’allargamento Ue’ a Bruxelles.

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićPrimo ministro Spajić, quanto ritiene realistico che – a cinque anni da oggi – il Montenegro parteciperà alle prossime elezioni europee?“Noi saremo pronti anche prima del 2028. Ma sappiamo anche che la politica di allargamento Ue è un processo a doppio senso e faremo del nostro meglio per concludere i negoziati di adesione nel 2026 e attendere fino al 2028 per la ratifica del Trattato di adesione da parte di tutti gli Stati membri. Dal momento in cui l’Unione contava già 28 membri, non è necessaria una revisione interna dei Trattati prima del nostro ingresso. Sarebbe un passo storico vedere i politici montenegrini in corsa per le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nel 2029”.Che tipo di partner è il Montenegro per l’Unione Europea?“Oggi il rapporto con l’Unione Europea e con gli altri Paesi dei Balcani Occidentali è il più positivo di sempre, ma dobbiamo migliorare ancora. Per quanto riguarda gli investimenti, vogliamo invitare società, imprese e istituzioni europee a ricostruire le infrastrutture, vogliamo ancora più scambi commerciali tra il Montenegro e l’Unione Europea, e ancora più imprese che aprono da noi e viceversa. Questa è una grande opportunità per Paesi come l’Italia, per esempio: Il Montenegro e tutti i Balcani Occidentali sono un frutto a portata di mano, perché i nostri cittadini amano l’Italia, la guardano come un modello in termini di società e di adesione all’Ue. Vogliamo più imprese italiane in Montenegro, così come da altri Paesi dell’Unione”.Eppure il Montenegro negli ultimi anni ha sollevato non poche perplessità a Bruxelles.“Il problema più grande del Montenegro è che nel 2020, quando sono diventato ministro delle Finanze, quasi il 60 per cento del turismo proveniva da Paesi esterni all’Unione Europea, alla regione e alla NATO. Le infrastrutture erano finanziate al 100 per cento da Paesi ed entità esterne a questo spazio politico, e anche il 90 per cento degli investimenti proveniva da Oriente. Allo stesso tempo, dal punto di vista geopolitico siamo membri della Nato e potenziali membri dell’Ue, con un 100 per cento di allineamento alla sua Politica estera e di sicurezza comune. Era una sorta di situazione bipolare, in cui geopoliticamente eravamo allineati da una parte, ma economicamente eravamo completamente isolati dal continente europeo e ci comportavamo come una nazione dell’Asia centrale. In quattro anni – all’inizio come ministro delle Finanze e ora da primo ministro – abbiamo cambiato completamente la rotta economica del Montenegro”.Ma quanto è ancora preoccupante la presenza cinese nell’economia del Paese?“Abbiamo ereditato il prestito con la China Investment Bank, lo abbiamo coperto con successo e abbiamo ridotto l’esposizione dal 27 per cento del Pil al 7/8 per cento. Ora è completamente gestibile, quasi trascurabile, è solo uno dei prestiti nel nostro portafoglio e non ci preoccupa molto. Vogliamo che il finanziamento delle infrastrutture in futuro provenga quasi esclusivamente dai nostri alleati della regione, dell’Ue e della Nato. Stiamo finalmente regolando l’economia e la geopolitica nel modo giusto”.

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićA proposito di Nato. È preoccupato dalle minacce di Trump, secondo cui gli Stati Uniti non dovrebbero difendere gli alleati che non spendono abbastanza nella difesa da un’eventuale aggressione russa?“Rischierei di entrare nella campagna politica statunitense, se commentassi questa dichiarazione. Io voglio intenderla come un messaggio cruciale per gli Stati Uniti, non solo per Trump ma anche per Biden: che Washington vuole vedere un contributo più attivo da parte di tutti i partner della Nato. Abbiamo ricevuto il massaggio, il Montenegro vuole essere un partner credibile per tutti coloro che fanno parte dell’Alleanza. Il governo è entrato in carica il primo novembre scorso, non abbiamo avuto molto tempo: la precedente bozza di bilancio diceva che la spesa per gli scopi Nato era pari all’1,8 per cento del Pil, ma in un solo mese siamo riusciti ad aumentarla al 2,01 per cento”.Diventando così uno dei 18 Paesi Nato che quest’anno avranno raggiunto la soglia minima di spesa del 2 per cento per la difesa in rapporto al Pil.“Questa è la dimostrazione di quanto siamo impegnati. Dopo l’aggressione russa all’Ucraina è fondamentale rendersi conto di quanto sia importante la sicurezza non più solo a livello teorico, ma anche e soprattutto pratico. È inimmaginabile che un membro della Nato possa essere invaso e conquistato da una potenza straniera come ha fatto la Russia con l’Ucraina”.

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    L’iniziativa sull’allargamento Ue del Cese inaugurata sotto gli occhi dei premier di Albania e Montenegro

    Bruxelles – Dopo le promesse, la messa a terra della prima iniziativa di coinvolgimento concreto dei Paesi candidati all’adesione all’Unione Europea. Il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ha lanciato ufficialmente oggi (15 febbraio) l’iniziativa ‘Membri candidati all’allargamento Ue’, per integrare 131 membri della società civile dei nove Paesi candidati all’adesione Ue – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina – nel lavoro consultivo del Comitato per tutto il 2024, diventando la prima istituzione dell’Unione a fare questo passo.

    Da sinistra: il presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese), Oliver Röpke, il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić, il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la vicepresidente della Commissione Ue per i Valori e la trasparenza, Vêra Jourová (15 febbraio 2024)“Quando mi sono insediato, l’avevo promesso come una delle prime iniziative”, ha ricordato il presidente del Cese, Oliver Röpke, parlando del coinvolgimento dei Paesi coinvolti nel progetto di allargamento Ue. Dopo il lancio dell’iniziativa nel settembre 2023 e l’invito di inizio gennaio a presentare le candidature, “la risposta è stata enorme, con 567 richieste, questo ha dimostrato quanto è dinamica e attiva la società civile di questi Paesi”.

    A febbraio sono stati scelti 131 membri che ora potranno partecipare a tutto il ciclo dei pareri (gruppi di studio, riunioni di sezione e sessioni plenarie), con una plenaria annuale specifica sulle questioni relative all’allargamento Ue programmata per settembre e la valutazione del progetto a dicembre 2024: da oggi saranno integrati nel Comitato 13 membri dall’Albania, 9 dalla Bosnia ed Erzegovina, 15 dalla Georgia, 16 dalla Moldova, 14 dal Montenegro, 14 dalla Macedonia del Nord, 13 dalla Serbia, 15 dalla Turchia e 22 dall’Ucraina. “È una nuova fase, potete portare una nuova visione nell’Ue“, è l’esortazione del presidente Röpke.  “L’ingresso nell’Ue è l’assicurazione politica contro le minacce degli autocrati”, ha messo in chiaro nel suo intervento la vicepresidente della Commissione Ue per i Valori e la trasparenza, Vêra Jourová, che ha promesso – anche in vista della nuova legislatura europea e come impegno della futura Commissione – che “spingeremo l’integrazione con i Paesi candidati all’adesione Ue ovunque possibile, ci sono molte porte aperte” anche grazie al nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali.L’iniziativa del Cese è stata presentata a Bruxelles alla presenza dei premier del Montenegro, Milojko Spajić, e dell’Albania, Edi Rama. “Faremo tutto il nostro lavoro in linea come l’approccio basato sul merito, non vogliamo scorciatoie”, ha assicurato il primo ministro montenegrino, ricordando che “siamo stati i primi a portare i rappresentanti della società civile nel processo negoziale” iniziato nel 2012: “La priorità del governo è di implementare le riforme, sfruttando questo momento positivo” iniziato con il nuovo ciclo politico dello scorso anno. “Tutti dovrebbero realizzare che tanto l’Ue è importante per noi, tanto noi siamo importanti per l’Ue”, è l’avvertimento del premier albanese Rama, che ha definito quello del Cese “il primo grande esempio di come dobbiamo vedere il prossimo futuro comune“. Ovvero “essere parte integrante e con diritto di voto”, anche nelle altre istituzioni Ue “a diversi livelli e in diversi comitati”, dal Parlamento alla Commissione, fino al Consiglio dell’Ue. Rama ha definito l’Unione “più consapevole dell’importanza strategica dei Balcani non solo a parole, ma anche nei fatti”, anche se “è triste constatare che serviva Putin per darci una scossa e aprirci gli occhi, ma non possiamo aspettare una nuova invasione, un nuovo disastro” per spingere questo processo.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che si trovano sul percorso dell’allargamento Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre ha deciso che potranno essere avviati i negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.

    Da sinistra: il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (15 dicembre 2024)Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Di nuovo seguendo la raccomandazione contenuta nel Pacchetto Allargamento Ue, il vertice dei leader Ue del 14-15 dicembre 2023 ha deciso di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.

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    Aumentano gli investimenti Bei nei Balcani Occidentali: 1,2 miliardi nel 2023 per la transizione sostenibile

    Bruxelles – Un anno da record per gli investimenti nei Balcani Occidentali, almeno per quanto riguarda il contributo della Banca europea per gli investimenti (Bei). Nel 2023 il braccio finanziario Bei Global per le attività al di fuori dell’Unione Europea ha stanziato 1,2 miliardi di euro in progetti regionali di transizione sostenibile ed energetica a supporto degli sforzi economici, climatici, di adesione all’Unione e di connettività di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia.

    Un aumento di 365 milioni di euro rispetto al 2022, portando a oltre 10 miliardi il sostegno complessivo della Bei ai Balcani Occidentali dal 2010 per aiutare le economie locali a svilupparsi in modo sostenibile. “I fondi sostengono progetti nell’ambito del Piano economico e di investimento e dell’iniziativa Global Gateway, strumenti strategici dell’Ue per colmare le lacune infrastrutturali esistenti e migliorare gli standard di vita”, ha spiegato il vicepresidente della Bei responsabile per la regione, Kyriacos Kakouris, mettendo in chiaro che l’obiettivo è sia quello di “avanzare la convergenza con l’Unione Europea” sia di “rafforzare le iniziative regionali come il Mercato regionale comune“. Due priorità fondamentali anche del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro presentato a novembre 2023 dalla Commissione Ue (anche se con dubbi finanziari da parte della Corte dei Conti Europea).

    La quota maggiore dei nuovi fondi (693 milioni di euro) è stata destinata a trasporti più sicuri e sostenibili, in particolare alle linee ferroviarie in Serbia (Belgrado-Niš) e in Macedonia del Nord (Kriva Palanka-frontiera bulgara), ma anche per la modernizzazione del trasporto urbano a Sarajevo e per un progetto di sicurezza stradale in Serbia. Circa il 61 per cento dei progetti firmati nel 2023 “contribuisce direttamente all’azione per il clima e alla sostenibilità ambientale”, in linea con gli obiettivi della Bei nel campo delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e delle infrastrutture per l’energia pulita. Altri 275 milioni di euro sono stati destinati al sostegno delle piccole e medie imprese sotto forma di crediti accessibili per aiutarle a espandersi e a creare posti di lavoro, migliorando al contempo il loro impatto sociale e climatico”, anche grazie a una “componente “verde” nelle linee di credito a sostegno di progetti di energia pulita e di azione per il clima. I fondi rimanenti saranno destinati a progetti in materia di energia, acqua, sanità e istruzione.

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    La Corte dei Conti Ue rimanda con debito il Piano di crescita per i Balcani sugli standard d’erogazione

    Bruxelles – Dopo il via libera al nuovo pacchetto di investimenti per i Balcani Occidentali incluso nella revisione intermedia del bilancio Ue, alcune perplessità emergono a Lussemburgo sulla sostenibilità del Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro pronto per essere messo a terra tra il 2024 e il 2027. “C’è il rischio che le condizioni di erogazione non siano abbastanza ambiziose e che gli indicatori non siano sufficientemente chiari e misurabili, e resta inoltre difficile garantire la sostenibilità delle riforme soprattutto in considerazione della debole capacità amministrativa della regione”, è l’avvertimento lanciato dalla Corte dei Conti Europea in una relazione sulla protezione dei fondi aggiuntivi messi a disposizione di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia da Bruxelles.

    Secondo quanto emerge dalla relazione firmata dalla responsabile per il dossier, Laima Liucija Andrikienė, i revisori dei conti europei accolgono “con favore” l’introduzione di condizioni più rigorose per il finanziamento attraverso il nuovo Strumento, collegando i pagamenti per la convergenza economica della regione “finora insufficiente” al soddisfacimento delle riforme stabilite nelle agende di ciascun Paese. Tuttavia non vengono risparmiate critiche alla Commissione Ue per essersi limitata a prevedere di formulare solo osservazioni a riguardo, mentre al contrario dovrebbe essere in grado di “richiedere ai governi dei Balcani Occidentali di rivedere e modificare di conseguenza le loro agende di riforma“, sulla base di “linee-guida pertinenti” per la loro valutazione.Il rapporto della Corte dei Conti Europea si concentra poi sul sostegno finanziario di notevole rilevanza. Il Piano di crescita per i Balcani Occidentali prevede 6 miliardi di euro – 2 miliardi come sostegno a fondo perduto e 4 miliardi in prestiti – in quattro anni: importi da erogare che rappresentano un “aumento sostanziale dei finanziamenti previsti” fino al 2027, pari a “oltre il 40 per cento” dei 14 miliardi di euro già messi a disposizione dei Paesi in fase di pre-adesione per lo stesso periodo. I revisori dei conti europei riconoscono che lo Strumento e la relativa dotazione si spiegano con la necessità di convergenza delle economie balcaniche a quelle dei Ventisette e con i benefici delle misure anche sul piano sociale e politico. Tuttavia, “in assenza di una valutazione d’impatto o di un documento analitico“, non è possibile quantificare “in che misura il sostegno previsto di 6 miliardi di euro possa contribuire al raggiungimento degli obiettivi principali” del Piano, è l’ammonimento contenuto nella relazione.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato largamente anticipato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e illustrato ai diretti interessati nel corso del suo ultimo tour autunnale nella regione, prima della presentazione ufficiale lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno dell’esecutivo comunitario, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.

    La foto di famiglia del vertice Ue-Balcani Occidentali a Bruxelles (13 dicembre 2023)Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme fondamentali, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme socio-economiche concordate (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, per la cui messa a terra servirà prima che ciascuno dei sei Paesi presenti un’agenda di riforme basata sulle raccomandazioni del Pacchetto Allargamento e dei Programmi di riforma economica (Erp).

    Va infine segnalato che per Serbia e Kosovo c’è una clausola supplementare: “Devono impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo sulla normalizzazione delle relazioni”, ha specificato la presidente von der Leyen. In altre parole, senza progressi nel dialogo Pristina-Belgrado, rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti dal Piano. Lo stesso discorso vale per la Bosnia ed Erzegovina in caso di mancata implementazione delle riforme fondamentali: “Le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito la numero uno della Commissione nella sua tappa del primo novembre a Sarajevo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il 28esimo membro entro il 2028. L’obiettivo del Montenegro per l’adesione all’Unione Europea

    Bruxelles – L’obiettivo è fissato e, dopo anni di instabilità politico-istituzionale e stagnazione sulla strada verso l’Unione Europea, per il Montenegro si è invertita di nuovo la barra per portare a casa un risultato auspicato da oltre 15 anni. “Il nostro storico e le nostre azioni nei prossimi mesi e anni metteranno sul tavolo delle decisioni se il Montenegro è pronto per diventare il 28esimo Paese membro entro il 2028, o se saremo parte di un processo più largo che arriverà più tardi”, ha messo in chiaro il neo-primo ministro montenegrino, Milojko Spajić, parlando con i giornalisti al termine della 15esima riunione della Conferenza di adesione Ue-Montenegro a Bruxelles ieri sera (29 gennaio).

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić (29 gennaio 2024)Rispondendo alle domande sulla necessità di riforme a Podgorica e contestualmente di riforme interne all’Unione, Spajić ha voluto ricordare che “in teoria l’Ue è già pronta per 28 membri, non c’è bisogno di cambiare i Trattati“, con implicito riferimento all’addio del Regno Unito dopo la Brexit nel 2020. Ma per il Paese partner più avanzato sul cammino verso l’Ue tra tutti i 10 in corsa non c’è alcun rimpallo di responsabilità con Bruxelles: “Siamo noi che dobbiamo rispettare le promesse ed essere un partner affidabile, se lo faremo, sono ottimista”. Con il nuovo governo europeista insediatosi il 31 ottobre dello scorso anno anche a Bruxelles si respira ottimismo per i progressi che Podgorica può mettere in campo nel breve periodo, anche considerata la fine del lungo iter di nomina dei giudici della Corte Costituzionale che ha reso tesissimi i rapporti tra le forze politiche nel Paese balcanico tra fine 2022 e metà 2023. A proposito dell’obiettivo al 2028, la ministra degli Affari esteri del Belgio e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Hadja Lahbib, ha spiegato che “è molto ambizioso e lo supportiamo“, anche se l’allargamento Ue “rimane un processo basato sui criteri di Copenaghen e sul merito, vedo che c’è una forte volontà e sono sicura conquisterete altri progressi nel futuro prossimo”.

    Alla Conferenza di adesione Ue-Montenegro di ieri è stato fatto il punto sull’iter di avvicinamento del Paese verso l’adesione, i cui negoziati vedono tutti i 33 capitoli aperti e solo 3 chiusi provvisoriamente: il 25 su scienza e ricerca, il 26 su istruzione e cultura e il 30 su rilevazioni esterne. Come si legge nell’ultimo report specifico sul Montenegro contenuto nel Pacchetto Allargamento 2023, i progressi sui parametri intermedi fissati nei capitoli 23 e 24 sullo Stato di diritto (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’) “saranno fondamentali per ottenere ulteriori progressi” nei negoziati in generale. In altre parole, “non saranno chiusi provvisoriamente altri capitoli prima del raggiungimento di questa pietra miliare“. Anche il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha ricordato che “i prossimi passi sono chiari, Podgorica sa cosa bisogna fare”, in particolare nell’area dei media con il “rafforzamento del Consiglio nazionale dei media”, dell’indipendenza dei giudici e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata “non solo con la legislazione, ma anche con uno storico su casi di alto livello”, ha sottolineato il membro del gabinetto von der Leyen. Lo stesso premier Spajić ha voluto mettere in chiaro che “abbiamo molto da lavorare sulla legislazione pendente, ma sono sicuro che questo approccio darà risultati”.

    La ricerca di nuova stabilità in Montenegro

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, a Podgorica (31 ottobre 2023)Il 2023 è stato l’anno in cui si è chiusa in Montenegro una crisi non solo istituzionale ma anche politica. Dal febbraio dello scorso anno è stato un succedersi di trionfi per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro – rispettivamente Spajić e Jakov Milatović – vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno. Il neo-premier Spajić – eletto nel giorno della visita a Podgorica della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – e il neo-presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić, a Podgorica (31 ottobre 2023)La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) ha messo fine a una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una coalizione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Dritan Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Nel pieno della crisi istituzionale emersa dalla seconda metà dell’anno e dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, non sapendo che di lì a poche settimane avrebbe perso le elezioni presidenziali prima, e le nazionali poi.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il Consiglio Europeo di marzo sarà decisivo per i negoziati di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Dopo un Consiglio Europeo di svolta, si attende un Consiglio Europeo risolutore. Le speranze della Bosnia ed Erzegovina di vedere avviati i negoziati di adesione Ue dipendono tutte dagli esiti del vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri in programma il prossimo 21-22 marzo, sulla base di un report che la Commissione Europea sta stilando sui progressi dello stesso candidato perché questo traguardo cruciale del percorso di adesione possa realizzarsi. “Un Paese unico, unito e sovrano, questa è la nostra visione della Bosnia ed Erzegovina nell’Ue, presenteremo il report entro marzo e il Consiglio Europeo potrà discuterne”, ha messo in chiaro la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa a Sarajevo nel corso del suo viaggio insieme ai primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte.

    “Abbiamo discusso dei prossimi passi da fare, dobbiamo vedere progressi sui capitoli fondamentali, ha spiegato questa mattina (23 gennaio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “Più lo farete, più mi aiuterete con il report che dovrò presentare sui vostri progressi“. Il riferimento è alla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione con Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parallelamente prosegue anche il lavoro sul Piano di crescita per i Balcani Occidentali e – dopo le minacce velate di von der Leyen durante l’ultimo viaggio a Sarajevo sulla redistribuzione delle risorse agli altri partner balcanici in caso di mancata implementazione delle riforme – oggi è arrivata la rassicurazione che “abbiamo disegnato il Piano perché nessun altro Paese lo possa bloccare, è solo una vostra decisione”.Ritornando alla questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue, la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto illustrare l’impegno delle autorità nazionali sia con “un lavoro legislativo in corso su 13 progetti di legge” sia con un “programma di riforme per tutto il 2024”. A Sarajevo “c’è ottimismo” sul fatto che “a marzo ci sarà una data per avviare i negoziati”, ha sottolineato Krišto, ricevendo una conferma dal primo ministro croato Plenković: “Il rapporto ci dovrà aiutare a trovare il consenso su una decisione positiva, usate questa finestra di opportunità per spingere le riforme che saranno incluse nel report“. Il leader croato è finito però al centro delle polemiche nell’opinione pubblica nazionale per aver disertato l’incontro con i tre esponenti della presidenza della Bosnia ed Erzegovina, in polemica per la presenza dell’esponente croato-bosniaco Željko Komšić (non considerato legittimo da Zagabria). Una dimostrazione che nel processo di allargamento Ue la Croazia non è uno dei Paesi membri Ue più trainanti senza interesse, perché sta giocando una parallela partita nazionalistica.

    Da sinistra: il co-presidente bosniaco, Željko Komšić, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il co-presidente bosniaco, Denis Bećirović, il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e la co-presidente bosniaca Željka Cvijanović (23 gennaio 2023)In ogni caso dalle parole del premier Plenković in conferenza stampa è emersa una questione particolarmente urgente per tutta l’Unione. “Se perdiamo l’occasione [di avviare i negoziati di adesione Ue, ndr] a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“, è l’avvertimento a due mesi dall’appuntamento dei 27 leader: “Fra due mesi inizierà la campagna elettorale per le europee e poi si dovranno insediare le nuove istituzioni”. Una previsione non sconfessata da von der Leyen, di cui ancora non si conoscono le intenzioni su una possibile ricandidatura alla presidenza dell’esecutivo comunitario: “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione“. Senza frenare sulle possibilità di Sarajevo di aspirare all’avvio dei negoziati di adesione quanto prima, il premier olandese Rutte ha voluto comunque ribadire che “tutti i criteri devono essere rispettati, nella situazione corrente bisogna ammettere che c’è ancora molto lavoro da fare, ma siamo tutti disponibili ad aiutarvi”.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio. Ecco perché il vertice del 21-22 marzo è considerato decisivo su questo fronte, anche considerati gli impegni a Bruxelles – elettorali prima e istituzionali poi – nei restanti nove mesi dell’anno.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La società civile dei Paesi candidati all’adesione Ue potrà partecipare presto ai lavori del Cese

    Bruxelles – Inizia un nuovo anno cruciale per l’allargamento Ue che, dopo le decisioni dell’ultimo Consiglio Europeo di dicembre 2023, si appresta ad assumere contorni un po’ più definiti grazie alla prima istituzione comunitaria che aprirà concretamente le sue porte ai nuovi candidati all’adesione all’Unione. Il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ha lanciato l’invito alla società civile dei nove Paesi che si trovano su questo cammino a candidarsi per diventare ‘Membri candidati all’allargamento’ e contribuire al lavoro consultivo del Comitato nel 2024.Il presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo, Oliver Röpke, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (31 agosto 2023)“La geopolitica è riemersa come tema esistenziale nell’agenda politica, l’Ue deve essere all’altezza del compito che l’attende: è giunto il momento del suo risveglio geopolitico”, è l’esortazione del presidente del Cese, Oliver Röpke, tratteggiando gli sviluppi di quella che lo scorso anno era stata anticipata come ‘Iniziativa dei Membri onorari dell’allargamento’. L’idea è quella di includere nuovi membri onorari della società civile per ciascun Paese candidato nel processo di stesura dei pareri del Cese: dall’energia ai diritti sociali e del lavoro, dalla transizione digitale e verde alla politica industriale, fino allo sviluppo sostenibile e il Mercato unico. Saranno coinvolti i nove Paesi candidati all’adesione Ue – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina –  mentre per ora non sarebbe incluso il Kosovo (che ha fatto richiesta di adesione nel dicembre 2022). Parlando con Eunews, il presidente Röpke non ha escluso una “collaborazione più stretta” con Pristina, nonostante per l’iniziativa “abbiamo deciso di attenerci alle decisioni del Consiglio sullo status di candidato”.Le organizzazioni della società civile dei nove Paesi candidati possono presentare la propria candidatura fino al 25 gennaio (qui il link). Nel processo di selezione sarà considerato il livello di partecipazione al dialogo civile e sociale nazionale e a reti internazionali, l’adesione ai valori dell’Ue sanciti dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea (dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle minoranze), parità di genere, rappresentatività dei giovani e conoscenza di almeno una delle lingue ufficiali dell’Unione. Dopo la selezione del pool di 21 membri per Ucraina e Turchia e di 15 per gli altri Paesi, la partecipazione sarà estesa a tutto il ciclo dei pareri (gruppi di studio, riunioni di sezione e sessioni plenarie), con una plenaria annuale specifica sulle questioni relative all’allargamento. “Questa iniziativa innovativa fa del Cese il primo organo dell’Ue a integrare progressivamente nelle sue attività i rappresentanti dei Paesi dell’allargamento”, ha rivendicato il presidente Röpke, spiegando l’obiettivo del progetto-pilota per tutta la durata di quest’anno (da rivalutare a dicembre).A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che si trovano sul percorso dell’allargamento Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre ha deciso che potranno essere avviati i negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Di nuovo seguendo la raccomandazione contenuta nel Pacchetto Allargamento Ue, il vertice dei leader Ue del 14-15 dicembre 2023 ha deciso di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.

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    Dall’industria all’agricoltura. Rischi e opportunità dell’allargamento Ue per l’economia italiana

    Bruxelles – Non è solo una questione politica, ma è soprattutto un tema che interessa il futuro assetto dell’Unione Europea anche sul piano economico e commerciale. L’allargamento Ue è tornato da più di un anno e mezzo – da quando la Russia ha iniziato la guerra di aggressione in Ucraina – in cima all’agenda dei Ventisette e dopo il cruciale Consiglio Europeo del 14-15 dicembre in cui i leader dell’Unione hanno deciso di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldova (con la Bosnia ed Erzegovina con riserva) e di concedere lo status di Paese candidato alla Georgia, il comparto economico italiano inizia a considerare rischi e opportunità future di questo processo. Con particolare attenzione al peso massimo dell’allargamento Ue, l’Ucraina.“Il nostro auspicio è che Paesi come l’Ucraina e quelli dei Balcani Occidentali, una volta raggiunti i prerequisiti e completati i passi necessari per l’adesione, possano presto entrare nell’Unione Europea“, sottolinea il Delegato del Presidente di Confindustria per l’Europa, Stefan Pan, contattato da Eunews. Confindustria rimane cauta sulle prospettive dell’allargamento Ue, ma riconosce la necessità di “riflettere sul futuro funzionamento delle istituzioni europee, che già ora avrebbero bisogno di un cambiamento nella governance” sia sul piano dell’efficacia dei processi decisionali sia per “rispondere meglio alle esigenze con cui si confronta il sistema Europa”, spiega Pan. Più nello specifico il comparto industriale italiano guarda a come l’allargamento Ue potrebbe incidere sul piano istituzionale, sulle politiche europee e a livello di bilancio: “Per questo servono riforme accompagnate da analisi approfondite, che tengano conto di tutti i diversi aspetti coinvolti e che rendano l’Unione idonea ad affrontare le sfide dei prossimi anni”.Anche il responsabile dell’ufficio di rappresentanza di Coldiretti a Bruxelles, Paolo Di Stefano, mette in chiaro che “ci sono diversi elementi da considerare”, dal Mercato interno al bilancio Ue fino ai tempi dei negoziati. È soprattutto l’Ucraina sotto la lente, considerate le dimensioni (quasi 44 milioni di abitanti) e la struttura agricola “completamente diversa” da quella del resto d’Europa: “A fronte di dimensioni medie di 12/13 ettari della superficie occupata dalle aziende agricole europee, in Ucraina sale fino a 400 ettari”. Come fa notare a Eunews Di Stefano, Kiev “dovrà adattarsi agli standard produttivi europei, come sulla sicurezza alimentare, ambientale e dei consumatori”, perché un’Europa allargata “può essere un’opportunità”. Anche se al momento non si possono nascondere le “preoccupazioni economiche” legate all’allargamento Ue, a partire dal bilancio dell’Unione: “Come mostrato dal Segretariato generale del Consiglio, con le regole attuali di bilancio l’ingresso dell’Ucraina avrebbe un impatto notevole sui fondi della Politica Agricola Comune“. Si parla di una “riduzione complessiva del 20 per cento per le assegnazioni agli Stati membri” e “l’Italia, che è già un Paese contributore netto, dovrà aumentare i contributi“. Di fronte a queste preoccupazioni Coldiretti chiede “scelte importanti e coraggiose sul bilancio Ue” ma anche negoziati che “non creino troppi scompensi al mercato e alla protezione delle aziende agricole della ‘vecchia’ Europa”, è l’esortazione di Di Stefano.A tirare le fila del discorso, in una conversazione con Eunews sulle prospettive future dell’allargamento Ue per l’economia italiana e per l’assetto europeo, è l’eurodeputato Massimiliano Salini (Forza Italia), membro sostituto della commissione per l’Industria, la ricerca e l’energia (Itre). “L’allargamento Ue in quanto tale è un fatto positivo, perché è un segno di solidità del progetto europeo, ma per come è configurata oggi e per lo stato di salute, l’Unione sembra tutt’altro che pronta a un nuovo allargamento“. Ecco perché in primis “non c’è futuro politico senza una Costituzione, poi bisogna stabilire di cosa si deve occupare l’Ue a livello di bilancio” e infine si può “intervenire su governance e riforma dei Trattati”. Se questo è l’aspetto politico/istituzionale che interessa tutti i Ventisette, a livello economico nazionale “per l’Italia ci sono solo vantaggi dall’allargamento Ue, in quanto Paese esportatore con una manifattura brillante“. Salini riconosce sì che “alcuni settori hanno preoccupazioni legittime, come quello agricolo, per cui serve una valutazione”, ma nel suo complesso “l’Italia ne avrebbe solo da guadagnare” se si considera il maggiore spettro di Paesi “a cui rivolgere i propri prodotti senza ostacoli determinati da confini e dazi, la libera circolazione delle merci è sicuramente un fatto positivo”.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre ha deciso che potranno essere avviati i negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Di nuovo seguendo la raccomandazione contenuta nel Pacchetto Allargamento Ue, il vertice dei leader Ue del 14-15 dicembre ha deciso di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.