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    Ab InBev resta in Russia, Mosca non dà il permesso a fermare il business della birra

    Bruxelles – Birre belga in Russia, il business continua perché Mosca non concede il permesso di interrompere gli affari. La storia di Ab InBev, la multinazionale della ‘bionda’ con sede a Leuven, in Belgio, si arricchisce di un nuovo capitolo che continua a mettere in imbarazzo i belgi e arricchisce la macchina da guerra del Cremlino. Sono le autorità russe ad aver detto ‘niet’ all’intenzione di Ab InBev di uscire dal consorzio con i russi e cedere le quote ai turchi di Anadolu Efes. Questi ultimi si sarebbero detti a più riprese disponibili a rimpiazzare Ab InBev nel mercato della birra in Russia, ma, ammettono i belgi, “non sono state ottenute le necessarie approvazioni normative e governative” per completare la transazione.La Russia in sostanza tiene l’industria delle birra belga legata e ancorata in patria, contro il volere dichiarato del colosso che, tra i vari marchi, vanta Corona, Stella Artois, Budweiser, Beck’s, Birra del Borgo, Leffe, e Jupiler, il brand che sponsorizza la massima serie calcistica del Belgio. Ab InBev ha annunciato l’intenzione di lasciare la Russia nel 2022, sulla scia della guerra dichiarata da Mosca all’Ucraina. Un’intenzione rimasta fin qui lettera morta, per ragioni di contratti commerciali e questioni giuridiche onerose e complicate.Da parte russa è facile capire il motivo che spinge a fare in modo che il partner europeo resti presente e attivo all’interno delle Federazione. Alla fine del 2023 la multinazionale della birra ha registrato ricavi per 59,4 miliardi di dollari. Un partner redditizio, ricco, stabile, che fa gola al Cremlino, e su cui le autorità russe possono esercitare pressione e offrire una prova di forza contro le sanzioni a dodici stelle, che vorrebbero azzerrare i rapporto economico-commerciali con la Russia di Putin per fermarne la macchina bellica. Invece la Russia di Putin, almeno in questa partita, sembra avere la meglio.

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    L’Alto rappresentante Ue Borrell ha suggerito di imporre sanzioni contro due ministri di Israele

    Bruxelles – Dopo le parole sconcertanti del ministro delle Finanze d’Israele, Bezalel Smotrich, sulla giustificazione morale di affamare la popolazione di Gaza per ottenere la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas, sono arrivate quelle di Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza nazionale e leader del partito di estrema destra ‘Potere Ebraico’. Troppo per il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, che aveva condannato duramente la dichiarazione di Smotrich e chiesto al governo israeliano di prenderne distanza. Ora Borrell ha suggerito di imporre sanzioni contro i suoi due ministri più estremisti.In un post sul suo profilo X, Ben-Gvir ha criticato la strategia dei negoziati incoraggiata dagli Stati Uniti e dai principali Paesi della regione, perché Hamas “deve continuare a essere calpestato fino a che non si arrenderà completamente”. Per farlo, lo Stato ebraico dovrebbe “fermare il trasferimento di aiuti umanitari e carburante a Gaza finché tutti i nostri rapiti non saranno tornati a casa”. In più, il ministro ha esortato il governo israeliano a “incoraggiare l’immigrazione e occupare i territori della Striscia di Gaza per tenerli permanentemente nelle nostre mani”.I ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir (L) e Bezalel Smotrich (Photo by AMIR COHEN / POOL / AFP)Dichiarazioni che ricalcano quelle fatte a più riprese da Smotrich, a capo del partito Sionismo Religioso, e che per la verità non sono fughe in avanti dei leader, ma sono perfettamente in linea con i principi e le linee guida delle loro formazioni politiche: il programma politico di Potere Ebraico prevede esplicitamente l’annessione della Cisgiordania e il pieno controllo israeliano del territorio compreso tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano.  Rifiuta l’idea di uno Stato Palestinese e chiede la cancellazione degli Accordi di Oslo del 1993, con cui Israele e l’allora Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) si impegnarono per un reciproco riconoscimento.“Come le sinistre dichiarazioni del ministro Smotrich, questo è un incitamento a crimini di guerra“, ha commentato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, suggerendo di fissare in agenda un aggiornamento del regime di sanzioni europee per colpire i due ministri. Nel regime Ue di sanzioni per violazioni dei diritti umani, sono già presenti nove individui e cinque entità legati alle colonie illegali israeliane nei territori palestinesi occupati. Chi finisce sulla lista nera dell’Ue, è soggetto al congelamento dei beni sul territorio europeo e al divieto di mettere piede sul suolo europeo. Parallelamente, gli individui e le entità colpite dalle sanzioni non possono ricevefondi o risorse economiche a loro beneficio.Sebbene sia prerogativa di Borrell, in quanto Alto rappresentante, proporre di modificare gli elenchi di chi è soggetto a misure restrittive da parte dell’Unione europea, c’è bisogno del sì di tutti i Paesi membri per poter procedere. Il capo della diplomazia europea ha esortato un’altra volta il governo israeliano a “prendere inequivocabilmente le distanze da queste incitazioni a commettere crimini di guerra” ed a “impegnarsi in buona fede nei negoziati facilitati da Stati Uniti, Qatar ed Egitto per un cessate il fuoco immediato” a Gaza.

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    Le industrie della Spagna di Sanchez arricchiscono Putin: acquisti massicci di Gnl russo

    Bruxelles – Anche la Spagna di Pedro Sanchez finanzia il presidente russo Vladimir Putin e la sua macchina da guerra. Strano, eppur vero. Le aziende iberiche stanno acquistando il gas naturale liquefatto (Gnl) russo, e in modo massiccio. Accordi commerciali e politiche di approvvigionamento energetico che fanno storcere il naso Juan Ignacio Zoido Álvarez, europarlamentare spagnolo del Ppe che chiede conto alla Commissione europea e domanda anche eventuali provvedimenti. Provvedimenti però che non ci saranno. Perché, ricorda, la commissaria per l’Energia Kadri Simson, nella risposta fornita all’interrogazione parlamentare, “finora il Gnl russo non è stato soggetto a sanzioni, il che significa che alle società non è vietato acquistarlo“.Le imprese spagnole dunque non stanno violando alcuna norma Ue né aggirando le sanzioni decretate dall’Unione europea nei confronti della Russia e del suo presidente. Il governo di Madrid, a sua volta, non può impedire alle imprese spagnole di fare affari con i russi. E’ vero, ricorda Simson, che l’ultima proposta della Commissione per il 14esimo pacchetto di sanzioni comprende, tra le altre cose, restrizioni al trasbordo di Gnl russo nei porti europei”. Tuttavia il pacchetto proposto “richiede ancora l’adozione all’unanimità del Consiglio”.L’unica cosa che l’esecutivo può fare, e Simson assicura che il team von der Leyen “continuerà” a farlo, è  “invitare gli Stati membri e le imprese” a smettere di acquistare gas naturale liquefatto russo e a non firmare nuovi contratti per Gnl con società russe una volta scaduti quelli esistenti. La Commissione può fare pressione sul governo Sanchez affinché faccia pressione sulle imprese spagnole, ma in assenza di divieti e sanzioni è tutto rimesso alla singola compagnia.Con l’Unione europea impegnata a indebolire l’economia russa e minare le capacità di finanziare l’esercito russo per la guerra in Ucraina, il risultato, denuncia l’europarlamentare spagnolo, è che la Spagna “ora importa più gas naturale liquefatto dalla Russia di qualsiasi altro paese europeo”. Fornisce anche i dati, che sono quelli dell’Istituto di economia energetica e analisi finanziaria (Ieefa). Emerge che la quantità di gas russo in arrivo nei porti spagnoli “ha registrato nuovi massimi, aumentando del 30 per cento nel 2023 ed è aumentata per due anni consecutivi”.Zoido Álvarez critica e accusa il governo del proprio Paese di “chiudere un occhio”, ma esaminando il rapporto citato dall’europarlamentare emerge che fin qui non c’è solo la Spagna ad aver continuato a fare affari con il regime di Putin. L’Ieefa certifica sì che tra gennaio e settembre 2023 la Spagna risulta il principale importatore di Gnl russo tra i paesi dell’UE, con 5,21 miliardi di metri cubi importati. Ma ci sono anche altri che stanno continuando ad alimentare la macchina da guerra russa: la Francia di Emmanuel Macron (3,19 miliardi di metri cubi acquistati) e il Belgio (commesse per 3,14 miliardi di metri cubi).Sulla Spagna pesa anche la rivendita all’interno dell’Ue. L’Ieefa rileva nero su bianco come la Spagna acquisti il Gnl russo per poi rivenderlo a un terzo degli Stati membri dell’Ue, nello specifico a Italia, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Paesi Bassi e Svezia.

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    Russia, un europeo su due non crede nell’efficacia delle sanzioni Ue

    Bruxelles – Di fronte alla guerra russa in Ucraina l’Unione europea ha fatto bene. No, invece. Ha fatto poco e male. Gli europei sono divisi. Riconoscono che l’Ue è in grado di gestire a crisi maggiori quali inondazioni o situazioni sanitarie quali il Covid-19, ma la guerra, quella, vede uomini e donne d’Europa in disaccordo. Tanto che un europeo su due non crede nell’efficacia delle sanzioni. Quello che emerge dal nuovo sondaggio Eurobarometro fresco di pubblicazione è un’opinione pubblica che fa fatica a capire. Complice una guerra che si trascina ancora, dopo oltre due anni e dodici pacchetti di sanzioni, il 9 per cento appena dei rispondenti nell’Ue sostiene che la risposta a dodici stelle sia stata ‘molto efficace’, e un altro 39 per cento la considera ‘piuttosto efficace’.Ecco dunque gli europei poco convinti e molto divisi. C’è complessivamente un cittadino su due (48 per cento) che dà credito all’Ue e alla sua azione, e un altro cittadino (46 per cento) che invece non ritiene sufficiente quanto fatto finora per risolvere il conflitto e fermare la guerra alle porte dell’Ue. C’è poi la minoranza che proprio dichiara di non sapere fino a che punto la risposta europea sia stata più o meno efficace (il ‘non so’ registra il 6 per cento). “I rispondenti sono divisi”, riconoscono gli autori dell’indagine, nel presentarne i risultati. E gli italiani? Non fanno eccezione.Anche in Italia c’è una sostanziale equivalenza nelle risposte a sostegno della risposta dell’Ue e le sue sanzioni anti-Russia (49 per cento) e uno generale scetticismo circa l’efficacia dell’azione condotta sinora 47 per cento). La sanzioni funzionano, questo ha detto dapprima la statistica, con i dati commerciali, e poi la politica. Ma non c’è nella società civile una maggioranza chiara a sostenerlo, e questo dà forza alla ragioni degli scettici. Per un europeo su due le sanzioni sono un fallimento.

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    McGuinness: “La Russia usa navi ombra per aggirare le sanzioni sul petrolio”

    Bruxelles – Il petrolio russo venduto a dispetto della sanzioni dell’Ue, grazie a navi ombra, o fantasma, non ufficialmente russe ma riconducibili alla Federazione russa, per conto di cui fanno affari. L’Unione europea deve fare i conti con una flotta di petroliere difficile da identificare, eppure reale. A riconoscere il fenomeno è Mairead McGuinness, commissaria per i Servizi finanziari, nella risposta all’interrogazione parlamentare in materia. Sì, ammette McGuinness, “la Russia sta utilizzando una flotta ombra di vecchie petroliere per trasportare il suo petrolio nel tentativo di eludere le sanzioni dell’Ue e il tetto massimo del prezzo del petrolio del Gruppo dei Sette (G7)”.Si tratta di imbarcazioni che non risultano di proprietà russa, spesso intestate a società di comodo con sede in qualche Paese terzo, e usate da operatori che lavorano per conto del Cremlino. Cambiano spesso bandiera, nome e proprietario, navigano senza assicurazione e nascondono regolarmente la loro posizione spegnendo il transponder risultando così invisibili ai radar. Questo è il fenomeno contro cui l’Ue deve fare i conti. Con un diritto internazionale che offre porti sicuri alle attività russe in chiave anti-sanzioni.La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare garantisce alle navi il diritto di passaggio inoffensivo, ovvero il diritto di navigare liberamente attraverso i mari territoriali. Non si può fare porto, ma si può transitare. Ciò significa che “impedire alle navi della flotta ombra di entrare nelle acque territoriali o nella zona economica esclusiva pone sfide significative”, riconosce ancora McGuinness. Fermo restando che l’esecutivo comunitario non può fare niente, visto che “dell’attuazione e applicazione delle sanzioni dell’Ue sono responsabilità degli Stati membri”. Il problema delle navi ombra si aggiunge alle pratiche illecite in acque internazionali, dove petrolio russo viene trasferito da una petroliera all’altra per aggirare sanzioni. Una delle prime trovate del presidente russo Vladimir Putin per farsi beffe delle restrizioni a dodici stelle. L’Ue continua a dare una mano agli Stati membri, “anche con l’assistenza dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima (Emsa), nel monitorare eventuali navi sospette”, assicura McGuinness. Ma le maglie europee sono tutt’altro che strette, e il Cremlino continua a fare cassa con il suo greggio.

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    Il Consiglio Ue rinnova di un altro anno le sanzioni contro la Siria

    Bruxelles – Avanti per un altro anno con le sanzioni contro il governo siriano di Bashar al-Assad e i suoi sostenitori. “Vista la gravità del deterioramento della situazione” nel Paese, il Consiglio dell’Ue ha deciso di rinnovare ed estendere fino all’1 giugno 2025 le misure restrittive introdotte per la prima volta a maggio 2011.  I Ventisette si dicono “profondamente preoccupati” per l’assenza di progressi. “Dopo più di 13 anni – recita la nota di accompagnamento alla decisione – il conflitto rimane fonte di sofferenza e instabilità per il popolo siriano e per la regione”. In questo contesto, il Consiglio ritiene che “il regime siriano continua a perseguire una politica di repressione e violazione dei diritti umani”. Risulta quindi “opportuno e necessario mantenere le misure restrittive in vigore“.

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    L’Ue vara il ‘pacchetto Navalny’: stop all’export di tutto ciò che può servire alla repressione in Russia

    Bruxelles – Mai più altri Alexsey Navalny. L’Unione europea vara un nuovo pacchetto di sanzioni tutto speciale contro Mosca, volto a fermare la macchina di repressione della Russia di Vladimir Putin. La morte di uno dei principali oppositori politici del leader russo è la molla che spinge il Consiglio dell’Ue a varare un pacchetto annunciato. Scatta la messa al bando di tutto ciò che può essere utilizzato ai fini di repressione, tortura, violazione dello Stato di diritto, e che quindi non potrà essere venduto alla federazione russa. Si tratta di un divieto alle esportazioni di merci, ma anche programmi informatici e dispositivi quali apparecchi radio e monitor.Il via libera garantito oggi (27 maggio) prevede anche l’iscrizione nella lista nera dell’Ue del Servizio penitenziario federale della Federazione Russa (Fsin). Si tratta dell’autorità centrale che gestisce il sistema carcerario russo, “noto per i suoi diffusi e sistematici abusi e maltrattamenti contro i prigionieri politici in Russia”, critica il Consiglio dell’Ue. In quanto agenzia federale, la FSIN è responsabile delle colonie penali, già inserite tra le entità soggette a sanzioni, in cui il politico dell’opposizione russa Alexei Navalny è stato detenuto con accuse politicamente motivate ed è infine morto il 16 febbraio 2024.Le decisioni prese a Bruxelles sono obbligate, spiega l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. La morte di Navalny, sottolinea, “stata un altro segno dell’accelerazione e della repressione sistematica da parte del regime del Cremlino”. Come Unione europea, promette, “non risparmieremo alcuno sforzo per chiedere conto alla leadership politica e alle autorità russe” per la morte dell’oppositore politico e il rispetto dei diritti umani nel Paese, “anche attraverso questo nuovo regime di sanzioni, prendendo di mira coloro che limitano il rispetto e violano i diritti umani in Russia”.Per questo motivo l’Unione europea colpisce anche tutti quei giudici ritenuti responsabili o corresponsabili per la morte in carcere di Navalny. Per loro non sarà possibile mettere piede su suolo comunitario, e per tutti, singoli individui e autorità penitenziaria nazionale, scatterà il congelamento degli eventuali beni detenuti in uno dei Ventisette Stati membri.

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    Il Belgio prova a convincere l’Ue a bandire il ‘made in Israel’ proveniente dai territori palestinesi occupati

    Bruxelles – Bandire i prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati. La presidenza belga del Consiglio dell’Ue prova a guidare quella che sarebbe una risposta senza precedenti al livello di Unione europea contro il partner della regione mediorientale. E’ il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, parlando ai media belgo-fiamminghi, a rivelare come si stia adoperando per convincere gli Stati membri dell’Ue a cancellare l’import ‘made in Israel’, con datteri, vino e olio d’oliva nel mirino.De Croo punta il dito contro la risposta dello Stato ebraico agli attacchi del 7 ottobre scorso. Dopo 35mila morti tra la popolazione palestinese e una violenza sta aumentando non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, “è difficile per i paesi europei dire che continueremo ad agire come se nulla stesse accadendo“, sostiene il primo ministro belga. Il Belgio, che ha sostenuto il procedimento del Sudafrica contro Israele avviato alla Corte di giustizia internazionale dell’Aia con l’accusa di genocidio, vorrebbe una risposta ferma e decisa, sa che un’azione unilaterale avrebbe “effetto zero”, e quindi cerca di compattare il blocco dei Ventisette.Immaginarsi di avere un consenso unanime su una decisione di sanzioni contro Israele è arduo, e l’obiettivo della presidenza belga è quello di avere “almeno un grande gruppo di paesi che sono disposti a fare questo passo”. De Croo si mostra fiducioso. “Ci sono un certo numero di paesi che sono aperti al nostro ragionamento“, sostiene. Partendo da questo gruppi di Paesi, che non nomina, si cerca di spingersi oltre. “Stiamo cercando di andare oltre quel gruppo di Paesi che la pensano allo stesso modo, penso che sia logico cercare di convincere altri Paesi”.La presa di posizione di De Croo si spiega anche con ragioni di governo. All’interno della coalizione i partiti Ecolo, Groen (verdi francofoni e fiamminghi), Vooruit (socialisti fiamminghi) e Cd&V (cristiano-democratici fiamminghi) avevano già chiesto lo stop all’acquisto di prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati, ma sono stati i liberali francofoni (Mr) a frenare su questa richiesta. Richiesta che non è caduta nel vuoto, e ora il premier belga ci prova.