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    Albuquerque: “Con 16esimo pacchetto sanzioni finanziarie alla Russia per 228 miliardi di euro”

    Bruxelles – Il 16esimo pacchetto Ue di sanzioni contro la Russia vale almeno 228 miliardi di euro. A tanto ammontano le risorse bloccate e rese impossibili da usare per Mosca, assicura la commissaria per i Servizi finanziari, Maria Luís Albuquerque. La portata delle sanzioni, sottolinea nella risposta offerta ad una precisa richiesta che arriva dai banchi dei popolari (Ppe), riguarda però solo il settore finanziario. Con l’insieme di misure varate a fine febbraio, “circa 28 miliardi di euro di attività private sono stati congelati nell’Ue nell’ambito di misure individuali e oltre 200 miliardi di euro di attività della Banca centrale russa sono stati immobilizzati nell’ambito di sanzioni settoriali”. Da qui il valore da 228 miliardi di euro, limitato però solo ad una parte di uno dei tanti pacchetti Ue, peraltro neppure l’ultimo.Al 16esimo pacchetto di sanzioni se n’è aggiunto un altro varato il 20 maggio, con la Commissione europea al lavoro per un 18esimo pacchetto su cui non ci si sbilancia. “Non abbiamo una scadenza prestabilita” per chiuderlo e metterlo sul tavolo, premette Anitta Hipper, portavoce dell’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. “Vogliamo che sia solido, e sostenuto da tutti gli Stati membri” quando arriverà il momento di proporlo in Consiglio, precisa. In Commissione “stiamo lavorando” e a tempo debito arriverà l’insieme delle nuove misure restrittive.Secondo le prime indiscrezioni l’esecutivo comunitario sta ragionando a restrizioni per Nord Stream, il gasdotto che collega la Russia alla Germania passando per il mar baltico, ulteriori restrizioni al settore bancario russo e una riduzione del tetto del prezzo del petrolio greggio.

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    Siria, Ue al lavoro per i rimpatri. Frontex: “Oltre mille ritorni da marzo”

    Bruxelles – Oltre mille rimpatri volontari dal territorio dell’Unione europea a casa, la Siria. Frontex, l’Agenzia di guardia costiera e di frontiera dell’Ue, da marzo ad oggi sta aiutando a ripristinare una situazione di normalità al Paese dopo la caduta del regime di Bashar Al-Assad, permettendo a quanti hanno goduto di protezione di ricominciare nel nuovo corso nazionale. Quattordici gli Stati membri da cui Frontex ha agevolato il trasferimento di cittadini siriani verso il Medio Oriente, spiega la stessa Agenzia.“Questo importante traguardo riflette l’impegno continuo per garantire rimpatri sicuri e dignitosi”, sottolinea Hans Leijtens il direttore esecutivo Frontex. “Tornare a casa è un’aspirazione profondamente umana. Per molti, significa ricongiungersi con la famiglia, riprendere in mano la propria vita e ritrovare la propria dignità”. L’attività dell’Agenzia dell’Ue si aggiunge a quella degli organismi internazionale. In particolare, sottolinea il commissario per gli Affari interni e l’immigrazione, Magnus Brunner, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) stima che “oltre 356.200 siriani siano tornati in Siria attraverso i paesi vicini dall’inizio di dicembre 2024 e che quasi 890mila sfollati interni siano tornati nella loro regione di origine dal novembre 2024″. Questa la fotografia fornita nella sua risposta all’interrogazione parlamentare depositata per fare un punto della situazione. Per quanto riguarda l’aspetto legato ai richiedenti asilo, “l’Ue si impegna a contribuire a creare le condizioni per un ritorno sicuro, volontario e dignitoso dei rifugiati“.L’Ue sta scommettendo (al buio) sulla nuova leadership in SiriaPer questo serve un Paese stabile, politicamente solido e inclusivo. L’Unione europea scommette sulla nuova leadership, e in segno di buona fede le sanzioni decretate in passato e rimaste in vigore per tutti questi anni sono state eliminate. In occasione dell’ultimo Consiglio Ue Affari esteri, i ministri degli Esteri degli Stati membri dell’Ue hanno deciso di rimuovere dalla lista nera europea 24 entità soggette al congelamento di fondi e risorse economiche. Molte di queste entità sono banche, tra cui la Banca Centrale della Siria, o società che operano in settori chiave per la ripresa economica della Siria.La scelta del resto trova la sua logica nella necessità di creare le condizioni per fare del Paese un luogo sicuro e stabile dove tornare a vivere, e il rilancio economico in tal senso rappresenta un elemento chiave per convincere i rifugiati siriani a tornare. Dall’Ue però nessun assegno in bianco: il Consiglio dell’Ue si dice “pronto a introdurre nuove misure restrittive” nei confronti di chi viola i diritti umani e alimenta l’instabilità in Siria. Un concetto ribadito anche dallo stesso Brunner: “Il sostegno dell’Ue e la sospensione delle sanzioni sono commisurati agli sviluppi nel Paese“.

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    In Irlanda è pronta una legge per vietare le importazioni dagli insediamenti israeliani nella West Bank

    Bruxelles – L’Irlanda potrebbe diventare il primo Stato membro dell’Ue a vietare l’importazione di beni prodotti negli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati. Il governo irlandese presenterà domani (27 maggio) una proposta di legge che, se approvata, renderebbe reato l’acquisto di prodotti israeliani provenienti dalla Cisgiordania e da Gerusalemme Est, aree considerate illegalmente occupate dallo Stato ebraico secondo il diritto internazionale.Il disegno di legge, annunciato dal tánaiste e ministro degli Esteri e del Commercio Simon Harris, si inserisce in un contesto di crescente attenzione internazionale sulla situazione a Gaza. “È evidente che si stanno commettendo crimini di guerra: i bambini vengono affamati e il cibo è usato come arma”, ha dichiarato Harris al Financial Times: “Il mondo non ha fatto abbastanza, e dobbiamo agire”. La proposta irlandese rappresenta il primo tentativo concreto all’interno dell’Ue di introdurre una restrizione commerciale mirata nei confronti degli insediamenti israeliani.Insediamenti israeliani in CisgiordaniaIl disegno di legge prevede il divieto di importazione di beni fisici come datteri, arance, olive, legname e cosmetici, provenienti da insediamenti israeliani. A rimanere esclusi dal provvedimento sarebbero invece i prodotti realizzati da aziende palestinesi nella stessa area, come l’olio d’oliva Zaytoun. Tra il 2020 e il 2024, il valore complessivo delle importazioni irlandesi da questi territori è stato di appena 685.000 euro, ma la portata del provvedimento è considerata altamente simbolica. Oltre ai beni materiali, è in corso un dibattito giuridico sull’inclusione dei servizi, come turismo e tecnologia. Più di 400 accademici e giuristi irlandesi hanno firmato una lettera aperta a sostegno dell’estensione del divieto anche a settori come l’ospitalità, sottolineando come non vi siano ostacoli insormontabili nel diritto irlandese, europeo o internazionale a un provvedimento di questo tipo. Se inclusi, i servizi potrebbero coinvolgere aziende come Airbnb, che ha la propria sede europea a Dublino e sarebbe quindi soggetta alla normativa irlandese. Nel 2019, Airbnb aveva inizialmente annunciato il ritiro delle sue inserzioni nei territori occupati, salvo poi fare marcia indietro in seguito a cause legali, decidendo infine di devolvere i profitti derivanti da quelle attività a organizzazioni umanitarie. Harris ha dichiarato di non avere obiezioni politiche all’estensione del divieto ai servizi, confermando di aver ricevuto pareri legali secondo cui l’inclusione sarebbe attualmente impossibile.Sebbene il commercio sia una competenza dell’Unione Europea, esistono eccezioni in cui gli Stati membri possono agire autonomamente, specialmente in situazioni considerate di “straordinaria gravità”. A tal fine, l’Irlanda si richiama a un parere consultivo emesso lo scorso anno dalla Corte internazionale di giustizia, secondo cui gli Stati devono “adottare misure per impedire relazioni commerciali o d’investimento che contribuiscano al mantenimento della situazione illegale nei territori palestinesi occupati”.A livello comunitario, il provvedimento giunge pochi giorni dopo che una maggioranza di Stati membri ha votato per una revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele del 1995. Una richiesta simile, avanzata da Irlanda e Spagna nel febbraio 2024, era stata in precedenza respinta dalla Commissione europea. L’esecutivo comunitario ha dichiarato che commenterà la proposta solo dopo che sarà adottata dal parlamento irlandese e formalmente trasmessa a Bruxelles. “Vogliamo fare qualcosa di significativo, ma un’azione collettiva dell’Unione avrebbe un impatto molto più forte“, ha osservato Harris.

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    Gaza, la Spagna chiede sanzioni contro Israele: “Fermi la sua guerra ingiusta e disumana”

    Bruxelles – La Spagna torna all’attacco e chiede sanzioni internazionali contro Israele se Tel Aviv non interromperà immediatamente la sua offensiva nella Striscia di Gaza e non permetterà agli aiuti umanitari di raggiungere la popolazione palestinese. La richiesta arriva direttamente da Madrid, dove ieri (25 maggio) un gruppo di Paesi europei e arabi si è riunito per cercare un approccio comune e aumentare la pressione su Benjamin Netanyahu affinché ponga fine alla catastrofe in corso e restituisca la parola alla diplomazia.Erano 20 gli Stati rappresentati nella capitale spagnola per discutere di una via d’uscita diplomatica alla devastante guerra che lo Stato ebraico sta portando avanti da oltre un anno e mezzo nell’enclave palestinese. Oltre alla Spagna, c’erano diversi Paesi Ue (Francia, Germania, Irlanda, Italia e Slovenia) ed europei (Norvegia, Islanda e Regno Unito), più gli arabi (Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Marocco e Turchia, cui si aggiungevano gli emissari della Lega araba e dell’Organizzazione della cooperazione islamica).La campagna militare israeliana a Gaza sta conoscendo una sanguinosa recrudescenza nelle ultime settimane, mentre gli aiuti umanitari per i civili della Striscia vengono sistematicamente bloccati da quasi tre mesi dall’esercito dello Stato ebraico (Idf) e, quando riescono a entrare, rischiano di venire attaccati.Per il padrone di casa, il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, quella che Israele sta conducendo a Gaza è una “guerra ingiusta, crudele e disumana”. Secondo lui, la Striscia è una “ferita aperta dell’umanità” e il silenzio del mondo è “complice di questo massacro”. I camion con gli aiuti per la popolazione civile devono entrare “massicciamente, senza condizioni e senza limiti”, ha aggiunto, specificando che la gestione dell’intero processo “non dovrebbe essere controllata da Israele”.A fare le veci dell’Alta rappresentante Ue, Kaja Kallas, c’era a Madrid anche l’inviato speciale di Bruxelles per il Golfo, Luigi Di Maio, che momentaneamente detiene la delega al processo di pace mediorientale. Stando al resoconto dei portavoce della Commissione, l’ex ministro italiano ha ribadito “la necessità di un cessate il fuoco immediato a Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi e la ripresa completa degli aiuti a Gaza, immediatamente”.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, e il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares (foto: European Council)La Spagna, ha sostenuto Albares, solleciterà i suoi partner a imporre un embargo sulla vendita di armi a Tel Aviv – metà delle bombe che vengono sganciate sulla Striscia sono europee, ha rivelato l’ex capo della diplomazia a dodici stelle Josep Borrell – e spingerà per “considerare le sanzioni” poiché, dice, occorre “considerare tutto per fermare questa guerra“. Ma, fanno notare dal Berlaymont, la questione delle sanzioni è spinosa perché richiede l’unanimità dei Ventisette.Non è una novità che Madrid assuma posizioni intransigenti nei confronti di Tel Aviv, soprattutto da quando Benjamin Netanyahu è tornato al potere. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha bollato Israele come “Stato genocida” in un discorso al Parlamento nazionale la settimana scorsa, scoperchiando un ginepraio di polemiche e critiche.Del resto, osserva Albares, non sono da escludere nemmeno sanzioni individuali contro coloro che “intendono rovinare per sempre la soluzione dei due Stati“. Quest’ultimo è uno dei temi al centro dei lavori del cosiddetto Gruppo di Madrid (noto anche come G5+). Ma ora come ora si tratta sostanzialmente di una chimera, vista la netta opposizione del primo ministro israeliano e dei suoi partner di governo dell’ultradestra messianica alla creazione di un’entità statale palestinese.L’incontro di ieri è servito anche come preparazione alla conferenza di alto livello dell’Onu dedicata specificamente alla soluzione a due Stati, in calendario per il 17 giugno a New York e organizzata da Francia e Arabia Saudita. Albares si augura che il summit del mese prossimo possa aprire la strada ad un riconoscimento della Palestina come nazione indipendente da parte del numero maggiore possibile di Paesi.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)Il primo ministro palestinese Mohammad Mustafa spera che il presidente Usa Donald Trump possa giocare un ruolo chiave per sbloccare questa difficilissima partita. Gli sforzi di Washington per un cessate il fuoco nella Striscia “sono apprezzati”, ha dichiarato, e l’auspicio è che “un impegno concreto, un impegno positivo da parte degli Stati Uniti contribuisca a portare la pace e la stabilità nella regione“.All’Onu, 147 Paesi su 193 riconoscono ufficialmente lo Stato di Palestina. Tra questi ci sono 10 membri dell’Ue, ma nel Vecchio continente mancano ancora all’appello Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito, più Canada e Usa da oltreoceano. Teoricamente, il futuro Stato palestinese dovrebbe esercitare la propria sovranità su quelli che sono oggi i territori occupati: Gaza e Cisgiordania. Ma sul terreno la situazione appare impossibile.La Striscia è il teatro delle più sanguinose operazioni militari della storia recente (almeno 54mila morti, stando ai dati del ministero della Sanità guidato da Hamas) e Israele sta pianificando di occuparla militarmente una volta terminata la guerra, facendo marcia indietro sullo storico ritiro dall’enclave nel 2005. Quanto alla West Bank, continuano a espandersi sia gli insediamenti illegali dei coloni israeliani sia la violenza contro le comunità locali. Che è recentemente tracimata nell’aggressione ad una delegazione diplomatica in visita al campo profughi di Jenin, denunciata da Kallas come “inaccettabile”.Infine, Albares ha ribadito la richiesta dell’esecutivo di Madrid di sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele, anche se si tratta probabilmente di una battaglia contro i mulini a vento. Per metterlo in pausa serve, anche qui, l’unanimità degli Stati membri. Tuttavia, il Consiglio Ue ha recentemente aperto alla revisione dell’accordo, una mossa che evidenzia l’isolamento politico crescente di Netanyahu.

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    L’Ue pronta a continuare con le sanzioni alla Russia: “Tenere alta la pressione”

    Bruxelles – “Di Putin non ci può fidare“, e quindi “in assenza di un cessate il fuoco esploriamo ulteriori sanzioni” da imporre contro la Russia. Situazione e linea sono espresse in questa parole, quelle di Anitta Hipper, portavoce portavoce dell’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, e di Paula Pinho, capo del servizio del portavoce della Commissione europea. Di fronte a Mosca che continua con le operazioni militari in Ucraina neanche l’Ue intende fermarsi o cambiare approccio.L’Unione europea intende continuare a mettere pressione sulla Russia, nel tentativo di indebolirla quanto più possibile e, se non costringerla di fatto alla via negoziale, porla in condizione di debolezza negoziale quando sarà il momento delle trattative con Kiev per la fine del conflitto.La Commissione può sempre proporre misure restrittive, al vaglio poi degli Stati membri. I Ventisette sono vicini all’accordo per il 17esimo pacchetto di sanzioni (atteso a breve, forse già in settimana), e si inizia a lavorare già a un nuovo, ulteriore 18esimo insieme di nuove sanzioni. In seno al Consiglio però c’è chi vuole andare oltre. “Dobbiamo estendere il raggio e il peso delle sanzioni, anche con un diciannovesimo pacchetto se necessario“, tuona il ministro delle Finanze della Lituania, Rimantas Sadzius.Le sanzioni alla Russia non sono oggetto di lavoro né competenza dei ministri economici, eppure il tema finisce anche all’interno della riunione del consiglio Ecofin. “La pressione sull’aggressore deve restare alta e forte”, insiste Sadzius, non il solo a discutere di questioni al di fuori dell’agenda dei lavori. Anche la ministra delle Finanze svedese, Elisabeth Svantesson, vuole tenere alta l’attenzione sulla risposta dell’Ue alle manovre militare russe: “Dobbiamo essere duri nei confronti della Russia“, ed è per questo che “sosteniamo il nuovo pacchetto di sanzioni”, sottolinea l’esponente del governo di Stoccolma. “Le sanzioni funzionano, ma dobbiamo fare di più”. Quindi l’invito implicito ai partner europei: “Il tempo non gioca a favore di Putin, l’economia russa è sempre più debole”.

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    Ue-Russia, scintille dopo “l’ultimatum” per il cessate il fuoco. Vicino l’accordo a 27 su nuove sanzioni al Cremlino

    Bruxelles – In attesa che Mosca risponda all’invito di Volodymyr Zelensky per un faccia a faccia in Turchia, l’Unione europea sta limando un nuovo pacchetto di misure restrittive contro la Russia a cui, secondo fonti diplomatiche, i 27 potrebbero dare un primo via libera a livello di ambasciatori già mercoledì (14 maggio). Intanto il Cremlino respinge le minacce giunte da Londra, dove Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna hanno fatto intendere che, se Putin non accetterà di sospendere le ostilità entro la fine della giornata, dovrà affrontare nuove sanzioni.Il portavoce del governo tedesco, Stefan Kornelius, ha avvertito che “il tempo sta per scadere” per la Russia affinché accetti la tregua di 30 giorni in Ucraina a partire da oggi, messa sul tavolo da Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer, in accordo con il premier ucraino. Pena, l’applicazione di nuove sanzioni. L’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, ha affermato in un post su X che Putin “dovrebbe finirla di giocare” e “impegnarsi seriamente” nei negoziati per la pace.L’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, e i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Polonia e Spagna a Londra, 12/05/25 [Ph: Account X Kaja Kallas]Immediatamente, durante una conferenza stampa, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha risposto che gli “ultimatum” lanciati dai leader dell’Ue “sono inaccettabili” e che “non si può parlare alla Russia con un linguaggio del genere”. Nel frattempo, lontano dalle telecamere, le diplomazie dei 27 Paesi membri stanno finalizzando il diciassettesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, in cantiere da fine febbraio (da quando cioè è stato adottato il sedicesimo) e ormai quasi pronto. Secondo quanto riportato da fonti diplomatiche, la Commissione europea ha presentato alcune modifiche al pacchetto per dare seguito alle osservazioni formulate dalle capitali e “negli ultimi giorni la presidenza polacca del Consiglio dell’Ue ha collaborato con gli Stati membri per migliorare il pacchetto”.Le stesse fonti rivelano che sono state aggiunte altre navi della cosiddetta flotta ombra, con cui la Federazione russa aggira l’embargo europeo sul petrolio e su altre merci, all’elenco delle imbarcazioni soggette a misure restrittive. Sarebbero ora “quasi 200”. Alcuni Paesi, in particolare i baltici e gli scandinavi, spingono per l’imposizione di sanzioni anche sul gas naturale liquefatto (Gnl) russo e sulla società atomica statale Rosatom.Il via libera del Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri, potrebbe arrivare mercoledì. “La maggior parte delle delegazioni sostiene la proposta. Alcune hanno chiesto un po’ più di tempo per concludere ulteriori analisi”, confermano le fonti. A quel punto, i ministri degli Esteri dei 27 potrebbero formalizzare il 17esimo pacchetto di sanzioni già il giorno successivo, giovedì 15 maggio. Sempre che Mosca non lanci un segnale forte e risponda all’appello (o “ultimatum”) di Bruxelles.

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    Zelensky “convoca” Putin a Istanbul per colloqui diretti

    Bruxelles – Per la prima volta in oltre tre anni di conflitto, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin potrebbero incontrarsi di persona nei prossimi giorni. I due presidenti hanno indicato la Turchia come luogo di un potenziale colloquio, per il quale spinge fortemente anche Donald Trump, che oggi ha anche annunciato che potrebbe partecipare all’incontro “se lo ritenessi importante per raggiungere un accordo”. Ma finora la diplomazia ha messo in fila solo una serie di buchi nell’acqua, e non si vede all’orizzonte alcuna tregua nei combattimenti.Il carrozzone della diplomazia internazionale è parso rimettersi in moto durante lo scorso weekend intorno alla guerra d’Ucraina. Uno spiraglio di cauto ottimismo era sembrato pervadere le cancellerie europee dopo che, al termine di una visita a Kiev sabato (10 maggio), i leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito erano riusciti a portare anche il presidente statunitense dalla loro.La proposta messa sul tavolo da Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer – in accordo con Volodymyr Zelensky – era quella di un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni a partire da oggi (12 maggio), come dimostrazione di buona fede da parte di Vladimir Putin rispetto all’avvio di negoziati sostanziali su una soluzione politica del conflitto. Persino Donald Trump, che dal suo re-insediamento è parso allontanarsi sempre più da Kiev per avvicinarsi a Mosca, aveva dato il suo assenso.Da sinistra: il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il premier polacco Donald Tusk e quello britannico Keir Starmer a Kiev, il 10 maggio 2025 (foto: Genya Savilov/Afp)Nello stile cui ha abituato il mondo, il presidente russo ha però risposto picche sul cessate il fuoco, dichiarandosi tuttavia disponibile ad intavolare delle trattative dirette con la leadership ucraina in Turchia, evitando di legarsi le mani con qualunque precondizione. Nella Repubblica anatolica si terrà, il 14 e 15 maggio, una ministeriale informale proprio sul dossier Ucraina, e il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha ribadito per l’ennesima volta di essere disposto ad ospitare colloqui di pace tra le delegazioni di Kiev e Mosca.Tanto è bastato a Trump per tornare a mettere pressione su Zelensky. “Incontratevi ora!“, ha scritto il tycoon newyorkese sul suo social Truth, esortando l’omologo ucraino ad “accettare immediatamente” l’offerta dello zar russo. “Almeno saranno in grado di determinare se un accordo è possibile o meno e, in caso contrario, i leader europei e gli Stati Uniti sapranno come stanno le cose e potranno procedere di conseguenza“, ha ragionato l’inquilino della Casa Bianca.Ieri sera (11 maggio), Zelensky ha dunque rilanciato sfidando Putin a incontrarsi “personalmente” ad Istanbul giovedì prossimo, auspicando che “stavolta i russi non cerchino scuse” per sfilarsi dalle trattative. “Attendiamo un cessate il fuoco totale e duraturo“, ha aggiunto il presidente ucraino, “per fornire la base necessaria alla diplomazia”. Se avesse effettivamente luogo, il faccia a faccia tra i due leader sarebbe il primo da oltre tre anni a questa parte.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Ramil Sitdikov via Afp)Quella dei colloqui diretti tra Zelensky e Putin è un’opzione sulla quale entrambi i leader avevano fatto delle aperture in linea di principio già il mese scorso, ma sulla quale non si sono mai registrati progressi in termini concreti. I due belligeranti, come recentemente certificato dallo stesso Trump, rimangono distanti anni luce da una vera intesa e tutte le proposte di cessate il fuoco, da qualunque parte provenissero, sono finora cadute nel vuoto.Stando alla retorica ufficiale, Zelensky sembra mantenere la linea adottata fin qui: niente trattative senza tregua. Che è l’opposto di quella del Cremlino: prima il dialogo, poi (eventualmente) una pausa delle ostilità. Appare improbabile, tuttavia, che Kiev possa ignorare le pressioni dell’amministrazione a stelle e strisce, soprattutto alla luce della ratifica da parte del Parlamento ucraino, lo scorso 8 maggio, del famigerato accordo sullo sfruttamento delle materie prime critiche.Il giorno prima della visita di Macron, Merz, Tusk e Starmer a Kiev, Putin aveva ospitato sulla Piazza Rossa a Mosca decine di leader mondiali per le celebrazioni dell’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945 (incluso lo slovacco Robert Fico, in barba alla conclamata unità dei Ventisette al fianco dell’Ucraina).L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (centro), e il primo ministro ucraino Denys Shmyhal (foto: European Council)Lo stesso giorno, alcuni ministri degli Esteri dell’Ue guidati dal capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas, avevano annunciato a Leopoli l’imminente creazione di un tribunale ad hoc per i crimini d’aggressione dell’Ucraina che dovrebbe perseguire la leadership della Federazione.L’Alta rappresentante si trova in queste ore a Londra per partecipare alla riunione del gruppo Weimar+ (composto da Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna). “Dobbiamo mettere pressione sulla Russia“, ha ribadito, “affinché si sieda al tavolo e parli con l’Ucraina”. “Se non c’è un cessate il fuoco, non ci possono essere negoziati sotto il fuoco” delle bombe, ha aggiunto, accusando Mosca di “giocare” con le iniziative diplomatiche. Gli europei insistono a sostenere che, se il Cremlino non accetterà di sospendere le ostilità entro la fine della giornata, imporranno nuove sanzioni.

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    Ucraina, Trump: “Forse la pace non è possibile”, gli Usa considerano nuove sanzioni a Mosca

    Bruxelles – Dopo il rifiuto di Vladimir Putin alla proposta di un cessate il fuoco in Ucraina di 30 giorni avanzata da Washington, il presidente americano Donald Trump ieri sera (4 maggio), in un’intervista alla NBC News, ha dichiarato che la sua decisione di firmare il decreto legge sulle sanzioni avanzato dal senatore repubblicano Lindsey Graham: “dipenderà dal fatto che la Russia si stia muovendo o meno in direzione della pace“.Graham, stretto alleato di Trump al Congresso, ha fatto sapere lo scorso 1 maggio che almeno 72 senatori sarebbero pronti votare a favore di ulteriori sanzioni contro la Federazione Russa e per ingenti dazi verso i Paesi che la supportano. La sensazione dominante a Washington è che i negoziati per la conclusione del conflitto russo-ucraino stiano andando troppo per le lunghe, e nonostante il presidente continui a mostrarsi fiducioso nei confronti della situazione, non fa mistero della sua insoddisfazione per l’atteggiamento di Mosca. “Vogliamo che la Russia e l’Ucraina accettino un accordo. Pensiamo di essere abbastanza vicini” ha detto Trump, ma in merito al raggiungimento dell’accordo in questione, ha dichiarato: “Credo che siamo più vicini con una parte, e forse non altrettanto vicini con l’altra. Ma dovremo vedere. Non vorrei dire a quale delle due parti siamo più vicini”. L’accordo sui minerali siglato il 1 maggio con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky può tuttavia suggerire quale sia effettivamente la più vicina delle parti.Riconducendo le sorti del conflitto russo-ucraino a una diatriba tra i rispettivi leader, Trump si è lasciato andare ad una amara costatazione: “Forse la pace non è possibile, c’è dell’odio tremendo. Parliamo di odio tremendo tra questi due uomini, e tra alcuni dei soldati e generali che hanno combattuto duramente per tre anni”. Il tycoon non si è tuttavia perso d’animo, evocando ancora una volta “ottime possibilità di farcela”.Già lo scorso 26 aprile Trump si era scagliato contro Putin, definendolo “non interessato davvero a finire la guerra”. Il ruolo di mediatore che il presidente statunitense si è assunto sin dai primi giorni della sua presidenza diventa sempre meno facile e la possibilità di sfilarsene è stata minacciata in diverse occasioni.  Ucraina e Stati Uniti non hanno ricevuto segnali di apertura verso la loro proposta di tregua di un mese, con Mosca che insiste per mantenerla a tre giorni, in occasione delle celebrazioni per il Giorno della Vittoria del 9 maggio. L’iniziativa fa gioco al Cremlino, che per gli 80 anni dalla vittoria sovietica nel secondo conflitto mondiale ha invitato a Mosca diversi leader, tra cui il presidente cinese Xi Jinping, in visita ufficiale nel Paese tra il 7 e il 10 maggio.Intanto, come ha riferito ieri sera il New York Times, l’esercito statunitense sta attualmente trasferendo un sistema di difesa missilistico Patriot da Israele all’Ucraina. Con l’intensificazione degli attacchi russi contro Kiev, Odessa, Karkiv e Sumy, questa decisione viene incontro alla pressante richiesta di maggiore difesa aerea avanzata da Zelensky lo scorso 13 aprile, quando si era dichiarato pronto ad acquistare 10 sistemi Patriots da dislocare nelle città più densamente popolate del Paese. Le fonti non indicano alcun dettaglio sulla posizione di Trump in merito al trasferimento, e non chiariscono se tale iniziativa sia stata avviata da lui stesso o durante l’amministrazione del suo predecessore, Joe Biden. In ogni caso, gli alleati occidentali starebbero già discutendo la logistica di un eventuale trasferimento di un’altra batteria da parte della Germania o della Grecia.