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    Kallas annuncia un accordo con Israele per nuovi aiuti umanitari a Gaza

    Bruxelles –  L’alta rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Kaja Kallas, ha annunciato che dopo  dialoghi con Israele sono arrivati significativi passi avanti per migliorare la situazione umanitaria a Gaza.Una nota del Servizio di azione esterna (Seae) spiega che le misure concordate saranno applicate nei prossimi giorni, e fra queste sono incluse: l’aumento di camion con aiuti umanitari ed alimenti, la riapertura delle rotte di aiuto giordane ed egiziane, la ripresa delle forniture di carburante per le strutture umanitarie fino a un livello operativo, la protezione degli operatori umanitari, la riparazione e l’agevolazione dei lavori sulle infrastrutture vitali, come la ripresa dell’approvvigionamento elettrico all’impianto di desalinizzazione dell’acqua, ed altro ancora.Ancora, si legge sul comunicato: “Tali misure sono state o saranno attuate nei prossimi giorni, con la consapevolezza comune che gli aiuti su larga scala devono essere forniti direttamente alla popolazione e che continueranno ad essere adottate misure per garantire che non vi sia alcun dirottamento degli aiuti a Hamas”.L’Ue continua ad applicare tutti i mezzi possibili per arrivare ad una risoluzione delle drammatiche dinamiche in Medio Oriente, e rinnova gli appelli rivolti al cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi.

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    L’ETF: anche per l’Ucraina in marcia l’introduzione del programma “Garanzia Giovani”

    Bruxelles – La Fondazione europea per la formazione (ETF), agenzia dell’Unione europea che sostiene lo sviluppo delle competenze e l’istruzione nei paesi Ue e vicini all’Ue ha annunciato oggi (10 luglio) alla Conferenza sulla Ricostruzione dell’Ucraina l’obiettivo di rafforzare i sistemi di istruzione e occupazione, promuovere la cooperazione tra istituzioni e aiutare il Paese a preparare la ripresa a lungo termine e per il percorso di adesione all’Ue. Questa Iniziativa, all’interno del progetto Ue Garanzia Giovani, mira a garantire che ogni giovane sotto i 30 anni in Ucraina riceva un’offerta lavorativa di qualità, un corso di formazione, un tirocinio o un’ulteriore opportunità educativa entro quattro mesi dalla fine degli studi o dall’inizio della disoccupazione. Il programma promuove inoltre un migliore orientamento professionale e sostiene l’inclusione nel mercato del lavoro dei giovani con disabilità.Pilvi Torsti, direttrice dell’ETF, spiega che “la Garanzia Giovani è più di una politica pubblica: è un modo per ricostruire la fiducia e offrire un supporto concreto ai giovani”.E domani (11 luglio), alla Conferenza, ci sarà un panel dedicato a giovani e sport (ore 15:00–16:15), con Glenn Micallef, Commissario europeo per l’Equità Intergenerazionale, la Gioventù, la Cultura e lo Sport, Andrea Abodi, Ministro per lo Sport e i Giovani dell’Italia, e Matvii Bidnyi, Ministro per la Gioventù e lo Sport dell’Ucraina (in collegamento online), e con la direttrice dell ETF, Pilvi Torsti.

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    Von der Leyen a Roma: Il futuro dell’Ucraina è l’Europa

    Bruxelles – “Saremo sempre al fianco dell’Ucraina, per tutto il tempo necessario. Ora più che mai, l’Ucraina può contare sull’Europa. La nostra solidarietà continua su tutti i fronti – militarmente, finanziariamente e politicamente”. Lo ha promesso la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, oggi (10 luglio) nel suo discorso alla Ukraine Recovery Conference di Roma.Von der Leyen ha reiterato il supporto militare per l’Ucraina che passa anche via il piano difesa 2030 SAFE di cui 800 miliardi di euro saranno mobilitati in Europa per la difesa. “(…) attraverso lo strumento SAFE per creare un meccanismo che riunisca tutto ciò. L’Ucraina dispone di sistemi d’arma all’avanguardia ed è in grado di fornire servizi molto rapidi e a basso costo. Questo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nell’Ue.” Ha dichiarato, per poi continuare sulle capacità ucraine di produzione: “ L’industria della difesa ucraina opera solo al 60 per cento della capacità. Ora i nostri Stati membri possono ottenere i loro prestiti SAFE e acquistare direttamente dall’industria della difesa ucraina. Per i nostri Stati membri è una qualità di prim’ordine, rapida ed economica. Per l’Ucraina, si tratta di entrate cruciali. Ma anche un’opportunità per rafforzare la base industriale della difesa.”In seguito la presidente, ha anche annunciato nuove donazioni fino a di 14 miliardi di euro per la “crescita, ripresa e ricostruzione” dell’Ucraina fino al 2028. Ed ha pure annunciato un nuovo fondo europeo per la ricostruzione dell’Ucraina che sarà secondo von der Leyen “il più grande fondo azionario a livello globale per sostenere la ricostruzione”. Il fondo darà il via agli investimenti nei settori dell’energia, dei trasporti, delle materie prime critiche e delle industrie a doppio uso. “Stiamo letteralmente puntando sul futuro dell’Ucraina, sfruttando il denaro pubblico per portare investimenti su larga scala nel settore privato e contribuire alla ricostruzione del Paese. Sono particolarmente soddisfatta del fatto che lo stiamo costruendo insieme a Italia, Germania, Francia, Polonia e alla Banca europea per gli investimenti”, ha aggiunto.Ha finito il suo discorso esprimendo il suo forte sostegno all’adesione all’Ue dell’Ucraina: “Sotto un fuoco implacabile, l’Ucraina sta approvando una riforma dopo l’altra. L’Ucraina è pronta a compiere il prossimo passo sulla via dell’adesione. L’Ucraina sta portando avanti le sue riforme – ora dobbiamo farlo anche noi. Perché il processo di adesione si basa sul merito. E l’Ucraina merita di procedere verso il futuro.”

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    Europarlamento: Fermiamo la deriva autoritaria in Georgia

    Bruxelles – Il Parlamento europeo condanna le modalità di svolgimento delle scorse elezioni del 2024 in Georgia. I deputati hanno approvato oggi (9 luglio), con una larga maggioranza, un testo che afferma come queste elezioni, “hanno segnato una chiara svolta verso un governo autoritario nel Paese candidato all’Ue”. La relazione afferma che, queste elezioni “irregolari” hanno spianato la strada al partito Sogno Georgiano al potere per “prendere il controllo illecitamente delle istituzioni statali e rimuovere le garanzie democratiche, portare avanti una legislazione repressiva e opprimere gli oppositori politici, i giornalisti e i manifestanti pacifici”.Il Parlamento chiede che si torni su di un percorso democratico e all’integrazione euro-atlantica dando una decisa virata dalle potiche del governo attuale che mette anche in discussione il percorso di adesione del Paese all’Ue. E come già dichiarato nel 2024, gli eurodeputati rinnovano il loro appello affinché si svolgano nuove elezioni parlamentari in Georgia sotto il monitoraggio internazionale e nazionale indipendente. Ed aggiunge, che finché le nuove elezioni non saranno annunciate, il Parlamento continuerà a non riconoscere il regime a Parlamento e Presidente a partito unico ora al potere, e invita l’Ue e gli Stati membri a imporre sanzioni personali bilaterali e coordinate contro i principali dirigenti del partito Sogno Georgiano e i responsabili del declino democratico del Paese. Inoltre chiede una revisione immediata della politica Ue con la Georgia e dell’accordo economico bilaterale.La relatrice del rapporto, Rasa Juknevičienė (PPE, Lituania) in un’accorato commento sostiene che “purtroppo, non abbiamo potuto valutare alcun progresso da parte della Georgia perché, da leader ispiratore tra i Paesi dell’Europa dell’Est, a Tbilisi è arrivata una brutale dittatura. Dall’adozione di questa relazione in commissione (nell’ottobre 2024), la situazione è peggiorata: quasi tutti i leader dell’opposizione sono stati arrestati e sono in carcere. I media indipendenti sono sull’orlo del collasso. Le più grandi organizzazioni della società civile subiscono minacce e gravi restrizioni legali”. La relatrice ammonisce poi che “la Georgia è un esempio di come un Paese possa essere catturato dagli interessi russi dall’interno senza che venga sparato un colpo. Ma il popolo georgiano non si arrende, continua a protestare ogni giorno, da oltre 200 giorni, nonostante la violenta repressione. L’Ue e i suoi Stati membri devono intervenire prima che sia troppo tardi. Lo dobbiamo ai coraggiosi georgiani che lottano per un futuro libero e pro-europeo”.

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    Lange: L’Europa negozia, ma l’imprevedibilità di Trump sta danneggiando l’intero pianeta

    Strasburgo – Il presidente del comitato per il commercio internazionale del Parlamento europeo, Bernd Lange, in una conferenza stampa al Parlamento europeo, ha riferito lo stato delle trattative dell’Ue con l’America di Donald Trump.In un turbine di grande confusione il presidente americano ha annunciato tra l’altro nuovi dazi del 50 percento sul rame e starebbe valutando ulteriori dazi del 200 percento sui prodotti farmaceutici.Intanto a partire dal primo agosto, prenderanno efficacia i dazi fra il 25 ed il 40 percento per i Paesi considerati non collaborativi dal tycoon, come il Giappone.Lange nella mattinata di oggi (9 luglio) ha tuttavia espresso la prontezza dell’Europa, affermando che i negoziati continueranno a svolgersi e che sono attualmente in valutazione diverse soluzioni per far fronte alle politiche commerciali di Washington e che “stiamo provando a trovare un punto d’incontro con Trump”.Il presidente del comitato si è anche mostrato piuttosto scettico riguardo i dazi su prodotti farmaceutici del 200 percento, sottolineando che i maggiori partner commerciali dell’Unione Europea nell’ambito farmaceutico sono proprio gli Stati Uniti, che assorbono circa il 38,2 percento dell’export, rendendosi clienti dell’Ue per 119 miliardi, e che in tal caso l’Europa, se necessario, adotterebbe una politica ferma e decisa, istituendo una maggiore tassazione a sua volta.Tuttavia Lange conclude sottolineando il gran numero di incognite ancora presenti nei rapporti con la Casa Bianca, e rispondendo alle domande dei presenti, ammette come “la imprevedibilità e la inaffidabilità degli Usa stanno danneggiando l’intero pianeta, e sono inaccettabili”.

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    La Libia dell’Est espelle la delegazione Ue che doveva discutere di immigrazione

    Bruxelles – La Libia dell’Est ha espulso la delegazione europea appena giunta nel Paese per discutere nuove misure sull’immigrazione.La delegazione era composta dai ministri dell’Interno di Italia, Grecia e Malta e dal commissario europeo per la Migrazione Magnus Brunner, ed è stata fermata direttamente all’aeroporto Benina di Bengasi, dove tutti i membri della delegazione sono stati dichiarati “persona non grata”. L’aereo ha immediatamente lasciato l’aeroportoUna nota del governo di questa parte del Paese ha definito la visita una “flagrante violazione” delle convenzioni internazionali e della legge libica.Secondo fonti riportate dal quotidiano greco Ekathimerini il provvedimento sarebbe dovuto al fatto che la delegazione europea ha visitato prima Tripoli, sede del governo libico riconosciuto a livello internazionale.“La notizia che il ministro Piantedosi, il commissario Brunner e i colleghi maltese e greco sono stati fermati in Libia e respinti per ‘ingresso irregolare’ – proprio come un migrante qualunque, uno di quelli che il governo Meloni chiama ‘clandestini’ – farebbe ridere, se non fosse che la Libia è l’inferno in terra per chi la attraversa”, commenta la deputata europea del Pd Cecilia Strada. “Un inferno fatto di estorsioni, stupri, torture, omicidi, intercettazioni violente in alto mare, viaggi della speranza che si trasformano in naufragi. Un inferno pagato con le tasse italiane ed europee. Un sistema – continua la deputata -, quello dell’esternalizzazione delle frontiere, che fra le altre cose alimenta il potere dei trafficanti anziché ridurlo. L’episodio del respingimento di Piantedosi la dice lunga anche sull’affidabilità dei partner libici ai quali deleghiamo il lavoro sporco di bloccare le persone in movimento. Per un giorno – conclude Strada – ministri e commissari hanno provato cosa significa trovarsi dall’altra parte di un porto chiuso”.

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    La Bce: “Con la Cina nel Wto meno democrazia nel mondo in nome del commercio, ma l’Ue ha le sue colpe”

    Bruxelles – L’ingresso della Cina nell’organizzazione mondiale per il commercio (Wto) ha segnato un arretramento del livello democratico dei partner commerciali dell’Ue. Questo sostiene la Banca centrale europea, in un’analisi pubblicata sul blog della Bce, che rappresenta un attacco frontale alla Repubblica popolare e al suo modello politico.Commercio e libero scambio fanno bene all’economia e al quieto vivere, permettendo rapporti cordiali e prosperità. Questo il credo dietro l’azione dell’Unione europea, a cui ora però, la Bce ‘fa le pulci’. Il risultato è che con il libero scambio senza ‘se’ e senza ‘ma’ è che a rimetterci sono valori, principi e diritti. In sostanza, col troppo libero commercio a rimetterci è la democrazia.La questione di fondo è la seguente: perché il profilo democratico dei partner commerciali europei è diminuito negli ultimi 25 anni? Per la Bce “è possibile che questo sviluppo sia interamente dovuto alla Cina“. Come viene messo in risalto, dopo aver trascorso decenni al di fuori del sistema commerciale internazionale, nel 2001 la Cina è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. “Dato il punteggio molto basso della Cina” nell’indice commerciale ponderato per la democrazia, “è possibile che il deterioramento osservato nel profilo democratico delle importazioni dell’Ue sia interamente dovuto al commercio dell’UE con questo partner molto influente“, afferma la Bce.I presidenti di Cina e Russia, Xi Jinping e Vladimir Putin, tra i generali durante la parata miliare a Mosca per le celebrazioni della grande vittoria [foto: imagoeconomica]C’è però un problema di fondo che riguarda un più generale deterioramento globale e scelte proprie dell’Unione europea, quella di non isolare governi autoritari e illiberali. “Commerciare con i dittatori equivale a generare profitti per regimi che spesso hanno un’esplicita agenda espansionistica e militarista“, rileva l’analisi della Bce. Decidere di non chiudere le porte a determinati soggetti produce “l’aumento del rischio geopolitico ha implicazioni per tutti gli aspetti dell’ordine economico globale”. Nella lista degli aspetti figurano la politica monetaria, la stabilità finanziaria e i flussi di capitali internazionali, “soprattutto per un’economia aperta come quella europea”. In definitiva, che si tratti della Turchia dell’anti-democratico Erdogan, dell’Israele guidato da un Benjamin Netanyahu accusato di crimini contro l’umanità e o della Russia di Putin, cambia poco: “Questo può potenzialmente diventare una sfida esistenziale per l’Ue”.La Cina può aver giocato un ruolo, ma per l’Ue la sfida “più ovvia” in materia di contratti e accordi commerciali “riguarda la sua reputazione di unione economica e politica basata sui valori”. In tal senso, rileva ancora la Bce, “il declino della qualità della governance democratica del suo partner commerciale medio dal 1999 può essere percepito come incoerente con gli obiettivi di politica commerciale sostenibile dell’Ue, volti al rispetto dei diritti democratici, umani e sociali”. Considerando che negli ultimi 25 anni l’Unione “ha commerciato sempre più con autocrati e dittatori”, questo aspetto “non può essere rivendicato con successo dall’Ue”.

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    INTERVISTA / L’eurodeputata Chloé Ridel (S&D): “L’Ue contrasti la repressione transnazionale”

    Bruxelles – La repressione del dissenso da parte dei regimi autoritari ha molte forme. Oltre al pugno di ferro interno, i governi di diversi Stati stanno aumentando la capacità di colpire anche all’estero, prendendo di mira gli oppositori politici e gli attivisti ben al di là dei propri confini nazionali. Per capire meglio le dinamiche di questo fenomeno, e le carenze legislative nell’Unione europea, Eunews ha fatto alcune domande a Chloé Ridel, eurodeputata del Parti socialiste francese (S&D) e relatrice dell’Aula sul tema. La bozza del suo rapporto è datata 16 giugno e verrà discussa dall’emiciclo nei prossimi mesi.“Si parla di repressione transnazionale quando un governo autoritario agisce al di fuori dei propri confini nazionali per costringere, controllare o mettere a tacere i dissidenti, i difensori dei diritti umani, i giornalisti, gli attivisti, le comunità della diaspora e in generale i propri cittadini all’estero“, ci spiega Ridel. Gli Stati sono i principali responsabili, continua, e “si avvalgono spesso di proxy, che possono essere aziende private, reti criminali o collaboratori nella diaspora”.Nel concreto, per quel che riguarda le modalità di questa repressione, “la tattica più comune è la detenzione” mentre altre tattiche “includono minacce fisiche, sparizioni forzate e rapimenti, spesso finalizzati al rimpatrio forzato, ma anche richieste di estradizione e abuso delle segnalazioni all’Interpol per motivi politici e varie altre forme di pressione amministrativa: divieti di viaggio, rifiuto di documenti di identità e di servizi consolari o bancari” e così via.Recentemente, precisa Ridel, “è in crescita la repressione digitale: sorveglianza online, hacking, utilizzo di spyware, molestie sui social e doxing“, cioè una forma di cyberbullismo che consiste nel diffondere dati privati in rete. Soprattutto, puntualizza, “le donne sono oggetto di violenza di genere online in modo sproporzionato“.Il presidente cinese Xi Jinping (sinistra) e il suo omologo russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Si tratta di un fenomeno in aumento a livello globale, ma una decina di regimi sono responsabili per circa l’80 per cento dei casi: Bielorussia, Cambogia, Cina, Egitto, Iran, Russia, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan. “Solo nel 2023, almeno 300 difensori dei diritti umani sono stati uccisi” per ordine di questi governi, afferma l’eurodeputata, “nel tentativo di zittirli e fermare il loro lavoro”.Qual è la situazione in Europa? Qui, dice la relatrice, “la mancanza di una definizione giuridica condivisa e la scarsità di dati ufficiali stanno permettendo al fenomeno di crescere ed espandersi, in un contesto globale in cui aumenta il numero dei regimi autoritari”. “Il coordinamento rimane debole” all’interno dell’Unione, lamenta l’europarlamentare, con le disposizioni nazionali che procedono in ordine sparso, “ma speriamo di cambiare questa situazione grazie alla presente relazione“, la prima mai redatta dall’Aula sul tema.Tra i Ventisette, spiega, “solo una manciata di governi ha introdotto disposizioni specifiche per affrontare la repressione transnazionale, e le politiche per tradurle in azioni concrete sono ancora agli inizi”. Alcuni Stati membri (la Germania, la Slovacchia e i Baltici) hanno firmato la Dichiarazione di princìpi per combattere la repressione transnazionale, uno strumento volontario elaborato nel 2023 da Freedom House. In Svezia (così come in altri Paesi extra-Ue come Norvegia e Svizzera), lo spionaggio ai danni dei rifugiati è codificato come un reato penale.In Italia, in particolare, ci segnala “l’arresto, nel 2016, dell’attivista iraniano Mehdi Khosravi sulla base di una segnalazione rossa italiana all’Interpol“. Il Belpaese ha funzionato come centro “di transito e di accoglienza in cui i responsabili di queste violazioni hanno cercato di manipolare la cooperazione dell’Interpol o della polizia locale“, prosegue.In realtà, la lacuna legislativa è ben più ampia del solo Vecchio continente: “Non esiste una definizione giuridica unica a livello internazionale“, ammette Ridel, aggiungendo che “anche l’attuazione è disomogenea”. Ma quali misure urgenti si possono adottare per mitigare il fenomeno in Ue? Per la deputata, ci sono almeno tre cose da fare.Una passa per il “miglioramento dei meccanismi di raccolta, tracciamento e segnalazione dei dati sui casi di repressione”, da realizzarsi attraverso “punti di contatto negli Stati membri e un meccanismo a livello comunitario per raccogliere e tracciare gli incidenti“.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (foto: Consiglio europeo)A quel punto, “gli Stati membri potrebbero includere la repressione transnazionale nelle loro leggi domestiche e utilizzare tutta la flessibilità consentita dalle loro politiche in materia di visti per proteggere i difensori dei diritti umani”. Senza dimenticare “la formazione dei professionisti“, cioè i dipendenti delle agenzie governative e statali, i fornitori di servizi esterni, gli addetti alla sicurezza informatica, le forze dell’ordine e tutto il personale coinvolto nella gestione dei flussi migratori (incluse le pratiche di estradizione).Secondo, bisogna “ridurre l’uso di segnalazioni Interpol motivate da ragioni politiche“. Questo è un compito per l’Europol, che dovrebbe “sottoporre ad esame approfondito le segnalazioni in arrivo e le richieste di estradizione che coinvolgono difensori dei diritti umani, giornalisti, esponenti dell’opposizione o altre persone a rischio”.Infine, va messa in campo un’azione seria di contrasto alla repressione online. Come? Ad esempio “attuando normative più severe sui facilitatori, tra cui i social media e le industrie che producono spyware“, ci dice Ridel, proponendo un embargo sulla vendita di questi software agli Stati che si rendono responsabili di queste azioni criminose, sanzionando gli operatori che continuano ad esportare verso i Paesi inclusi in un’ipotetica blacklist.“Oggi la tecnologia è una potente arma di oppressione da parte dei regimi autoritari“, ribadisce la relatrice, ma purtroppo “la normativa è molto indietro”. L’esecutivo comunitario dovrebbe aggiornare gli strumenti a sua disposizione, sostiene, e può farlo in vari modi: “Coinvolgendo le piattaforme social e applicando pienamente il Digital services act (Dsa)“, come primo passo, ma anche “mobilitando la società civile e i difensori dei diritti umani per non lasciare spazio alla repressione e promuovere invece un ambiente online libero e sicuro”.