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    C’è l’accordo tra i co-legislatori Ue sul nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi

    Bruxelles – Il nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali prende sempre più forma e con la legislatura europea agli sgoccioli si indirizza verso la sua conclusione anche l’iter legislativo per la messa a terra dello Strumento che dovrebbe portare all’erogazione di 6 miliardi di euro a supporto delle economie di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. Il Parlamento e il Consiglio dell’Ue hanno trovato oggi (4 aprile) l’intesa provvisoria sulla proposta della Commissione Europea per lo Strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali, composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti agevolati.

    “Accolgo con favore il fatto che questo mandato parlamentare abbia rafforzato l’allargamento, riportandolo in agenda, e questo accordo lo conferma”, ha sottolineato il co-relatore croato per il Parlamento Europeo Tonino Picula (S&D), rimarcando con forza che i negoziati hanno portato all’inclusione tra gli obiettivi-chiave per l’erogazione dei finanziamenti anche “il pieno allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, comprese le misure restrittive“, un segnale “chiaro” per Paesi come la Serbia. A confermare la portata dell’intesa con la presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue anche il collega – anche lui croato – Karlo Ressler (Ppe), che ha messo in evidenza come questo sia “un ulteriore importante strumento che avvicinerà questi Paesi all’Ue” a strettissimo giro dalla “storica apertura dei colloqui di adesione con la Bosnia ed Erzegovina” durante l’ultimo Consiglio Europeo.Anche considerate alcune perplessità evidenziate dalla Corte dei Conti Europea, è stato incluso nel Piano di crescita per i Balcani Occidentali l’approccio ‘prima i fondamentali’, vale a dire il collegamento tra Stato di diritto, lotta alla corruzione e diritti fondamentali con le altre due aree cruciali del processo di adesione Ue: la governance economica e il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della riforma della pubblica amministrazione. Inoltre è stata rafforzata la supervisione parlamentare con un dialogo regolare ad alto livello con la Commissione Europea per monitorare i progressi dello Strumento, mentre sul piano della trasparenza i dati aggiornati sui destinatari finali che ricevono finanziamenti superiori a 50 mila euro cumulativamente per un periodo di quattro anni dovranno essere resi disponibili su una pagina web apposita. A questo punto l’intesa provvisoria deve essere solo approvata dalla plenaria del Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Ue, prima dell’entrata in vigore.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato largamente anticipato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e illustrato ai diretti interessati nel corso del suo ultimo tour autunnale nella regione, prima della presentazione ufficiale lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno dell’esecutivo comunitario, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.

    Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme fondamentali, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme socio-economiche concordate (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, per la cui messa a terra servirà prima che ciascuno dei sei Paesi presenti un’agenda di riforme basata sulle raccomandazioni del Pacchetto Allargamento e dei Programmi di riforma economica (Erp).Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (31 ottobre 2023)Va infine segnalato che per Serbia e Kosovo c’è una clausola supplementare: “Devono impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo sulla normalizzazione delle relazioni”, ha specificato la presidente von der Leyen. In altre parole, senza progressi nel dialogo Pristina-Belgrado, rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti dal Piano. Lo stesso discorso vale per la Bosnia ed Erzegovina in caso di mancata implementazione delle riforme fondamentali: “Le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito la numero uno della Commissione nella sua tappa del primo novembre a Sarajevo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il governo della Georgia ci riprova con la legge sugli agenti stranieri. L’Ue vuole il “ritiro incondizionato”

    Bruxelles – Ci risiamo. Nonostante le proteste popolari che avevano già fermato il progetto nel marzo 2023 e nonostante le condizioni previste dallo status di Paese candidato all’adesione Ue concesso quattro mesi fa, il governo della Georgia ci riprova con il controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria prima dello scioglimento del Parlamento in vista della tornata elettorale del prossimo 26 ottobre. E sono già pronte nuove proteste di massa per le strade della capitale Tbilisi, supportate da Bruxelles come un anno fa. “L’Unione Europea ricorda l’impegno pubblico assunto dal governo georgiano e dal partito al governo di ‘ritirare incondizionatamente’ tale legge“, è il monito arrivato oggi (4 aprile) dal portavoce per il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, in risposta all’annuncio del partito al potere Sogno Georgiano: “L’Ue si rammarica del fatto che sia stata nuovamente presa in considerazione nonostante le forti reazioni pubbliche e internazionali” dello scorso anno.

    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro della Georgia, Irakli Kobakhidze (20 febbraio 2024)È stata la stessa leadership di Sogno Georgiano (oggi guidata dall’ex-premier Irakli Garibashvili) a rendere noto nel pomeriggio di ieri (3 aprile) in Parlamento che proverà a fare un altro tentativo per approvare la legge, dopo aver emendato un solo passaggio del progetto di legge: tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovranno registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ e non come ‘agente di influenza straniera’. Per i gruppi pro-democrazia di opposizione nel Paese e per Bruxelles la sostanza comunque non cambia e si teme ancora un allineamento a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre del 2022. “Creare e mantenere un ambiente favorevole alle organizzazioni della società civile e garantire la libertà dei media è il fulcro della democrazia”, ha messo in chiaro il portavoce del Seae Stano, avvertendo che è anche “fondamentale per il processo di adesione all’Unione Europea“.

    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 7 marzo 2023È proprio su questo piano che Bruxelles vuole spingere la questione per far desistere il neo-premier della Georgia, Irakli Kobakhidze, che poco più di un mese fa aveva assicurato all’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che “entro il 2030 la Georgia sarà pronta più di qualsiasi altro Paese candidato per l’adesione”. Proprio lo status di Paese candidato all’adesione Ue concesso il 14 dicembre dello scorso anno dal Consiglio Europeo è condizionato dal “compiere i passi pertinenti” indicati nella raccomandazione della Commissione nel Pacchetto Allargamento 2023, incluse le raccomandazioni sul fatto che “la società civile possa operare liberamente” e sulla “lotta alla disinformazione contro l’Ue e i suoi valori”, ricorda Stano: “La trasparenza non dovrebbe essere usata come strumento per limitare la capacità della società civile di operare liberamente“.Intanto nella capitale Tbilisi si preparano nuove manifestazioni di massa sulla falsariga del 7-8 marzo 2023, quando – dopo l’approvazione della legge in prima lettura da parte del Parlamento – decine di migliaia di cittadini georgiani erano scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law e tappezzando la città di insulti a Putin. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano aveva ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa, come dimostrano gli eventi di un anno più tardi. “Il cammino europeo della Georgia non può essere fermato, nessuno può ripristinare il passato“, ha attaccato il governo con un post su X la presidente della Repubblica, Salomé Nino Zourabichvili, aggiungendo che “nessuna legge russa, né alcuna altra politica distruttiva, può impedire a una nazione determinata di raggiungere il proprio obiettivo”. Ovvero l’ingresso nell’Unione Europea, come la stessa leader georgiana aveva messo in chiaro dal podio del Parlamento Europeo a Bruxelles lo scorso anno.Il complesso rapporto tra Ue e GeorgiaNonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Non solo è evidente la difficoltà a implementare le riforme richieste dal cammino di avvicinamento all’Unione, ma nel corso degli ultimi due anni si sono registrati episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano – il cui fondatore è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Ue che chiede sanzioni personali nei suoi confronti. Per esempio, nel maggio dello scorso anno sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica per una serie di viaggi nell’Unione Europea che che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.

    Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Prima dello scoppio delle dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che almeno fino a oggi hanno portato all’accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    La Nato sta discutendo di un fondo da 100 miliardi di dollari per cinque anni per sostenere l’Ucraina

    Bruxelles – Ora è la Nato a riflettere sulla possibilità di un fondo per il sostegno dell’Ucraina, anche in ottica di un’eventuale elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Il vertice ministeriale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord di oggi (3 aprile) è ruotato attorno alla proposta del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, di “trasformare il pacchetto di assistenza globale all’Ucraina in un programma di assistenza pluriennale”, che potrebbe toccare i 100 miliardi di dollari per cinque anni. “Dobbiamo renderlo più solido e prevedibile, perché crediamo fermamente che il sostegno all’Ucraina debba dipendere meno dalle offerte volontarie a breve termine e più dagli impegni a lungo termine” dei 32 membri dell’Alleanza Atlantica.

    Il vertice dei 32 ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord a Bruxelles (3 aprile 2024)L’idea di “istituzionalizzare maggiormente” il supporto attuale fornito a Kiev è trapelato nel pomeriggio di ieri (2 aprile) ed è stato confermato questa mattina dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, nel suo intervento al Parlamento Europeo, prima di partecipare al vertice Nato: “Esamineremo questa idea, dobbiamo capire bene cosa significa nei contenuti, anche se dobbiamo ricordare che non siamo in guerra con la Russia e non invieremo un solo solato italiano in Ucraina”. Facendo ingresso al quartier generale della Nato, è stato lo stesso segretario generale Stoltenberg a spiegare che “un ruolo più forte dell’Alleanza nel coordinare e fornire supporto è il modo per porre fine a questa guerra, in modo che l’Ucraina prevalga“, specificando solo che l’idea è quella di “garantire una maggiore prevedibilità e fiducia nel fatto che il supporto arriverà ogni mese e ogni anno per un lungo periodo”. In ogni caso “non ci sarà alcuna finalizzazione durante l’incontro di oggi e domani”, ha messo in chiaro Stoltenberg: “Speriamo di procedere verso il consenso e di avere un accordo entro il vertice Nato” in programma a Washington il 9-11 luglio.

    Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (3 aprile 2024)La proposta del segretario generale Stoltenberg – che dovrebbe prevedere contributi nazionali “in base al prodotto interno lordo dei Paesi membri” dell’Alleanza, ha reso noto la ministra degli Esteri belga, Hadja Lahbib – risponde alle difficoltà sul terreno per l’esercito ucraino, ma anche a una potenziale situazione di crisi del supporto occidentale in futuro. “La situazione sul campo di battaglia è grave, vediamo che la Russia sta spingendo e tenta di vincere questa guerra” grazie al supporto “fondamentale” degli alleati del Cremlino, ha continuato Stoltenberg: “La Cina sostiene l’economia di guerra della Russia, in cambio Mosca sta ipotecando il suo futuro a Pechino”, mentre “Corea del Nord e Iran forniscono ingenti forniture di armi e munizioni e in cambio Pyongyang e Teheran ricevono tecnologie russe che li hanno aiutati a migliorare le capacità missilistiche e nucleari”.

    (credits: Nikolay Doychinov / Afp)Ma se da una parte è necessario “difendere un ordine globale governato dalla legge e non dalla forza”, dall’altro va considerato il rischio del ritorno di Trump alla Casa Bianca e il suo impatto sul sostegno armato all’Ucraina. Considerato il continuo stallo del pacchetto di aiuti militari statunitensi da 60 miliardi di dollari al Congresso per l’opposizione repubblicana, è evidente il timore degli alleati europei di Washington di cosa comporterebbe una nuova amministrazione Trump sul fronte dell’invio di armi a Kiev per la difesa dall’invasione che dura da oltre due anni (oltre ai rischi stessi per la tenuta dei principi fondanti della Nato di fronte alle minacce russe). Ecco perché il vero obiettivo di Stoltenberg – prima di dare l’addio definitivo all’Alleanza Atlantica entro l’autunno – è quello di assicurare il futuro delle relazioni tra la Nato e l’Ucraina, a partire dalla tenuta stessa dell’afflusso degli aiuti militari. Con la proposta del fondo da 100 miliardi di dollari sarebbero i 32 alleati nel loro insieme ad assumere il coordinamento delle forniture di armi a Kiev, che invece al momento è gestito prevalentemente dagli Statu Uniti nel quadro del formato Ramstein.

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    L’Ue critica Israele: “Spaventoso l’attacco su operatori umanitari”

    Bruxelles – Niente scuse, Israele deve rispettare il diritto internazionale ed evitare incidenti come quelli avvenuti a danno dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen, rimasti uccisi da raid israeliani mentre stavano distribuendo beni di prima necessità. L’Unione europea non ci sta, e la reazione di condanna e di presa di distanza arriva da più parti. Per la Commissione Ue a parlare sono l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per le Crisi, Janez Lenarcic. Quanto avvenuto “è spaventoso”, sostengono in una nota congiunta. Qui richiamano lo Stato ebraico all’ordine, che è giuridico e internazionale.La risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha richiesto “un cessate il fuoco immediato che porti a un cessate il fuoco sostenibile e duraturo”, ricordano i due membri del Collegio dei commissari. “Anche la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha ordinato misure provvisorie vincolanti per le parti. L’Ue si aspetta la loro piena, immediata ed efficace attuazione“. Quindi il pro-memoria, che suona da accusa implicita di violazione di regole valide per tutti. “Ricordiamo l’obbligo israeliano, ai sensi del diritto internazionale umanitario, di proteggere gli operatori umanitari in ogni momento“. Cosa che non sta avvenendo, visto che, accusano Borrell e Lenarcic, “un elevato numero di operatori umanitari ha perso la vita dall’inizio della guerra a Gaza“.Non diversa nei toni e nelle esortazioni la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Siamo inorriditi per la morte degli operatori umanitari” a Gaza, riconosce pubblicamente. E, sempre pubblicamente, “a nome del Parlamento ho chiesto un’indagine imparziale sulla morte degli operatori umanitari”. Una richiesta che fa il paio con quella avanzata dall’esecutivo comunitario, che l’indagine la pretende “approfondita” così da fare piena luce sull’accaduto.

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    Israele, bombe sugli operatori umanitari e sul consolato iraniano a Damasco: il giorno in cui (forse) il mondo ha perso la pazienza

    Bruxelles – Nell’arco di ventiquattro ore, due decisioni fatali che aumentano la distanza tra Tel Aviv e l’Occidente. Le reazioni all’uccisione dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen e all’attacco al consolato iraniano a Damasco sono forti. Tanto che anche Netanyahu promette che “verificherà fino in fondo i fatti”.Le vittime del raid israeliano all’ospedale Al-Aqsa, durante la distribuzione degli aiuti arrivati con difficoltà via mare da Cipro, non sono i primi cooperanti che perdono la vita nell’enclave palestinese. Anzi, secondo l’alto funzionario delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari a Gaza, Jamie McGoldrick, “almeno 196 operatori umanitari sono stati uccisi” dal 7 ottobre 2023 al 20 marzo. Ma questa volta di mezzo c’è una richiesta vincolante del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per un cessate il fuoco immediato che sta rimanendo inascoltata. E c’è la nazionalità di almeno tre delle vittime: i passaporti trovati appartengono a Gran Bretagna, Australia e Polonia.

    La vettura dell’ong World Central Kitchen colpita dai bombardamenti israeliani (Photo by AFP)La Commissione europea ha chiesto “un’indagine approfondita” sulla vicenda. “Gli operatori umanitari devono essere sempre protetti, in linea con il diritto umanitario internazionale”, ha scritto l’esecutivo Ue su X. Dai leader Ue il solito pattern: Ursula von der Leyen si limita a “rendere omaggio” agli operatori uccisi, Charles Michel sostiene che “è necessario già da molto tempo fermare il massacro di civili innocenti e di operatori umanitari”, Josep Borrell “condanna l’attacco e sollecita un’indagine”. Nel frattempo il governo britannico ha convocato l’ambasciatore israeliano a Londra e il segretario di Stato a stelle e strisce, Antony Blinken, ha chiesto un’indagine “rapida e imparziale”.Se sull’accaduto Netanyahu si è giustificato affermando che “può succedere in guerra”, come se fosse frutto di un errore – anche se da tempo l’Unrwa denuncia di essere bersaglio di bombardamenti israeliani nonostante condivida in anticipo le coordinate dei luoghi scelti per la distribuzione degli aiuti -, lo stesso non può dire sulla decisione di attaccare e distruggere il consolato iraniano a Damasco, in Siria. In spregio alle più antiche regole del diritto internazionale, che sanciscono l’inviolabilità dei siti diplomatici e consolari.

    I resti del palazzo del consolato iraniano a Damasco (Photo by Louai Beshara / AFP)Secondo la Repubblica islamica, il bilancio dell’attacco è di 13 morti, tra cui sette membri delle Guardie della Rivoluzione. L’Iran ha già promesso che Israele sarà “punito” e ha attribuito la responsabilità anche agli Stati Uniti. L’attacco alla sede diplomatica di una potenza imprevedibile come l’Iran rischia di provocare un pericoloso allargamento del conflitto: il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto “a tutte le parti interessate di esercitare la massima moderazione e di evitare un’ulteriore escalation”, ammonendo sul fatto che “qualsiasi errore di calcolo potrebbe portare a un conflitto più ampio in una regione già instabile, con conseguenze devastanti per i civili che già assistono a sofferenze senza precedenti”.Incurante del rischio, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato al Parlamento ebraico che Israele “lavora ovunque per impedire il rafforzamento dei nostri nemici”. Mentre sulla morte dei sette di World Central Kitchen, che ha causato inoltre la sospensione degli impegni da parte dell’ong, in una nota diffusa da Tel Aviv ha fatto riferimento alla “tragica natura dell’incidente” e ha sottolineato l’importanza di “condurre un’indagine approfondita e professionale”.Sullo sfondo, proseguono le trattative per in Egitto per un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Ma le due parti restano lontanissime. A una settimana dalla fine del Ramadan, non resta più nulla della soddisfazione espressa il 25 marzo per la risoluzione con cui l’Onu chiedeva la fine delle ostilità almeno fino alla fine del mese sacro per l’Islam. Ma la consapevolezza che né Israele né Hamas intendono ascoltare gli ordini vincolanti della comunità internazionale.

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    “Moscagate”, un altro scandalo fa tremare l’Eurocamera a due mesi dalle elezioni europee

    Bruxelles – Da qualche giorno tra i banchi del Parlamento europeo si è ricominciato a a guardarsi intorno con sospetto e a bisbigliare nomi, come in un déjà vu di quel che successe a dicembre 2022 con lo scoppio del Qatargate. È già stato ribattezzato Moscagate: una rete di influenze indebite del Cremlino, che avrebbe pagato alcuni eurodeputati per promuovere la sua propaganda.La notizia l’ha portata a galla il primo ministro belga, Alexander De Croo, che ha parlato di “una stretta collaborazione” tra i servizi segreti belgi e quelli della Repubblica ceca per smascherare la vera natura della testata Voice of Europe, strumento di propaganda finanziato e manovrato dall’oligarca ucraino filo-russo Viktor Medvedchuk, attraverso il quale Mosca avrebbe intervistato alcuni eurodeputati a pagamento, con lo scopo di screditare alcune politiche di Bruxelles. Secondo quanto trapelato finora, la testata online serviva a diffondere articoli critici in primo luogo sul supporto a Kiev, ma anche su Green deal e immigrazione, ma anche per mettere a libro paga esponenti politici europei – e assicurarsi così la loro lealtà – attraverso interviste a pagamento.Sul banco degli imputati sono finite immediatamente le formazioni politiche della galassia euroscettica e sovranista. Secondo le indiscrezioni pubblicate dal quotidiano olandese Nrc, sarebbero implicati esponenti del Rassemblement National di Marine Le Pen, dell’ultradestra fiamminga del Vlaams Belang e di quella tedesca di Alternative fuer Deutschland. Le scoperte degli inquirenti belgi e cechi avrebbero già fatto scattare indagini in sette Paesi membri: Germania, Francia, Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Ungheria e Repubblica Ceca.L’Eurocamera è in attesa che i servizi belgi consegnino l’elenco con nomi e cognomi degli eurodeputati che si presumono coinvolti, come confermato da fonti del Parlamento europeo. A quel punto lo scenario è più probabile è quello già visto a fine gennaio per l’eurodeputata lettone Tatjana Ždanoka, accusata di lavorare da anni come agente dei servizi di intelligence russi. La responsabilità di eventuali sanzioni sulla condotta degli eurodeputati fa capo alla presidente: sarà Roberta Metsola, una volta ottenuti i nomi, a dare via libera al Comitato consultivo dell’Eurocamera per indagare sull’accaduto ed eventualmente proporre misure contro i colpevoli.Nonostante non sia necessaria una votazione dell’Aula per sanzionare i colleghi, il gruppo dei Socialisti e Democratici ha immediatamente richiesto un dibattito urgente nella mini-sessione plenaria del Parlamento europeo che si terrà a Bruxelles il 10-11 aprile. Dopo essere stato vessati per mesi sul coinvolgimento di diversi eurodeputati del gruppo nel Qatargate, i socialdemocratici hanno preso la palla al balzo. “Siamo determinati a proteggere le nostre democrazie da chi cerca di diffondere bugie e di dividerci”, ha commentato la capogruppo, Iratxe Garcia Perez.

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    Per la Corte dell’Aia le condizioni a Gaza stanno precipitando, Israele deve “garantire aiuti umanitari senza restrizioni”

    Bruxelles – La popolazione di Gaza non sta più affrontando soltanto il rischio di carestia, ma “la carestia è già in atto“. Ne ha preso atto la Corte di Giustizia Internazionale, che ha aggiornato la lista di misure provvisorie imposte a Israele lo scorso 26 gennaio per prevenire possibili crimini di genocidio contro i palestinesi della Striscia. Tel Aviv dovrà “garantire senza indugi la fornitura senza ostacoli e su larga scala dell’assistenza umanitaria urgentemente necessaria”.Gli ultimi numeri registrati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha-Opt) sono agghiaccianti: almeno 31 persone, tra cui 27 bambini, sono già morte per malnutrizione e disidratazione. Al Tribunale dell’Aia insistono quindi che le autorità israeliane debbano “aumentare la capacità e il numero dei valichi terrestri e mantenerli aperti per tutto il tempo necessario”, per permettere l’ingresso di “cibo, acqua, elettricità, combustibile, riparo, abbigliamento, igiene e servizi igienici, oltre a forniture e assistenza medica ai palestinesi di tutta Gaza”.

    Il collegio di magistrati che si occupa del caso di possibile genocidio a Gaza [Photograph: UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek]Con un’unica defezione dell’ex presidente della Corte suprema israeliana, Aharon Barak, il collegio di 15 magistrati che si sta occupando del caso sul rischio di genocidio a Gaza sollevato dal Sudafrica ha ordinato inoltre a Israele di “garantire con effetto immediato che i suoi militari non commettano atti che costituiscano una violazione dei diritti dei palestinesi di Gaza, in quanto gruppo protetto dalla Convenzione sul genocidio”. Tra cui il deliberato impedimento alla consegna degli aiuti.Dal primo verdetto della Corte che chiedeva a Israele di “adottare tutte le misure necessarie per impedire un genocidio a Gaza” sono passati due mesi. Lo Stato ebraico, il 26 febbraio scorso (il mese successivo), ha inviato all’Aia un rapporto in cui illustrava le azioni intraprese per proteggere la popolazione civile. Ma nell’aggiornamento delle misure richiesto ieri, la Corte non ha potuto far altro che “osservare con rammarico che, da allora, le condizioni di vita catastrofiche dei palestinesi nella Striscia di Gaza si sono ulteriormente deteriorate, in particolare alla luce della prolungata e diffusa privazione di cibo e di altri beni di prima necessità”. Dal 26 gennaio inoltre le operazioni militari israeliane avrebbero causato oltre 6.600 vittime e quasi 11.000 feriti in più. Portando il bilancio complessivo delle vittime a oltre 32.400 e quello dei feriti a quasi 75 mila.Israele ha ribadito che esiste “un’ampia registrazione di sforzi israeliani in ambito umanitario per alleviare le sofferenze della popolazione civile in generale e per affrontare la sfida dell’insicurezza alimentare in particolare”. E ha respinto “con la massima fermezza” le accuse del Sudafrica secondo cui la fame a Gaza sia il risultato diretto di “azioni e omissioni deliberate”.La Corte Onu ha concesso ora un altro mese a Tel Aviv per presentare un nuovo rapporto in cui dia conto delle misure prese per attuare l’ordine e scongiurare così il diffondersi della carestia. Ma i giudici dell’Aia sono consapevoli “che vi è urgenza”, nel senso che “esiste un rischio reale e imminente che tale danno ai diritti plausibili rivendicati dal Sudafrica sia causato prima che la Corte di pronunci in via definitiva sul caso”.

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    La raccomandazione sul Kosovo nel Consiglio d’Europa torna a esacerbare i rapporti con la Serbia

    Bruxelles – Meno di un mese e il Consiglio d’Europa potrebbe tornare a contare 47 membri. Oppure ancora 46, con una nuova adesione e la seconda defezione in tre anni. Dopo la raccomandazione positiva della Commissione per gli affari politici e la democrazia dell’Assemblea parlamentare a Strasburgo, la sessione plenaria si riunirà il 18 aprile per votare sull’invito al Kosovo a diventare membro del Consiglio d’Europa. L’ultimo passo prima della conta dei voti tra i 46 Paesi membri dell’organizzazione internazionale per i diritti umani, che sta continuando a esacerbare i rapporti con la Serbia (in violazione degli accordi assunti da Belgrado nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’Ue).Dopo il via libera dal Comitato dei Ministri alla richiesta di Pristina di diventare il 47esimo membro del Consiglio d’Europa (presentata il 12 maggio 2022), la relazione a firma della greca Dora Bakoyannis ha accolto con favore “un ampio elenco di impegni presi per iscritto dalle autorità kosovare”, sottolineando che l’adesione “porterebbe al rafforzamento degli standard dei diritti umani garantendo l’accesso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a tutti coloro che sono sotto la giurisdizione del Kosovo”. Anche a seconda dell’esito del voto del 18 aprile, sarà poi il Comitato dei Ministri a pronunciarsi definitivamente a maggio. Non passa inosservato dalle motivazioni della Commissione il deterioramento dell’ultimo anno della situazione di sicurezza nel nord del Paese: “Il rischio di violenza aperta in Kosovo è fin troppo reale“, dal momento in cui dipende dalla “protezione dei diritti della comunità serba, dalla riduzione delle tensioni e dalla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”. Per questo motivo nella relazione compare la richiesta di un “impegno post-adesione” per Pristina di istituire l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative.La relazione è passata ieri (27 marzo) con 31 voti a favore, 4 contrari (due rappresentanti della Serbia, più Montenegro e Bosnia ed Erzegovina) e 1 astensione (Grecia), ma ha comunque evidenziato le “circostanze senza precedenti” della candidatura – dal momento in cui diversi Stati membri del Consiglio d’Europa non riconoscono il Kosovo come Stato sovrano (tra cui Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna tra quelli Ue) – e ha invitato il Comitato dei Ministri a garantire che l’adesione “non pregiudichi le posizioni dei singoli Stati membri in merito alla statualità del Kosovo”. Questo non ha però evitato di scatenare di nuovo le ire di Belgrado, che ha definito “vergognosa e scandalosa” la decisione di Strasburgo secondo le parole del primo ministro ad interim, Ivica Dačić. Nei giorni scorsi sia il presidente serbo, Aleksandar Vučić, sia l’ex-premier e oggi presidente del Parlamento, Ana Brnabić, hanno minacciato che un ingresso del Kosovo nel Consiglio d’Europa potrebbe implicare un’uscita della Serbia. Un ricatto che, ancora una volta, è in violazione del punto 4 dell’accordo di Bruxelles del 27 febbraio 2023 sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi: “La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“.In ogni caso le possibilità per l’adesione di Pristina all’organizzazione internazionale (che non è tra le istituzioni dell’Unione Europea) sono aumentate dopo l’espulsione/uscita della Federazione Russa, arrivata a seguito della decisione del Comitato dei Ministri del 16 marzo 2022 per l’invasione dell’Ucraina. Mosca è uno degli alleati più stretti della Serbia, in particolare sulla controversia diplomatica con il Kosovo indipendente, e anche al Consiglio d’Europa ha contribuito a tenere in stallo la questione dell’adesione di Pristina. Secondo l’articolo 4 dello Statuto, “ogni Stato europeo che sia ritenuto in grado e disposto ad adempiere alle disposizioni dell’articolo 3 [accettare i principi dello Stato di diritto e del godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ndr] può essere invitato a diventare membro del Consiglio d’Europa dal Comitato dei Ministri”.Le tensioni tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    (credits: Armen Nimani / Afp)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews