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    Legami con la Russia e rivendicata dalla Moldova, il rebus geopolitico della Transnistria che riguarda anche l’Ue

    Bruxelles – E’ uno dei conflitti congelati dell’era post-sovietica, con uno status di territorio non riconosciuto internazionalmente, rivendicato, e contraddistinto da un mosaico ‘etnico’ che rende il tutto ancor più complicato. La Transnistria è oggi più che mai un rebus, e il referendum di domenica (20 ottobre) sulle ambizioni Ue della Moldova lo riaccende come non mai.Geograficamente la Transnistria si trova in Europa orientale, incastonata tra la repubblica di Moldova, che la reclama come propria, e l’Ucraina. Il 2 settembre 1990 si proclama indipendente dalla repubblica socialista sovietica di Moldova, e il 25 agosto 1991 giunge anche l’auto-proclamazione di indipendenza dall’Unione sovietica. In quel momento la Transnistria, con Tiraspol capitale, diventa un’entità a sé, però mai riconosciuta come tale dalla comunità internazionale. I Paesi dell’Onu la riconoscono come appartenente alla repubblica di Moldova.Il territorio si è organizzato come vero e proprio Stato indipendente e sovrano. Ci sono un governo, una costituzione, passaporti, una banca centrale che stampa la valuta nazionale, il rublo transnistriano. Già solo questo elemento è indice dei legami con la Russia. Sulle banconote in circolazione sono stampate le effigi di Caterina II (zarina di Russia dal 1762 alla morte), Pëtr Aleksandrovič Rumjancev-Zadunajskij (feldmaresciallo dell’esercito imperiale russo), e Aleksandr Vasil’evič Suvorov (generale russo, tra i comandanti della guerra russo-turca del 1768-1774 a seguito della quale Ucraina meridionale, Caucaso settentrionale e Crimea vennero portati definitivamente sotto il dominio dell’Impero russo).La Transnistria [foto: Wikimedia Commons]I legami con la Russia sono ancora molto forti, e nel Paese i vecchi simboli dell’era sovietica sono ancora ben visibili. Non solo: accanto alla bandiera nazionale a strisce orizzontali rosso-verde-rosso, si aggiunge una riproduzione del tricolore russo, identico per policromia (strisce orizzontali bianco-blu-rosso) ma diversa per dimensioni. Un modo per mostrare il desiderio di restare vicina alla Federazione russa e marcare le distanze dalla repubblica di Moldova.Il mancato riconoscimento di status di Paese indipendente e sovrano pone però una questione giuridica: la maggior parte dei cittadini transnistriani possiede anche una cittadinanza moldava, russa o ucraina. Anche in ragione di questi cittadini moldavi il governo di Chisinau insiste per ricongiungere la Transnistria alla Moldova.Da un punto di vista sociale, la principale comunità presente sul territorio è quella russa (34 per cento), seguita da quella moldava (33 per cento) e da quella ucraina (26,7 per cento). A questi gruppi si aggiunge la minoranza bulgara (2,8 per cento).La guerra russa in Ucraina ha ridisegnato la situazione. Kiev non riconosce la Transnistria, ma in virtù dei tanti ucraini presenti sul territorio ha tessuto relazioni economico-commerciali. Non senza tensioni. Kiev ha posto come condizione per lo scambio di merci che tutto ciò che viene venduto in Ucraina debba avere certificazioni moldave, irritando il Cremlino che vede nelle mosse dell’Ucraina un modo per accrescere pressioni e spingere la Transnistria verso un modello troppo europeo.Dopo l’avvio delle operazioni militari di Mosca le autorità ucraina hanno cambiato radicalmente atteggiamento nei confronti della Transnistria, vista come ‘amica dei nemici’ e come tale trattata. A marzo 2022 l’Ucraina ha abbattuto un ponte ferroviario con l’accusa di averlo utilizzato per favorire la movimentazione delle truppe russe in chiave anti-ucraina. Ecco che la Transnistria si ritrova al centro della guerra russo-ucraina.Il territorio rischia di rimanere schiacciato tra le voglie unioniste moldave e i rancori ucraini, con la Russia difficilmente disposta a rinunciare al suo ‘protettorato’ in una parte di mondo che sembra sfuggire ai propri interessi e influenza.Il controllo del territorio è motivo di attriti tra la Russia e la Nato, con quest’ultima che, tramite risoluzione, già nel 2008 ha intimato a Mosca di ritirare le truppe. Ma per Putin diventa sempre più strategica per mantenere una zona di presenza e influenza. Il referendum della Moldova per l’adesione all’Ue trascina con sé la questione della Transnistria. In prospettiva la Moldova può portare nell’Ue la questione territoriale e politica, zone contese e frontiere tutt’altro che definite.

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    Moldova al bivio, ecco il referendum che può portarla nell’Ue o lanciarla nell’orbita di Putin

    Bruxelles – La Moldova al bivio. Scegliere se restare nel limbo di un Paese sospeso tra Unione europea e interessi russi, o seguire la via che porta all’adesione al club a dodici stelle. Le elezioni di domenica (20 ottobre) non sono solo un momento per capire chi guiderà il Paese, se la presidente uscente a caccia di un nuovo mandato, Maia Sandu, dichiaratamente pro-Ue, o altri leader con diverse visioni. Si deve anche decidere se emendare la costituzione nazionale prevedendo l’accesso all’Unione europea come obiettivo. La consultazione referendaria assume nuove valenza geopolitiche alla luce del rinnovato scontro tra Russia e blocco euro-occidentale.“Sostieni la modifica della costituzione in vista dell’adesione della Repubblica di Moldavia all’Unione Europea?” è il quesito che sarà posto agli elettori. Un eventuale ‘sì’ renderà il tutto vincolante, segnando un momento storico nella vita della repubblica. Non sembra impossibile, dati i quorum previsti nel Paese. Per modificare la costituzione è necessario un risultato positivo, con la partecipazione di almeno un terzo degli elettori. Gli ultimi sondaggi disponibili, a cui da Bruxelles si guarda con grande attenzione, suggeriscono che il 69 per cento degli aventi diritto intendono partecipare al voto, e che il 63 per cento di loro intenda esprimersi per l’adesione all’Ue. Le premesse pre-voto inviano già un messaggio chiaro.Più nello specifico il preambolo della Carta nazionale sarebbe completato con due nuovi paragrafi per “riconfermare l’identità europea del popolo della Repubblica di Moldova e l’irreversibilità del percorso europeo” e per “dichiarare l’integrazione nell’Unione Europea un obiettivo strategico della Repubblica di Moldova”.L’Unione europea teme l’attività russa, in particolare i tentativi di influenzare il voto attraverso interferenze, contro-informazione e anche corruzione. Un’operazione mirata sarebbe stata messa in piedi appositamente per creare reti di supporto alla campagna del ‘no’ in cambio di denaro, con oltre 15 milioni di dollari inviati dalla Russia a più di 130mila cittadini moldavi per votare contro la prospettiva a dodici stelle. L’operazione sarebbe stata guidata da Ilan Shor, imprenditore in esilio in Russia. “La Russia ha aumentato la propria attività per intervenire direttamente nel voto”, denuncia Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell: “Spetta al popolo moldavo decidere dove andare, se verso di noi o se abbracciare la Russia che vuole imporre il suo imperialismo per soggiogare il Paese”.Ufficialmente l’esecutivo comunitario non entra nel merito del segreto delle urne, ma offre indicazioni di voto chiaro, dalle non scontate conseguenze. Perché la Moldova è un Paese i cui confini non sono chiari. La Transnistria ha auto-proclamato la propria indipendenza dalla Moldova nel 1990. La comunità internazionale non riconosce quello che è un territorio indipendente sotto tutela e controllo russi. Qui Mosca schiera ancora un contingente di 1.500 soldati. A loro e al ministero delle Difesa russo le autorità di Tiraspol hanno chiesto più protezione dai vicini moldavi.Incide inoltra la decisione della commissione elettorale di non iscrivere Pobeda, formazione vicina a Ilan Shor e con posizioni filo-russe. Una mossa che acuisce ancora di più le tensioni per un voto che diventa anche un referendum su Putin. La Moldova per un momento sarà al centro del mondo. Qualunque cosa accada domenica la storia in movimento proporrà nuovi scenari, nuovi assetti e nuovi motivi di tensione e contrapposizione.

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    L’Ue si riscopre unita nei confronti degli attacchi di Israele all’Onu: “Il suo comportamento è sempre meno tollerato”

    Bruxelles – È tardi, visto l’inaccettabile numero di vittime civili e di atroci sofferenze causate in un anno di conflitto in Medio Oriente. Ma l’Ue sta perdendo la pazienza nei confronti di Israele. I capi di stato e di governo dei 27, riuniti a Bruxelles per il Consiglio europeo, hanno condannato le azioni di Tel Aviv su più fronti: l’allargamento dei raid in Libano, la disastrosa situazione umanitaria a Gaza, gli attacchi militari ai contingenti dell’Unifil e verbali alle Nazioni Unite, le crescenti violenze in Cisgiordania. “Il comportamento di Israele è sempre meno tollerato in sala”, ha ammesso un funzionario Ue nel corso del summit.Sul vertice è piombata inevitabilmente la notizia della morte di Yahya Sinwar, il leader politico di Hamas ritenuto la mente degli attacchi del 7 ottobre 2023, ucciso dalle forze di difesa israeliane in un campo profughi a Rafah. “La sua morte indebolisce certamente in modo significativo Hamas”, ha affermato Ursula von der Leyen durante la conferenza stampa a margine del Consiglio europeo. Ma, forse per questioni puramente tempistiche, i leader non hanno approfittato della morte di Sinwar per rafforzare ulteriormente la richiesta di mettere fine alle ostilità.Il leader politico di Hamas, Yahya Sinwar (Photo by MAHMUD HAMS / AFP)Nelle conclusioni adottate dai 27, nessun riferimento al vertice politico di Hamas. “Una svolta importante che dobbiamo cogliere”, ha però evidenziato Emmanuel Macron, secondo cui l’uccisione di Sinwar “apre nuovi orizzonti politici“. Dello stesso avviso Giorgia Meloni, che in una nota si è detta convinta “che ora si debba iniziare una nuova fase“: quella del rilascio degli ostaggi, dell’immediato cessate il fuoco e dell’avvio della ricostruzione a Gaza.I leader Ue, come da un anno a questa parte, hanno riconosciuto il “diritto di Israele all’autodifesa” contro Hamas ed Hezbollah, i principali gruppi armati foraggiati dall’Iran. Per Bruxelles è Teheran la più “grave minaccia alla stabilità regionale“, come dimostrato dall’attacco verso Israele del primo ottobre scorso. Una volta messo in chiaro questo punto, i 27 si sono dimostrati insolitamente fermi e uniti nella dura critica al comportamento militare e diplomatico tenuto da Tel Aviv. “Sempre più leader sollevano la questione di cosa fare affinché Israele cambi atteggiamento, perché la preoccupazione e la discussione non sono sufficienti”, ha spiegato una fonte Ue.Al suo arrivo a Bruxelles ieri mattina, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, aveva chiesto che i leader “prendessero sul serio” gli attacchi sferrati su “tutti i fronti” contro il sistema della Nazioni Unite dal governo di Benjamin Netanyahu. E così è stato.Per quanto riguarda il Libano, i 27 “condannano la perdita di vite civili e lo sfollamento forzato causati dall’escalation di violenza e dagli attacchi indiscriminati” e ribadiscono che “la sovranità e l’integrità territoriale del Libano devono essere rispettate”. Gli attacchi israeliani all’Unifil “costituiscono una grave violazione del diritto internazionale” e “devono cessare immediatamente”. I capi di stato e di governo Ue affermano il “pieno e incondizionato sostegno al Segretario generale delle Nazioni Unite”, sottolineano “il ruolo essenziale dell’Onu e delle sue agenzie, in particolare dell’Unrwa”. E “condannano qualsiasi tentativo di ostacolare la capacità dell’agenzia di svolgere il proprio mandato”.Su Gaza e in Cisgiordania, il Consiglio europeo “deplora il numero inaccettabile di vittime civili, soprattutto donne e bambini” e “i livelli catastrofici di fame e l’imminente rischio di carestia causati dall’insufficiente ingresso di aiuti”. E ricorda “la necessità di dare piena attuazione agli ordini della Corte internazionale di giustizia”. Nelle conclusioni del vertice c’è anche un significativo invito a “portare avanti i lavori su ulteriori misure restrittive contro i coloni estremisti e contro le entità e le organizzazioni che li sostengono”.Ursula von der Leyen e Charles Michel in conferenza stampa a margine del Consiglio europeo, 17/10/24Parallelamente, l’Ue è unita nel sostegno all’Autorità palestinese (Anp). Come sottolineato da von der Leyen, la soluzione dei due Stati “può essere raggiunta solo con un’Autorità palestinese stabile e riformata”. L’Anp ha bisogno di un sostegno d’emergenza e di un “piano a lungo termine”, per il quale la presidente della Commissione europea ha chiesto “uno sforzo collettivo a livello politico e finanziario”. Nel documento conclusivo del vertice, si legge inoltre che “un percorso credibile verso la statualità palestinese è una componente cruciale” del processo politico verso la soluzione dei due Stati.Quel che manca – un’altra volta – nelle conclusioni, è su quali leve spingere per far sì che Israele rientri nei paletti del diritto internazionale. Durante il vertice, è stato fatto il punto sull’Accordo di associazione Ue-Israele, la cui eventuale sospensione – richiesta da mesi da Spagna e Irlanda – avrebbe delle importanti ricadute sull’economia israeliana: “Il dibattito è iniziato a livello di ministri degli Affari esteri e non ho dubbi che continuerà nelle prossime settimane”, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.A quanto si apprende, non è invece stata discussa la possibilità di interrompere la fornitura di armi a Tel Aviv. L’embargo sulle armi è una prerogativa dei singoli Paesi membri, ma l’Ue potrebbe imporlo introducendo apposite sanzioni, come fatto ad esempio con la Russia. L’idea, osteggiata in particolare dalla Germania, è stata suggerita più volte negli ultimi giorni da Parigi. “Non si può chiedere il cessate il fuoco e continuare a fornire armi a Israele“, ha dichiarato ancora ieri sera Macron.

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    Iran, l’opposizione al regime degli Ayatollah sfila a Bruxelles: “L’Ue riconosca le Guardie della rivoluzione come terroristi”

    Bruxelles – Bene le sanzioni, così come le prese di posizione critiche nei confronti del regime degli ayatollah. Ma l’Unione europea deve fare di più. La richiesta arriva dall’opposizione iraniana, scesa in strada in occasione del vertice del Consiglio europeo per chiedere “la fine della politica di appeasement dell’Ue” e “inserire le Guardie della rivoluzione nella lista Ue delle organizzazioni terroristiche“. E’ Kamran Dalir, membro della commissione Affari esteri del Consiglio nazionale di resistenza in Iran (Ncri) a spiegare a Eunews il motivo della mobilitazione nel giorno in cui i leader dell’Ue si ritrovano a Bruxelles a discutere, tra le altre cose, anche di Medio Oriente.“E’ chiaro che non siamo a favore di Israele in questo momento, perché sta uccidendo civili innocenti” nei territori palestinesi, ma “l’Iran contribuisce ad accrescere le tensioni per distogliere l’attenzione dalla vera questione: la repressione interna“.Dalir vuole essere chiaro: “Non siamo qui a chiedere a nessuno di aiutarci a portare la democrazia nel Paese, quello spetta a noi” iraniani. Quello che si chiede dall’Europa è un cambio di rotta, maggiore determinazione a sostegno della popolazione iraniana.”Queste politiche dell’Ue non solo hanno permesso al regime di persistere con le sue azioni dannose, ma hanno anche permesso al terrorismo di raggiungere il cuore stesso dell’Europa”, critica Shahin Gobadi, altro membro della commissione Affari Esteri dell’Ncri. Perché, spiega, “le prove del coinvolgimento delle Guardie della rivoluzione nel terrorismo globale sono schiaccianti e di lunga data“.L’Unione europea in realtà ha avviato un ragionamento sulla possibilità di agire contro le Guardie della rivoluzione, ma la decisione è molto delicata. Si tratta di un organismo militare, integrato nelle forze armate, e dichiarare ‘terrorista’ un esercito nazionale ha ricadute giuridiche tutte da studiare.Ma l’opposizione iraniana chiede comunque di fare in fretta.Per ragioni di sicurezza il corteo non è stato fatto avvicinare alla sede del Consiglio europeo, e i manifestanti sono stati fatti sistemare sul retro dell’edificio che ospita la Commissione europea. Ma il centinaio di persone con in mano il tricolore iraniano risalente al periodo dello scià, hanno fatto comunque sentire la loro voce scandendo slogan a sostegno di democrazia e un diverso coinvolgimento dell’Ue.

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    Zelensky a Bruxelles coi leader Ue: “L’Ucraina nella Nato è un passo preventivo”

    Bruxelles – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha preso parte di persona al Consiglio europeo in corso nella capitale Ue, per chiedere direttamente ai leader dei Ventisette di continuare a supportare il suo Paese. E per presentare ai capi di Stato e di governo il suo “piano per la vittoria”, dopo averlo illustrato ieri al Parlamento di Kiev. Tra i punti più significativi del documento, la richiesta alla Nato di invitare l’ex repubblica sovietica come 33esimo membro.Il maxi-prestito G7“La vostra unione è un’arma che garantisce sicurezza a tutti noi”, ha dichiarato Zelensky prendendo la parola alla sessione mattutina del vertice che si è aperto giovedì (17 ottobre). Per ora, stando alle conclusioni adottate dai leader Ue sul tema del supporto all’Ucraina, l’unione tra le cancellerie sta resistendo. Soprattutto per quanto riguarda il prestito monstre deciso la scorsa estate in ambito G7: 45 miliardi di euro in tutto, di cui fino a 35 dovranno essere messi dall’Ue, da destinare alle casse di Kiev e da finanziare con gli extraprofitti generati dagli asset russi congelati in Occidente.Su questo punto, ormai da mesi, i governi nazionali e l’esecutivo comunitario stanno cercando di disinnescare l’opposizione del primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha ripetutamente minacciato di far saltare il banco se non verranno garantite a Budapest una serie di deroghe per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico degli idrocarburi di Mosca.Al summit odierno, dunque, si è deciso di non decidere: il documento condiviso dai capi di Stato e di governo cita semplicemente “l’importanza di mantenere gli impegni presi” al vertice dei 7 in Puglia per far arrivare a Kiev gli aiuti di cui ha bisogno “entro la fine dell’anno”. Ma la decisione vera e propria arriverà più in là, e richiederà probabilmente l’ennesima opera di persuasione (o di compromesso) con il premier magiaro per sbloccare l’esborso da parte dei Ventisette.Il “piano per la vittoria”Zelensky ha inoltre presentato ai capi di Stato e di governo Ue il suo “piano per la vittoria” in cinque punti, che aveva esposto ieri alla Verchovna Rada e di cui ha già anticipato i punti più delicati – quelli riguardanti i dettagli strategici, che sono secretati – con alcuni partner internazionali (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti). Un piano la cui attuazione, ha ripetuto il presidente ucraino arrivando al palazzo Europa a Bruxelles, “non dipende dalla volontà russa” ma “dalla volontà dei nostri partner”.Parlando ai giornalisti al termine del proprio intervento con gli omologhi europei, Zelensky ha ribadito che il piano “rafforza l’Ucraina non solo sul campo di battaglia ma anche a livello geopolitico”, cristallizzando di fatto il posizionamento dell’ex repubblica sovietica nel campo occidentale. In questo senso, ha spiegato, va intesa la prima priorità della roadmap in questione, cioè la richiesta di un invito formale ad aderire alla Nato: anche se, con ogni evidenza, l’ingresso vero e proprio nell’Alleanza potrà avvenire solo in futuro, a conflitto concluso, l’invito a Kiev costituirebbe un importante messaggio politico da parte dei 32 Stati membri.Kiev nella Nato?“L’invito è un passo preventivo”, ha spiegato Zelensky, per dimostrare che il presidente russo Vladimir Putin non può manipolare l’ordine internazionale a proprio piacimento. “Questo invito rappresenta un simbolo che va ben al di là della Nato”, ha detto, poiché indica “che sarà inevitabile anche l’adesione all’Ue e confermerà il percorso democratico e rinforza la nostra posizione diplomatica”.Come esempio dell’inaffidabilità di Putin, Zelensky ha richiamato il memorandum di Budapest del 1994: con quel trattato, Kiev aveva trasferito alla Russia tutte le proprie testate nucleari, in cambio della garanzia da parte di Mosca, Washington e Londra che la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina non sarebbero state violate. Data la malafede del Cremlino, ha incalzato il leader ucraino, l’alternativa per il suo Paese è netta: “O torniamo alle armi nucleari, o dobbiamo diventare parte di un’alleanza (militare, ndr) efficiente, e la Nato è l’unica che funziona” e i cui membri hanno evitato guerre di aggressione da quando vi sono entrati. “Noi non stiamo scegliendo le armi nucleari, stiamo scegliendo la Nato”, ha scandito.Sul punto, Zelensky ha già parlato con il presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, e con i due candidati alle elezioni del prossimo 5 novembre, la democratica (e attuale vicepresidente) Kamala Harris e l’ex presidente repubblicano Donald Trump. E ha lasciato intendere, pur senza scendere nei dettagli, che tutti e tre sono favorevoli in linea di principio.L’accoglienza europea del pianoQuanto ai leader europei, “la maggior parte” avrebbe espresso “pieno supporto per il piano”, ha dichiarato il presidente ucraino. Per quanto riguarda le proposte economiche (che prevedono investimenti congiunti da parte delle aziende occidentali per sfruttare le risorse naturali del Paese aggredito), Zelensky ha sottolineato che si tratta di uno “strumento di sicurezza economica”, per evitare che le materie prime critiche cadano nelle mani dei russi, come già accaduto dieci anni fa coi giacimenti di carbone del Donbass.Alcuni capi di Stato e di governo dei Ventisette sono ancora reticenti a concedere a Kiev di usare le proprie armi a lungo raggio per colpire obiettivi militari in territorio russo, e anche a dare il via libera all’adesione dell’Ucraina alla Nato. Tra questi, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ancora non ha fornito all’esercito ucraino armi a lunga gittata, e che sull’allargamento dell’Alleanza “non ha mai detto no e non ha mai detto sì”, nelle parole dello stesso Zelensky.Nel frattempo, ha fatto sapere il leader ucraino, continuano gli sforzi per avvicinare quanto più velocemente possibile la fine della guerra: “L’Ucraina è pronta per imboccare la via diplomatica”, ha assicurato, “ma per farlo dobbiamo essere forti”. “A novembre – ha aggiunto – presenteremo un documento completo” in dieci punti come base di partenza per le trattative di pace, “che vogliamo condividere con tutti e anche con la controparte russa”. Alla fine, il piano per la vittoria di cui si è parlato è una risposta alla domanda su “come costringere la Russia alla diplomazia, ad arrivare ad una pace giusta”. E se gli alleati occidentali di Kiev continuano a sostenere l’Ucraina e ad aiutarla nella realizzazione di tutti i punti del piano, ha stimato Zelensky, le ostilità potrebbero cessare entro la fine dell’anno prossimo.

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    Commercio, intesa Ue-Paesi del golfo per lavorare a un accordo di libero scambio

    Bruxelles – Ue-Paesi del golfo arabico, avanti con il commercio. I leader dei Ventisette e i rappresentanti dei Paesi del consiglio di cooperazione della regione (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi) lasciano il primo summit bilaterale con l’intenzione di lavorare per un accordo di libero scambio regionale. E’ questo il risultato tangibile più di rilievo di un incontro scandito comunque da tensioni su dossier di politica estera e divergenze su temi caldi attualità, in particolare guerra russo-ucraina e conflitto israelo-palestinese.C’è la volontà, sancita nelle conclusioni di fine summit, di “far avanzare le discussioni” tra le parti per raggiungere un nuovo modello di scambi commerciali. I numeri, aggiornati al 2022, fanno capire l’importanza della posta in gioco. I flussi commerciali bilaterali hanno superato i 204 miliardi di dollari in valore, con l’Ue che da sola rappresenta il 13 per cento del totale degli scambi dei Paesi arabi del golfo. Numeri che potrebbero crescere, se si considera il potenziale abbattimento dei dazi attualmente in vigore.Per l’Ue, ovviamente un’opportunità ma pure un rischio. Perché la bilancia commerciale Ue-Paesi del golfo pende a favore di questi ultimi. Nel 2022 le esportazioni verso il mercato unico europeo hanno raggiunto un valore di 106,3 miliardi di dollari, a fronte di importazioni di prodotti ‘made in EU’ per un valore di circa 98 miliardi di dollari.I leader riuniti attorno al tavolo vedono nella convergenza per l’integrazione economico-commerciale il principale risultato di un incontro considerato storico perché il primo di sempre a Bruxelles. Si vogliono rilanciare anche gli investimenti, anche sulla scia di una realtà già solida. A oggi le due parti hanno investimenti diretti per oltre 100 miliardi di euro in settori quali energia, trasporti, ambiente, turismo, farmaceutica. E si vuole andare proseguire. “Continueremo a valutare accordi su misura a sostegno del commercio e degli investimenti“, l’accordo di principio trovato. Un punto di partenza per una nuova stagione di relazioni bilaterali.Nella rinnovata intenzione di nuovi regimi commerciali c’è anche una specifica: “L’importanza della  cooperazione nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio” (Omc, o Wto secondo l’acronimo in lingua inglese). La centralità del Wto, sottolineano i leader europei e arabi del golfo persico, rimane “essenziale per contribuire al pieno funzionamento del meccanismo di risoluzione delle controversie, al fine di rafforzare il sistema commerciale multilaterale”. Un messaggio in salsa anti-Cina e, in prospettiva, anche in chiave anti-Donald Trump qualora alle elezioni del 5 novembre dovesse trionfare il candidato repubblicano critico sull’organizzazione mondiale per il commercio.

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    Ecco il “piano per la vittoria” che Zelensky presenterà al vertice dei leader Ue

    Bruxelles – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dovrebbe partecipare in presenza al Consiglio europeo che partirà domani (17 ottobre) a Bruxelles, durante il quale presenterà ai leader dei Ventisette il suo “piano per la vittoria”, che aveva già anticipato nelle scorse settimane e di cui ha svelato oggi gli elementi principali al Parlamento di Kiev. Si tratta di un elenco di priorità strategiche che dovrebbero permettere al Paese aggredito di sedersi al tavolo delle trattative da una posizione che non sia di netta inferiorità – o almeno queste sono le intenzioni. Ma la strada appare tutt’altro che in discesa.Sono cinque i punti principali di questo piano: l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, l’aumento delle sue capacità di difesa, la deterrenza verso nuove aggressioni da parte della Russia, la crescita economica e l’architettura di sicurezza una volta terminata la guerra in corso. Il documento include anche tre elementi secretati, che Zelensky ha già anticipato agli alleati internazionali nelle ultime settimane – il presidente Usa Joe Biden e i due candidati alle elezioni del mese prossimo, il primo ministro britannico Keir Starmer, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron e la premier italiana Giorgia Meloni.“Se il piano viene sostenuto” dai partner occidentali, ha dichiarato Zelensky di fronte ai deputati della Verchovna Rada (il legislativo monocamerale ucraino), “possiamo mettere fine alla guerra non più tardi del prossimo anno”. Si tratta, nelle parole del presidente, di “un piano per rafforzare il nostro Stato e la nostra posizione”, per permettere al Paese “di essere abbastanza forte per porre fine alla guerra, per assicurarci che l’Ucraina abbia tutti i suoi muscoli”. E ha chiarito che l’implementazione del piano “dipende dai nostri partner”, e “non dipende sicuramente dalla Russia”.L’Ucraina nella Nato?Ma è precisamente la priorità che Zelensky ha deciso di mettere in cima alla lista che potrebbe essere la più difficile da realizzare. L’ingresso dell’Ucraina nella Nato è stata ripetutamente indicata, negli ultimi tre anni, come una linea rossa invalicabile dal presidente russo Vladimir Putin, che ha motivato l’invasione su larga scala del febbraio 2022 (avvenuta dopo l’occupazione della Crimea e le infiltrazioni nel Donbass del 2014) proprio con la necessità di impedire che Kiev entrasse nel blocco militare occidentale.I rapporti dell’Ucraina con la Nato sono lunghi e complessi e risalgono ai tempi della dissoluzione dell’Urss nel 1991, ma Kiev ha formalmente avanzato la richiesta di entrare nell’Alleanza solo nel settembre 2022, dopo che Mosca proclamò l’annessione unilaterale dei territori occupati nell’ex repubblica sovietica. “Ci rendiamo conto che l’adesione alla Nato è una questione del futuro, non del presente”, ha concesso Zelensky nel suo discorso, ma ha aggiunto che se l’Alleanza invitasse l’Ucraina come 33esimo membro manderebbe un forte segnale del fatto che “i calcoli geopolitici” di Putin erano profondamente sbagliati.Tuttavia, anche se al summit di Washington dello scorso luglio la Nato ha ribadito che il percorso di Kiev verso l’adesione è “irreversibile”, è piuttosto improbabile che questa avvenga nel breve periodo. La decisione è politica, e va presa all’unanimità dai 32 Stati membri. Includere l’Ucraina, secondo diversi leader, sarebbe come uno schiaffo in faccia a Putin. Ma c’è anche un altro ostacolo: la Nato non può accettare al suo interno un Paese in guerra, poiché questo comporterebbe un’attivazione immediata dell’articolo 5 della Carta atlantica (il trattato fondamentale dell’organizzazione), che prevede il supporto di tutti gli alleati nel caso di aggressione ad uno di loro.Difesa dalla RussiaIl secondo punto del piano prevede la rimozione delle restrizioni sulle armi occidentali consegnate all’Ucraina, per consentire a quest’ultima di colpire in profondità oltre il confine con la Russia. Portare la guerra direttamente sul territorio della Federazione impedirebbe la creazione di “zone cuscinetto” sul suolo ucraino, un obiettivo cui mirava l’incursione dello scorso agosto nell’oblast’ di Kursk. La stessa Commissione europea aveva detto chiaro e tondo, all’epoca, che Kiev aveva il diritto di difendersi “anche in territorio nemico”.Oltre all’eliminazione delle restrizioni sui sistemi d’arma a lungo raggio, Zelensky continua a chiedere agli alleati occidentali ulteriori forniture di materiale bellico (a cominciare dalle munizioni) e maggiore supporto diretto al rafforzamento delle capacità militari dell’ex repubblica sovietica (dalle truppe terrestri alla contraerea, passando per l’assistenza a livello di intelligence), nonché una maggiore partecipazione nell’abbattimento di droni e missili russi nello spazio aereo ucraino.La terza parte del documento fa riferimento alla deterrenza contro future aggressioni da parte dell’ingombrante vicino. Per quanto questo punto rimanga secretato, si sa che vi è menzionata una deterrenza esplicitamente non-nucleare – giova ricordare a tal proposito che Kiev ha ceduto tutte le sue testate atomiche a Mosca in base al memorandum di Budapest del 1994, in cambio della garanzia che la Russia avrebbe rispettato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. L’idea è di mettere in piedi “un pacchetto globale di deterrenza strategica non-nucleare” sul territorio del Paese aggredito, che verosimilmente includerebbe asset convenzionali dei partner della Nato.Il rapporto coi partner occidentaliAl quarto punto, Kiev offre all’Ue e agli Stati Uniti un “accordo speciale” relativo a investimenti congiunti per lo sfruttamento delle risorse naturali presenti nel suo sottosuolo (tra cui uranio, titanio, grafite e litio). Un accordo sulle materie prime critiche è già in piedi con Bruxelles dal 2021, mentre recentemente anche a Washington sembrano essersi accorti che l’Ucraina è “una miniera d’oro” di minerali del valore di circa 11mila miliardi di dollari, che l’Occidente non può permettersi di lasciar cadere in mani russe.Infine, il quinto elemento del piano riguarda l’architettura della sicurezza ucraina nel dopoguerra, che prevederebbe secondo Zelensky un grado avanzato d’integrazione tra le forze militari del suo Paese e quelle della Nato. “Se i nostri partner sono d’accordo, dopo la guerra pensiamo di sostituire alcuni dei contingenti militari statunitensi stazionati in Europa con unità ucraine”, ha dichiarato alla Rada. Il piano per la vittoria dev’essere realizzato, ha concluso, per “costringere la Russia” a “terminare la guerra”.Nel suo discorso, il presidente ucraino ha pubblicamente ammesso per la prima volta che gli alleati occidentali stanno aumentando le pressioni diplomatiche su Kiev per avviare al più presto delle trattative di pace con Mosca. E che la parola “negoziati” si sta sostituendo sempre di più a “giustizia”: un segnale eloquente della crescente stanchezza internazionale nei confronti della guerra. Così, il piano per la vittoria rappresenta nelle speranze di Zelensky un modo per sedersi al tavolo con il capo del Cremlino da una posizione che, se non di superiorità, almeno non sia di netta debolezza. L’Ucraina non vuole scambiare “territori o sovranità” in cambio dello stop all’aggressione, ha scandito di fronte all’emiciclo.Ma non tutto il Parlamento di Kiev ha accolto con favore la comunicazione del presidente. Alcuni membri dell’opposizione hanno criticato il piano di Zelensky come “irrealistico”, una “lista di desideri” priva di dettagli concreti su come vanno realizzati. E richiamarsi alla “vittoria” dell’Ucraina nel momento in cui il fronte orientale nel Donetsk sta cedendo davanti all’avanzata nemica e oltre metà delle infrastrutture energetiche sono fuori uso a causa dei bombardamenti, hanno rimarcato, è “contraddittorio”.I prossimi passi a BruxellesStando alla bozza di conclusioni del Consiglio europeo circolata nelle ultime ore, i leader dei Ventisette dovrebbero discutere, oltre che del piano di Zelensky, anche di altri aspetti del sostegno dell’Ue all’Ucraina. Uno dei piatti principali sul tavolo dei capi di Stato e di governo sarà il maxi-prestito a Kiev – da finanziare con gli extraprofitti generati dai fondi russi congelati in Occidente – che potrebbe arrivare a toccare i 35 miliardi di euro.E sul quale, per l’ennesima volta, aleggia il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán, che minaccia di bloccare la decisione con cui Bruxelles vorrebbe modificare l’orizzonte temporale per il congelamento degli asset russi da sei a 36 mesi (decisione dalla quale potrebbe dipendere la partecipazione di Washington al prestito G7, che dovrebbe valere 45 miliardi di euro in tutto). Budapest ha chiesto, come condizione per non opporre il proprio veto, che non venga toccata la deroga che attualmente consente al Paese con la presidenza di turno dell’Ue di continuare ad acquistare petrolio dalla Russia, proprio nelle stesse ore in cui ha annunciato un aumento delle importazioni di gas da Mosca per il 2025.

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    L’Ue ai Paesi del Golfo: “Più fermezza contro Putin”. Il mondo arabo: “Riconoscete la Palestina”

    Bruxelles – Da una parte l’invito a più fermezza nella risposta alle manovre militari russe in Ucraina, dall’altra parte l’invito a fare di più per la Palestina e la causa palestinese. Unione europea e Paesi del golfo arabico provano a rafforzare le proprie relazioni, ma sul piano politico il primo approccio è di quelli che mostrano distanze e difficoltà a capirsi e intendersi. Un dialogo da costruire, certo, che inizia però all’insegna di richieste fugate. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, esorta i partner extra-europei a considerare un cambio di rotta nei confronti di Mosca. “L’aggressione della Russia qui in Europa è molto sentita, e so quanto anche per voi il concetto di sovranità sia importante”, premette ai rappresentanti dei Paesi arabi: “I conflitti attorno a noi richiedono una risposta tempestiva“.Von der Leyen tocca un tema per l’Ue cruciale, quello di un sostegno incondizionato all’Ucraina e la necessità di mettere il presidente russo Vladimir Putin all’angolo. Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite che condanna l’aggressione russa, ma il fare affari con Mosca è qualcosa che genera malumori al blocco dei Ventisette, che ricevono un impegno di circostanza e una risposta molto evasiva.“Noi riconosciamo la carta Onu, e siamo quindi per la difesa dell’integrità territoriale”, scandisce l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani. “Il consiglio dei Paesi del golfo sostiene chiunque cerca una soluzione pacifica del conflitto“, aggiunge, senza però specificare quali dovrebbero essere le condizioni di una pace tra Russia e Ucraina. Dichiarazioni evasive a cui si aggiunge la richiesta politica del blocco del golfo persico per l’Ue: riconoscere la Palestina.“Ringrazio tutti quelli che riconoscono la Palestina come Stato, e chiedo altri di fare altrettanto“, scandisce il leader qatariota. Parole che servono a ricordare all’Europa degli Stati come al netto degli impegni e dei proclami del Vecchio continente, l’ipocrisia di fondo percepita nel golfo persico si annida nella contraddizione tra chi dice di volere una soluzione a due Stati e chi ancora – più della metà dei 27 – non ha riconosciuto la Palestina come Stato.Non un dialogo tra sordi, tutt’altro. Due mondi distanti che cercano un riavvicinamento, non semplice, fatto di priorità e sensibilità diverse per cultura, storia, geografia. Non sarà semplice, e a Bruxelles, dove si ospita il primo summit di questo tipo, lo sanno bene. Von der Leyen è consapevole della portata del primo vertice Ue-Paesi del golfo. “La vostra presenza è storica”, segno che oggi “ci vediamo l’un l’altro come partner strategici”. Però, aggiunge, “per essere partner strategici bisogna ascoltarsi, impegnarsi per un altro futuro, fidarsi”. La fiducia è tutta da trovare e da costruire. La vera sfida è questa, e le premesse, però, non sembrano delle più incoraggianti.L’Europa insiste su Putin, i Paesi arabi del golfo rispondono con la questione israelo-palestinese e l’implicita richiesta di ricalibrare il peso politico più sulla parte araba e meno su quella israeliana. Per il segretario generale del Consiglio di cooperazione dei Paesi arabi del golfo, Jasem Mohamed Albudaiwi, “il futuro della nostra cooperazione è promettente”. L’esordio sembra però suggerire, se non l’esatto contrario, un percorso piuttosto tortuoso.