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    Ucraina, l’Ue sostiene la creazione di un tribunale speciale per perseguire l’aggressione russa in Ucraina

    Bruxelles – Una nuova iniziativa giuridica prende forma in Europa, con il sostegno politico e istituzionale dell’Ue e di numerosi partner internazionali: un tribunale ad hoc per punire il reato di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Il progetto, annunciato lo scorso venerdì (9 maggio) dalla Commissione europea, dal Consiglio d’Europa e dal primo ministro ucraino Denys Shmyhal, mira a colmare una lacuna giuridica lasciata aperta dal diritto internazionale, che attualmente impedisce alla Corte penale Internazionale di intervenire pienamente contro Mosca, in quanto la Russia non ne riconosce la giurisdizione.Il nuovo tribunale sarà istituito sotto la legislazione ucraina con il supporto di partner internazionali e avrà sede nei Paesi Bassi, già centro simbolico e operativo della giustizia penale internazionale. Il suo compito sarà esclusivo: giudicare il crimine di aggressione, ovvero l’atto con cui la Russia ha lanciato l’invasione su larga scala dell’Ucraina nel febbraio 2022. Secondo quanto comunicato dalla Commissione Europea, il tribunale opererà con l’appoggio congiunto della Commissione, del Servizio europeo per l’azione esterna, del Consiglio d’Europa e dell’Ufficio del Procuratore generale ucraino. Sarà finanziato da una coalizione di Stati, tra cui i Paesi Bassi, il Giappone e il Canada, con l’ambizione di avviare i lavori entro la fine del 2025.Il crimine di aggressione, a differenza di altri crimini internazionali come il genocidio o i crimini di guerra, è un reato che riguarda la leadership politica e militare: mira a identificare e processare coloro che hanno deciso e diretto l’invasione, mettendo al centro il ruolo personale di figure come il presidente, il primo ministro e il ministro degli esteri. In tal senso, il tribunale si configura come uno strumento mirato per attribuire responsabilità a chi ha il potere decisionale più alto, e non solo agli esecutori materiali dei crimini sul campo. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha più volte ribadito l’importanza di assicurare giustizia per il crimine originario da cui sono scaturite tutte le altre atrocità, affermando che solo un processo credibile e imparziale può fungere da deterrente contro future aggressioni. Per questo motivo, il nuovo tribunale mira a rappresentare un esempio giuridico e politico per la comunità internazionale, riaffermando il principio secondo cui l’impunità non può essere la norma nei conflitti armati.Kaja Kallas visita il cimitero di Lychakiv a Lviv (Foto: Commissione europea)La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha definito l’iniziativa come una risposta necessaria a una violazione flagrante del diritto internazionale: “Quando la Russia ha scelto di far avanzare i suoi carri armati oltre i confini dell’Ucraina, infrangendo la Carta delle Nazioni Unite, ha commesso una delle violazioni più gravi: il crimine di aggressione. Ora, la giustizia sta arrivando”. Il progetto del tribunale si inserisce nel più ampio quadro di sostegno legale fornito dall’Unione Europea, che ha già contribuito alla creazione dell’International centre for the prosecution of the crime of aggression, con sede a L’Aia e sotto la supervisione di Eurojust. Questo centro sta attualmente costruendo i dossier giudiziari necessari a preparare i futuri procedimenti. Quanto alle prove necessarie, l’Alta rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas non nutre alcun dubbio: “Ogni centimetro della guerra della Russia è stato documentato. Ciò non lascia alcuno spazio a dubbi sulla palese violazione da parte della Russia della Carta Onu. L’aggressione russa non resterà impunita”.Il cammino che porterà all’operatività del tribunale non sarà privo di ostacoli. Secondo le norme del diritto internazionale, i principali leader di uno Stato godono di immunità finché restano in carica, il che potrebbe posticipare l’avvio di eventuali processi effettivi. Tuttavia, il meccanismo previsto consentirà la conservazione delle prove e l’avvio dei procedimenti istruttori, con la possibilità di avviare il processo non appena le condizioni legali lo permetteranno. Il prossimo passo, ora, sarà l’adozione formale degli atti giuridici da parte del Consiglio d’Europa e la nomina dei giudici e procuratori tramite un comitato indipendente.

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    Israele esce allo scoperto e presenta il “piano di conquista” di Gaza. Bruxelles è “preoccupata”

    Bruxelles – Un altro tassello verso l’occupazione totale della Striscia di Gaza. Nella notte, il gabinetto di sicurezza del governo israeliano ha approvato all’unanimità un piano per espandere le operazioni militari nel territorio già devastato da 18 mesi di bombardamenti a tappeto: prevede, tra le altre cose, lo spostamento della popolazione palestinese verso sud e il mantenimento dei territori sotto il controllo delle forze di difesa israeliane. Tel Aviv ha inoltre architettato un sistema – respinto dalle Nazioni Unite – per escludere le agenzie dell’Onu e le organizzazioni internazionali dalla distribuzione degli aiuti umanitari e affidarla ad appaltatori privati.Secondo quanto riportato dai media israeliani, l’operazione ‘Gideon’s Chariots’ inizierà “entro la fine della visita del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nella regione la prossima settimana”, a meno che nel frattempo non verrà raggiunto con Hamas un accordo per il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani del gruppo terroristico. Un ultimatum che, di riflesso, riguarda tutta la comunità internazionale che assiste inerte alle prove generali di quello che diversi esperti ed organizzazioni indipendenti definiscono un genocidio. Da Bruxelles, il solito appello “alla massima moderazione” e il rifiuto di prendere in considerazione qualsiasi leva – economica o diplomatica – per evitare che l’alleato israeliano continui a macchiarsi di crimini di guerra e contro l’umanità con la complicità del blocco Ue.L’Unione europea “è preoccupata per la prevista estensione dell’operazione delle forze armate israeliane a Gaza, che causera’ ulteriori vittime e sofferenze alla popolazione palestinese”, ha affermato oggi (5 maggio) il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Anouar El Anouni, nel briefing quotidiano con la stampa. Ricordando che “l’Alta rappresentante (Kaja Kallas, al momento della scrittura di quest’articolo non pervenuta, ndr) ha chiarito che la ripresa dei negoziati era l’unica via da seguire”. Da quando, lo scorso 18 marzo, Israele ha ripreso i raid sull’enclave palestinese decretando la fine del cessate il fuoco, secondo il ministero della Salute di Gaza sono state uccise più di 2.300 persone. In tutto, dal 7 ottobre 2023, le vittime palestinesi accertate della guerra tra Israele e Hamas sono circa 52.400.Secondo quanto riferito da un alto funzionario della difesa israeliana al Times of Israel, il piano approvato dal governo di Benjamin Netanyahu prevede “l’ampia evacuazione dell’intera popolazione di Gaza dalle zone di combattimento, compresa Gaza settentrionale, verso le aree di Gaza meridionale, creando al contempo una separazione tra questa e i terroristi di Hamas, al fine di consentire all’Idf libertà di azione operativa”. A differenza di quanto fatto finora però, i militari israeliani “resteranno in ogni area conquistata per impedire il ritorno del terrore”.In un secondo momento, “dopo l’inizio delle attività operative e un’ampia evacuazione della popolazione verso sud”, Israele avrebbe intenzione di rimuovere il blocco all’ingresso di aiuti umanitari, in atto da più di due mesi. Tel Aviv ha sottoposto alle Nazioni Unite un nuovo modello di distribuzione limitato in un’area “sterile” intorno a Rafah, gestito da aziende private sotto il controllo dell’esercito israeliano. In un duro comunicato, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari (Ocha) ha denunciato un piano che “viola i principi umanitari fondamentali e sembra concepito per rafforzare il controllo sui beni di prima necessità come tattica di pressione, nell’ambito di una strategia militare”. Secondo l’Onu “gran parte di Gaza, comprese le persone meno mobili e più vulnerabili (tra la popolazione civile ci sarebbero quasi 120 mila feriti, ndr), continuerà a rimanere senza rifornimenti”.“È una prospettiva che ci fa orrore in un territorio martoriato da oltre un anno e mezzo di bombardamenti e da due mesi di blocco totale degli aiuti umanitari”, denuncia Cecilia Strada, eurodeputata dal Pd. “L’Unione europea deve far pressione perché Israele rispetti il diritto umanitario, smetta di bombardare la popolazione civile e garantisca immediatamente, e senza condizioni, l’ingresso degli aiuti nella Striscia con regolarità”, ammonisce la parlamentare in una nota. “Finché non sarà così – annuncia Strada -continueremo a chiedere con forza la sospensione immediata dell’accordo di Associazione Ue-Israele, della vendita di armi a Israele e del commercio con le colonie”.Le agenzie dell’Onu e i loro partner umanitari hanno chiarito, come già affermato anche dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che “non parteciperanno ad alcun programma che non rispetti i principi umanitari globali di umanità, imparzialità, indipendenza e neutralità”. In un atto di coraggio, dal momento che dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi più di 409 operatori umanitari a Gaza, Ocha assicura che “le nostre squadre rimangono a Gaza, pronte a intensificare nuovamente la fornitura di beni e servizi essenziali: cibo, acqua, assistenza sanitaria, nutrizione, protezione e altro ancora”.

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    Ucraina e Stati Uniti trovano l’accordo sulle terre rare, da Washington assistenza economica

    Bruxelles – Dopo lo scontro, l’intesa. I presidenti di Stati Uniti e Ucraina, Donald Trump e Volodymyr Zelensky, raggiungono un’intesa di cooperazione economica che è anche un accordo di sostegno per la sicurezza del Paese dell’est Europa. Washington respinge l’ipotesi di un ingresso di Kiev nella Nato, ma ha offerto investimenti massicci e presenza economica nel Paese che può fungere da motivo per evitare nuove aggressioni russe future. Trump ha di fatto chiesto e ottenuto ingresso di aziende statunitensi in Ucraina, per il momento per attività minararia ed energetica (petrolio e gas).Al centro dell’accordo ucraino-americano c’è lo speciale Fondo di investimento per la ricostruzione Stati Uniti-Ucraina, gestito in forma paritaria, e che i due Paesi supervisioneranno in modo congiunto. I profitti del Fondo saranno investiti esclusivamente in Ucraina, alla quale non verra’ chiesto di ripagare alcun debito. Kiev manterrà il controllo delle sottosuolo e delle risorse naturali, ma gli Stati Uniti ottengono un diritto di prelazione sui diritti di estrazione mineraria in Ucraina. E’ così che Washington si garantisce l’accesso alle terre rare e le risorse messe nel mirino da Trump.“Non spetta a noi commentare un accordo bilaterale”, il commento dell’Unione europea, convinta comunque che l’intesa non pregiudichi la validità del protocollo d’intesa Ue-Ucraina del 2021 per le materie prime. L’accordo tra Trump e Zelensky “non sembra avere impatti”, assicura il servizio dei portavoce. L’intesa non pregiudica neppure il processo di integrazione dell’Ucraina nell’Ue. La Commissione europea assicura comunque che verrà garantito ancora pieno sostegno, economico e militare, a Kiev. “Un’Ucraina più forte sul campo di battaglia è un’Ucraina più forte al tavolo negoziale”, taglia corto Anouar el Anouni, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue.

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    Serbia, Bruxelles al nuovo governo: “Le nostre richieste in linea con quelle degli studenti”

    Bruxelles – Dopo mesi di ambiguità, la Commissione europea coglie l’opportunità del nuovo governo in Serbia per mettere le cose in chiaro e fissare alcune linee rosse: ciò che l’Ue chiede al Paese candidato all’adesione di lunga data è “strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano“, ha dichiarato la responsabile per l’Allargamento, Marta Kos, rivolgendosi al neo-premier Djuro Macut e ad una delegazione degli studenti che da novembre alimentano l’ondata di proteste contro l’autoritario presidente Aleksandar Vučić.Nella prima visita nel Paese balcanico da quando, lo scorso 7 aprile, Vučić ha consegnato l’esecutivo in mano al sessantunenne medico e professore universitario Macut – che non ha alcuna esperienza politica e non è iscritto ad alcun partito, ma ha sostenuto in passato il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente -, Kos ha voluto lanciare un messaggio. Dopo gli incontri istituzionali a Belgrado con Vučić e Macut, si è recata alla stazione di Novi Sad per deporre un mazzo di rose nel luogo dell’incidente in cui, lo scorso 1 novembre, persero la vita 15 persone. Ha incontrato organizzazioni della società civile, studenti, professori e delegazioni dei partiti d’opposizione.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, a Novi Sad, 30/4/25In un post su X indirizzato agli “studenti di Novi Sad”, ha affermato: “Vi capisco. Voglio ribadire che ciò che l’Ue chiede alla Serbia è strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano. Ma la cosa più importante è che voi, le giovani generazioni, possiate beneficiare delle numerose opportunità che l’Ue ha da offrire“. Un’offerta presentata dalla stessa Kos al premier e reiterata a favore di telecamere: “La nostra offerta al popolo serbo è la seguente – ha dichiarato la commissaria -: collaborate con noi alle riforme necessarie per rendere possibile la vostra adesione all’Ue, collaborate con noi per istituire un sistema giudiziario indipendente e in grado di combattere la corruzione, collaborate con noi per mettere in campo leggi e istituzioni che garantiscano la libertà e l’indipendenza dei vostri media, collaborate con noi per istituire un quadro elettorale che assicuri che sia la volontà del popolo serbo e solo la sua volontà a decidere le maggioranze”.Una mano tesa verso gli studenti, l’altra verso il governo di Macut, di cui Kos “sente l’energia a collaborare con noi”. Nel tentativo di riconciliare un Paese che rischia di perdere un treno che passa “una volta in una generazione”, quello per “completare l’unificazione dell’Europa”. In un intervento deciso, Kos ha sottolineato che “molti paesi candidati se ne sono resi conto e stanno attuando riforme più rapidamente che mai”. Lo stesso non si può dire per Belgrado, impantanata in un regime sempre più impopolare e autoritario, oltre che disallineato con Bruxelles in politica estera. “Mi piacerebbe che lo stesso accadesse in Serbia – ha aggiunto -. Senza questi cambiamenti, la Serbia non può progredire nel suo percorso verso l’Ue“.Marta Kos e, alla sua destra, il neo premier serbo Djuro Macut, 29/04/25Non ha più mani da tendere invece verso Vučić, l’uomo al potere dal 2014 e principale responsabile dell’allontamento della Serbia dal percorso europeo. Il leader nazionalista, che ha rafforzato i legami con Vladimir Putin negli ultimi anni, è atteso a Mosca il 9 maggio, per partecipare alle celebrazioni del Giorno della vittoria, anniversario della sconfitta del nazismo e della fine della seconda guerra mondiale. Secondo quanto affermato da un portavoce della Commissione europea, Kos ha trasmesso al presidente filo-russo “un messaggio condiviso anche da molti Stati membri”, e cioè che la sua eventuale partecipazione alla parata del 9 maggio “avrà un impatto sul percorso” della Serbia nell’Ue.D’altro canto, Vučić ha descritto l’incontro con Kos come una “buona conversazione sulle sfide e le opportunità chiave del nostro percorso europeo”, e sottolineato “la piena disponibilità ad accelerare le riforme, non per esigenze burocratiche, ma perché crediamo che esse portino una vita migliore ai nostri cittadini”. Forse Vučić non si riferiva a quei 47 cittadini che hanno adito la Corte europea dei diritti dell’uomo, denunciando il presunto utilizzo di un cannone sonico – illegale in Serbia – per disperdere i manifestanti in occasione dell’enorme protesta dello scorso 15 marzo a Belgrado. Oggi la Cedu, sottolineando che fino a 4 mila persone hanno riportato l’accaduto, ha accolto parzialmente le richieste dei ricorrenti e indicato una misura provvisoria al governo serbo: “Fino a nuovo ordine, qualsiasi uso di dispositivi sonori a fini di controllo delle folle deve essere impedito in futuro”.To the students of Novi Sad: I hear you.I want to reiterate that what the EU asks from Serbia closely aligns with the demands of the citizens protesting.Most importantly, I want you, the young generation to benefit from the many opportunities the EU has to offer. pic.twitter.com/Ff6FiQcA6J— Marta Kos (@MartaKosEU) April 30, 2025

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    Guerra Russia-Ucraina, niente compensazioni Ue agli agricoltori sui fertilizzanti azotati

    Bruxelles – Guerra russa in Ucraina e sanzioni Ue ai fertilizzanti ‘made in Russia’, la Commissione europea non contempla interventi a sostegno degli agricoltori europei. Il motivo è la possibilità di mercato di reperire alternative ai prodotti che arrivano da est, e non ci sono dunque condizioni né, ancora meno, per dare indennizzi agli operatori del settore primario. A mettere in chiaro le cose è Maros Sefcovic, commissario per il Commercio, nella risposta all’interrogazione parlamentare che arriva dal Ppe.La popolare spagnola Esther Herranz García, vicepresidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, guarda con preoccupazione le ultime sanzioni annunciate contro la Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina, nello specifico per le parte che riguarda dazi alle importazioni di fertilizzanti azotati nell’UE da Russia e Bielorussia. “Di conseguenza, si prevede un aumento del prezzo di tali fertilizzanti, aumentando la pressione sugli agricoltori dell’Ue”, lamenta l’europarlamentare, che non trova però sponde dalla Commissione europea.“Sono disponibili forniture alternative, e i dati di mercato indicano che queste alternative entrano nel mercato dell’UE a livelli di prezzo paragonabili a quelli dei fertilizzanti russi”, replica Sefcovic. Nella sua risposta alle manovre del presidente russo Vladimir Putin, perciò, l’esecutivo comunitario prevede che la misura restrittiva contro i fertilizzanti azotati russi “comporti una sostituzione graduale e ordinata con alternative, compresi quelli di produzione nazionale, a condizioni di mercato analoghe e in volumi e qualità comparabili, senza modificare gli attuali impatti ambientali”. Di conseguenza, la Commissione non prevede la necessità di compensare gli agricoltori dell’Ue o di concedere deroghe ai sensi della direttiva sui nitrati“.La questione dei fertilizzanti russa non è nuova, con la Commissione consapevole della dipendenza da quelli al fosforo che non intende colpire con sanzioni proprio perché più difficili da sostituire con produttori e fornitori alternativi. Viceversa, i fertilizzanti azotati possono essere rimpiazzati e per questo l’Ue li ha messi nel mirino.

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    Dazi, per Sefcovic (ancora) niente intesa Ue-Stati Uniti. Giovedì Meloni a Washington

    Bruxelles – Nessun accordo commerciale con gli Stati Uniti, non ancora almeno, e neppure un accordo su un regime di dazi zero per l’industria. Il commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, non riesce nell’impresa di eliminare definitivamente lo spettro di una guerra dei dazi con la controparte americana. La sua missione a Washington serve per ribadire la disponibilità a dodici stelle a negoziare e trovare un accordo condiviso, amichevole, tale da evitare l’imposizione delle tariffe sui rispettivi beni da esportare da una sponda all’altra dell’Atlantico. Per ora però niente da fare. L’amministrazione Trump non cede, ma l’Ue non demorde.Non è una missione semplice quella di Sefcovic, e lui stesso ne è ben consapevole. Trovare un’intesa al primo tentativo negoziale sarebbe stato un enorme successo, e dunque si mantengono calma e determinazione. “L’Ue rimane costruttiva e pronta a raggiungere un accordo equo, che preveda anche la reciprocità attraverso la nostra offerta tariffaria 0 a 0 sui beni industriali e il lavoro sulle barriere non tariffarie”, sottolinea Sefcovic, conscio del fatto che “raggiungere questo obiettivo richiederà un significativo sforzo congiunto da entrambe le parti”. Certo, adesso che gli Usa hanno respinto le offerte di pace dell’Ue, dovrà essere la Casa Bianca ad avanzare una controproposta.In D.C., met with Secretary @howardlutnick and Ambassador @jamiesongreer for negotiations, seizing the 90-day window for a mutual solution to unjustified tariffs. 1/2 pic.twitter.com/P0eMgZSudQ— Maroš Šefčovič (@MarosSefcovic) April 14, 2025A Bruxelles non si fanno drammi. Ci sono 90 giorni di tempo a partire da ieri (15 aprile) per tentare di trovare un’intesa. Bocche cucite quindi, e non sorprende. Il momento è tanto delicato quanto decisivo, e si preferisce lavorare con chi di dovere – gli Stati Uniti – senza mettere tutto sulla pubblica piazza. Il messaggio ribadito è che “ci si muove lungo due binari: negoziati e preparazione al peggio qualora i negoziati non dovessero produrre un accordo”, la specifica di Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario per le questioni commerciali. Non è cambiato nulla, in sostanza, rispetto all’approccio già trovato.Un contributo in questa delicata materia potrebbe arrivare da Giorgia Meloni, che in questi giorni ha sentito spesso Ursula von der Leyen, secondo quanto è stato fatto trapelare a Roma. La presidente del Consiglio domani (16 aprile) è attesa a Washington, dove incontrerà il presidente Usa. Inevitabile un confronto sui dazi, con la Commissione che guarda all’appuntamento istituzionale e precisa che il capo di governo italiano non ha ricevuto alcun mandato. “Ogni contributo è benvenuto, ma la competenza sul commercio è della Commissione europea, come previsto dai trattati“, taglia corto Gill.

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    Eurodeputati del Pd: “Stop all’accordo di associazione tra Ue e Israele”

    Bruxelles – “Se aspettiamo ulteriormente a intraprendere azioni concrete per fermare il governo di Netanyahu, non sarà rimasto nulla da salvare”. Lo affermano gli eurodeputati del Pd Cecilia Strada, Annalisa Corrado, Alessandro Zan, Camilla Laureti, Sandro Ruotolo, Brando Benifei e Marco Tarquinio, in un comunicato che chiede a gran voce la cessazione del sostegno europeo ad Israele.Sottolineando che il Paese impedisce l’accesso degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza da oltre un mese e continua a mietere vittime nella popolazione civile, il gruppo ha fatto appello alle istituzioni europee, invitandole ad “intervenire immediatamente con tutti gli strumenti a disposizione per far valere il diritto internazionale e supportare la popolazione civile palestinese, a partire dall’immediata sospensione dell’Accordo di cooperazione con Israele e l’embargo sulle armi verso Israele”, richiesta condivisa dalla capogruppo del gruppo Socialisti & democratici Iratxe Garcia Perez e dalla segretaria del Pd Elly Schlein.I deputati hanno inoltre attaccato l’atteggiamento del governo italiano nei confronti del mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti di Netanyahu: “Riteniamo gravissimo che l’aereo con a bordo il Presidente Netanyahu” diretto a Washington “abbia sorvolato il suolo italiano deviando la rotta di viaggio per evitare lo spazio aereo di alcuni Paesi che avrebbero potuto applicare il mandato d’arresto emesso dalla Cpi nei suoi confronti” proseguono gli europarlamentari. In merito al sorvolo, questa mattina (10 aprile) il Partito democratico ha presentato a Roma una interrogazione parlamentare per chiedere al governo di Giorgia Meloni attraverso quali procedure questo sia stato autorizzato.

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    Dazi mirati e prove di dialogo, l’Ue cerca la risposta a Trump. Alleanze con la Cina sullo sfondo

    Bruxelles – Rispondere, ma senza forzare la mano, e creare nuove alleanze, anche inedite, per mettere sotto pressione gli Stati Uniti e produrre un effetto boomerang tale da costringere il presidente Usa, Donald Trump, a fare retromarcia sui dazi imposti all’Europa e non solo. La strategia dell’Ue c’è e inizia a delinearsi. In un club a dodici stelle preoccupato al punto da dedicare alle relazioni trans-atlantiche la riunione dei ministri responsabili per il commercio, la linea è tracciata e serve solo l’accordo, esattamente quello che si cerca nella riunione in corso a Lussemburgo.E’ la Svezia a svelare le carte in tavola. “I contro-dazi Ue devono essere ben mirati e proporzionati“, evidenzia Benjamin Dous, ministro per il Commercio con l’estero di Stoccolma. E’ questa la precondizione di una risposta che deve mirare a costringere Washington e l’amministrazione Trump a tornare sulle decisioni prese e mettere la Casa Bianca in un angolo. “Quando nei prossimi giorni Ue, Canada e Cina imporranno contro-tariffe la pressione sugli Stati Uniti aumenterà“, continua Dous, che lascia intendere come uno degli effetti prodotti da Trump e le sue stesse scelte è spingere la Repubblica popolare cinese, che l’Europa considera ostile e nemica, tra le braccia dell’Europa. “Certo, restano questioni importanti da risolvere quali le condizioni di reciprocità, ma è fuori dubbio che la Cina resta un partner commerciale importante“, sottolinea e conferma la ministra per il Commercio con l’estero dei Paesi Bassi, Reinette Klever.L’obiettivo finale è e resta una soluzione amichevole e concordata. E’ la linea prevalente attorno al tavolo. “Non possiamo essere noi quelli che portano la guerra commerciale su un livello più elevato“, la linea espressa dal ministro della Lettonia che, a ben vedere, è la stessa della presidenza polacca di turno del Consiglio Ue. “Fin qui l’approccio è stato: ‘prima agiamo e poi discutiamo’, ci piacerebbe invertire il paradigma“, sottolinea Michał Baranowski, sottosegretario per lo Sviluppo economico della Polonia. E’ questo, con ogni probabilità, l’indicazione che i 27 daranno alla Commissione europea.Risposte mirate, per non far vedere che l’Ue resta a guardare, con eventuali contromisure più muscolari solo per un secondo momento. Una linea sposata anche dall’Italia. “Dobbiamo lavorare per evitare assolutamente una guerra commerciale, che sarebbe esiziale per gli Usa e per le nostre imprese”, sottolinea il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Dobbiamo trattare, lo deve fare l’Ue unita”. In questo, continua il leader di Forza Italia, l’Italia “sosterrà tutte le iniziative del commissario [per il Commercio] Sefcovic, nel quale riponiamo estrema fiducia”, aggiunge per quella che è una frecciata agli alleati di maggioranza della Lega, viceversa intenzionati a un negoziato bilaterale e separato italo-statunitense.La questione dei dazi voluti da Trump, comunque vada a finire, mette in mostra un allontanamento generale dalle logiche tradizionali adottato sin qui da un modello che su entrambe le sponde dell’Atlantico appare superato. Trump non accetta che il modello tanto difeso e promosso dagli Stati uniti sia rivolto contro gli interessi a stelle e strisce: il ‘business as usual’ va bene finché la bilancia commerciale sorride all’America, altrimenti il resto del mondo deve pagare. Dall’altra parte c’è quantomeno una parte di Europa che considera il libero scambio in modo analogo, fruttuoso solo a fasi alterne.“Non vogliamo dazi, vogliamo più commercio. Il commercio è sempre positivo“, le considerazioni rese in pubblico dal ministro della Svezia. Esternazioni che stridono con il modo in cui è stato accolto l’accordo tra Ue e Mercosur, avvolto da critiche. Segno che il commercio non è più considerato questa grande conquista. Certo è che malumori in Europa non mancano, e quello tedesco è uno dei principali.Robert Habeck, ministro uscente dell’Economia della Germania, commenta le dichiarazioni di Elon Musk, che ora immagina un’area di libero scambio Ue-nord America a dazi zero: “E’ segno di debolezza e di paura. Forse dovrebbe recarsi da Trump e dirgli che prima di parlare di dazi deve risolvere questo pasticcio che ha creato”.