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    Dazi, clima, diritto internazionale: Trump detta l’agenda del Parlamento europeo

    Bruxelles – Commercio, innovazione e competitività, salute. Praticamente Donald Trump in tutte le sue declinazioni più una, l’ultima: l’attacco del presidente degli Stati Uniti alla Corte penale internazionale. L’inquilino della Casa Bianca irrompe nei lavori di un Parlamento europeo che finisce col disegnare la propria agenda attorno a quella di Trump, oggetto di tre diversi dibattiti d’Aula. La sessione plenaria prevede la questione dazi (martedì 11 febbraio alle 9), restrizione all’export di chip verso l’Ue (martedì 11 febbraio alle 18), ritiro dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’accordo sul clima (mercoledì 12 febbraio alle 16): il Parlamento europeo ruota attorno alle dichiarazioni e alle minacce del presidente Usa.C’è chiaramente la questione dazi a tenere banco, con il diffuso timore, tra i diversi gruppi, che si possa innescare una guerra commerciale che non gioverebbe a nessuno. L’approccio generale e condiviso tra le diverse anime dell’Aula, è quello di cercare di evitare quanto più possibile di arrivare ad avere sovra-costi statunitensi ai beni europei, ma di essere pronti a rispondere. I socialisti vorrebbero in particolare che la Commissione europea mettesse a punto già delle contromisure, così da avere una risposta “tempestiva e decisa” in caso di scenario peggiore.Per Popolari (Ppe) e conservatori (Ecr) la priorità resta la cooperazione per quello che si continua a considerare un partner strategico e di lungo corso. “Su Trump attendiamo, sappiamo che è un grande mediatore”, confida Denis Nesci (Fdi/Ecr), che conferma come “siamo in fase di dibattito”, e quindi “dobbiamo essere pronti a quello che può succedere ma attendere”. I Verdi vorrebbero una risposta unita e non procedere in ordine sparso, come spiega Ignazio Marino (Europa Verde/Verdi): “Su Trump purtroppo l’Europa si sta dimostrando debole e divisa”, e quindi “il bullo prevale”.Ma è il dibattito del 12 febbraio – senza risoluzioni – che rischia di infiammarsi ancora di più, perché alle questioni Oms e la seconda uscita dagli accordi di Parigi sul clima si aggiungono le minacce di sanzioni alla Corte penale internazionale. Uscite, queste ultime, che infiammano già il dibattito che verrà. “Trump sta invitando alla pulizia etnica a Gaza, e ora attacca la Corte penale internazionale, con Ursula von der Leyen che non fa niente“, le critiche che piovono da laSinistra nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “La Corte penale internazionale è un luogo quasi sacro che deve essere tutelato”, tuona Valentina Palmisano (M5S), convinta delle necessità della “protezione del diritto internazionale anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Trump”Mentre la portavoce del gruppo dei socialisti fa notare come nonostante un’agenda dalla forte connotazione di politica estera (si parla anche del terzo anno di guerra russo-ucraina, disordini e proteste in Serbia, deterioramento della situazione in Georgia), critica l’assenza dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. “Sarebbe stato bello averla in Aula”, commemta.Infine le restrizioni degli Stati Uniti alle esportazioni di chip utili alla doppia transizione. Il nuovo regime voluto da Trump avrà ripercussioni per 17 Stati membri su 27 (Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria), e questo rende il dibattito necessario per organizzare una risposta.  Neppure in questo caso sono previste risoluzioni. Si vuole censurare Trump, senza censurare Trump. Che impone la sua agenda nell’agenda del Parlamento europeo

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    “Gaza parte essenziale del futuro stato palestinese”. L’Ue, alla fine, risponde a Trump

    Bruxelles – “Gaza è una parte essenziale di un futuro stato palestinese“. Alla fine la Commissione europea si esprime pubblicamente. E’ Anouar El Anouni, portavoce della Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, a chiarire la linea e rispondere alle provocazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, deciso a calpestare decenni di faticosi processi di una pace in Medio Oriente che l’Ue vuole. “L’Ue sostiene pienamente la soluzione dei due stati, che riteniamo sia l’unico modo per raggiungere una pace sostenibile sia per gli israeliani che per i palestinesi”, aggiunge il portavoce di Kaja Kallas.La risposta però è tardiva. La Commissione europea impiega qualcosa come 36 ore per commentare le uscite di Trump. Alle parole riecheggiate in Europa nella mattina di mercoledì, 5 febbraio, la prima replica ufficiale e pubblica è affidata a un portavoce poco dopo le 12 del giorno dopo, giovedì 6 febbraio. Una ‘calma’ che offre la riprova dell’incapacità ad agire sui grandi temi e tradendo una volta di più le aspirazioni geopolitiche morte e sepolte comunque da anni.Anouar El Anouni, portavoce dell’Alta rappresentante Ue [Bruxelles, 6 febbraio 2025]Nel frenetico attivismo delle alte sfere Ue, sempre pronte a commentare qualunque cosa e sempre smaniose di apparire, comparire e presenziare, sui mezzi d’informazione e ancor più sui social, si nota l’assenza di commenti da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, incapaci anche di esprimersi sulla volontà dichiarata di Trump di spostare la popolazione di Gaza.La questione è grossa. In Parlamento europeo non mancano malumori tra le file dei gruppi che hanno stretto alleanza con il Ppe. Si vede in von der Leyen e nella sua Commissione “assenza di leadership”. Così riferiscono fonti parlamentari. Prima della ‘questione Gaza’ si imputava all’esecutivo comunitario la mancata reazione all’imperversare di Elon Musk e le sue ingerenze nelle questioni dell’Unione europea tramite il suo social X. Adesso si aggiunge una reazione tardiva sulla questione arabo-israeliana, con la Commissione che, parole del portavoce El Anouni, “prende nota delle dichiarazioni del presidente Trump”. Non proprio una figura delle migliori per chi vorrebbe un ruolo di peso nel mondo e una politica estera europea.

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    Von der Leyen agli ambasciatori Ue: “Abbiamo un nostro ruolo, costruiamo la politica estera europea”

    Bruxelles – “La necessità è di costruire una politica estera europea“, che sia “mirata” e che tenga fermo il principio per cui si negozia quando si può e quando si deve, ma non a tutti a costi. Tradotto: “Se ci sono vantaggi reciproci in vista, siamo pronti a impegnarci con te”. Altrimenti niente. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sprona gli ambasciatori Ue nel mondo ad una nuova diplomazia, che sia pragmatica e sappia rispondere al mondo di oggi. “Gran parte del mondo vede l’Europa come più forte di come la vediamo noi stessi, e l’Europa – insiste von der Leyen – ha molta più influenza in questo mondo di quanto a volte potremmo pensare“. Uno strumento da usare, anche nel confronto con gli amici di sempre.La presidente dell’esecutivo comunitario è brava a non fare nomi, a dire quello che deve in modo da non esporsi ma comunque affondare il colpo. Von der Leyen non chiama mai in causa Donald Trump, ma quello che lei dice ben si presta ad essere lette come riferimento al presidente degli Stati Uniti. E’ vero quando avverte gli ambasciatori che “ci sarà un uso crescente e una maggiore minaccia di strumenti di coercizione economica, quali sanzioni, controlli sulle esportazioni e dazi“. Un chiaro riferimento a Trump e il suo ‘bullismo commerciale’, contro cui von der Leyen ribadisce fermezza: “Ci prepariamo ad ogni scenario”, dice. Vuol dire anche eventualmente una guerra dai dazi Ue-Usa.Bandiere dell’Unione europea e degli Stati Uniti [foto: imagoeconomica]Non va per il sottile von der Leyen, in fin dei conti sono altri gli ambasciatori, e a loro invita a “cambiare il nostro modo di agire”. Un invito a essere pronti a “impegnarsi in difficili trattative, anche con partner di lunga data” – altro riferimento agli Stati Uniti – e un invito allo stesso ad accettare di “dover lavorare con paesi che non hanno idee simili ma condividono alcuni dei nostri interessi”. Perché, insiste la presidente della Commissione Ue, “il principio di base della diplomazia in questo nuovo mondo è di tenere gli occhi puntati sull’obiettivo”. Ciò significa real-politik, “trovare un terreno comune con i partner per il nostro reciproco beneficio, e accettare che a volte dovremo accettare di non essere d’accordo”.Si tratta di “un nuovo approccio che riguarda la garanzia della futura sicurezza e prosperità dell’Europa”, insiste von der Leyen, e che riguarda anche le relazioni con Repubblica popolare cinese. “La Cina è uno dei paesi più intricati e importanti al mondo. E il modo in cui la gestiremo sarà un fattore determinante per la nostra futura prosperità economica e sicurezza nazionale”.

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    Niente crescita e meno commercio, per Londra la Brexit cinque anni dopo è un ‘flop’

    Bruxelles – Meglio soli che male accompagnati. Il noto detto devono conoscerlo anche oltre Manica, dove si è deciso di dire addio all’Unione europea per un futuro più radioso che però non c’è. Ecco che il noto detto mostra i suoi limiti, riassunti nei numeri certificati anche dall’Ufficio per la responsabilità di bilancio, l’ente pubblico finanziato dal Tesoro britannico. Meno crescita, meno produttività, meno commercio: ecco il Regno Unito post-Brexit, a cinque anni dalla ‘nuova indipendenza’.L’analisi dell’Ufficio governativo, certifica che essere usciti dal mercato unico non è stato un vantaggio. Al contrario, “sia le esportazioni che le importazioni saranno inferiori di circa il 15 percento nel lungo periodo rispetto a quanto sarebbe stato se il Regno Unito fosse rimasto nell’Ue“. Questo per via di costi alle dogane in termini di nuovi dazi e tempi lunghi per i nuovi controlli delle merci scattati quale effetto della Brexit. Inoltre, la libertà di decidere da sé come fare libero scambio si riflette nell’incapacità di essere davvero innovativiDavid Cameron, primo ministro del Regno Unito dall’11 maggio 2010 al 13 luglio 2016. Fu lui a volere il referendum sulla Brexit, e si dimise a seguito dell’esito del voto [foto: imagoeconomica] “I nuovi accordi commerciali con Paesi non Ue non avranno un impatto materiale e qualsiasi effetto sarà graduale”, sottolinea ancora l’Ufficio britannico. “Questo perché gli accordi conclusi fino a oggi replicano (o ‘rinnovano’) accordi di cui il Regno Unito ha già beneficiato come stato membro dell’Ue”. Inoltre, il nuovo accordo di commercio e cooperazione (Tca) Ue-Regno Unito entrato in vigore l’1 maggio 2021 “ridurrà la produttività a lungo termine del 4 percento rispetto alla permanenza nell’Ue”.Dove il Regno Unito ci guadagna dalla Brexit è sull’immigrazione. Si stima che il nuovo regime del governo possa ridurre la migrazione netta in entrata. Sempre che questo sia un vantaggio per il sistema economico e produttivo britannico. Il National Institute of Economic and Social Research di Londra rileva come a seguito della Brexit la carenza di manodopera ha messo “a dura prova l’economia” del Regno Unito. Se prima del recesso dall’Ue le imprese potevano facilmente soddisfare le loro esigenze di lavoro attraverso il mercato del lavoro integrato dell’Ue, a seguito della Brexit settori critici come agricoltura, assistenza sanitaria e ristorazione hanno incontrato carenze di manodopera, con conseguente aumento dei costi operativi e limitazioni di produzione.

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    Torna la paura terrorismo nell’Ue: “La capacità di Daesh di colpire sta crescendo”

    Bruxelles – Torna a crescere l’allerta terrorismo in Europa, con gli Stati membri dell’Ue ora inquieti per Daesh e una possibile nuova stagione di attentati di matrice islamica. L’allarme c’è, e gli Stati non fanno nulla per nasconderlo. Anzi, lo mettono nero su bianco anche nel comunicato stampa che accompagna la decisione politica di rafforzare la cooperazione nella lotta al terrorismo non solo tra i Ventisette, ma soprattutto con i Paesi terzi.“Il Consiglio nota con grande preoccupazione che la capacità della provincia di Daesh Khorasan (ISKP) di ispirare e condurre operazioni esterne, anche in Europa, sta crescendo“, riconoscono i ministri degli Esteri al termine della riunione tenuta a Bruxelles. Una riunione ministeriale della coalizione globale anti-Daesh. Della coalizione fanno parte Australia, Bahrain, Belgio, Regno Unito, Canada, Danimarca, l’Egitto, Francia, Germania, Iraq, Italia, Giordania, Kuwait, Libano, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Qatar, Arabia Saudita, Spagna, Svezia, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti [foto: Angelo Carconi/imagoeconomica]La minaccia è globale. Da un parte si guarda all’Asia, perché Isis-Daesh ha sede in Afghanistan e “presente nelle aree limitrofe”. Il problema è che l’Afghanistan è ora sotto il controllo dei talebani, con cui l’Ue fa non poca fatica a relazionarsi. Un interlocutore difficile, e parlare con il governo per ragioni di sicurezza vuol dire riconoscere il regime islamico.Ancora, in questo scenario il Consiglio Ue sottolinea come “la crisi in corso in Medio Oriente stia guidando la radicalizzazione in tutto il mondo“, con tutte le ricadute del caso. A cominciare dalla regione. Per questo il consesso dei ministri degli Esteri conferma “l’impegno incrollabile dell’Ue nella lotta al terrorismo in Iraq e Siria”. Un riferimento non casuale quello del Paese appena liberato dall’ex presidente Bashar al-Assad, ma liberato da forze – la milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) – che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica. L’Ue vuole lavorare ad un stabilizzazione della Siria, più per paura di migranti in marcia verso l’Europa che per i valori tanto sbandierati in questi ultimi mesi. Proprio la questione migratoria alimenta anche i rinnovati timori per il continente sulla sponda sud del Mediterraneo. “La minaccia terroristica in Africa sta aumentando, con Da’esh, al-Qaeda, i loro affiliati e altri attori non statali che sfruttano i conflitti locali e la fragilità sociale, politica ed economica”, avvertono i ministri, i quali sottolineano che “di particolare preoccupazione è il deterioramento della situazione della sicurezza nel Sahel, con effetti di ricaduta sugli stati costieri dell’Africa occidentale e potenzialmente sul Nord Africa”.

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    Lange (Spd/S&D): “Chiudere l’accordo commerciale con il Messico”

    Bruxelles – Commercio, commercio, commercio. A partire dal Messico. La priorità dell’Ue è tutta qui, in una necessità tutta nuova dettata da un quadro geopolitico che impone ripensamenti obbligati. Uno di questi riguarda proprio la partita geo-strategica. Su questo Bernd Lange (Spd/S&D), presidente della commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo, non ha dubbi. “Dovremmo guardare all’accordo commerciale con il Messico”, sottolinea. Nel Paese “c’è un nuovo presidente (Claudia Sheinbaum Pardo, dall’1 ottobre 2024, ndr)”, e si aggiunge “l’attitudine di Donald Trump nei confronti del Messico” non c’è dubbio che bisogna spingere per chiudere un accordo.“In questa situazione globale è importante avere una rete commerciale di partner affidabili”, continua Lange nel corso di un incontro ristretto con i giornalisti, tra cui Eunews. Il ritorno di Trump alla testa degli Stati Uniti stravolgerà senza dubbio l’agenda a dodici stelle. “Ci attendiamo che qualche dazio arrivi presto”, visto che “Trump usa dazi anche come strumento di pressione”. E poi l’accordo con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso) non sembra promettere nulla di buono.“Il testo è vecchio, è fermo al 2019“, sottolinea Lange. L’accordo Ue-Mercosur non è aggiornato, insomma. “E’ stato aggiunto un protocollo e dobbiamo vedere se i protocollo aggiuntivi sono sufficienti” a convincere Parlamento europeo, Consiglio Ue e poi i parlamenti nazionali per l’eventuale ratifica. Inoltre il negoziato sembra essersi riaperto. “Non si parla di questioni ambientali, ma di riforma dell’agricoltura”, sulla spinta di Parigi. “La Francia è un problema”, ammette il presidente della commissione parlamentare. Questioni di politica interna inducono il governo francese a frenare. “Il Mercosur aiuta Le Pen?”, commenta a voce alta. E’ questo uno degli ostacoli. E poi, aggiunge ancora Lange, anche ammettendo che la Commissione Ue chiuda l’accordo, “non ho idea se possa esserci una maggioranza e quale” in Parlamento.

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    A fianco dell’Ucraina fino alla fine (e con tutta la difesa che serve). La decisione dell’Eurocamera piace, ma non alla Sinistra

    Bruxelles – “Per tutto il tempo necessario” è la promessa che l’Ue ha fatto all’Ucraina. Con il coinvolgimento della Cina e della Corea del Nord, l’escalation è dietro l’angolo e l’Europarlamento, nella Plenaria di Strasburgo, ha ribadito il proprio supporto a Kiev.Dalla risoluzione approvata giovedì (28 novembre), arriva l’ennesima condanna della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e il peggioramento del conflitto. Alla comunità internazionale, i deputati del Parlamento europeo chiedono di attivarsi per gestire il buco nero che sono gli ormai oltre mille giorni di guerra. “Non può svolgersi nessun negoziato sull’Ucraina senza l’Ucraina“, ribadiscono gli eurodeputati, invitando Ue e Stati membri ad adoperarsi per accrescere il sostegno internazionale e individuare una soluzione pacifica alla guerra.Il triangolare Pechino, Pyongyang e MoscaL’invio delle truppe da parte della Corea del Nord e la sperimentazione di missili balistici in Ucraina fanno paura e nell’ottica Ue rappresentano “una nuova fase della guerra” e sono “un nuovo rischio per la sicurezza dell’Europa nel suo complesso“.A Pechino viene chiesto di porre fine all’assistenza militare e alla fornitura di beni a duplice uso alla Russia. Arriva un ulteriore monito dall’Ue in riferimento alle azioni cinesi: “Il rifiuto di cambiare linea d’azione al riguardo rischia di compromettere gravemente le relazioni bilaterali Ue-Cina“, già in crisi per un principio di guerra commerciale partita dai dazi europei sulle auto elettriche alla Cina e continuata con i dazi cinesi sul brandy europeo.In questa occasione, all’Eurocamera non sfugge anche l’influenza della Cina sulla Corea del Nord, attore ormai coinvolto nella guerra in Ucraina. Per evitare l’invio di armi alla Russia, si chiede maggiore cooperazione internazionale, esercitando “una pressione costante su Pyongyang affinché cessi le sue azioni destabilizzanti“.Verso la stessa Corea del Nord, insieme a Bielorussia e Iran, gli Stati membri sono invitati a rafforzare il regime di sanzioni, aggiungendo anche all’elenco delle sanzioni Ue anche le entità e le persone fisiche cinesi che supportano la Russia o il settore russo della difesa e della sicurezza.Nessun ‘addio alle armi’ (anzi, più spesa)Impegno a tutto tondo dell’Ue e dei singoli Stati nei confronti dell’Ucraina, che è anche una delle nazioni candidate a entrare a far parte dell’Ue. Nonostante la promessa di attuare la formula di pace dell’Ucraina e creare le condizioni necessarie per lo svolgimento di un secondo Summit sulla Pace, nel testo una buona parte è dedicata al sostegno militare.Si parla di fornitura di aerei, missili a lungo raggio, come i Taurus, sistemi difesa aerea e tutti gli armamenti necessari per permettere all’Ucraina di continuare a resistere. La stessa presidente della Commissione europea von der Leyen nel discorso di ieri (27 novembre), prima del voto sul collegio dei Commissari, aveva sottolineato la necessità di spendere di più e in modo coeso per la difesa e questo aspetto è stato recepito chiaramente nella risoluzione.0,25 per cento del Pil annuo di tutti gli Stati europei e degli alleati della Nato dovrebbe essere impegnato “collettivamente e individualmente” per fornire un sostegno militare all’Ucraina. Una sollecitazione importante, che si unisce agli oltre 118 miliardi di euro già spesi dall’Ue, una cifra pari a quasi un intero bilancio annuale comunitario.Non viene tralasciata nemmeno la questione Trump 2.0, verso cui ci si augura di rafforzare la collaborazione transatlantica, che sia “vantaggiosa per entrambe le parti, evidenziando l’interesse strategico comune di sostenere l’Ucraina”. Lo spauracchio del disimpegno da parte della nuova presidenza repubblicana spinge gli eurodeputati a cercare i rapporti più distesi possibile, perché “how long as it takes” non piace in modo uniforme a tutti.Tutti felici e guerrafondai, ma non la SinistraLa Sinistra europea ha votato compattamente contro la risoluzione, passata con 390 voti favorevoli, 135 contrari e 52 astenuti. Nessuno degli emendamenti del gruppo è riuscito a passare, incontrando l’opposizione della rinnovata ‘maggioranza Ursula’ in modo molto compatto.Si chiedeva di concentrarsi sulla fine della guerra in modo diplomatico, come lo stesso presidente Zelenskyy aveva recentemente detto, entro il 2025, limitando il contributo dell’Ue al conflitto dal punto di vista militare. Allo stesso modo negli emendamenti era stata avanzata la condanna anche alla mossa di Biden di autorizzare l’esercito di Kiev a usare i missili a lunga gittata (capaci di raggiungere bersagli a 300 chilometri di distanza).L’intento pacifista della Sinistra è stato, però, un buco nell’acqua. Amareggiato il commento su X del Movimento5Stelle Europa, parte del gruppo politico la Sinistra:Al @Europarl_IT si è votato un provvedimento immorale, che critica chi prova a cercare una soluzione negoziale in #Ucraina. Stigmatizzando il Cancelliere Scholz, che la settimana scorsa ha telefonato a #Putin in un tentativo di dialogo, facciamo un regalo ai guerrafondai.1/2— M5S Europa (@M5S_Europa) November 28, 2024Lo stigma sul cancelliere tedesco si riferisce ad un paragrafo della risoluzione in cui l’intero Parlamento europeo “deplora il recente colloquio telefonico del cancelliere tedesco con Vladimir Putin”. Il presunto intento diplomatico non è piaciuto molto ai colleghi europei e i tempi bui per Scholz (dopo le elezioni anticipate) sembrano appena essere cominciati.La risoluzione di oggi si allinea agli impegni che l’Ue ha deciso di prendere con l’Ucraina e con gli obiettivi sulla difesa che sono chiari per von der Leyen bis. Mentre l’industria della difesa preme perché si facciano investimenti su investimenti per rafforzare la posizione europea (ma soprattutto del settore), resta da vedere come l’Unione coordinerà la spesa di praticamente un intero bilancio per un Paese candidato e i propri obiettivi generali, affinché “per tutto il tempo necessario” possa essere una promessa realistica.

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    Il mediatore europeo attacca la Commissione: niente documentazione su atti preparatori a incontro von der Leyen, Meloni e Rutte con presidente Tunisia

    Bruxelles – Non c’è un pezzo di carta che dimostri che l’incontro sia stato adeguatamente preparato, che ci sia stato un confronto “almeno” tra la Commissione, l’Italia e i Paesi Bassi. Insomma, una cosa che sembra essere stata fatta “d’iniziativa”, senza verificare condizioni e conseguenze.Si tratta dell’oramai famoso incontro con il presidente tunisino Kais Saied dell’11 giugno 2023 tenuto a Tunisi dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ed i primi ministri di Italia e Paesi Bassi, Giorgia Meloni e Mark Rutte (ora Segretario generale della Nato), poco prima che Ue e la Tunisia firmassero (il 17 di quel mese) un memorandum d’Intesa su molti temi, tra i quali in primo luogo migrazione, sviluppo economico, commercio ed energia verde.Per l’Ombudsman europeo si tratta di un caso di “cattiva amministrazione” da parte della Commissione che non è stata in grado di esibire documenti relativi a scambi di informative con gli Stati membri, e neanche su scambi interni avvenuti all’Esecutivo Ue per preparare l’incontro.Sulle prime, alle richieste del Mediatore la Commissione non era stato in grado di produrre alcun documento, ma successivamente ne ha trovati solo 13, tra cui alcune note interne. Un penuria di elementi che ha meravigliato il Mediatore perché un incontro a questi alti livelli avrebbe necessariamente richiesto scambi preliminari tra diversi dipartimenti della Commissione e con gli Stati membri. Come minimo, avrebbero dovuto essere presenti scambi con Italia e Paesi Bassi. Però nessuno dei 13 documenti identificati dalla Commissione riguarda questi tipi di scambi precedenti all’incontro di giugno. Inoltre, la Commissione “non ha fornito spiegazioni ragionevoli per l’assenza di tali documenti aggiuntivi”.Il mediatore ha anche lamentato che la Commissione ha impiegato quasi 12 mesi per riesaminare la sua decisione iniziale, nonostante il regolamento dell’Ue sull’accesso ai documenti preveda un massimo di 30 giorni lavorativi per queste revisioni.