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    Borrell condanna la decisione russa “totalmente infondata” di chiudere i siti di oltre 80 media dell’Unione

    Bruxelles – “L’Ue condanna la decisione totalmente infondata delle autorità russe di bloccare l’accesso a oltre ottanta media europei in Russia”. Reagisce così, a 24 ore di distanza dalla notizie, l’alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione Josep Borrell alla decisione del Cremlino di oscurare la visione nel territorio della Federazione di 81 media occidentali.“Questa decisione – continua Borrell in una nota – limita ulteriormente l’accesso a un’informazione libera e indipendente e amplia la già severa censura dei media in Russia. I media europei vietati lavorano secondo principi e standard giornalistici. Forniscono informazioni concrete, anche al pubblico russo, anche sulla guerra illegale di aggressione della Russia contro l’Ucraina”.L’Alto rappresentante sottolinea che “al contrario, gli organi di disinformazione e propaganda russi, contro i quali l’Ue ha introdotto misure restrittive, non rappresentano media liberi e indipendenti. Le loro attività di trasmissione nell’Ue sono state sospese perché sono sotto il controllo delle autorità russe e contribuiscono a sostenere la guerra di aggressione contro l’Ucraina”.Il rispetto della libertà di espressione e dei media “è un valore fondamentale per l’Unione – conclude Borrell -, che continuerà a sostenere la disponibilità di informazioni concrete anche per il pubblico russo”.A quanto si apprende l’Ungheria non ha approvato questa dichiarazione, che è stata condivisa con i 27 prima della sua diffusione.

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    L’Unione europea mantiene le sanzioni contro la Crimea, illegalmente annessa dalla Russia

    Bruxelles – L’Unione europea conferma la sua visione di un’Ucraina unita e libera. Oggi (17 giugno) il Consiglio dell’Unione europea ha deciso per il prolungamento di un anno delle sanzioni contro la Crimea, territorio ucraino illegalmente annesso dalla Russia dal 2014. Le misure, che si sommano a quelle in atto contro la Russia per l’invasione su larga scala dell’Ucraina, colpiscono settori chiave: dalle infrastrutture agli investimenti alla tecnologia.Dopo la conferma del sostegno all’Ucraina emersa nel vertice di pace in Svizzera, arriva il prolungamento delle sanzioni economiche contro la Crimea. I provvedimenti sono in vigore dal 2014 quando le truppe russe invasero la penisola ucraina per poi indire un referendum illegittimo che segnò l’ingresso della Crimea come parte della Federazione russa. Le sanzioni europee colpiscono tutte le merci prodotte nella regione, inoltre l’Ue mantiene anche il divieto all’export di tecnologie verso la penisola. L’Ue con la decisione odierna conferma la sua linea politica di non riconoscere l’annessione illegale compiuta da Mosca.

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    Peace Summit in Svizzera, 80 Paesi firmano per l’integrità territoriale dell’Ucraina. Von der Leyen: “Da Putin condizioni oltraggiose”

    Bruxelles – Più che una conferenza di pace, il tentativo di verificare la tenuta del supporto all’Ucraina da parte della comunità internazionale. Alla fine, il summit in Svizzera si chiude con una dichiarazione congiunta, firmata da 80 Paesi sui 92 presenti – tra cui i 27 Paesi Ue-, in cui si riafferma l’integrità territoriale dell’Ucraina e si sottolinea che “il dialogo tra tutte le parti è necessario per porre fine” al conflitto. “Un successo”, anche se “solo un primo passo”, è la valutazione di Volodymyr Zelensky, promotore della kermesse di Lucerna.La Russia non era stata invitata a Lucerna, la Cina è tra i 68 Paesi che hanno declinato – in tutto il governo svizzero ne ha invitati 160 -. E Armenia, Brasile, Colombia, Vaticano, India, Indonesia, Libia, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti non hanno approvato il comunicato finale. Paesi di quella zona grigia di equidistanza dalle parti in conflitto, ma soprattutto Paesi, Vaticano escluso, che storicamente hanno forti relazioni politiche ed economiche con Mosca. Discorso a parte per Riyad, che dovrebbe ospitare il prossimo summit per la pace in Ucraina e che – nella speranza di una partecipazione almeno di Pechino – ha preferito mostrarsi come un credibile mediatore e non ha sottoscritto la forte presa di posizione degli alleati di Zelensky.Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky a Lucerna, Svizzera (Photo by MICHAEL BUHOLZER / POOL / AFP)Oltre ai 92 governi, nella lista dei firmatari anche la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio Europeo.  Durissima la presidente uscente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, che in conferenza stampa ha dichiarato che la proposta di pace di Vladimir Putin “non è seria” e che nessun Paese “accetterebbe mai i termini oltraggiosi” messi sul tavolo dal Cremlino. Sul mancato invito a Mosca, la leader Ue ha proseguito: “Quando la Russia sarà pronta” per una pace basata “sulla Carta delle Nazioni Unite, arriverà il momento di partecipare ai nostri sforzi”. Von der Leyen, così come i capi di Stato e di governo dei Paesi del G7, sono arrivati a Lucerna freschi dell’accordo raggiunto al vertice di Borgo Egnazia per un prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina, sostenuto dai rendimenti derivanti dagli asset russi congelati.Ribaditi i principi “dell’integrità territoriale e della sovranità di tutti gli Stati” come base per raggiungere una pace “globale, giusta e duratura” in Ucraina, il comunicato finale individua tre aree di comune interesse su cui lavorare per mettere fine alle conseguenze devastanti dell’aggressione russa. La prima è la sicurezza nucleare: da un lato “qualsiasi utilizzo dell’energia nucleare e degli impianti nucleari deve essere sicuro, protetto, tutelato e rispettoso dell’ambiente, dall’altro “qualsiasi minaccia o uso di armi nucleari nel contesto della guerra in corso contro l’Ucraina è inammissibile”, recita il documento.Gli 80 firmatari denunciano poi “la militarizzazione della sicurezza alimentare”, che sta minacciando in particolare i Paesi del sud del mondo, e infine sollecitano lo scambio di prigionieri di guerra e il ritorno dei bambini ucraini deportati dalla Russia. Zelensky ha dichiarato di essere pronto ad “avviare negoziati anche domani” se la Russia “si ritirerà dal nostro territorio”. Nel frattempo, l’obiettivo è lavorare al prossimo vertice “per porre fine a questa guerra, per una pace giusta e duratura”. La metà dei governi invitati a Lucerna – 80 su 160 –  stanno con Zelensky, che ha chiesto il sostegno di quei Paesi che hanno un’influenza politica forte nei confronti di Mosca e che “dovrebbero aiutarci”. La Cina, che si spera che non snobberà anche il prossimo summit per la pace.

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    Le industrie della Spagna di Sanchez arricchiscono Putin: acquisti massicci di Gnl russo

    Bruxelles – Anche la Spagna di Pedro Sanchez finanzia il presidente russo Vladimir Putin e la sua macchina da guerra. Strano, eppur vero. Le aziende iberiche stanno acquistando il gas naturale liquefatto (Gnl) russo, e in modo massiccio. Accordi commerciali e politiche di approvvigionamento energetico che fanno storcere il naso Juan Ignacio Zoido Álvarez, europarlamentare spagnolo del Ppe che chiede conto alla Commissione europea e domanda anche eventuali provvedimenti. Provvedimenti però che non ci saranno. Perché, ricorda, la commissaria per l’Energia Kadri Simson, nella risposta fornita all’interrogazione parlamentare, “finora il Gnl russo non è stato soggetto a sanzioni, il che significa che alle società non è vietato acquistarlo“.Le imprese spagnole dunque non stanno violando alcuna norma Ue né aggirando le sanzioni decretate dall’Unione europea nei confronti della Russia e del suo presidente. Il governo di Madrid, a sua volta, non può impedire alle imprese spagnole di fare affari con i russi. E’ vero, ricorda Simson, che l’ultima proposta della Commissione per il 14esimo pacchetto di sanzioni comprende, tra le altre cose, restrizioni al trasbordo di Gnl russo nei porti europei”. Tuttavia il pacchetto proposto “richiede ancora l’adozione all’unanimità del Consiglio”.L’unica cosa che l’esecutivo può fare, e Simson assicura che il team von der Leyen “continuerà” a farlo, è  “invitare gli Stati membri e le imprese” a smettere di acquistare gas naturale liquefatto russo e a non firmare nuovi contratti per Gnl con società russe una volta scaduti quelli esistenti. La Commissione può fare pressione sul governo Sanchez affinché faccia pressione sulle imprese spagnole, ma in assenza di divieti e sanzioni è tutto rimesso alla singola compagnia.Con l’Unione europea impegnata a indebolire l’economia russa e minare le capacità di finanziare l’esercito russo per la guerra in Ucraina, il risultato, denuncia l’europarlamentare spagnolo, è che la Spagna “ora importa più gas naturale liquefatto dalla Russia di qualsiasi altro paese europeo”. Fornisce anche i dati, che sono quelli dell’Istituto di economia energetica e analisi finanziaria (Ieefa). Emerge che la quantità di gas russo in arrivo nei porti spagnoli “ha registrato nuovi massimi, aumentando del 30 per cento nel 2023 ed è aumentata per due anni consecutivi”.Zoido Álvarez critica e accusa il governo del proprio Paese di “chiudere un occhio”, ma esaminando il rapporto citato dall’europarlamentare emerge che fin qui non c’è solo la Spagna ad aver continuato a fare affari con il regime di Putin. L’Ieefa certifica sì che tra gennaio e settembre 2023 la Spagna risulta il principale importatore di Gnl russo tra i paesi dell’UE, con 5,21 miliardi di metri cubi importati. Ma ci sono anche altri che stanno continuando ad alimentare la macchina da guerra russa: la Francia di Emmanuel Macron (3,19 miliardi di metri cubi acquistati) e il Belgio (commesse per 3,14 miliardi di metri cubi).Sulla Spagna pesa anche la rivendita all’interno dell’Ue. L’Ieefa rileva nero su bianco come la Spagna acquisti il Gnl russo per poi rivenderlo a un terzo degli Stati membri dell’Ue, nello specifico a Italia, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Paesi Bassi e Svezia.

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    L’Ue ripristina obbligo di visti per Vanuatu: troppe cittadinanze ‘facili’ con cui entrare in Europa

    Bruxelles – Flussi di immigrati irregolari provenienti dall’altro angolo del mondo grazie a politiche ‘generose’ in termini di concessione della cittadinanza, con documenti che agevolano l’ingresso nello spazio Schengen a russi, cinesi e iraniani. L’Unione europea vede in Vanuatu un Paese terzo che inizia a presentare “serie e carenze e falle di sicurezza” per gli interessi dell’Ue, secondo i servizi della Commissione europea, che decide di sospendere l’accordo bilaterale che abolisce l’obbligo di visto per i cittadini dell’arcipelago dell’Oceania per entrare su suolo comunitario.La decisione dell’esecutivo comunitario può sembrare ‘curiosa’. Si si dà un sguardo al mappamondo si vede che Vanuatu è assai distante dall’Europa. Situato a est dell’Australia, a sud delle isole Salomone, nel versante orientale del mar dei Coralli, Vanuatu è davvero una destinazione remota. Ma ciò non impedisce al Paese di rappresentare una minaccia in termini di immigrazione regolare e sicurezza.Quello che ravvisano a Bruxelles è una politica di concessione delle cittadinanza di Vanuatu a cittadini di altri Paesi terzi. L’acquisizione della cittadinanza implica la possibilità di poter entrare e soggiornare liberamente nell’Ue per effetto dell’accordo che non richiede il visto. Dal 2015, denuncia la Commissione, le autorità vanuatiane hanno avviato “programmi di cittadinanza per investitori che consentono ai cittadini di paesi terzi soggetti all’obbligo del visto di ottenere facilmente la cittadinanza e il passaporto di Vanuatu, consentendo loro così di ottenere l’accesso senza visto all’UE, aggirando la procedura del visto Schengen”.Una pratica che sembra studiata a tavolino, visto che questi speciali programmi non prevedono requisiti specifici minimi di residenza su almeno una delle 65 isole abitate dell’arcipelago della Melanesia. Addirittura emerge che il processo di richiesta di cittadinanza è gestito da agenzie specializzate situate fuori Vanuatu, con la Commissione che cita esplicitamente Dubai (Emirati arabi), Thailandia e Malesia. In questo gioco di ‘documenti facili’ si teme anche per le ricadute in termini di sicurezza. Nello specifico preoccupa “la legislazione permissiva sui cambi di nome, poiché il richiedente che ha ottenuto la cittadinanza per investimento può anche richiedere un cambio di identità”.A usufruire dei passaporti di Vanuatu soprattutto richiedenti cinesi, russi, iraniani, nigeriani, siriani, iracheni. L’Ue teme che il remoto Stato dell’Oceania possa operare come ‘cavallo di troia’ per potenziali spie e estremisti islamici. “Ci avvaliamo del meccanismo di sospensione dei visti per rispondere in modo efficace alle minacce alla sicurezza”, taglia corto Ylva Johannson, commissaria per gli Affari interni. Vanuatu figura già nella lista nera dell’Ue dei Paesi non collaborativi in materia di lotta all’evasione fiscale. Adesso si aggiunge il capitolo ‘passaporti facili’.

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    Dal primo luglio l’Ue imporrà pesanti dazi sull’import di cereali e derivati da Russia e Bielorussa

    Bruxelles – Nel 2023, l’Ue ha rimpinguato le casse del Cremlino con 1,3 miliardi di euro acquistando dalla Russia la cifra record di 4,2 milioni di tonnellate di cereali, semi oleosi e derivati. Dal primo luglio, la speranza di Bruxelles è dare però un taglio netto all’import da Mosca: oggi (30 maggio) il Consiglio dell’Ue ha dato il via libera all’imposizione di pesanti dazi commerciali sui prodotti agricoli che arrivano da Russia e Bielorussia.Il grano di Mosca e Minsk potrebbe arrivare a costare circa il 40 per cento in più, attraverso una tariffa fissata a 95 euro per tonnellata. I cereali – anche se il prezzo varia a seconda della qualità – costano oggi in Ue più o meno tra i 200 e i 220 euro per tonnellata. Raddoppierà invece il prezzo di semi oleosi e derivati, pellet di polpa di barbabietola (utilizzati come mangimi) e piselli secchi, su cui i 27 hanno deciso di imporre una maggiorazione del 50 per cento.La mossa del blocco – proposta dalla Commissione europea lo scorso 22 marzo – è stata concepita per prevenire eventuali attacchi ibridi da Mosca, che potrebbe utilizzare i prodotti agricoli per “invadere” e destabilizzare il mercato dell’Ue, ma anche per contrastare le esportazioni di cereali “rubati” ai territori occupati in Ucraina e rietichettati come russi. E in generale, per tagliare un’importante fonte di reddito per Mosca nel tentativo di limitare la sua capacità di finanziare la guerra contro Kiev.“Il nostro impegno per la sicurezza alimentare globale rimane fermo, garantendo che i Paesi in via di sviluppo non siano colpiti negativamente da queste misure”, assicura il vicepresidente della Commissione europea e commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis. Le maggiorazioni non saranno applicate infatti ai prodotti in transito verso Paesi extra-Ue, ma colpiranno solo quelli destinati al consumo nei 27 Paesi membri.Dai dazi su cereali e semi oleosi russi beneficeranno in modo indiretto gli agricoltori europei, che l’anno scorso hanno visto diminuire i prezzi a causa dell’aumento vertiginoso dell’import da Mosca. Per la Coldiretti, il via libera alle maggiorazioni “è importante per salvare le aziende agricole italiane”, dopo che nel 2023 sono entrate in Italia “quasi mezzo milione di tonnellate” di grano russo, “abbattendo fino al 60 per cento il prezzo del grano italiano”. Viceversa, Bruxelles garantisce che non esiste il rischio di un forte impatto sui prezzi per i consumatori perché, anche sommando le 4,2 milioni di tonnellate importate dalla Russia e le 610 mila tonnellate dalla Bielorussia, si parla comunque di circa l’1 per cento del totale dei cereali prodotti o importati dall’Ue.La presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue ha dichiarato – a margine dell’incontro tra i ministri dei 27 – che la Svezia ha suggerito di estendere i dazi ad altri prodotti made in Russia e Bielorussia. “La Commissione europea valuterà l’ipotesi – ha aperto alla possibilità Dombrovskis -, e fornirà diverse opzioni ai Paesi membri”.

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    McGuinness: “La Russia usa navi ombra per aggirare le sanzioni sul petrolio”

    Bruxelles – Il petrolio russo venduto a dispetto della sanzioni dell’Ue, grazie a navi ombra, o fantasma, non ufficialmente russe ma riconducibili alla Federazione russa, per conto di cui fanno affari. L’Unione europea deve fare i conti con una flotta di petroliere difficile da identificare, eppure reale. A riconoscere il fenomeno è Mairead McGuinness, commissaria per i Servizi finanziari, nella risposta all’interrogazione parlamentare in materia. Sì, ammette McGuinness, “la Russia sta utilizzando una flotta ombra di vecchie petroliere per trasportare il suo petrolio nel tentativo di eludere le sanzioni dell’Ue e il tetto massimo del prezzo del petrolio del Gruppo dei Sette (G7)”.Si tratta di imbarcazioni che non risultano di proprietà russa, spesso intestate a società di comodo con sede in qualche Paese terzo, e usate da operatori che lavorano per conto del Cremlino. Cambiano spesso bandiera, nome e proprietario, navigano senza assicurazione e nascondono regolarmente la loro posizione spegnendo il transponder risultando così invisibili ai radar. Questo è il fenomeno contro cui l’Ue deve fare i conti. Con un diritto internazionale che offre porti sicuri alle attività russe in chiave anti-sanzioni.La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare garantisce alle navi il diritto di passaggio inoffensivo, ovvero il diritto di navigare liberamente attraverso i mari territoriali. Non si può fare porto, ma si può transitare. Ciò significa che “impedire alle navi della flotta ombra di entrare nelle acque territoriali o nella zona economica esclusiva pone sfide significative”, riconosce ancora McGuinness. Fermo restando che l’esecutivo comunitario non può fare niente, visto che “dell’attuazione e applicazione delle sanzioni dell’Ue sono responsabilità degli Stati membri”. Il problema delle navi ombra si aggiunge alle pratiche illecite in acque internazionali, dove petrolio russo viene trasferito da una petroliera all’altra per aggirare sanzioni. Una delle prime trovate del presidente russo Vladimir Putin per farsi beffe delle restrizioni a dodici stelle. L’Ue continua a dare una mano agli Stati membri, “anche con l’assistenza dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima (Emsa), nel monitorare eventuali navi sospette”, assicura McGuinness. Ma le maglie europee sono tutt’altro che strette, e il Cremlino continua a fare cassa con il suo greggio.

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    Ucraina, Macron spinge per l’utilizzo di armi Nato in Russia. E incassa il sì di Scholz

    Bruxelles – L’attivismo di Emmanuel Macron per dare una svolta alla resistenza di Kiev all’invasione russa trova terreno fertile e strappa l’appoggio del cancelliere tedesco Olaf Scholz. “Pensiamo che dovremmo consentire all’Ucraina di neutralizzare le basi da cui partono i razzi”, ha dichiarato il presidente francese a nome dell’asse franco-tedesco. Parigi e Berlino stanno con il segretario della Nato, Jens Stoltenberg: è tempo che l’Ucraina possa utilizzare le armi dell’Alleanza atlantica per colpire bersagli militari in Russia.Per convincere l’opinione pubblica della necessità di prendere questa decisione, Macron si è presentato alla conferenza stampa congiunta con Scholz con una mappa del confine tra Russia e Ucraina, illustrando le basi da cui partono gli attacchi di Mosca. Che si trovano spesso appena dietro la frontiera, in territorio russo. Macron ha immediatamente chiarito che “non dovremmo consentire” a Kiev “di colpire obiettivi diversi da quelli, intendo naturalmente obiettivi civili o altri obiettivi militari”.Più cauto Scholz, che però ha sostanzialmente appoggiato la posizione di Parigi. “L’Ucraina ha tutte le possibilità di farlo, secondo il diritto internazionale. Bisogna dire chiaramente che se l’Ucraina viene attaccata, può difendersi“, ha confermato il cancelliere tedesco. Le due maggiori potenze Ue confermano dunque la linea illustrata ai ministri dei 27 da Jens Stoltenberg nel corso del Consiglio Ue Affari Esteri del 27 maggio. “Questa è una guerra, e secondo il diritto internazionale l’Ucraina ha il diritto di difendersi e questo implica anche raid su obiettivi militari in Russia“, ha dichiarato senza lasciare alcun dubbio il segretario generale della Nato.Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergPosizione forte del via libera da parte dell‘Assemblea parlamentare della Nato alla rimozione dei vincoli di utilizzo di mezzi ed equipaggiamenti forniti. L’organo composto dai delegati dei Paesi Nato ha votato a grande maggioranza la dichiarazione che esorta i 32 governi dell’Alleanza a “sostenere l’Ucraina nel suo diritto internazionale di difendersi eliminando alcune restrizioni sull’uso delle armi fornite dagli alleati della Nato per colpire obiettivi legittimi in Russia“.A livello Ue tuttavia rimangono forti perplessità e timori per una tale svolta. Il vicepremier italiano, Antonio Tajani, ha affermato chiaramente che “tutto il materiale militare che inviamo in Ucraina deve essere utilizzato per proteggere l’Ucraina all’interno del territorio ucraino”, evidenziando che “noi non siamo in guerra con la Russia” e criticando l’uscita di Stoltenberg, perché “a volte serve un po’ più di prudenza”. Mentre l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borell, a margine dell’incontro di ieri con i ministri della Difesa dei 27 aveva dichiarato che solo “un Paese, forse uno e mezzo”, spingeva per la rimozione dei vincoli all’utilizzo delle armi in territorio russo.A Bruxelles aleggia la paura di innescare un ulteriore escalation con l’imprevedibile regime di Putin, come dimostra il mancato accordo tra i 27 sulla possibilità di addestrare personale militare in territorio ucraino. Perché alcuni Stati membri “ritengono che si tratta di inviare addestratori, e gli addestratori sono militari. In un modo o nell’altro – ha spiegato l’Alto rappresentante – si tratterebbe di inviare truppe non combattenti, ma alla fine sarebbero agenti militari nel territorio ucraino, con il rischio che certamente comporta”.Insomma, ogni scatto in avanti sul coinvolgimento nel conflitto va pesato attentamente. Ma l’asse Parigi-Berlino potrebbe avere la forza per riorientare le posizioni dei 27.