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    Meno parole, più armi. La Nato promette nuovi aiuti a Kiev per rinforzarla in vista dei negoziati

    Bruxelles – Meno discussioni sul processo di pace e più aiuti militari. È questo il messaggio che il nuovo segretario generale della Nato, l’ex premier olandese Mark Rutte, ha portato al quartier generale dell’Alleanza nordatlantica a Bruxelles circa la guerra in Ucraina. Esprimendo una posizione condivisa da diversi Stati membri – e da Kiev – il leader dell’organizzazione ha spiegato per l’ennesima volta come rinforzare le forze armate ucraine sia l’unico modo per consentire al Paese aggredito di negoziare una “pace giusta”. Ma sui contorni che tale pace potrebbe avere, inclusa la spinosa questione dell’adesione di Kiev alla Nato, nessuno ancora si sbilancia.Corsa contro il tempoSi è aperta oggi (3 dicembre) la due giorni in cui, al quartier generale della Nato a Bruxelles, si riuniscono i ministri degli Esteri dei 32 Stati membri per discutere di Ucraina e Medio Oriente. Parteciperà al meeting anche l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas, che nel suo primo giorno in carica (il primo dicembre scorso) si è recata a Kiev per dimostrare tangibilmente il proprio sostegno al Paese aggredito dalla Russia di Vladimir Putin.Si tratterà invece dell’ultima riunione cui partecipa Antony Blinken in quota Usa, dato l’imminente insediamento di Donald Trump il prossimo 20 gennaio. E del resto quella di oggi e domani ha tutto il sapore di una corsa contro il tempo per garantire che Kiev “abbia ciò di cui ha bisogno” (Blinken dixit) per resistere all’aggressione dell’esercito di Mosca prima che alla Casa Bianca torni il tycoon newyorkese, il quale ha millantato di poter porre fine al conflitto nel giro di 24 ore.Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha firmano un memorandum d’intesa al quartier generale della Nato a Bruxelles, il 3 dicembre 2024 (foto: Yves Herman/Afp)“Più armi, meno discussioni”Nessuno conosce ancora il piano di Trump, ma i critici del presidente-eletto temono che forzare l’Ucraina al tavolo negoziale ora che la situazione sul campo volge a favore della Russia significhi costringere l’ex repubblica sovietica ad una pace ingiusta, le cui condizioni verrebbero dettate dal Cremlino. A Bruxelles si vuole scongiurare un esito di questo genere.“Credo che l’Ucraina non abbia bisogno di ulteriori idee su come potrebbe essere un processo di pace”, ha spiegato Rutte ai giornalisti, ma di “più aiuti militari”. “Potremmo sederci a bere una tazza di caffè e discutere dei molti modi” in cui si potrebbero interrompere le ostilità, ha continuato, ma sarebbe piuttosto il caso di “assicurarci che l’Ucraina abbia tutto quello che le serve per essere in una posizione di forza quando partiranno i colloqui di pace, quando il governo ucraino avrà deciso di essere pronto ad agire in questo senso”.Il segretario Nato ha accolto con favore la notizia che Estonia, Germania, Lituania, Norvegia, Stati Uniti e Svezia hanno aumentato gli aiuti militari a Kiev, ma ha sottolineato che “tutti dobbiamo fare di più”. Il titolare della Farnesina Antonio Tajani ha confermato che l’Italia continua “a sostenere l’Ucraina da tutti i punti di vista: politico, finanziario, economico, militare” e che per quanto riguarda la difesa aerea “abbiamo fatto tutto ciò che potevamo” per aiutare il Paese aggredito a difendersi.Le difficoltà al fronteSul terreno, intanto, l’inerzia sta favorendo le truppe di Mosca. Oggi il fronte “si muove lentamente verso ovest, non verso est”, ha riconosciuto il leader dell’Alleanza, pur “con molte perdite sul lato russo”, qualcosa come 700mila vittime tra morti e feriti gravi. Il tutto mentre nell’oblast’ di Kursk sono ormai ampiamente operativi i soldati d’elite nordcoreani, che rappresentano secondo Rutte una “enorme escalation” del conflitto.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)“Sappiamo che la situazione sul campo di battaglia è difficile e dobbiamo fare tutto il possibile per far arrivare più munizioni ed equipaggiamento” all’Ucraina, ha continuato, “soprattutto ora che sta arrivando l’inverno” e gli attacchi russi si intensificano ai danni delle infrastrutture energetiche. Lo stesso ministro degli Esteri di Kiev, Andriy Sybiha, ha chiesto ai membri Nato l’invio di almeno una ventina di nuovi sistemi di difesa antiaerea per contrastare gli attacchi missilistici del nemico.Kiev nella Nato?Se l’invio di armi occidentali può tenere in vita la resistenza ucraina sul breve periodo, almeno fino all’avvio dei negoziati di pace, la stabilizzazione a lungo termine di quel pezzo d’Europa orientale avrà però bisogno di credibili garanzie di sicurezza. “L’unica vera garanzia di sicurezza per l’Ucraina, così come un deterrente contro ulteriori aggressioni russe contro l’Ucraina ed altri Stati, è la piena adesione dell’Ucraina alla Nato”, ha ribadito il ministero degli Esteri di Kiev in una nota, in cui si legge che “con l’amara esperienza del memorandum di Budapest alle nostre spalle, non accetteremo alcuna alternativa, surrogato o sostituto” di un ingresso a pieno titolo nell’Alleanza nordatlantica. Il riferimento è al patto, siglato il 5 dicembre 1994 tra Mosca e Kiev, tramite il quale l’Ucraina cedette alla Russia le sue testate nucleari in cambio di garanzie di sicurezza da parte del Cremlino.Il comunicato riprende le osservazioni fatte lo scorso weekend dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in cui per la prima volta ha ammesso che le forze armate di Kiev “non hanno la forza” per riconquistare militarmente le regioni occupate dai russi e che andranno trovate “soluzioni diplomatiche”. A oltre due anni e mezzo dall’inizio dell’invasione su larga scala, Zelensky ha fatto una parziale marcia indietro sulla posizione tenuta fin qui, aprendo all’eventualità di negoziare la restituzione di una parte dei territori sotto occupazione anziché insistere sulla loro liberazione con le armi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Sergei Supinsky/Afp)Ma, questo il ragionamento, per poter negoziare tale restituzione occorre avere forza al tavolo delle trattative, e per avere forza serve rispondere colpo sul colpo sul campo di battaglia. Dunque servono gli aiuti occidentali e serve anche, al più presto, che la Nato si assuma la responsabilità di garantire la sicurezza di Kiev non appena cesseranno i combattimenti.Non così in frettaUn’eventualità definita “inaccettabile” e addirittura un “evento minaccioso” dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, per il quale “la sicurezza di un Paese non può essere garantita a spese della sicurezza di un altro Paese” – un principio che la stessa Russia ha violato nel febbraio 2022 invadendo l’Ucraina. L’ingresso dell’ex repubblica sovietica nella Nato, ha incalzato, “sarebbe un evento che ci minaccerebbe” e soprattutto “non eliminerebbe le cause profonde di quello che sta succedendo” da oltre due anni e mezzo.Lo stesso Rutte non vuole lasciare spazio alle speculazioni. L’Ucraina, sembra voler rassicurare Mosca, non aderirà in tempi brevi all’Alleanza. I membri di quest’ultima, ha confermato, “concordano sul fatto che il futuro dell’Ucraina è nella Nato”, sul “percorso irreversibile” di Kiev verso l’ingresso nell’organizzazione. “Ma penso che dobbiamo concentrarci molto”, anziché su quello che verrà in un futuro indefinito, “su quello che è necessario ora”, cioè appunto gli aiuti miliari alla resistenza.D’accordo anche Tajani: “Siamo tutti favorevoli a che l’Ucraina entri nella Nato“, ha detto ai cronisti, “così come siamo favorevoli a che l’Ucraina entri all’interno dell’Unione europea”. “Certamente c’è un percorso da compiere“, ha concesso il vicepremier forzista, riconoscendo tuttavia che gli ucraini “stanno facendo grandi passi in avanti”. Il destino di Kiev, in ogni caso, “è quello di entrare a far parte in futuro della Nato“, anche se questo futuro appare tutt’altro che prossimo.Alla corte di TrumpIl numero uno dell’Alleanza è tornato anche sui colloqui avuti con Trump il mese scorso. Sul tema del conflitto in Ucraina i due hanno concordato che “qualsiasi accordo” di pace dovrà essere “un buon accordo”, cioè dovrà tenere in considerazione le richieste del Paese aggredito. E dovrà anche segnalare agli alleati di Mosca – a partire da Pechino, Pyongyang e Teheran – che non si può invadere un Paese e pensare di passarla liscia.Il presidente-eletto degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Jim Watson/Afp)“Questo è cruciale per la nostra difesa non solo in Europa ma anche negli Usa e nell’Indopacifico”, ha spiegato Rutte, secondo cui Washington si troverebbe ad affrontare “una grave minaccia” da parte di questi attori se l’Ucraina fosse costretta a firmare un accordo di pace troppo favorevole alla Russia. Cosa tratterrebbe Xi Jinping dall’attaccare Taiwan, o Kim Jong-un dal lanciare missili balistici su Seul o Tokyo, se Putin riuscisse a ottenere una pace vantaggiosa in Ucraina?Anche Zelensky, da parte sua, ha auspicato una più stretta cooperazione tra la propria squadra da un lato e, dall’altro, quella del presidente-eletto e il team che sta gestendo la transizione a Washington. “Dobbiamo prepararci con attenzione per il prossimo anno”, ha dichiarato il leader ucraino, il quale ha ribadito che è importante che “la politica degli Stati Uniti non cambi, in modo che gli Stati Uniti non cerchino un compromesso tra l’assassino e la vittima”.Sulla stessa linea anche il commento di Tajani: “L’obiettivo è quello di arrivare alla pace anche con la nuova amministrazione americana“, ha ribadito, sottolineando che una “pace giusta” significa “l’indipendenza dell’Ucraina. Sulle tempistiche per giungere a tale risultato, ha evidenziato che “tutti quanti sono convinti che nel 2025 si arriverà a un cessate il fuoco“, e che tanto Mosca quanto Kiev stanno cercando di ottenere successi militari ora per sedersi al tavolo da una posizione di forza.

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    A fianco dell’Ucraina fino alla fine (e con tutta la difesa che serve). La decisione dell’Eurocamera piace, ma non alla Sinistra

    Bruxelles – “Per tutto il tempo necessario” è la promessa che l’Ue ha fatto all’Ucraina. Con il coinvolgimento della Cina e della Corea del Nord, l’escalation è dietro l’angolo e l’Europarlamento, nella Plenaria di Strasburgo, ha ribadito il proprio supporto a Kiev.Dalla risoluzione approvata giovedì (28 novembre), arriva l’ennesima condanna della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e il peggioramento del conflitto. Alla comunità internazionale, i deputati del Parlamento europeo chiedono di attivarsi per gestire il buco nero che sono gli ormai oltre mille giorni di guerra. “Non può svolgersi nessun negoziato sull’Ucraina senza l’Ucraina“, ribadiscono gli eurodeputati, invitando Ue e Stati membri ad adoperarsi per accrescere il sostegno internazionale e individuare una soluzione pacifica alla guerra.Il triangolare Pechino, Pyongyang e MoscaL’invio delle truppe da parte della Corea del Nord e la sperimentazione di missili balistici in Ucraina fanno paura e nell’ottica Ue rappresentano “una nuova fase della guerra” e sono “un nuovo rischio per la sicurezza dell’Europa nel suo complesso“.A Pechino viene chiesto di porre fine all’assistenza militare e alla fornitura di beni a duplice uso alla Russia. Arriva un ulteriore monito dall’Ue in riferimento alle azioni cinesi: “Il rifiuto di cambiare linea d’azione al riguardo rischia di compromettere gravemente le relazioni bilaterali Ue-Cina“, già in crisi per un principio di guerra commerciale partita dai dazi europei sulle auto elettriche alla Cina e continuata con i dazi cinesi sul brandy europeo.In questa occasione, all’Eurocamera non sfugge anche l’influenza della Cina sulla Corea del Nord, attore ormai coinvolto nella guerra in Ucraina. Per evitare l’invio di armi alla Russia, si chiede maggiore cooperazione internazionale, esercitando “una pressione costante su Pyongyang affinché cessi le sue azioni destabilizzanti“.Verso la stessa Corea del Nord, insieme a Bielorussia e Iran, gli Stati membri sono invitati a rafforzare il regime di sanzioni, aggiungendo anche all’elenco delle sanzioni Ue anche le entità e le persone fisiche cinesi che supportano la Russia o il settore russo della difesa e della sicurezza.Nessun ‘addio alle armi’ (anzi, più spesa)Impegno a tutto tondo dell’Ue e dei singoli Stati nei confronti dell’Ucraina, che è anche una delle nazioni candidate a entrare a far parte dell’Ue. Nonostante la promessa di attuare la formula di pace dell’Ucraina e creare le condizioni necessarie per lo svolgimento di un secondo Summit sulla Pace, nel testo una buona parte è dedicata al sostegno militare.Si parla di fornitura di aerei, missili a lungo raggio, come i Taurus, sistemi difesa aerea e tutti gli armamenti necessari per permettere all’Ucraina di continuare a resistere. La stessa presidente della Commissione europea von der Leyen nel discorso di ieri (27 novembre), prima del voto sul collegio dei Commissari, aveva sottolineato la necessità di spendere di più e in modo coeso per la difesa e questo aspetto è stato recepito chiaramente nella risoluzione.0,25 per cento del Pil annuo di tutti gli Stati europei e degli alleati della Nato dovrebbe essere impegnato “collettivamente e individualmente” per fornire un sostegno militare all’Ucraina. Una sollecitazione importante, che si unisce agli oltre 118 miliardi di euro già spesi dall’Ue, una cifra pari a quasi un intero bilancio annuale comunitario.Non viene tralasciata nemmeno la questione Trump 2.0, verso cui ci si augura di rafforzare la collaborazione transatlantica, che sia “vantaggiosa per entrambe le parti, evidenziando l’interesse strategico comune di sostenere l’Ucraina”. Lo spauracchio del disimpegno da parte della nuova presidenza repubblicana spinge gli eurodeputati a cercare i rapporti più distesi possibile, perché “how long as it takes” non piace in modo uniforme a tutti.Tutti felici e guerrafondai, ma non la SinistraLa Sinistra europea ha votato compattamente contro la risoluzione, passata con 390 voti favorevoli, 135 contrari e 52 astenuti. Nessuno degli emendamenti del gruppo è riuscito a passare, incontrando l’opposizione della rinnovata ‘maggioranza Ursula’ in modo molto compatto.Si chiedeva di concentrarsi sulla fine della guerra in modo diplomatico, come lo stesso presidente Zelenskyy aveva recentemente detto, entro il 2025, limitando il contributo dell’Ue al conflitto dal punto di vista militare. Allo stesso modo negli emendamenti era stata avanzata la condanna anche alla mossa di Biden di autorizzare l’esercito di Kiev a usare i missili a lunga gittata (capaci di raggiungere bersagli a 300 chilometri di distanza).L’intento pacifista della Sinistra è stato, però, un buco nell’acqua. Amareggiato il commento su X del Movimento5Stelle Europa, parte del gruppo politico la Sinistra:Al @Europarl_IT si è votato un provvedimento immorale, che critica chi prova a cercare una soluzione negoziale in #Ucraina. Stigmatizzando il Cancelliere Scholz, che la settimana scorsa ha telefonato a #Putin in un tentativo di dialogo, facciamo un regalo ai guerrafondai.1/2— M5S Europa (@M5S_Europa) November 28, 2024Lo stigma sul cancelliere tedesco si riferisce ad un paragrafo della risoluzione in cui l’intero Parlamento europeo “deplora il recente colloquio telefonico del cancelliere tedesco con Vladimir Putin”. Il presunto intento diplomatico non è piaciuto molto ai colleghi europei e i tempi bui per Scholz (dopo le elezioni anticipate) sembrano appena essere cominciati.La risoluzione di oggi si allinea agli impegni che l’Ue ha deciso di prendere con l’Ucraina e con gli obiettivi sulla difesa che sono chiari per von der Leyen bis. Mentre l’industria della difesa preme perché si facciano investimenti su investimenti per rafforzare la posizione europea (ma soprattutto del settore), resta da vedere come l’Unione coordinerà la spesa di praticamente un intero bilancio per un Paese candidato e i propri obiettivi generali, affinché “per tutto il tempo necessario” possa essere una promessa realistica.

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    Controlli con droni e sanzioni sistematiche, l’Ue dice ‘stop’ alle navi fantasma della Russia

    Bruxelles – Stop alle navi fantasma che alimentano il giro d’affari della Russia e aggirano le sanzioni dell’Ue adottate in risposta all’aggressione dell’Ucraina. L’Aula del Parlamento europeo riunita a Bruxelles per la sessione plenaria ‘mini’, torna sul noto fenomeno di imbarcazioni che “non esistono” ma che solcano i mari europei consentendo a Mosca di continuare a finanziare la propria macchina da guerra.Il sistema già individuato dai servizi della Commissione europea è costruito sull’utilizzo di vecchie petroliere, spesso non assicurate e di proprietà poco chiara, usate per esportare il petrolio greggio e i suoi prodotti petroliferi all’estero. Così facendo i prodotti oggetto di sanzioni internazionali, Ue e G7 vengono commerciati aggirandole.Per questo motivo gli europarlamentari chiedono (testo votato per alzata di mano) di sanzionare sistematicamente le navi che attraversano le acque dell’Ue senza un’assicurazione. Si invita l’Unione europea e i suoi Stati membri a rafforzare le sue capacità di sorveglianza, “in particolare il monitoraggio mediante droni e satelliti“, oltre a condurre ispezioni mirate in mare. In tal senso i singoli governi dovrebbero designare strutture portuali in grado di gestire navi sanzionate che trasportano petrolio greggio e gas naturale liquefatto (Gnl).A proposito di Gnl, viene chiesta una stretta all’acquisto di ogni prodotto energetico russo. Sottolineando che “l’impatto delle sanzioni esistenti e del sostegno finanziario e militare all’Ucraina continuerà a essere compromesso finché l’Ue importa combustibili fossili russi”, l’Aula del Parlamento europeo invita tutti a vietare ogni importazione di combustibili fossili russi, compreso il gas naturale liquefatto. Serve, in sostanza, “un’applicazione molto più rigorosa delle attuali sanzioni dell’Ue”.

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    Kiev e l’Ue tentano di capire cosa succederà all’Ucraina con la rielezione di Trump

    Bruxelles – Ora che Donald Trump è stato rieletto alla Casa Bianca, l’Europa cerca di prevedere quali saranno le sue mosse su uno dei fronti internazionali più caldi, quello della guerra in Ucraina. Mentre a Bruxelles si teme che il sostegno militare e finanziario a stelle e strisce possa diminuire drasticamente o addirittura interrompersi, a preoccupare Kiev c’è soprattutto la promessa del presidente (ri)eletto di mettere fine al conflitto “in 24 ore”. Il capo dello Stato ucraino, Volodymyr Zelensky, sta lanciando messaggi decisamente eloquenti al suo omologo statunitense, per impedire che imponga all’ex repubblica sovietica un processo di pace accelerato che rischia di tramutarsi in una “sconfitta”.Zelensky a BudapestDopo essersi congratulato con Trump per la sua vittoria nelle urne, il presidente ucraino è tornato sulla questione del sostegno di Washington agli sforzi bellici di Kiev ieri (7 novembre) in occasione del quinto incontro della Comunità politica europea, ospitato a Budapest dal premier ungherese Viktor Orbán. Lì, parlando ai giornalisti, ha ammesso che “il presidente Trump vuole davvero una decisione rapida” su come giungere alla fine delle ostilità con la Russia, ma ha aggiunto che “ciò non significa che andrà in questo modo”. Perché, ha insistito, “tutti vogliamo che questa guerra finisca, ma con una fine giusta”: se il processo di pace “è troppo veloce, sarà una sconfitta per l’Ucraina”, ha detto chiaro e tondo.Anche il padrone di casa è apparso fiducioso sulle prospettive per una risoluzione diplomatica del conflitto aperte dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. “Quelli che vogliono la pace sono sempre più numerosi”, ha dichiarato Orbán, rinnovando il suo appello per un cessate il fuoco immediato. “La precondizione per la pace è la comunicazione”, ha spiegato il leader magiaro, e “la condizione per la comunicazione è un cessate il fuoco”, il quale “può fornire margine e tempo alle parti in conflitto” per “cominciare a negoziare la pace”.Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán (foto: European Council)Appello immediatamente bollato come “pericoloso” e “irresponsabile” da Zelensky, secondo cui una tregua in questo momento – cioè con circa un quinto del territorio ucraino in mano alle forze di Mosca, che stanno peraltro avanzando anche sul fronte del Donbass – equivarrebbe a “distruggere la nostra indipendenza e la nostra sovranità”. “Abbiamo già provato” a raggiungere un cessate il fuoco nel 2014, ha ricordato il presidente ucraino, “e abbiamo perso la Crimea, e poi abbiamo avuto l’invasione su larga scala nel 2022”. Come a dire: non è possibile fidarsi di Vladimir Putin, perché non è realmente interessato alla pace.Qual è l’idea di pace secondo Trump?Cercare di capire l’idea di “pace” che avrebbe in mente Trump è dunque, comprensibilmente, la questione centrale che arrovella l’intera leadership ucraina. Per ora, il presidente eletto non ha fatto trapelare pubblicamente alcun dettaglio su come intende risolvere la crisi che da dieci anni tormenta l’ex repubblica sovietica, ma alcune indiscrezioni giornalistiche parlano di diverse opzioni sul tavolo del leader repubblicano.E tutte, allontanandosi dall’approccio seguito dall’amministrazione Biden (cioè quello di lasciar decidere a Kiev quando avviare le trattative), prevedono che l’Ucraina rinunci ad una parte del suo territorio riconosciuto internazionalmente, cioè quello disegnato dai confini del 1991. In alcune versioni si tratterebbe delle regioni occupate militarmente da Mosca, in altre di una sorta di zona cuscinetto demilitarizzata (sul modello delle due Coree) i cui contorni andrebbero negoziati a tavolino e che andrebbe pattugliata da truppe internazionali. Le quali, beninteso, dovranno essere europee e non statunitensi: “Non manderemo uomini e donne americani a difendere la pace in Ucraina”, ha dichiarato un membro dell’entourage di Trump, suggerendo di farlo fare “ai polacchi, ai tedeschi, agli inglesi e ai francesi”.Un altro elemento ricorrente sarebbe l’imposizione di una qualche forma di neutralità a Kiev, quella che veniva ironicamente chiamata “finlandizzazione” dell’ex repubblica sovietica prima che Helsinki decidesse di entrare nella Nato poco dopo l’avvio dell’invasione russa. Sempre secondo questi ipotetici piani, l’ingresso nell’Alleanza nordatlantica verrebbe congelato almeno temporaneamente per l’Ucraina, che in cambio continuerebbe a ricevere sistemi d’arma occidentali come deterrente contro un’eventuale nuova aggressione.L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, celebra la rielezione il 6 novembre 2024 (foto: Jim Watson/Afp)Un’ulteriore opzione, ancora più radicale, proposta da alcuni collaboratori della prima amministrazione Trump per costringere Kiev a sedersi al tavolo delle trattative sarebbe invece quella di interrompere le forniture di armi alla resistenza ucraina. Si tratta dell’ipotesi peggiore per Zelensky e i suoi: non solo entrerebbero nei negoziati da una posizione di estrema debolezza, ma non riuscirebbero nemmeno a contenere ulteriori attacchi russi se Putin decidesse che, prima di trattare, vuole annettere alla Federazione qualche altro pezzo dell’ex repubblica sovietica. Si tratterebbe, in altre parole, di lasciare carta bianca al Cremlino.Visione strategicaPer Kiev, l’imperativo è far capire a Trump che sostenere l’Ucraina è nello stesso interesse di Washington. Da un lato, perché qualunque soluzione temporanea al conflitto che sia troppo vantaggiosa per la Russia rischia di trasmettere a Mosca il messaggio che, alla fine, l’ha avuta vinta e che quindi può ritentarci quando vuole. Che poi è quello che è successo quando, dieci anni fa, non ci sono state grosse conseguenze per l’annessione unilaterale della Crimea e lo stazionamento di truppe in Donbass, due violazioni della sovranità ucraina che hanno posto le basi per la guerra su larga scala del 2022.Dall’altro perché, se parti dell’Ucraina cadranno definitivamente in mano alla Russia, l’Europa e gli Stati Uniti perderanno l’accesso alle risorse naturali del Paese aggredito, nonché agli asset militari che Kiev ha sviluppato in due anni e mezzo di guerra e che potrebbero essere utilizzati per la sicurezza del Vecchio continente in sinergia con le forze Nato.È questo, in fin dei conti, il senso del “piano per la vittoria” che Zelensky ha presentato ai leader dei Ventisette il mese scorso: al netto della richiesta di far entrare l’Ucraina nell’Alleanza, il presidente ha messo nero su bianco quello che il suo Paese può offrire in cambio dell’aiuto internazionale. Per far passare il messaggio che l’investimento occidentale è strategico, a lungo termine, e che cedere a Putin ora significherebbe compromettere la sicurezza dell’Europa intera.Nel frattempo, l’Ue cerca di correre ai ripari come può. Proprio oggi (8 novembre) il Consiglio ha esteso di altri due anni – fino al novembre 2026 – il mandato della sua missione di assistenza militare all’Ucraina (Eumam Ukraine), dotandola di un budget da circa 409 milioni di euro. Un messaggio simbolico di sostegno a Kiev, ma poco più che noccioline se si considera l’entità delle spese che deve sostenere la resistenza. Allo stato attuale, difficilmente i Ventisette sarebbero in grado di mantenere a galla l’Ucraina da soli nel caso in cui dovessero realmente venire meno gli aiuti dall’altro lato dell’Atlantico.

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    Ue e Corea del Sud siglano un accordo sulla difesa. E Borrell chiede a Seoul di intensificare il supporto all’Ucraina

    Bruxelles – Dopo l’uscita allo scoperto della Corea del Nord sul supporto a Mosca, Bruxelles chiede a Seoul un salto di qualità nel supporto all’Ucraina. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, si è recato nella penisola e ha inaugurato il primo dialogo strategico Ue-Corea del Sud. Facendo leva sulle tensioni storiche – e in crescita – tra Pyongyang e Seoul, Borrell ha incoraggiato il partner sud-est asiatico a “intensificare” il proprio sostegno alla resistenza di Kiev.Insieme al ministro degli Esteri della Corea del Sud, Cho Tae-yul, Borrell ha annunciato il Partenariato per la sicurezza e la difesa tra l’Ue e la Repubblica di Corea, una sorta di quadro politico che individua le coordinate per una cooperazione rafforzata tra Bruxelles e Seoul in settori chiave quali la sicurezza marittima e la difesa spaziale, le questioni informatiche, il contrasto alle minacce ibride, alla manipolazione dell’informazione e all’interferenza straniera, la lotta al terrorismo, la formazione e l’istruzione, la non proliferazione nucleare e il disarmo.Josep Borrell Fontelles e Cho Tae-Yul a Seoul, 4/11/24Le tempistiche scelte per siglare il partenariato non sono una mera coincidenza: in una dichiarazione congiunta, Borrell e l’omologo coreano hanno condannato “con la massima fermezza i continui trasferimenti illegali di armi” dalla Corea del Nord alla Russia e “il dispiegamento di forze speciali in Russia, a sostegno della guerra di aggressione illegale in Ucraina”. La cooperazione tra Kim Jong-un e Vladimir Putin “non solo è una flagrante violazione di molteplici risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, ma “minaccia la sicurezza del mondo, compresa quella della Repubblica di Corea e dell’Europa”, sottolineano Borrell e Cho Tae-yul.Proprio oggi (4 novembre) il Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell’Ucraina ha riferito dei primi scontri a fuoco tra le forze di Kiev e le truppe nordcoreane nella regione russa di Kursk. Dal punto di vista di Seoul, i dieci mila soldati di Pyongyang al fronte a fianco dei russi significano soprattutto qualcosa in cambio da parte di Mosca: “Stiamo monitorando attentamente ciò che la Russia fornisce alla Rpdc in cambio della fornitura di armi e personale militare, compresa la possibile fornitura di materiali e tecnologie a sostegno degli obiettivi militari di Pyongyang“, prosegue la dichiarazione congiunta. “Profonda preoccupazione” in particolare per  “l’eventualità di un trasferimento di tecnologia nucleare o legata ai missili balistici”. Il do ut des tra i due autocrati non fa altro che alimentare l’aggressività del regime di Kim Jong-un, come dimostrato dal test missilistico balistico della scorsa settimana, il più potente mai condotto dal Paese. Nelle parole del leader coreano, “un’azione militare appropriata che soddisfa pienamente lo scopo di informare i rivali della nostra capacità di contrattaccare”. Un notiziario sudcoreano dà la notizia del lancio di un missile balistico da parte di Pyongyang (Photo by JUNG YEON-JE / AFP)In un bilaterale con il ministro della Difesa della Corea del Sud, Kim Yong Hyun, Borrell ha paragonato la “minaccia esistenziale” russa contro l’Ucraina al rapporto tra le due Coree: “La Repubblica di Corea è nella posizione migliore per capirlo”, ha dichiarato il capo della diplomazia Ue. Già la scorsa settimana, durante la visita del presidente polacco Andrzej Duda a Seoul, il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol si era impegnato a rispondere al coinvolgimento della Corea del Nord in Ucraina, anche fornendo potenzialmente armi a Kiev.“Se la Corea del Nord invia forze speciali nella guerra in Ucraina come parte della cooperazione tra Russia e Corea del Nord, noi sosterremo l’Ucraina per gradi e rivedremo e implementeremo le misure necessarie per la sicurezza nella penisola coreana”, aveva dichiarato. Finora, la Corea del Sud ha fornito a Kiev aiuti umanitari, e contribuito solo indirettamente all’assistenza militare, attraverso la fornitura di armi a diversi Paesi membri dell’Ue e della Nato.

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    La pro europea Maia Sandu ha vinto al secondo turno le presidenziali in Moldova

    Bruxelles – L’esito finale delle presidenziali moldave regala un sospiro di sollievo alle cancellerie occidentali, con la conferma del capo dello Stato uscente, l’europeista Maia Sandu, per altri quattro anni. Dopo il primo turno dello scorso 20 ottobre, gli elettori hanno premiato nel ballottaggio la presidente della Repubblica in carica, che vuole blindare il percorso di Chisinau verso l’Ue. Secondo le autorità, il voto è stato inquinato per l’ennesima volta dalle interferenze di Mosca. Di sicuro, per l’ennesima volta, c’è che Sandu è stata “salvata” dalla diaspora, mentre in patria avrebbe vinto lo sfidante filorusso.I numeri della sfidaA scrutinio quasi completato (99,86 per cento dei seggi) il quadro che emerge dalle presidenziali moldave di ieri (3 novembre) è chiaro: la presidente uscente Maia Sandu ha vinto il secondo turno con il 55,41 per cento dei consensi, staccando di oltre dieci punti l’ex procuratore generale filorusso Alexandr Stoianoglo, fermo al 44,59 per cento. Il capo dello Stato ha commentato così il responso delle urne: “Moldova, oggi sei vincitrice. Insieme, abbiamo dimostrato la forza della nostra unità, democrazia e impegno per un futuro dignitoso”.Moldova, today you are victorious. Together, we’ve shown the strength of our unity, democracy, and commitment to a dignified future.Thank you, dear Moldovans, at home and abroad. Walk with pride—you are freedom, hope, and resilience. I am proud to serve you all. pic.twitter.com/yGGlrjAMEC— Maia Sandu (@sandumaiamd) November 3, 2024I dati aggregati non restituiscono pienamente la dinamica del voto. Per farsi un’idea più completa occorre considerare la provenienza geografica dei consensi espressi. Nei 1988 collegi in cui è divisa la Moldova, Stoianoglo ha sorpassato Sandu di oltre due punti (51,19 a 48,81 per cento), mentre la presidente in carica ha stravinto il voto dall’estero: con 228 su 231 collegi scrutinati, Sandu si è portata a casa l’82,77 per cento delle preferenze degli expat moldavi, mentre Stoianoglo è rimasto inchiodato al 17,23 per cento. Nella capitale Chisinau, il vantaggio di Sandu sullo sfidante è di una quindicina di punti: 57,38 contro 42,62 per cento.Gioco sporco?Fino alla chiusura delle urne, il ballottaggio si annunciava particolarmente combattuto e il suo esito difficile da prevedere. Sandu, un’ex economista della Banca mondiale candidatasi come indipendente di area del Partito di azione e solidarietà (Pas), la forza di governo liberale ed europeista, aveva ottenuto il 42,5 per cento al primo turno, mentre Stoianoglo si era attestato al 26,5 per cento. Ma quest’ultimo, appoggiato dal Partito dei socialisti (Psrm), filo-russo, aveva ricevuto l’endorsement di diversi altri candidati sconfitti il 20 ottobre.Un altro ostacolo alla riconferma di Sandu, almeno stando alle dichiarazioni delle autorità moldave e della stessa presidente, è stata poi l’ennesima campagna di interferenza orchestrata dalla Russia di Vladimir Putin, che avrebbe preso di mira il processo democratico del Paese balcanico tramite fake news, disinformazione, propaganda e varie forme di coercizione degli elettori, inclusa la minaccia di attacchi ai seggi all’estero. Il segretario di Stato per la sicurezza, Stanislav Secrieru, ha denunciato il trasporto coatto di centinaia di elettori moldavi da parte russa, mentre il premier Dorin Recean ha affermato che diversi cittadini hanno ricevuto “minacce di morte anonime tramite chiamate telefoniche”.Sandu ha parlato di “attacchi senza precedenti” mossi da “forze ostili fuori dal Paese”, e ha accusato lo sfidante (che lei stessa aveva destituito dall’incarico di procuratore generale l’anno scorso) di essere un “cavallo di Troia” putiniano. Stoianoglo ha contrattaccato dipingendosi come l’uomo del dialogo sia con l’Occidente che con la Russia e imputando al capo dello Stato una retorica “divisiva” in un Paese in cui, affianco alla maggioranza romena, abita una nutrita comunità russofona.La partita geopoliticaL’esito del voto è fondamentale per la collocazione internazionale della Moldova e potrebbe anticipare le dinamiche che caratterizzeranno le prossime elezioni legislative, che si terranno entro la prima metà del 2025. Con la riconferma della presidente in carica per un altro mandato di quattro anni, il piccolo Paese balcanico parrebbe essersi ancorato più saldamente nel campo occidentale, ma non è ancora detto che il Pas (al potere dal 2021) riesca a mantenere il controllo del governo il prossimo anno.La stessa Sandu ha dichiarato che l’ingresso nel club europeo sarà l’imperativo strategico più importante della politica estera di Chisinau e che si augura di centrare l’obiettivo entro la fine del decennio. “Entrare nell’Unione europea è il piano Marshall della Moldova”, ha dichiarato, riferendosi al piano di investimenti monstre con cui gli Stati Uniti hanno sostenuto la ricostruzione dell’Europa occidentale nel secondo dopoguerra. Bruxelles ha recentemente adottato un pacchetto di finanziamenti da quasi 2 miliardi di euro per assistere Chisinau nel suo percorso verso l’Ue.L’alternativa, per la piccola repubblica balcanica, è il ritorno nell’orbita del Cremlino. La Moldova è uno degli Stati che costituiscono il cosiddetto spazio post-sovietico: una “cintura” di Paesi che secondo molti analisti Putin vorrebbe mantenere sottoposti alla Federazione Russa al fine di creare una zona cuscinetto in funzione anti-Nato, e che cerca di trattenere tramite interventi più o meno diretti, militari e ibridi. Oltre alle interferenze nei processi elettorali moldavi, Mosca mantiene da decenni delle truppe nella regione separatista della Transnistria, un lembo di terra moldava al confine con l’Ucraina.Bruxelles festeggia SanduEcco perché a Bruxelles la vittoria di Sandu è stata salutata con particolare sollievo. “Ci congratuliamo con le autorità moldave per il successo delle elezioni, nonostante le interferenze senza precedenti della Russia, anche con schemi di compravendita di voti e disinformazione”, si è complimentato l’Alto rappresentante per la politica estera comunitaria Josep Borrell, che ha denunciato i “tentativi ibridi” del Cremlino “di minare le istituzioni democratiche del Paese e il suo percorso nell’Ue”.Lo stesso giorno in cui si è tenuto il primo turno delle presidenziali, i moldavi avevano anche votato in un referendum che li interrogava sull’eventualità di introdurre in Costituzione l’obiettivo di aderire all’Ue. Sandu aveva convocato la consultazione popolare sperando in un plebiscito a favore del “sì”, ma alla fine il fronte europeista ha vinto sul filo del rasoio, sempre grazie al voto della diaspora e della capitale. Anche in quell’occasione erano state denunciate forti ingerenze di Mosca, facilitate da schemi di frodi elettorali ricondotti dagli inquirenti all’oligarca filorusso Ilan Shor.La domanda di adesione moldava risale al marzo 2022 e lo status di candidato è arrivato lo scorso dicembre. A giugno di quest’anno si è tenuta la prima conferenza intergovernativa Ue-Moldova, con cui sono stati formalmente avviati i negoziati per l’ingresso in Ue.

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    Allargamento Ue 3/ Quando Mosca è troppo vicina: gli ostacoli all’adesione di Georgia, Serbia e Turchia

    Bruxelles – Tra i Paesi candidati ad entrare in Unione europea, tre sembrano al momento piuttosto lontani. Si tratta di Georgia, Serbia e Turchia. Ognuno di loro presenta varie criticità su diversi livelli, ma un elemento che accomuna Tbilisi, Belgrado e Ankara è lo scollamento da Bruxelles su un punto fondamentale: la politica estera e di sicurezza. Che, a partire dall’aggressione dell’Ucraina di due anni e mezzo fa, comprende l’imperativo di non allinearsi alla Russia di Vladimir Putin.La Serbia, tallone d’Achille dei BalcaniTra i sei Paesi candidati della regione balcanica, la Serbia (che ha avanzato la sua domanda di adesione nel 2012) è decisamente la più problematica dal punto di vista del disallineamento rispetto alle priorità strategiche della politica estera comunitaria. Nella sua relazione annuale sul progresso del processo di adesione (chiamata anche “pacchetto sull’allargamento“), presentata mercoledì (30 ottobre) dall’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell e dal commissario all’Allargamento e al vicinato Olivér Várhelyi, si legge che “il ritmo dei negoziati” per l’ingresso di Belgrado nel club europeo “continuerà a dipendere dalle riforme sullo Stato di diritto e dalla normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo”.Per quanto riguarda il primo punto, le riforme su cui il Paese balcanico deve concentrare i propri sforzi hanno a che fare soprattutto con la libertà della società civile e dei media e la lotta contro la disinformazione e le interferenze dall’estero. Tradotto: va ridotta l’esposizione alle campagne ibride del Cremlino, che fanno presa in questo Stato più che negli altri della regione.Ma è soprattutto sul difficile rapporto con il Kosovo che si stanno giocando le prospettive europee della Serbia. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina (proclamata unilateralmente nel 2008 e riconosciuta da oltre metà degli Stati membri dell’Onu), e il dialogo tra le due nazioni – facilitato dall’Ue – non sta compiendo progressi significativi. Il che è un eufemismo, considerati i momenti di crisi acuta negli ultimi tempi (ad esempio la disputa sulle targhe albanesi sfociata poi nell’episodio di sangue presso il monastero di Banjska nel settembre 2023). Del resto, il governo serbo guidato da Miloš Vučević ha ribadito che intende continuare sulla linea del non-riconoscimento di quella che considera una parte del territorio nazionale.A preoccupare Bruxelles è parallelamente anche la vicinanza di Belgrado a Mosca, un altro problema dell’esecutivo di Vučević (ma anche di quelli precedenti), di cui fanno parte due politici sanzionati dagli Stati Uniti per il loro legame alla Russia di Vladimir Putin: l’ex capo dell’intelligence Aleksandar Vulin e l’imprenditore Nenand Popović. L’esecutivo comunitario sottolinea che la Serbia “non è ancora allineata alle misure restrittive” adottate dall’Ue “contro la Federazione Russa” e altri Paesi come Bielorussia, Corea del Nord e Iran e “non si è allineata alla maggior parte delle dichiarazioni dell’Alto rappresentante” rivolte al Cremlino. Oltre a ciò, continua il rapporto, Belgrado “ha mantenuto relazioni di alto livello” con Mosca e “intensificato” quelle con Pechino, “sollevando dubbi circa la direzione strategica della Serbia”.La Georgia, un Paese in bilicoUn altro Stato candidato che sta pericolosamente pendendo verso Mosca è la Georgia. Nonostante la sua popolazione sia fortemente filo-occidentale, il governo – dal 2012 saldamente nelle mani di Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – ha assunto nel corso dell’ultimo anno posizioni sempre più marcatamente filorusse, forzando peraltro l’approvazione parlamentare di due provvedimenti liberticidi (una legge sugli “agenti stranieri” e una sulla famiglia che discrimina i membri della comunità Lgbtq+) modellati sull’esempio di analoghe norme russe, che sono costati a Tbilisi il congelamento del percorso di avvicinamento all’Ue (avviato nel 2022) e la sospensione dell’erogazione dei fondi comunitari.La situazione non è affatto migliorata con l’ultima tornata elettorale dello scorso sabato (26 ottobre), durante la quale gli osservatori locali e internazionali hanno denunciato una lunga serie di irregolarità e violazioni e che le opposizioni si sono impegnate a non riconoscere, rifiutandosi di insediarsi nel nuovo Parlamento. Secondo la presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, le elezioni sono state “rubate” ai georgiani da “un’operazione dei servizi segreti russi” e anche a Bruxelles si teme che l’esito del voto possa spingere il piccolo Stato caucasico verso l’orbita di Mosca in maniera irrimediabile.Secondo l’analisi della Commissione europea, “il tasso di allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Ue rimane considerevolmente basso”, anche se Tbilisi ha “cooperato con l’Ue per prevenire la circonvenzione delle sanzioni” comminate alla Federazione Russa. Una cooperazione che potrebbe venir meno nell’immediato futuro.Il limbo eterno della TurchiaRimangono decisamente esigue anche le speranze della Turchia di entrare in Ue: il Paese anatolico ha fatto domanda di adesione nel lontano 1999 ma, per una lunga serie di motivi, non ha mai avuto una prospettiva concreta di far parte del club a dodici stelle e ora la sua pratica è bloccata dal 2018. Tra i maggiori ostacoli ci sono la questione cipriota, le dispute con la Grecia per il controllo di alcuni tratti di mare (e dei sottostanti giacimenti di idrocarburi) nel Mediterraneo orientale, il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali (inclusi quelli delle minoranze e delle donne) e, pure in questo caso, il disallineamento in politica estera tra Ankara e Bruxelles.Sotto la presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia si è mossa con relativa disinvoltura (i critici direbbero con spregiudicatezza) sulla scena internazionale, instaurando un rapporto ambivalente con la Russia di Putin. Su alcuni fronti di crisi, come quello siriano, i due leader si sono trovati su posizioni opposte, ma i due Paesi sono in realtà strettamente legati da una crescente relazione che investe il piano politico (Ankara starebbe ambendo ad entrare nei Brics, che l’uomo forte di Mosca definisce l’alternativa globale all’Occidente), strategico (dall’Africa all’Ucraina passando per il Caucaso), economico (con uno scambio commerciale in continuo aumento) ed energetico (la Turchia sembra puntare a diventare l’hub per far entrare il gas russo in Europa nell’epoca in cui le sanzioni impediscono agli Stati Ue di rifornirsi direttamente dalla Federazione).L’esecutivo comunitario ribadisce che Ankara “si è rifiutata di allinearsi alle misure restrittive dell’Ue contro la Russia riguardo all’aggressione russa dell’Ucraina”, e suggerisce che la Turchia dovrebbe impegnarsi maggiormente per ridurre la circonvenzione delle sanzioni dei beni diretti verso la Federazione impedendo il “falso transito” di articoli particolarmente sensibili attraverso il proprio territorio. La repubblica anatolica dovrebbe inoltre “cooperare più attivamente con le autorità inquirenti dell’Ue sui casi di falsificazione dell’origine dei beni sanzionati provenienti dalla Russia che entrano illegalmente nel mercato unico” dei Ventisette. Nelle parole di Borrell, l’allineamento tra la politica estera comunitaria e quella turca è “particolarmente basso e in diminuzione”.

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    La Russia e l’Ucraina starebbero trattando per sospendere gli attacchi reciproci sulle infrastrutture energetiche

    Bruxelles – Per ora sono solo indiscrezioni giornalistiche, ma pare che i negoziatori russi e ucraini stiano avviando dei colloqui, mediati dal Qatar, per giungere ad un accordo che metta le rispettive infrastrutture energetiche al riparo dagli attacchi militari.La notizia è stata data stamattina dal Financial Times e rimbalzata da diversi altri organi d’informazione, e cita fonti anonime (alcune delle quali qualificate come “alti funzionari ucraini”). Secondo il FT, Kiev starebbe tentando di riprendere i negoziati sulla protezione delle infrastrutture energetiche già avviati negli scorsi mesi sotto la mediazione del Qatar. Tali colloqui erano sembrati sul punto di portare ad un accordo con Mosca, poi sfumato in agosto quando l’esercito ucraino ha lanciato la sua incursione a sorpresa oltre il confine russo nell’oblast’ di Kursk.Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha rifiutato di confermare ufficialmente la notizia, sostenendo che ci sono in circolazione molte fake news che “non hanno nulla a che fare con la realtà”, persino sui media tradizionalmente più affidabili. D’altro canto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha segnalato che l’esito dei colloqui sulla protezione delle infrastrutture critiche segnalerà la reale disponibilità del suo omologo Vladimir Putin di sedersi al tavolo negoziale per trattare i termini di una cessazione del conflitto (o perlomeno di una tregua). Che tale discussione, se mai occorrerà, possa partire dal “piano per la vittoria” presentato dal leader ucraino all’ultimo Consiglio europeo rimane tuttavia dubbio.Dopo due anni e mezzo di guerra, la maggior parte della rete energetica ucraina è gravemente danneggiata, distrutta o sotto occupazione dell’esercito invasore, e nelle scorse settimane sono ripresi i pesanti bombardamenti di Mosca contro le infrastrutture del Paese aggredito. Per far fronte alle crescenti difficoltà di Kiev di produrre energia per mantenere in piedi la propria economia e riscaldare i propri abitanti, il mese scorso Bruxelles ha annunciato un pacchetto finanziario del valore di 160 milioni di euro per riparare la rete energetica ucraina (ricostruendo circa 2,5 Gw di capacità elettrica), connetterla a quella dell’Ue (esportando altri 2 Gw di energia) e stabilizzare il flusso di energia che circola attraverso il Paese.Pur se con mezzi e risultati molto diversi, anche l’Ucraina ha cercato di colpire le infrastrutture energetiche del nemico. Gli attacchi, portati avanti principalmente con droni, razzi e missili (anziché con i bombardieri, come fa invece Mosca), hanno danneggiato diversi impianti, centrali, depositi e strutture russe (anche nella Crimea occupata), ma non sono arrivati a mettere in seria difficoltà l’approvvigionamento energetico della Federazione.I punti più critici delle infrastrutture energetiche di entrambi i belligeranti sono gli impianti nucleari. La centrale di Zaporizhzhia, la più grande non solo dell’Ucraina ma dell’intero continente, è caduta nelle mani dei russi nel marzo 2022 e da allora i due eserciti non hanno mai smesso di addossarsi a vicenda la responsabilità degli attacchi che ne mettono a repentaglio le strutture e, con esse, la sicurezza dell’intera regione. Da quando, lo scorso agosto, è partita l’operazione di Kiev nella regione di Kursk, i timori sono cresciuti anche per la centrale russa di Kurchatov.