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    La grande sfida cinese adombra il vertice dei leader, l’Ue teme alleanze con Mosca

    Bruxelles – Non ufficialmente in agenda ma comunque presente, nei pensieri, nelle dichiarazioni di rito, nei ragionamenti informali. Uno dei grandi elefanti nella stanza dei leader dell’Ue è la Cina, filo rosso di un Consiglio europeo dove il confronto sull’Ucraina e la competitività industriale del Vecchio continente passano per le trame del dragone. Che sono trame economiche, politiche, commerciali, di riposizionamento sullo scacchiere internazionale. Chi non ci gira troppo attorno è Krisjanis Karins. “La Cina in questo momento si sta sicuramente muovendo apertamente dalla parte della Russia, e questa è in realtà una grande sfida e una grande difficoltà per tutti noi”, riconosce il primo ministro della Lituania. Per storia del Paese che rappresenta legge le attività di Pechino in chiave russa, e teme per ciò che potrebbe derivare da una siffatta alleanza.

    . @krisjaniskarins 🇱🇻 “We need to think hard on what kind of ties we want with #China . China is moving towards the side of Russia, and this is a big challenge for us”. #EUCO @eunewsit pic.twitter.com/L4KvOBFOKx
    — emanuele bonini (@emanuelebonini) March 23, 2023

    Non c’è solo la mancata condanna della Cina all’aggressione russa dell’Ucraina a inquietare gli europei. L’incontro tra i leader della Repubblica popolare e della Federazione russa è fonte di inquietudine, e persino un Paese come il Lussemburgo, neutrale per tradizione, non può fare a meno di riconoscerlo. “Dobbiamo impedire un blocco russo-cinese contro gli altri”, dice un preoccupato Xavier Bettel. Che rilancia il riarmo dell’Europa. “Siamo neutrali, non abbiamo produzione di armamenti, ma ritengono importante accrescere quella europea”, soprattutto in ottica di un’eventuale alleanza tra due Paesi da apparati militari di grandi dimensioni ed entrambi potenze nucleari.
    L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, prova a rassicurare per quello che può. Gli chiedono se Pechino possa dare una mano a Mosca, e la risposta non è di quelle che più rassicuranti. “La Cina non sta aiutando la Russia per il momento”. Per il momento. Che non vuol dire che non possa verificarsi in futuro.
    Un avvertimento che il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è sentito in dovere di dare a tutti i capi di Stato e di governo del club a dodici di stelle. Nell’incontro a porte chiuse, riferiscono fonti qualificate, avrebbe raccomandato cautela. Isolare la Cina non gioverebbe. Al contrario, potrebbe rappresentare un rischio troppo forte. Questo il messaggio lanciato all’Ue dal capo dell’Onu. Andrebbe sfruttata quella attitudine positiva e al dialogo che ancora viene manifestata dal Paese asiatico, partner comunque non dei più comodi.
    Nessuno nell’Ue ha interessa a isolare la Cina, anche per ragioni economiche e commerciali. Ma occorre trovare il giusto equilibrio. Occorre saper non concedere troppo, né subire eccessivamente. “La Cina è un partner, ma anche un concorrente”, ricorda Bettel. Non si vuole la concorrenza sleale che si è vista fin qui, si vogliono uguali regole del gioco.
    Allo stesso tempo si deve giocare una partita di posizionamento nel mondo senza rimettere troppo in discussione il peso globale di Pechino in modo tale da inimicarsi il Paese. “Molti discutono di importazioni dalla Cina, ma a ben vedere le materie prime non arrivano dalla Cina ma da tutto il mondo”, ricorda il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Ma in quei quadranti del mondo dove l’Ue ha preso ad essere più attiva (Asia per il gas naturale liquefatto, Africa per le materie critiche utili alla transizione verde) i cinesi sono già presenti da tempo.
    In questo rompicapo rappresentato dalla difficoltà di trovare le giuste relazioni con la Cina l’Ue ha anche l’interesse a non compromettere i legami con gli Stati Uniti, che nell’ascesa cinese vedono un minaccia per la supremazia geo-politica. L’Europa si ritrova tra le due potenze a dover mediare senza infastidire eccessivamente nessuna delle due parte. La sfida nella grande sfida. Se nella stanza dei leader c’è chi teme per possibili alleanze sino-russe, altri, come il primo ministro portoghese Antonio Costa si preoccupano per divisioni. “Vogliamo un’alleanza globale per pace e diritto internazionale, e non un mondo frammentato tra Cina e Stati Uniti”.

    La questione di un blocco sino-russo inquieta diversi capi di Stato e di governo. Tema non in agenda, eppure molto presente. Dalle Nazioni Unite l’invito a non isolare Pechino

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    Borrell: “Esercitazione militare Sudafrica-Cina-Russia grave preoccupazione”

    Bruxelles – Alleanze militari e geopolitiche, l’Ue guarda con preoccupazione le scelte del Sudafrica e la presenza di Russia e Cina nel quadrante africano. La decisione del governo di Pretoria di tenere esercitazioni militari congiunte non è passata inosservata a Bruxelles. L’operazione Mosi, che vede esercitazioni navali congiunte tra le tre diverse forze armate, viene considerata come “simulazione di guerra” in Parlamento Ue ed è fonte di inquietudine in Commissione europea. “Sebbene queste esercitazioni non rappresentino una minaccia diretta alla sicurezza europea, lo svolgimento di esercitazioni militari navali con Russia e Cina nell’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina è motivo di grave preoccupazione“, riconosce l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell.
    L’operazione Mosi è stata condotta per la prima volta nel 2019, a largo delle coste di Città del Capo. Un momento comunque carico di tensioni tra oriente e occidente per via della questione della Crimea. La seconda edizione di questa cooperazione, tenuta a febbraio di quest’anno, si colloca però in uno scenario internazionale completamente diverso, contraddistinto dalla guerra russo-ucraina e due Paesi, Cina e Sudafrica, che non hanno mai pubblicamente condannato l’aggressione del Cremlino. Sono gli stessi Paesi a essersi astenuti sul voto in sede Onu per la pace giusta in Ucraina.
    L’Unione europea non può fare molto al riguardo. “Il Sudafrica – ricorda Borrell  – come tutti gli altri Paesi, ha il diritto di perseguire la politica estera secondo i propri interessi”. In quanto nazione indipendente e sovrana resta libera di fare le scelte che ritiene più opportune. Per questo motivo “l’Ue non chiede al Sudafrica di schierarsi” tra oriente e occidente: “Ciò che l’Ue chiede al Sudafrica è di schierarsi dalla parte dei principi e dei valori della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale“.
    C’è anche un altro aspetto che emerge della considerazioni dell’Alto rappresentante su scelte e manovre sudafricane: un cambio di rotta chiaro nelle scelte di cooperazione militare. Per quanto riguarda le esercitazioni in mare, “in passato il Sudafrica le condotte anche con Stati membri dell’Ue”. Si prende atto dunque di un cambio di alleanze che non viene accolto con particolare favore.
    Gli Stati Uniti hanno visto questa seconda edizione di Mosi come un atto contrario alle politiche dell’occidente. Un aspetto, questo, sottolineato anche dall‘Atlantic Council, il think-tank statunitense con sede a Washington D.C. che promuove l’atlantismo e serve da centro studi di sostegno alla politica. “Le relazioni amichevoli e di routine del Sudafrica sono antitetiche agli obiettivi dell’Occidente di isolare, scoraggiare e sconfiggere la Russia“, sottolineano gli esperti del think-tank. Che avvertono: “In un ambiente diplomatico sempre più polarizzato, il non allineamento può sembrare di fatto un allineamento con la Russia“.
    Il Sudafrica è una delle principali potenze militari del continente africano per capacità marittima. Dispone di una flotta navale mista composta da fregate, sottomarini, unità d’attacco veloci, cacciamine, incrociatori e pattugliatori.

    L’Alto rappresentante si esprime sulla seconda edizione della missione Mosi. “Pretoria rispetti carta Onu e diritto internazionale”

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    Russia e Cina non firmano, il G20 in India si conclude senza dichiarazione congiunta

    Bruxelles – Nessuna dichiarazione congiunta al termine del G20 in scena a Nuova Delhi. Che la Russia si opponesse alla richiesta di “ritiro completo e incondizionato dal territorio dell’Ucraina” era scontato, ma l’attenzione era tutta sulla scelta di Pechino: le parole del ministro degli Esteri Qin Gang, che nel suo intervento aveva dichiarato che la Cina “starà sempre dalla parte della pace, promuoverà attivamente i colloqui di pace ed è disposta a svolgere un ruolo costruttivo”, avevano fatto sperare che il gigante asiatico potesse schierarsi per la condanna alla Russia. Ma alla fine, anche la Cina si è rifiutata di firmare la dichiarazione congiunta.
    Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e in primo piano il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov (credits: Olivier Douliery / Pool / Afp)
    “Sulla questione che riguardava il conflitto in Ucraina ci sono state divergenze, differenze che non siamo riusciti a conciliare tra le varie parti”, ha confermato il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, padrone di casa al vertice. L’India, che solo una settimana fa si era astenuta dal voto nella risoluzione Onu di condanna al Cremlino, al G20 si è unita all’appello per il ritiro delle truppe russe. In sostituzione alla mancata dichiarazione congiunta, un meno ambizioso documento in 24 punti redatto da Jaishankar, su cui, salvo i due paragrafi riguardanti l’Ucraina, i Paesi hanno trovato un accordo unanime. “L’Unione Europea ha contribuito fino alla fine per avere un documento condiviso“, ha assicurato con un tweet l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, salutando con favore i 24 punti finali.
    Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, avrebbe accusato l’Occidente di sacrificare le questioni “che dovrebbero essere al centro dell’agenda del G20 per le sue ambizioni in Ucraina”. Lavrov che, a margine del summit, ha avuto per la prima volta dall’inizio della guerra un breve incontro con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Messa da parte la bagarre sulla guerra in Ucraina, i temi chiave affrontati a Nuova Delhi sono stati sicurezza energetica e alimentare e lotta al cambiamento climatico. I ministri degli Esteri dei 20 Paesi più industrializzati hanno ribadito l’impegno per promuovere “la disponibilità, accessibilità, convenienza, sostenibilità, equità e flusso trasparente di cibo e prodotti agricoli” nel mondo e “l’accesso universale all’energia”, accelerando la transizione verso fonti energetiche rinnovabili e pulite. Nei 24 punti, spazio anche ai rischi per la salute globale, alla lotta al terrorismo e al raggiungimento della parità di genere.

    The Indian presidency of the @g20org rightly recalls that we have one world, one family and one future. To deliver successfully, we need to work together.
    EU has contributed until the end to have a #G20 agreed document. We welcome the Chair’s Summary. https://t.co/9kOhNjy2Sm
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 2, 2023

    Mosca e Pechino hanno rifiutato di firmare il documento in cui si chiedeva il “ritiro completo e incondizionato” delle truppe russe dall’Ucraina. Alla fine del summit il ministro degli Esteri del Cremlino, Sergei Lavrov, ha incontrato il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken

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    Le aziende del Belgio non lasciano la Russia: ce ne sono ancora 240

    Bruxelles – Solo una dozzina di aziende belghe hanno lasciato la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Nel marzo 2022, c’erano circa 240 aziende belghe con una o più filiali in Russia, e oggi, questo numero non è quasi cambiato.
    Come reazione all’ aggressione russa, molte aziende internazionali hanno deciso di lasciare quel mercato, mentre altre continuano a fare affari come sempre. Le tasse pagate da queste aziende concorrono a permettere al governo russo di finanziare la guerra in Ucraina.
    Quasi un anno fa, il produttore di birra AB InBev ha annunciato che si sarebbe ritirato dalla Russia. Non l’ha ancora fatto. Per quasi un anno, AB InBev ha negoziato con Efes la sua uscita dalla joint venture, ma senza successo. Anche il produttore di vetro AGC Europe e il produttore di porte e finestre Deceuninck affermano di essere in procinto di uscire, ma sono ancora lì, sottolonea l’agenzia di stampa Belga.
    Non tutte le aziende sono convinte della necessità della loro uscita. Il produttore di silicone Soudal rientra nella categoria di quelle che prendono tempo, così come il panettiere La Lorraine e il produttore di fili d’acciaio Bekaert. Il produttore di pannolini Ontex e l’azienda alimentare Puratos non hanno nemmeno intenzione di partire. Continueranno a operare in Russia, motivando la loro decisione con il fatto che forniscono prodotti essenziali.
    Questo tipo di decisioni non sono apprezzate dalla comunità internazionale. Recentemente l’azienda olandese Heineken è stata sommersa da reazioni negative, in quanto è emerso che il produttore di birra ha lanciato non meno di 61 nuovi prodotti sul mercato russo l’anno scorso, mentre aveva appena promesso di smettere di investire lì a causa della guerra in Ucraina.
    Il Belgio fa resistenze anche alle sanzioni sui diamanti russi.  Ad oggi i non sono inseriti nell’elenco dei beni oggetto dei dieci pacchetti di sanzioni europee verso Mosca, soprattutto a causa delle resistenze belghe. Anversa, la capitale delle Fiandre, è il principale punto di arrivo dei diamanti in Europa, inclusi quelli dalla Russia, che nel 2021 ammontavano a circa un quarto del totale.

    Alcune dicono di volerlo fare ma di non esserci riuscite per motivi societari. Altre non hanno intenzione di lasciare il mercato. Anversa riesce a tenere fuori i diamanti anche dal decimo pacchetto di sanzioni contro Mosca

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    L’Ue approva il decimo pacchetto di sanzioni alla Russia ma l’accordo arriva in extremis

    Bruxelles – Un accordo sul filo di lana per non venire meno alla promessa di approvare il decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia nella data simbolica del 24 febbraio. A due ore dalla mezzanotte, dopo trattative dell’ultimo minuto, gli ambasciatori dei 27 Stati membri hanno raggiunto ieri un accordo sul decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, nel giorno del primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. “Insieme, gli Stati membri dell’Ue hanno imposto le sanzioni più forti e di vasta portata mai viste per aiutare l’Ucraina a vincere la guerra”, ha annunciato la presidenza della Svezia alla guida dell’Ue su Twitter. “L’Ue è unita all’Ucraina e al popolo ucraino. Continueremo a sostenere l’Ucraina finché sarà necessario”.

    Together, the EU Member States have imposed the most forceful and far-reaching sanctions ever to help Ukraine win the war.
    The EU stands united with Ukraine and the Ukrainian people. We will keep supporting Ukraine, for as long as it takes.
    (3/3)
    — Swedish Presidency of the Council of the EU (@sweden2023eu) February 24, 2023

    Tra le altre cose, le sanzioni proposte prevedono nuovi divieti commerciali su componenti di macchinari, pezzi di ricambio per camion e motori che possono essere diretti alle forze armate della Russia e restrizioni all’esportazione di 47 componenti elettronici utilizzati nei sistemi armati russi, come droni, missili, elicotteri, ma anche tecnologie a duplice uso presenti sui campi di battaglia. Il valore del blocco delle esportazioni, secondo von der Leyen, è di circa 11 miliardi di euro. Per la prima volta Bruxelles colpisce anche la macchina della propaganda russa, elencando i propagandisti di Putin così come altri comandanti militari e politici nella lista nera Ue ed estende le sue sanzioni prendendo di mira sette entità connesse alle Guardie rivoluzionarie iraniane, l’organizzazione paramilitare che secondo Bruxelles fornisce armi a Mosca.
    Nonostante un sostanziale accordo tra 26 Paesi Ue raggiunto già a inizio settimana, il pacchetto è rimasto in stallo al Consiglio Ue per circa due giorni, bloccato dal veto della Polonia che si è detta contraria ad ammorbidire le restrizioni sulle importazioni di gomma sintetica russa. Per le sanzioni è necessaria l’approvazione all’unanimità in seno al Consiglio. Secondo Varsavia, le restrizioni proposte sulle importazioni di gomma russa prevedevano talmente tante esenzioni e periodi di transizione così lunghi che non avrebbero alcun effetto in pratica.
    Dopo aver sospeso i lavori della riunione tra gli ambasciatori convocata per ieri mattina, la presidenza di Stoccolma ha portato avanti nel pomeriggio colloqui bilaterali con i Paesi per riuscire a trovare un accordo sulle misure. A quanto si apprende, in cambio del via libera, la Polonia avrebbe ottenuto un impegno (pur non vincolante) dalla presidenza su una serie di questioni, come portare avanti il lavoro per sanzionare i diamanti e report della Commissione sulla gomma sintetica con la promessa di una eventuale rimodulazione delle sanzioni sulle relative importazioni. La presidenza ha lanciato la procedura scritta di approvazione del pacchetto con scadenza questa mattina, se non ci saranno obiezioni le sanzioni saranno formalmente pubblicate in Gazzetta. L’accordo politico è stato raggiunto entro la scadenza simbolica della mezzanotte del 24 febbraio, ma secondo molti il ritardo complessivo accumulato ha impedito all’Unione europea di confermare un impegno simbolico nei tempri previsti dalla giornata.

    Intesa sul filo di lana sulle nuove sanzioni con il via libera della Polonia che ottiene in cambio l’impegno (non vincolante) della presidenza Ue di una eventuale rimodulazione delle sanzioni sulle importazioni di gomma sintetica

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    L’Ue studia il documento della Cina sulla soluzione politica alla crisi ucraina: “Non è piano di pace, ma principi politici”

    Bruxelles – L’Unione Europea è pronta a supportare “qualsiasi sforzo di mediazione e piano di pace genuino e significativo” per mettere fine a all’invasione russa dell’Ucraina che proprio oggi (24 febbraio) arriva al primo anno dal suo inizio. Ma il documento in 12 punti che arriva da Pechino sulla Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina è considerato “selettivo e insufficiente” dalla Commissione Europea, soprattutto per il fatto che “non prende in considerazione chi è l’aggressore e chi è la vittima” nel contesto di guerra.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (24 febbraio 2023)
    A spiegare nel dettaglio la visione dell’esecutivo comunitario sul cosiddetto piano di pace della Cina – pubblicato questa mattina dal ministero degli Esteri cinese – è la portavoce responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, facendo riferimento alle parole della numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Il documento della Cina non è un piano di pace, ma sono principi politici, e bisogna considerarlo alla luce del contesto generale”, ha commentato con cautela la presidente in conferenza stampa a Tallinn (Estonia). “Non possiamo dimenticare che prima dell’invasione dell’Ucraina Pechino ha firmato un partenariato senza limiti con Mosca“, ha continuato von der Leyen, con riferimento all’intesa tra i due Paesi del 4 febbraio dello scorso anno: “Considereremo i principi presentati dalla Cina, ma nel quadro generale” dei rapporti internazionali.
    Parlando con la stampa europea, la portavoce dell’esecutivo Ue ha fornito ulteriori dettagli sulla posizione del Berlaymont. “Si tratta di una posizione politica che prende in considerazione solo alcuni aspetti della Carta delle Nazioni Unite” e che “si basa su un focus errato sui cosiddetti interessi legittimi di sicurezza e preoccupazioni delle parti coinvolte“, con implicazioni su una presunta “giustificazione” della guerra di aggressione. Secondo il copione dell’ultimo anno, Bruxelles continua a fare pressioni sulla Cina perché “si impegni a premere sulla Russia per mettere fine agli attacchi e rispettare i confini internazionalmente riconosciuti” dell’Ucraina, è quanto ribadito dalla portavoce Massrali, parlando di una “pace giusta basata interamente sulla Carta delle Nazioni Unite, compresa l’integrità territoriale e il diritto all’autodifesa” e biasimando Pechino per l’astensione sulla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di ieri (23 febbraio), che ha rinnovato il monito alla Russia di ritirare il suo esercito dal territorio ucraino.
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    Sempre a Tallinn anche il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, si è esposto sul documento cinese, con più durezza rispetto alla presidente della Commissione Ue: “Pechino non ha molta credibilità perché non ha mai condannato l’invasione russa e prima della guerra ha firmato il partenariato senza limiti con Mosca”. Stoltenberg ha poi ribadito quanto già affermato martedì (21 febbraio) in risposta al discorso alla nazione di Vladimir Putin: “Quello che vediamo in Ucraina non è una preparazione alla pace, ma a una nuova offensiva russa” e anche se la prospettiva rimane quella di “finire prima o poi questa guerra ai tavoli dei negoziati”, questo dipende da “ciò che succederà sul campo di battaglia”.
    In altre parole, “l’unico modo per creare le condizioni perché Putin capisca che non può vincere sul campo di battaglia e si sieda al tavolo dei negoziati accettando l’Ucraina come nazione indipendente e sovrana” è un ulteriore “supporto militare a Kiev ora” da parte della comunità internazionale. Tornando alla Cina, il segretario generale della Nato ha precisato che “non vediamo nessun segno di invio di armamenti leggeri a Mosca, ma ci sono indicazioni che potrebbe considerarlo“. Di qui l’avvertimento a Pechino di “non farlo, perché significherebbe un supporto alla guerra di aggressione e una violazione della Carta delle Nazioni Unite”. In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, “la Cina ha un compito speciale per proteggerla”, ha sottolineato con forza Stoltenberg.

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    Tra crisi energetica e rischio recessione, un anno di guerra in Ucraina

    Bruxelles – Il primo colpo, il primo sparo, e l’inizio di un periodo fatto non solo di aggressione, morti e distruzione, ma pure di crisi delle materie prime, shock energetici, rischio di una crisi alimentare mondiale, inflazione a doppia cifra, rincaro dei generi alimentari. 24 febbraio 2022–24 febbraio 2023, un anno di guerra russo-ucraina che ha ridisegnato anche l’agenda europea per la sostenibilità. Da un punto di vista a dodici stelle l’ha fatto imprimendo un’accelerazione verso la realizzazione di una vera green-economy, ma innescando all’interno della stessa unione un dibattito tutto nuovo sul nucleare tradizionale considerato come necessità, in tempi di corsa alla ricerca di alternative al gas per decenni pompato da Gazprom. Un dibattito che non ha lasciato indifferente l’Italia, dove il cambio di governo avvenuto a settembre ha visto riproporre la questione dell’energia prodotta da atomo. La Lega di Matteo Salvini torna a insistere su questo punto.
    Le sfide nella sfida. L’Unione europea che ha saputo varare nove pacchetti di sanzioni contro la Russia, in questo anno di attività militare su suolo ucraino ha dovuto cercare soprattutto di trovare un’unità non scontata. Perché sull’energia i 27 modelli economici, interconnessi ma non identici, sono andati in difficoltà. Eppure in nome dell’obiettivo di privare le casse di Mosca di risorse utili al finanziamento della guerra la Germania ha saputo liberarsi dei gasdotti NordStream e Nordstream 2, l’Ue ha prima messo una moratoria al carbone russo, poi al petrolio, quindi trovato il meccanismo per calmierare i listini del gas naturale. Una richiesta posta sul tavolo da Mario Draghi, ai tempi in cui sedeva a palazzo Chigi, e che ha richiesto mesi prima di una realizzazione pratica e condivisa. Adesso scatterà automatica un ‘price cap’ di fronte a due condizioni contemporaneamente: quando il prezzo della risorsa sul mercato olandese TTF supera i 180 euro per Megawattora per 3 giorni lavorativi e quando il prezzo TTF mensile è superiore di 35 euro rispetto al prezzo di riferimento del GNL sui mercati globali per gli stessi tre giorni lavorativi.
    E’ questo uno dei successi dell’Ue, non immediato né semplice. Ma doveroso. Perché l’aumento dei prezzi dell’energia ha trainato l’inflazione, rendendo complicata la vita di famiglie e imprese, e facendo paventare rischi di una nuova recessione per l’Eurozona. Rischi scongiurati, ma solo alla fine del 2022, quando la contrazione data per scontata non si è materializzata. Merito della sospensione delle regole europee di finanza pubblica e dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato che hanno permesso di contrastare il caro-bollette. Merito anche di un accordo trovato grazie alle mediazione della Turchia che ha permesso la partenza delle navi cariche di grano ferme nel porto di Odessa.
    Uno dei mantra ripetuti è quello per cui la guerra innescata il 24 febbraio di un anno fa offre l’opportunità di accelerare la transizione verde, e il passaggio ad un’economia davvero a prova di surriscaldamento del pianeta. In questo non semplice esercizio l’Italia può giocare un ruolo da protagonista. La sostituzione del gas naturale con quello liquefatto (Gnl) rimette in moto i cantieri, crea occupazione, e può permettere al Paese di diventare il terzo hub dell’Ue per capacità. Qui, la sfida nella sfida è fare presto e bene. Presto e bene è anche la condizione numero uno per l’attuazione dei piani di ripresa, divenuti centrali per la Commissione Ue e anche per l’insieme degli Stati riuniti in Consiglio. Con l’Europa a caccia di materie prime necessarie per realizzare pannelli fotovoltaici, batterie elettriche, turbine eoliche, e alla ricerca di fornitori più affidabili di energia, si ridisegna anche la cartina geopolitica, con l’Italia anche qui protagonista. Da Draghi a Meloni il governo ha iniziato a scrivere una nuova pagina di relazioni con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Fondamentali, in tempi in cui gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere massicciamente la propria industria tecnologica pulita.
    La Casa Bianca produce l’Inflation Reduction Act, piano da circa 369 miliardi di dollari per rispondere all’aumento generalizzato dei prezzi. Sovvenzioni e sgravi fiscali per rilanciare l’industria, quella al centro dell’agenda dell’Ue, che sulla scia delle conseguenze della guerra vede anche lo spettro della concorrenza del partner transatlantico, e i dubbi che non sia leale. Non si vuole lo scontro, ma l’Ue si trova comunque a dover correre e rispondere in un contesto che resta di incertezza e instabilità.
    Vale anche per il piano ambientale. L’occupazione delle centrale nucleare di Zaporizhzhia, con combattimenti tutt’attorno tiene col fiato sospeso non solo l’Unione europea, per i rischi di incidenti dalle conseguenze irreparabili per natura e salute. I pacchetti di sanzioni dell’Ue includono personalità ritenute responsabili anche di questo atto. Il blocco dei Ventisette vorrebbe annunciare il decimo pacchetto di misure restrittive nelle prossime ore, per ragioni simboliche: un anno dall’inizio della guerra.
    In un anno che ha scompaginato agende e logiche, si è assistito anche all’accelerazione dei processi di allargamento, quello Ue da una parte e quello Nato dall’altro. Ucraina e Moldova hanno visto ricevere lo status di candidati all’adesione all’Unione europea, con le stesse prospettive concesse alla Georgia. Mentre Finlandia e Svezia hanno sfatato il tabù della neutralità per iniziare il percorso di adesione all’Alleanza atlantica.

    Messa al bando per carbone e petrolio, l’impegno per la ricostruzione, azzerato il sistema bancario. Dieci pacchetti di sanzioni e molto di più. Un anno di conflitto in pillole

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    Ue, Nato e Ucraina rispondono al discorso alla nazione di Putin: “Prepara nuova offensiva, ma nessuno attacca Russia”

    Bruxelles – La risposta è netta, come da copione. “Non vediamo nessun segnale di apertura di Putin alla pace, oggi ha dimostrato che si prepara solo a una nuova offensiva con un ammassamento di truppe al confine e rivolgendosi a Corea del Nord e Iran”, è l’attacco del segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, in un punto stampa con il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Una controffensiva verbale alle quasi due ore di discorso alla nazione da parte dell’autocrate russo, Vladimir Putin, in cui ha rimarcato la sua visione delle cause e delle motivazioni di un anno di guerra in Ucraina (che ovviamente per il Cremlino rimane sempre “un’operazione militare speciale”).
    Da sinistra: il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 febbraio)
    Per la prima volta riuniti in un formato a tre Ue-Nato-Ucraina, a Bruxelles Borrell, Stoltenberg e Kuleba hanno discusso di fornitura e produzione di armi a sostegno della difesa armata di Kiev. Ma l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata principalmente sulla reazione alle accuse di Putin sul fantomatico progetto dell’Occidente (da leggere come Stati Uniti) di invadere la Russia sfruttando l’assist della guerra in Ucraina. “Un anno fa è iniziata la sua guerra a un vicino pacifico, ma è chiaro che nessuno sta attaccando la Russia, è l’Ucraina la vittima“, ha incalzato Stoltenberg, rifacendosi al passaggio in cui l’autocrate russo ha parlato di “pericolo esistenziale” per il Paese.
    Chi affronta davvero un pericolo esistenziale è piuttosto l’Ucraina, da un anno sotto le bombe del Cremlino. “La situazione è dura, con bombardamenti sui civili”, ha ricordato l’alto rappresentante Borrell, rimarcando con forza che Putin “non sta certo andando nella direzione di un cessate il fuoco che stiamo chiedendo da tempo“. Riprendendo le parole di ieri (20 febbraio) a proposito della visita a sorpresa a Kiev del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, Borrell ha esortato i partner internazionali a “fare in modo che lo Stato di diritto prevalga sullo Stato della guerra e della violenza”, accusando l’autocrate russo per aver deciso la sospensione dell’applicazione del Trattato sulla riduzione delle armi nucleari (Start): “La Russia è una potenza nucleare e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma continua a violarne i principi”. Anche il segretario generale della Nato Stoltenberg si è soffermato su questo punto, esortando il Cremlino a “riconsiderare questa decisione”.
    Nella “guerra di logoramento e logistica” in Ucraina – per cui a Kiev “hanno bisogno che diamo loro tutto ciò che possa permettere loro di vincere”, ha ricordato Stoltenberg – cresce la preoccupazione per il ruolo di Pechino: “Temiamo che la Cina possa fornire armamenti leggeri alla Russia“, ha confessato il segretario generale della Nato. Ma l’alto rappresentante Ue ha cercato di frenare gli allarmismi: “Dobbiamo restare vigili, ma non ci sono prove” che il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, possa avergli mentito nel corso della conversazione telefonica in cui sono state fornite “rassicurazioni” a riguardo.
    I deliri di Putin sulla guerra in Ucraina
    Il discorso alla nazione di Vladimir Putin a Mosca, 21 febbraio 2023 (credits: Dmitry Astakhov / Sputnik /Afp)
    Il discorso alla nazione di Putin andato in scena questa mattina (21 febbraio) a Mosca era atteso per possibili annunci roboanti capaci di rendere ancora più instabile la situazione sul fronte di guerra. Le parole dell’autocrate russo sono invece sembrate molto meno minacciose di quelle pronunciate il 30 settembre dello scorso anno in occasione dell’annessione illegale delle quattro regioni occupate in Ucraina – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Il succo delle quasi due ore di discorso è una riproposizione della solita propaganda sul presunto neonazismo del governo ucraino che avrebbe minacciato i russofili del Donbass, condita con un pizzico di vittimismo per le “crude bugie” dell’Occidente, mentre Mosca sarebbe stata impegnata dal 2014 al “dialogo e vie pacifiche”.
    La visione di Putin è tutta uno strenuo arroccarsi su una finta posizione di auto-difesa, quando è l’esercito russo ad aver violato la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina. Quello che si può rilevare sul piano pratico per i prossimi mesi è un prosieguo della guerra, senza nessun tipo di apertura a negoziati di pace da parte di Mosca: “Più armi a lungo raggio arriveranno a Kiev, più lontano dovremo portare l’operazione speciale per la sicurezza dei nostri confini“, è la minaccia più dura di Putin. Il resto del discorso è una pseudo-analisi della situazione interna in Russia – la cui economia secondo l’autocrate non sarebbe ormai in ginocchio – e un attacco agli Stati Uniti per i “miliardi e miliardi di dollari all’Ucraina”. In nessun passaggio del discorso di Putin qualche indizio o atteggiamento che suggerisca la consapevolezza dell’autocrate russo di avere le spalle coperte da Pechino. È qui che si gioca davvero il futuro della guerra in Ucraina.

    Riuniti in un nuovo formato a tre, l’alto rappresentante Borrell, il segretario generale Stoltenberg e il ministro degli Esteri Kuleba hanno replicato alle accuse dell’autocrate russo sulle cause della guerra e sulle intenzioni dell’Occidente di invadere il Paese sfruttando Kiev