More stories

  • in

    L’Ue concluderà un accordo di libero scambio con l’Indonesia entro settembre

    Bruxelles – Incapace di fare la voce grossa nel braccio di ferro sui dazi commerciali con Donald Trump, l’Unione europea ha individuato due strade per non uscirne con le ossa rotte: da un lato l’approfondimento del mercato unico da un lato, dall’altro la ricerca spasmodica di nuove partnership commerciali. In America Latina e nei Caraibi, in Asia Centrale e in Australia, Bruxelles cerca di tessere una tela di accordi di libero scambio. Ieri (13 luglio) un nuovo tassello: l’obiettivo è finalizzare entro settembre un accordo di partenariato economico globale con l’Indonesia.L’hanno annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Repubblica d’Indonesia, Prabowo Subianto. I negoziati erano in corso da 10 anni, ma la guerra commerciale globale scatenata da Trump ne ha imposto una decisa accelerazione. Se l’Ue rischia dazi del 30 per cento a partire dal primo agosto, all’Indonesia non è andata meglio: nella ‘letterina’ arrivata da Washington, all’arcipelago del sud-est asiatico sono stati annunciate tariffe del 32 per cento.Prabowo Subianto e Ursula von der Leyen a Bruxelles, 13/07/25“In tempi di sfide globali come questi, i partner devono stringere i loro legami”, ha sottolineato von der Leyen a margine dell’accordo politico raggiunto con Subianto. II Cepa (Accordo di partenariato economico globale) promuoverà il commercio e gli investimenti tra Bruxelles e Giacarta e sosterrà la cooperazione sulle materie prime critiche, estratte in gran quantità nelle isole vulcaniche della Repubblica d’Indonesia. “L’accordo aprirà nuovi mercati e creerà migliori opportunità per le nostre imprese. Contribuirà inoltre a rafforzare le catene di approvvigionamento di materie prime essenziali, fondamentali per l’industria europea delle tecnologie pulite e dell’acciaio“, ha affermato la leader Ue.Per il presidente indonesiano l’accordo “non riguarda solo il commercio, ma anche l’equità, il rispetto e la costruzione di un futuro forte insieme”. L’Indonesia, con un Pil di 1.200 miliardi di euro, è divenuta rapidamente una delle maggiori economie globali, oltre ad essere la terza democrazia più grande al mondo e il quarto Paese per popolazione. Un gigante della regione, che rappresenta più di un terzo del Pil dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean). Ma se l’Ue è il quinto partner commerciale per l’Indonesia in termini di scambio di beni e servizi, viceversa Giacarta è solo al 33esimo posto nella classifica di Bruxelles. L’anno scorso, l’Ue ha esportato beni per 9,7 miliardi di euro in Indonesia, importando invece per un totale di 17,5 miliardi di euro.L’Indonesia e il nodo deforestazioneDa Giacarta arrivano soprattutto prodotti agricoli e materie prime. Olio di palma, caffè, cacao, ma anche carbone, stagno, gomma. Prodotti che arrivano dalle foreste pluviali del Borneo, di Sumatra, di Sulawesi: quel che non dice von der Leyen è che l’Indonesia ha un tasso di deforestazione tra i più alti al mondo, in aumento costante negli ultimi anni. Dal 1990, il Paese ha perso circa il 25 per cento delle sue foreste secolari e secondo l’ong Global Forest Watch, dal 2001 al 2024 il 76 per cento della perdita di copertura arborea è legata ad attività di deforestazione. La distruzione delle foreste è dovuta appunto principalmente all’attività mineraria, alla produzione di olio di palma e al commercio di legname.L’Indonesia non è tuttavia stata inserita nella lista dei Paesi ad alto rischio di deforestazione, stilata da Bruxelles come previsto dal regolamento Eudr sulla deforestazione importata. Nell’elenco ci sono solo Russia, Bielorussia, Corea del Nord e Myanmar. Nei loro confronti l’Ue rafforzerà, a partire dal 30 dicembre 2025, i controlli alle importazioni di prodotti come carne bovina, cacao, caffè, olio di palma, gomma, soia e legno.

  • in

    Lange: L’Europa negozia, ma l’imprevedibilità di Trump sta danneggiando l’intero pianeta

    Strasburgo – Il presidente del comitato per il commercio internazionale del Parlamento europeo, Bernd Lange, in una conferenza stampa al Parlamento europeo, ha riferito lo stato delle trattative dell’Ue con l’America di Donald Trump.In un turbine di grande confusione il presidente americano ha annunciato tra l’altro nuovi dazi del 50 percento sul rame e starebbe valutando ulteriori dazi del 200 percento sui prodotti farmaceutici.Intanto a partire dal primo agosto, prenderanno efficacia i dazi fra il 25 ed il 40 percento per i Paesi considerati non collaborativi dal tycoon, come il Giappone.Lange nella mattinata di oggi (9 luglio) ha tuttavia espresso la prontezza dell’Europa, affermando che i negoziati continueranno a svolgersi e che sono attualmente in valutazione diverse soluzioni per far fronte alle politiche commerciali di Washington e che “stiamo provando a trovare un punto d’incontro con Trump”.Il presidente del comitato si è anche mostrato piuttosto scettico riguardo i dazi su prodotti farmaceutici del 200 percento, sottolineando che i maggiori partner commerciali dell’Unione Europea nell’ambito farmaceutico sono proprio gli Stati Uniti, che assorbono circa il 38,2 percento dell’export, rendendosi clienti dell’Ue per 119 miliardi, e che in tal caso l’Europa, se necessario, adotterebbe una politica ferma e decisa, istituendo una maggiore tassazione a sua volta.Tuttavia Lange conclude sottolineando il gran numero di incognite ancora presenti nei rapporti con la Casa Bianca, e rispondendo alle domande dei presenti, ammette come “la imprevedibilità e la inaffidabilità degli Usa stanno danneggiando l’intero pianeta, e sono inaccettabili”.

  • in

    La Bce: “Con la Cina nel Wto meno democrazia nel mondo in nome del commercio, ma l’Ue ha le sue colpe”

    Bruxelles – L’ingresso della Cina nell’organizzazione mondiale per il commercio (Wto) ha segnato un arretramento del livello democratico dei partner commerciali dell’Ue. Questo sostiene la Banca centrale europea, in un’analisi pubblicata sul blog della Bce, che rappresenta un attacco frontale alla Repubblica popolare e al suo modello politico.Commercio e libero scambio fanno bene all’economia e al quieto vivere, permettendo rapporti cordiali e prosperità. Questo il credo dietro l’azione dell’Unione europea, a cui ora però, la Bce ‘fa le pulci’. Il risultato è che con il libero scambio senza ‘se’ e senza ‘ma’ è che a rimetterci sono valori, principi e diritti. In sostanza, col troppo libero commercio a rimetterci è la democrazia.La questione di fondo è la seguente: perché il profilo democratico dei partner commerciali europei è diminuito negli ultimi 25 anni? Per la Bce “è possibile che questo sviluppo sia interamente dovuto alla Cina“. Come viene messo in risalto, dopo aver trascorso decenni al di fuori del sistema commerciale internazionale, nel 2001 la Cina è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. “Dato il punteggio molto basso della Cina” nell’indice commerciale ponderato per la democrazia, “è possibile che il deterioramento osservato nel profilo democratico delle importazioni dell’Ue sia interamente dovuto al commercio dell’UE con questo partner molto influente“, afferma la Bce.I presidenti di Cina e Russia, Xi Jinping e Vladimir Putin, tra i generali durante la parata miliare a Mosca per le celebrazioni della grande vittoria [foto: imagoeconomica]C’è però un problema di fondo che riguarda un più generale deterioramento globale e scelte proprie dell’Unione europea, quella di non isolare governi autoritari e illiberali. “Commerciare con i dittatori equivale a generare profitti per regimi che spesso hanno un’esplicita agenda espansionistica e militarista“, rileva l’analisi della Bce. Decidere di non chiudere le porte a determinati soggetti produce “l’aumento del rischio geopolitico ha implicazioni per tutti gli aspetti dell’ordine economico globale”. Nella lista degli aspetti figurano la politica monetaria, la stabilità finanziaria e i flussi di capitali internazionali, “soprattutto per un’economia aperta come quella europea”. In definitiva, che si tratti della Turchia dell’anti-democratico Erdogan, dell’Israele guidato da un Benjamin Netanyahu accusato di crimini contro l’umanità e o della Russia di Putin, cambia poco: “Questo può potenzialmente diventare una sfida esistenziale per l’Ue”.La Cina può aver giocato un ruolo, ma per l’Ue la sfida “più ovvia” in materia di contratti e accordi commerciali “riguarda la sua reputazione di unione economica e politica basata sui valori”. In tal senso, rileva ancora la Bce, “il declino della qualità della governance democratica del suo partner commerciale medio dal 1999 può essere percepito come incoerente con gli obiettivi di politica commerciale sostenibile dell’Ue, volti al rispetto dei diritti democratici, umani e sociali”. Considerando che negli ultimi 25 anni l’Unione “ha commerciato sempre più con autocrati e dittatori”, questo aspetto “non può essere rivendicato con successo dall’Ue”.

  • in

    Ue e Canada, i partner traditi da Trump. Von der Leyen: “Gli amici veri si riconoscono nei momenti difficili”

    Bruxelles – Se Washington si allontana, Bruxelles e Ottawa si avvicinano in maniera uguale e contraria. Travolte dalla guerra commerciale trumpiana e dal disimpegno – se non proprio dalle minacce – americano dalla sicurezza collettiva, i due partner transatlantici hanno celebrato ieri (23 giugno) il ventesimo vertice Ue-Canada. “Gli amici veri si riconoscono nei momenti difficili”, è il messaggio che Ursula von der Leyen ha dedicato al primo ministro canadese, Mark Carney. E, di traverso, all’amico irriconoscibile, Donald Trump.Nella dichiarazione congiunta del vertice, i leader di Ue e Canada hanno ribadito la partnership politica, economica e strategica che li lega sempre di più. I passaggi più densi di significato quelli sull’impegno a favore del multilateralismo e dell’ordine internazionale basato sul diritto, sul sostegno all’Ucraina, sulla sicurezza economica ed il commercio. “Molto più di una semplice pietra miliare simbolica – ha affermato il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa -, è una dichiarazione politica forte”. Che sottolinea che “l’Unione europea e il Canada sono tra i più stretti alleati nello spazio transatlantico”.Sulla scia di quelli già firmati con Regno Unito, Norvegia, Moldavia, Corea del Sud, Giappone, Albania e Macedonia del Nord, Bruxelles ha siglato con Ottawa un nuovo partenariato in materia di sicurezza e difesa (SDP), puntellando ulteriormente l’architettura difensiva necessaria in caso di progressivo disimpegno statunitense. Il partenariato approfondirà la cooperazione in diversi settori, tra cui la gestione delle crisi, l’industria della difesa, le minacce ibride e la mobilità militare. “Avvieremo ora rapidamente i colloqui sull’accesso del Canada al nostro strumento comune di appalti militari, SAFE”, ha annunciato von der Leyen durante la conferenza stampa. La firma di un partenariato SDP è infatti requisito per l’accesso di Paesi terzi al nuovo fondo Ue da 150 miliardi per gli appalti congiunti per la difesa.Ursula von der Leyen alla conferenza stampa a margine del summit Ue-CanadaPer strutturare un vero coordinamento in materia di difesa, il Canada invierà un rappresentante per la difesa a Bruxelles. Von der Leyen, Costa e Carney, che oggi sono partiti alla volta dell’Aia per il summit dell’Alleanza Atlantica, hanno ribadito che la Nato “rimane la pietra angolare della loro difesa collettiva“.Il partenariato sulla difesa è un ulteriore tassello del rapporto Ue-Canada, che si aggiunge a quello sulle materie prime e al Ceta, l’accordo economico e commerciale globale firmato ormai nove anni fa. “Una storia di successo condivisa”, ha sottolineato von der Leyen, forte dei numeri diffusi la scorsa settimana dalla Commissione europea, che dimostrano come gli scambi commerciali tra le due sponde dell’Atlantico siano aumentati del 71 per cento dall’inizio dell’applicazione dell’accordo commerciale che ha portato “il 98 per cento delle nostre linee tariffarie a zero”. Un messaggio congiunto rivolto a Washington, in vista della scadenza della sospensione delle tariffe reciproche imposte da Trump al resto del mondo, fissata per il 9 luglio. Né l’Unione europea né il Canada hanno ancora trovato un accordo con la Casa Bianca.

  • in

    Lagarde spinge l’integrazione economica dell’Ucraina: “Rafforza il Paese e l’Europa”

    Bruxelles – “Legami più stretti con i Paesi limitrofi dell’Europa possono costituire una solida base affinché l’Ucraina possa ricostruirsi e uscirne rafforzata”. Tradotto: integrazione economica di Kiev nell’Ue, in attesa di un processo politico che può richiedere anni. La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, traccia per i leader dell’Ue quella che secondo lei è la rotta da seguire nel delicato percorso di inclusione dell’Ucraina. Lo fa proprio dalla capitale ucraina, dove la Banca centrale del Paese organizza la conferenza sull’integrazione economica e finanziaria.C’è chi frena, nell’Ue, su un ingresso dell’Ucraina nel club a dodici stelle. E’ soprattutto l’Ungheria di Viktor Orban a far mancare l’unanimità necessaria, per ragioni pratiche: l’Ucraina, in questo momento, è un Paese in guerra e, sostiene il governo di Budapest, far entrare un Paese in guerra senza che questa sia finita vorrebbe portare il conflitto nell’Ue e trascinare l’Ue nel conflitto. Inoltre le frontiere ucraine, che in prospettiva sarebbero frontiere esterne dell’Unione europea, non sono definite. Insomma, non si può.Lagarde però offre argomentazioni utili a un’integrazione economica. “In media, i Paesi che hanno aderito all’Ue nel 2004 hanno quasi raddoppiato il loro Pil pro capite negli ultimi due decenni”, ricorda la presidente della Bce a proposito degli Stati dell’est Europa, quelle ‘ex satelliti’ dell’Unione sovietica. “Tra il 2004 e il 2019, i nuovi Stati membri dell’Ue hanno visto il loro Pil pro capite crescere del 32 per cento in più rispetto a paesi non Ue comparabili”. Insomma, l’Ucraina può crescere, facendo crescere l’Europa.La presidente della BCE, Christine Lagarde [archivio]Da un punto di vista commerciale, “il partner più importante d’Europa è l’Europa stessa: circa il 65 per cento delle esportazioni dell’area dell’euro va ad altri paesi europei, tra cui Regno Unito, Svizzera e Norvegia”. Alla luce di questo dato ha ancor più senso rafforzare i legami con l’Ucraina, tanto più che “l’aumento degli scambi all’interno della nostra regione può aiutare a compensare le perdite nei mercati globali“, sottolinea ancora Lagarde in riferimento alle scelte statunitensi in termini di dazi e la decisione cinese di imporre restrizioni al proprio export di materie prime.Sempre guardando all’attualità, con un’Europa desiderosa di rilanciare la propria industria della difesa in nome di accresciute esigenze di sicurezza, non va dimenticata “l’industria dei droni dell’Ucraina, che è diventata una delle più avanzate nella regione“. I droni, tecnologie su cui la stessa Europa peraltro spinge, sottolinea ancora Lagarde, “non sono solo una componente fondamentale della guerra moderna, ma anche una tecnologia con effetti sostanziali di ricaduta e applicazioni a duplice uso di vasta portata”. In breve, “sia per gli attuali membri dell’Ue sia per i paesi vicini come l’Ucraina, l’integrazione regionale rappresenta sia una via verso la prosperità sia un’ancora strategica in un mondo sempre più frammentato”.Lo slancio di Lagarde ben si coniuga con quelle che sono non solo le intenzioni ma le azioni della Commissione europea che, attraverso il libro bianco sulla difesa, che Eunews ha interamente tradotto in italiano, ha avviato di fatto l’integrazione dell’Ucraina nel mercato unico dell’industria della difesa. Certo, ammonisce la presidente della Bce, Kiev dovrò fare la propria parte, che vuol dire riforme. “I vantaggi dell’integrazione non sono né automatici né permanenti. Mantenerli dipende da una riforma continua”. in questo percorso, ribadisce, “le riforme devono anche apportare miglioramenti tangibili alla vita delle persone, e farlo in modo relativamente rapido”.

  • in

    Ue e Regno Unito trovano l’intesa post-Brexit su Gibilterra

    Bruxelles – Niente più controlli di terra, cooperazione tra forze di polizia, regole sui visti per chi non è residente in rispetto dell’area Schengen e delle regole di libera circolazione: Spagna e Regno Unito trovano l’intesa su Gibilterra, eliminando così gli ultimi aspetti della Brexit rimasti in sospeso. L’intesa è stata raggiunta in occasione dell’incontro tra le parti a Bruxelles (il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares e il ministro degli Esteri britannico David Lammy, insieme al primo ministro di Gibilterra Fabian Picardo, con la mediazione del commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič).Niente più controlli alle frontiere di terraUno dei punti principali dell’accordo politico riguarda la libera circolazione delle persone e delle merci. C’è l’impegno di garantirlo per la frontiera terrestre, per tutti i flussi in entrata e uscita tra Spagna e Gibilterra. Si stima che ogni giorno circa 15mila persona attraversino la frontiera terrestre ispano-britannica di Gibilterra, tra cui migliaia di transfrontalieri, lavoratori che vivono in Spagna ma che svolgono la professione oltre confine.“Con questo accordo, la barriera scomparirà”, enfatizza il ministro spagnolo Albares. “È l’ultimo muro sull’Europa continentale” che viene rimosso, aggiunge. I controlli si applicheranno al porto e in aeroporto, e saranno doppi: per l’Ue saranno effettuati dalla Spagna, mentre per il Regno Unito, le verifiche saranno condotte dalle autorità di Gibilterra come avviene attualmente. Gibraltar’s economy and way of life was under threat.We have secured a practical solution which safeguards sovereignty, jobs and growth.Working in lockstep with @FabianPicardo we have ensured Gibraltar’s interests – as part of the UK family – are at the heart of this… https://t.co/efngUyhQ2X— David Lammy (@DavidLammy) June 11, 2025Regno Unito, un piede in Schengen e uno nell’unione doganaleL’intesa politica non incide in alcun modo sulla sovranità britannica sulla rocca, punto centrale che per Londra rappresenta un elemento indispensabile per il futuro. Gibilterra è e resta del Regno Unito, ma per i cittadini di Sua Maestà non residenti a Gibilterra che vi arrivano saranno applicate le norme di Schengen: ciò significa che potrebbero essere respinti dagli agenti di polizia di frontiera spagnola, con sede presso il porto e l’aeroporto di Gibilterra, se hanno già trascorso 90 giorni nell’area Schengen su un periodo di 180 giorni. Un elemento, questo, che potrebbe non essere gradito ai conservatori britannici. La presenza e l’autorità della corona spagnola nel porto e nell’aeroporto gibilterriani, britannici, possono essere considerati come una riduzione della sovranità britannica.José Manuel Albares Bueno e Maroš Šefcovic, 11/06/25Inoltre, per quanto riguarda le merci, sul possedimento britannico sulle ‘colonne d’Ercole’ c’è l’intesa per una tassazione indiretta da applicare a Gibilterra, anche sul tabacco, che eviterà distorsioni e contribuirà alla prosperità dell’intera regione. E’ questo un ingresso del territorio britannico nell’unione doganale. Il ministro degli Esteri britannico, Lammy, parla di vittoria: “Abbiamo ottenuto una soluzione pratica che salvaguarda la sovranità, l’occupazione e la crescita”.Per Sefcovic l’intesa scrive “un nuovo capitolo nelle relazioni tra Ue e Regno Unito”. Ora servirà tempo per tradurre tutto questo nei testi giuridici, ma per il commissario europeo quanto deciso “è una pietra miliare davvero storica per l’Unione Europea, inclusa la Spagna, così come per il Regno Unito”.

  • in

    I dazi di Trump sono illegali: una Corte federale Usa blocca l’arma commerciale di Washington

    Bruxelles – Una sentenza storica emessa dalla Corte del commercio internazionale degli Stati Uniti ha dichiarato illegittima l’imposizione dei dazi generalizzati annunciata da Donald Trump nel ‘Liberation Day’, lo scorso 2 aprile. Un colpo di scena clamoroso, che mette un freno alla linea aggressiva del presidente in materia di politica commerciale e che rimescola le carte nella complessa partita delle negoziazioni che i partner commerciali di Washington – Unione europea compresa – stanno portando avanti con la nuova amministrazione americana.La decisione, giunta ieri sera (28 maggio) da un collegio di tre giudici presso la sede della corte a New York, arriva a seguito di numerosi ricorsi presentati da imprese e stati americani, che accusano il tycoon di aver abusato dei propri poteri presidenziali. Al centro della contesa, l’uso dell’International emergency economic powers act (Ieepa), una legge nata per gestire minacce “inusuali e straordinarie” in tempi di emergenza nazionale, che secondo la corte non può essere utilizzata per introdurre dazi su scala globale. La corte ha dichiarato che gli ordini tariffari di Trump “superano qualsiasi autorità conferita al presidente in materia di regolamentazione dell’importazione tramite dazi”.Nella sentenza si sottolinea come i giudici non abbiano espresso alcun giudizio sull’opportunità o efficacia delle misure tariffarie in sé, ma piuttosto abbiano rilevato la loro incompatibilità con l’attuale quadro normativo. “L’uso dei dazi è inammissibile non perché è inefficace o poco saggio, ma perché la legge federale non lo consente”, si legge nella motivazione.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)La sentenza mette in discussione uno degli strumenti chiave del trumpismo economico: l’utilizzo di dazi punitivi per esercitare pressione su partner commerciali, rilocalizzare la produzione e ridurre il deficit commerciale statunitense, che ammonta a oltre 1.200 miliardi di dollari. Secondo la corte, il presidente non può aggirare il Congresso giustificando tali misure con la semplice esistenza di un disavanzo commerciale, che non costituisce di per sé un’emergenza nazionale. Il pronunciamento giudiziario invalida immediatamente tutti gli ordini tariffari emessi tramite l’Ieepa. Trump, dunque, sarà costretto a revocare i provvedimenti e, eventualmente, emettere nuovi ordini che riflettano l’ingiunzione permanente, entro dieci giorni. Va precisato che la decisione non si applica ai dazi settoriali del 25 per cento su auto, componenti, acciaio e alluminio, imposti da Trump all’Ue precedentemente e già in vigore.I mercati finanziari hanno accolto con entusiasmo la notizia. Il dollaro ha registrato un’impennata, guadagnando terreno su euro, yen e franco svizzero. In Europa, le principali borse hanno chiuso in rialzo: il Dax di Francoforte è salito dello 0,9 per cento, il Cac 40 di Parigi dell’ 1 per cento, il Ftse 100 di Londra ha guadagnato lo 0,1 per cento mentre il Ftse Mib di Milano si attesta a +0,3 per cento. I mercati asiatici hanno condiviso la scia positiva, mentre i futures a Wall Street indicano un’apertura in forte rialzo.Nonostante ciò, la Casa Bianca ha reagito duramente alla decisione. Kush Desai, portavoce dell’amministrazione, ha contestato con forza l’autorità dei giudici: “Non spetta a giudici non eletti decidere come affrontare un’emergenza nazionale”. Stephen Miller, vice-capo di gabinetto, ha parlato di “un colpo giudiziario fuori controllo”, mentre Donald Trump non ha ancora reagito ufficialmente alla questione. La decisione sarà impugnata in appello presso la Corte federale di Washington e, potenzialmente, davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Il verdetto mette in seria difficoltà la strategia di Trump, costruita su dazi estesi che miravano a rinegoziare gli equilibri commerciali globali. Senza il ricorso all’Ieepa, l’amministrazione dovrebbe ora seguire iter più lenti e complessi, basati su indagini commerciali formali e l’applicazione di altre leggi specifiche in materia doganale.US President Donald Trump speaks with European Commission President Ursula von der Leyen prior to their meeting at the World Economic Forum in Davos, on January 21, 2020. (Photo by JIM WATSON / AFP)La corte si è pronunciata su due cause principali. La prima è stata intentata da un gruppo di piccole imprese americane, che hanno lamentato danni economici ingenti, mentre la seconda è stata avviata da una dozzina di stati, guidati dall’Oregon. Il procuratore generale dello stato, Dan Rayfield, ha commentato: “Questa sentenza ribadisce che le nostre leggi contano e che le decisioni commerciali non possono dipendere dai capricci del presidente”. Gli avvocati dei ricorrenti hanno sostenuto che il deficit commerciale non costituisce un’emergenza ai sensi dell’Ieepa, ricordando che gli Stati Uniti registrano un disavanzo commerciale da 49 anni consecutivi. La tesi centrale era che l’utilizzo della legge d’emergenza per introdurre dazi fosse un abuso di potere, e la corte ha dato loro ragione.Il caso resta aperto a ulteriori sviluppi giudiziari ma intanto, con questa sentenza, i giudici mettono un argine alle derive unilaterali della politica commerciale statunitense, riaffermando la centralità del diritto, e del Congresso, nelle decisioni economiche di portata globale, e ricordando a Trump che spesso avere carte in mano non significa poterle giocare a proprio piacimento.The judicial coup is out of control. https://t.co/PRRZ1zU6lI— Stephen Miller (@StephenM) May 28, 2025

  • in

    Von der Leyen chiama Trump, nuova giravolta sui dazi: sospesi fino al 9 luglio

    Bruxelles – Nuovo passo indietro di Donald Trump sui dazi alle merci Ue. Dopo la minaccia, arrivata come un fulmine a ciel sereno, di tariffe del 50 per cento su tutte le importazioni a partire dal primo giugno, ieri (25 maggio) il presidente americano ha ricevuto la telefonata di Ursula von der Leyen. La leader Ue l’avrebbe convinto – il condizionale ormai è d’obbligo – a congelare i dazi reciproci e mantenere aperto il dialogo fino al 9 luglio, riconfermando la proroga di 90 giorni decisa lo scorso 9 aprile.“Una buona telefonata”, l’ha definita von der Leyen. La prima, da quando il tycoon è tornato alla Casa Bianca. “L’Unione europea e gli Stati Uniti intrattengono il rapporto commerciale più stretto e importante al mondo. L’Europa è pronta a far avanzare i colloqui con rapidità e decisione. Per raggiungere un buon accordo avremmo bisogno di tempo fino al 9 luglio“, ha affermato la presidente della Commissione europea in un post su X. Dall’altro capo della cornetta, Trump ha “acconsentito alla proroga” chiesta da von der Leyen. “È stato un privilegio per me farlo. La presidente della Commissione ha affermato che i colloqui inizieranno rapidamente. Grazie per l’attenzione dedicata a questa questione!”, ha scritto sul suo social Truth. In realtà, i Paesi Ue continuano comunque a essere soggetti a tariffe reciproche del 10 per cento su tutto l’export negli Stati Uniti, e a dazi del 25 per cento sull’export di acciaio, alluminio e derivati, auto e componenti.Di buono c’è che per la prima volta Washington e Bruxelles hanno stabilito un confronto diretto al massimo livello sulla questione. “È grazie all’Italia se si è avuto questo rapporto diretto von der Leyen-Trump”, si è affrettato a dire questa mattina il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Nel tentativo di mantenere il ruolo di mediatore abilmente ritagliatosi – e minacciato dal ponte diretto tra i due leader -, Giorgia Meloni starebbe accelerando il lavoro diplomatico per orchestrare un vertice europeo prima del D-Day.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)Ruolo effettivo o presunto di Roma a parte, la telefonata e le dichiarazioni immediatamente successive di Trump e von der Leyen portano una ventata di ottimismo. Lo confermano le borse europee, che oggi si sono svegliate in deciso rialzo, con il Dax di Francoforte al +1,76 per cento, il Cac40 di Parigi al +1,36 per cento e il Ftse Mib di Milano al +1,53 per cento.Ora la palla torna nelle mani di Maroš Šefčovič, il commissario europeo per il commercio, che guida i complessi negoziati con le controparti americane. Finora, il socialista slovacco sta tornando da Washington ogni volta a mani vuote: venerdì scorso (23 maggio), l’ultimo round di negoziati ha portato all’annuncio furioso di Trump – che ha addirittura raddoppiato l’onere delle tariffe sull’import Ue rispetto a quanto previsto nel ‘Liberation Day‘ – accompagnato dal commento: “Le nostre discussioni con loro non stanno andando da nessuna parte!“.Lo stesso Šefčovič aveva dichiarato piccato, dopo i colloqui con il rappresentante commerciale americano Jamieson Greer e il segretario al Commercio Howard Lutnick, che il commercio tra Ue e Stati Uniti “deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce“. Aggiungendo che Bruxelles è “pronta a difendere i nostri interessi”. Il piano B svelato dalla Commissione europea, in caso le trattative naufragassero, prevede contromisure su una lunga lista di prodotti americani, dal valore di 95 miliardi di euro, e una procedura formale contro Washington all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma anche Bruxelles ha un asso nella manica con cui minacciare Trump: lo strumento anti-coercizione, con cui potrebbe tassare pesantemente i profitti delle big tech americane nel vecchio continente. La Commissione europea ha fatto sapere che già oggi pomeriggio Šefčovič avrà un nuovo contatto telefonico con Lutnick.