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    È stato pubblicato il nuovo report Ue-Turchia per un riavvicinamento “progressivo, proporzionato e reversibile”

    Bruxelles – È arrivata la nuova relazione strategica sui rapporti Ue-Turchia e ora i Ventisette avranno una base più aggiornata su cui impostare il confronto sulle prospettive di cooperazione con uno dei vicini più complessi di gestire, perché stretto partner ma spesso anche elemento di instabilità sulla scena internazionale. Il report richiesto dai 27 leader Ue al Consiglio Europeo di fine giugno è stato presentato oggi (29 novembre) dalla Commissione e dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo il via libera al Collegio dei commissari: “La Turchia è un partner importante, siamo partiti dalla valutazione già fornita nella primavera del 2021 e abbiamo considerato lo sviluppo delle relazioni” politiche, economiche e commerciali “negli ultimi due turbolenti anni”.Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenL’ultima volta che il Consiglio Affari Esteri si era riunito per discutere della questione dei rapporti con Ankara era il 20 luglio e da allora è stato serrato il lavoro dell’esecutivo comunitario per valutare lo stato dell’arte e le direttrici di una possibile maggiore cooperazione con il padre-padrone della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. “Vediamo uno spirito costruttivo, ma ora dobbiamo affrontare insieme i problemi a partire dalla questione cipriota”, ha subito messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell, facendo riferimento alla controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso. Ma nel confronto ci deve essere anche la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, dal momento in cui Ankara dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci (e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione) a sud dell’isola di Creta: “Abbiamo chiare le nostre priorità” – con le condizioni tracciate già nel 2021 dai Ventisette – “dobbiamo rafforzare la nostra sicurezza, e questo ha un impatto sui rapporti con la Turchia”.L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (29 novembre 2023)È per questo che si sta iniziando a pensare ai “prossimi passi” per una serie di opzioni di un processo “progressivo, proporzionato e reversibile” di riavvicinamento tra Unione Europea e Turchia, ha spiegato il capo della diplomazia Ue. E in questo senso non si può prescindere dal passare “da una dinamica conflittuale a una più cooperativa”. Da Ankara l’Unione si aspetta che “affronti i contrasti commerciali, cooperi contro l’aggiramento delle sanzioni contro la Russia e crei un clima che favorisca la ripresa dei negoziati per risolvere la questione cipriota”, ha precisato Borrell, ponendo forte attenzione alla cooperazione per isolare la Russia fino a quando non metterà fine all’invasione dell’Ucraina. Parallelamente si punta a stringere i rapporti anche sull’altro fronte caldo di conflitto, ovvero quello della guerra tra Israele e Hamas: “La Turchia può svolgere un ruolo attivo e positivo nel processo di pace, entrambi sostentiamo la necessità di arrivare a un negoziato politico per la soluzione a due Stati” (Israele e Palestina).La relazione, che ora sarà presentata al Consiglio Europeo (verosimilmente a quello in programma il 14-15 dicembre) per l’esame e la definizione degli orientamenti, punta anche alla ripresa del dialogo di alto livello del Consiglio di associazione Ue-Turchia sospeso nel 2019 e al lancio dei negoziati per modernizzare l’Unione doganale, anche se vanno considerate le difficoltà nella poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca”, l’inflazione alle stelle e le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Infine si vuole sviluppare un “partenariato di mutuo beneficio” con un vicino che è anche candidato all’adesione all’Unione Europea dal 1999 (i negoziati sono stati avviati nel 2005). Nella relazione apposita all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre è però emerso chiaramente che “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”. Anche questo dovrà essere tenuto in considerazione dai Ventisette nel definire i prossimi passi del rapporto con il vicino più ingombrante.
    La Commissione Ue ha fornito al Consiglio la relazione strategica sullo stato sui rapporti tra Bruxelles e Ankara. Si punta alla ripresa del Consiglio di associazione (fermo dal 2019), negoziati sull’Unione doganale e cooperazione su Mediterraneo orientale, Russia e Gaza

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    Prove di avvicinamento tra Bruxelles e Ankara, ma la Turchia fa la voce grossa: “Senza di noi l’Ue non può essere un vero attore globale”

    Bruxelles – Qualcosa si muove nelle relazioni tra Ue e Turchia, ma in che direzione è ancora difficile saperlo. Anticipato di qualche giorno dal benaugurante ingresso di Ankara nel programma Europa digitale, il commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, è in missione per conto dell’esecutivo comunitario al di là del Bosforo, dove oggi (6 settembre) ha incontrato il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, e quello del Commercio, Omar Bolat, del nuovo governo presieduto da Recep Tayyip Erdoğan.
    L’input a ridare vigore ai rapporti con la Repubblica turca è arrivato direttamente dai leader dei 27 Paesi Ue, che nelle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo invitavano la Commissione a “presentare una relazione sullo stato delle relazioni con la Turchia”. Il commissario Ue si è detto ottimista che il dossier Turchia possa tornare “entro la fine dell’anno” sul tavolo dei capi di stato e di governo con qualcosa di “tangibile e positivo”. Qualcosa che non significa per forza riprendere i discorsi sull’adesione di Ankara al blocco, congelati dal 2018, ma riconoscere un “forte impegno politico e ed economico” comune.
    Vista l’urgenza con cui il tema dell’allargamento è tornato di casa a Bruxelles, il ministro degli Esteri Fidan in conferenza stampa ha provato ad afferrare il coltello dalla parte del manico. “Per l’Ue non è possibile essere un vero attore globale senza la Turchia- ha esordito-, è ovvio che le relazioni (Ue-Turchia, ndr) non vanno sacrificate per gli interessi politici meschini di alcuni Paesi membri“. A chi si riferisse non è dato saperlo, ma i sospetti cadono inevitabilmente su Grecia e Cipro, che nel Mediterraneo orientale convivono difficilmente con l’aggressiva presenza turca e che -in particolare Nicosia- hanno posto severi paletti a una distensione dei rapporti con Erdogan. “Crediamo che sarebbe un grosso errore escludere la Turchia dal processo di adesione all’Ue, in un periodo di forti preoccupazioni geopolitiche in cui l’allargamento è tornato nell’agenda europea”, ha avvertito Fidan.
    Nel frattempo, per “ricostruire nuovamente la fiducia”, il ministro degli Esteri turco ha fissato le condizioni di Ankara: l’aggiornamento dell’unione doganale, che “dovrebbe essere rivista sui bisogni di oggi e sulle aspettative di domani”, e un avanzamento sulla liberalizzazione dei visti. L’unione doganale tra Turchia e Ue risale a quasi 30 anni fa, ma si applica soprattutto ai beni industriali: Ankara vuole estendere il regolamento ai servizi, all’agricoltura e all’energia.
    Fidan, che ha inoltre invitato l’Ue a una “giusta condivisione di responsabilità” sull’immigrazione irregolare, ha firmato oggi con Varhelyi il rinnovamento dell’accordo sulla rete di sicurezza sociale per i rifugiati in Turchia, che prevede lo stanziamento di un’ultima tranche di 781 milioni di euro per gli aiuti umanitari agli oltre 4 milioni di profughi siriani presenti nel Paese, a cui Ankara blocca le porte dell’Europa. “Siamo grati per il lavoro svolto dalla Turchia, in totale abbiamo portato qui 10 miliardi di euro di sostegno, ma sappiamo che non coprono tutto lo sforzo”, ha dichiarato il commissario Ue.
    Se sull’unione doganale e sui visti Varhelyi ha confermato la buona volontà della Commissione europea ad agire nell’immediato, sull’inclusione della Turchia nel processo di allargamento il commissario ungherese è stato molto più cauto. “Dove siamo ora è chiaro, il negoziato per l’adesione è in stallo. L’Ue ha indicato criteri molto chiari, relativi alla democrazia e allo stato di diritto, che devono essere affrontati“, ha ricordato Varhelyi, suggerendo che “una tabella di marcia credibile per portare avanti le riforme potrebbe sicuramente riaccendere la discussione tra i 27”.

    Il commissario Ue per l’allargamento ha incontrato esponenti del governo Erdogan nella capitale turca. Firmato l’accordo per l’ultima tranche da 781 milioni di euro per i rifugiati in Turchia, sul processo di adesione Varhelyi ricorda i problemi “relativi alla democrazia e allo stato di diritto”

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    Il Consiglio dell’Ue spera in un nuovo Erdoğan per ridare vigore alle relazioni con la Turchia

    Bruxelles – Se il vicino di casa ingombrante rinnova l’affitto, tanto vale provare a distendere i rapporti. Con la rielezione di Recep Tayyip Erdoğan alla guida della Turchia, all’ultimo Consiglio Europeo Bruxelles ha reinserito nelle priorità le relazioni con Ankara. A maggior ragione dopo il – seppur timido – segnale lanciato dal presidente turco, che ritirando il veto sull’adesione della Svezia alla Nato ha aperto uno spiraglio su un riavvicinamento con Bruxelles.
    Se non si tratta ancora di riprendere le redini di un processo di adesione all’Unione Europea congelato da ormai cinque anni, i ministri degli Esteri dei Paesi membri Ue hanno comunque indicato i primi passi da compiere per rendere quell’orizzonte credibile. “Non si tratta solo di quello che l’Ue si aspetta dalla Turchia, ma anche di quello che la Turchia si aspetta dall’Ue”, ha dichiarato l’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine del Consiglio Affari Esteri tenutosi oggi (20 luglio) a Bruxelles. Da un lato Erdogan mette sul tavolo la finalizzazione dell’accordo sull’Unione doganale e la liberalizzazione dei visti, dall’altro l’Ue chiede garanzie su “due aspetti fondamentali di questo tentativo di stabilire nuovamente una relazione costruttiva con la Turchia”: una de-escalation nel Mediterraneo orientale e un serio impegno a riprendere le negoziazioni per risolvere la questione della sovranità di Cipro, in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite sul tema.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (20 luglio 2023)
    Perché dal 2019 Ankara continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando la Turchia ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Ma soprattutto perché dal 2017 sono fermi i tentativi di risolvere la controversia sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord. Come ricordato dal ministro degli Esteri cipriota, Constantinos Kombos, proprio oggi cade il 49esimo anniversario dell’invasione turca dell’isola. “Le aspirazione turche passano da Cipro, ci aspettiamo la ripresa rapida di negoziati sostanziali”, ha avvisato il ministro.
    Da riscrivere non c’è solo il capitolo sulle relazioni esterne e l’aggressiva politica estera portata avanti dalla Turchia nel Mediterraneo. Per rilanciare i negoziati per l’adesione all’Ue sarà essenziale anche il rispetto delle libertà e dei valori fondamentali definiti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo, di cui tra l’altro – ha ricordato Borrell – Ankara fa parte. Sulle violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto si è espresso con toni durissimi il Parlamento europeo che, proprio in vista della riunione dei ministri di oggi, aveva messo in chiaro che “il processo di adesione non può riprendere, a meno che non ci sia un drastico cambio di rotta da parte del governo turco”, mentre si può ragionare su formule diverse come “partenariato più stretto” o “quadro parallelo e realistico per le relazioni Ue-Turchia”.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan
    Il quadro più pragmatico è quello fornito dalla ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, secondo cui “dopo le elezioni turche, è importante riflettere ancora una volta su come continueremo a lavorare insieme non a un semplice vicino ma a un attore globale strategicamente importante”. Senza essere “ingenui”, ma tenendo a mente che “in questi tempi geopoliticamente difficili vogliamo lavorare insieme a un partner chiave nella nostra regione, anche se non è sempre facile”. Approccio condiviso dal vicepremier italiano, Antonio Tajani, che sottolineando “i tanti interessi economici” di Roma nel Paese ha suggerito di “discutere con spirito positivo per costruire”.

    I 27 ministri degli Esteri convinti “dell’interesse reciproco” su rapporti costruttivi con Ankara. Sul piatto la revisione dell’accordo sull’Unione doganale e la liberalizzazione dei visti, a patto che il presidente avvii una de-escalation nel Mediterraneo orientale e riprenda i negoziati con Cipro

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    Il dossier Turchia torna sul tavolo dei ministri Ue degli Esteri dopo il vertice dei 27 leader e le minacce di Erdoğan

    Bruxelles – Dopo le sbandate a margine del summit Nato a Vilnius, è tempo di fare ordine a Bruxelles. Il dossier Turchia torna sul tavolo del Consiglio Affari Esteri, per fare un punto della situazione dei rapporti tra l’Unione e Ankara, alla luce non solo delle conclusioni dell’ultimo vertice dei leader Ue, ma soprattutto delle piccole crepe emerse tra Consiglio e Commissione di fronte alle minacce – poi ritirate – del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, di vincolare l’adesione della Svezia alla Nato solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Nell’agenda delle discussioni in programma domani (20 luglio) tra i 27 ministri Ue degli Esteri è previsto verso ora di pranzo uno scambio di vedute sulle relazioni Ue-Turchia, considerata la necessità di muoversi in modo “strategico e lungimirante”. Il punto di partenza saranno le conclusioni dell’ultimo Consiglio Europeo del 29-30 giugno che – nel paragrafo dedicato al Mediterraneo orientale – invitavano l’alto rappresentante Ue e la Commissione a “presentare al Consiglio Europeo una relazione sulla situazione delle relazioni Ue-Turchia” in linea con le direttrici tracciate già nel 2021 dai Ventisette. L’Ue rimane impegnata a cercare di compiere progressi “nei settori in cui è possibile”, precisano funzionari europei, e le discussioni di domani andranno alla ricerca degli interessi comuni (anche alla luce delle recenti elezioni vinte di nuovo da Erdoğan) per provare a “colmare le lacune” esistenti.
    È proprio qui che si inserisce il punto più delicato: lo stallo ormai quinquennale del processo di adesione di Ankara all’Ue. Una questione che ha creato non pochi imbarazzi tra i leader delle istituzioni comunitarie, quando la scorsa settimana al summit Nato di Vilnius è tornata di strettissima attualità per il quasi ricatto (inaspettato) da parte dell’autocrate turco. Nonostante nella serata del 10 luglio alla fine sia stata trovata un’intesa all’ultimo minuto tra Ankara e Stoccolma per l’ingresso del Paese scandinavo nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, la minaccia di Erdoğan di voler legare i due processi l’uno all’altro – e dunque di ricattare Bruxelles per un’accelerazione dei negoziati di adesione Ue – ha aperto qualche divisione tra Consiglio e Commissione. Da una parte il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, dopo il bilaterale con l’uomo forte di Ankara ha fatto sapere che l’intenzione è quella di “rivitalizzare le nostre relazioni“, dall’altra l’esecutivo comunitario ha risposto seccamente che “non si possono collegare i due processi“.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a Vilnius (10 luglio 2023)
    Anche se il dossier Turchia era da tempo nell’agenda del Consiglio Affari Esteri del 20 luglio, è inevitabile che questi sviluppi avranno un impatto sulle discussioni dei 27 ministri. Perché se è vero che la Turchia “è un partner fondamentale” per l’Unione Europea (in particolare per la politica migratoria di esternalizzazione delle persone migranti in arrivo), allo stesso tempo a Bruxelles non si può negare che “nelle attuali circostanze” i negoziati di adesione di Ankara all’Unione “si sono arenati”, ribadiscono le fonti. Durissimo è invece il Parlamento Europeo che, in vista della riunione dei ministri degli Affari Esteri di domani, ha messo in chiaro che “il processo di adesione non può riprendere, a meno che non ci sia un drastico cambio di rotta da parte del governo turco”, mentre si può ragionare su formule diverse come “partenariato più stretto” o “quadro parallelo e realistico per le relazioni Ue-Turchia”.
    La Turchia nel Pacchetto Allargamento Ue 2022
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, come ripete dal 2020 il commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Lo stato dei rapporti tra Bruxelles e Ankara – per quanto riguarda il percorso di avvicinamento del Paese del Vicino Oriente all’Unione – è definito nel Pacchetto annuale sull’allargamento (pubblicato ogni autunno dalla Commissione Ue), come tutti i Paesi terzi candidati o che hanno fatto richiesta di adesione. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultima relazione presentata nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”.
    Le questioni riguardano sia gli affari interni, sia le relazioni con l’Unione. “Il funzionamento delle istituzioni democratiche turche presenta gravi carenze”, si legge nel rapporto dell’esecutivo comunitario, con un chiaro riferimento alle politiche di Erdoǧan: “L’architettura costituzionale ha continuato ad accentrare i poteri a livello della Presidenza senza garantire una solida ed efficace separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario” e in assenza di un meccanismo di pesi e contrappesi “la responsabilità democratica del ramo esecutivo continua a essere limitata alle elezioni” (appena vinte dal leader al potere da 20 anni). La magistratura continua a prendere “sistematicamente” di mira i membri dei partiti di opposizione, mentre la democrazia locale nel Sud-est (dove vive una consistente minoranza curda) è “gravemente” ostacolata. La supervisione civile delle forze di sicurezza “non è stata consolidata” e non sono stati registrati progressi nel campo della riforma della pubblica amministrazione e della lotta anti-corruzione.
    Critico il rispetto dei diritti umani, con molte delle misure introdotte durante lo stato di emergenza del 2018 che rimangono in vigore: “La procedura d’infrazione avviata dal Consiglio d’Europa nel febbraio 2022 ha segnato l’ennesimo punto di riferimento dell’allontanamento della Turchia dagli standard per i diritti umani e le libertà fondamentali“. Un “grave arretramento” è stato registrato anche per la libertà d’espressione, considerate le cause penali e le condanne di “giornalisti, difensori dei diritti umani, avvocati, scrittori, politici dell’opposizione, studenti, artisti e utenti dei social media”, così come per la libertà di riunione e associazione. Fonte di “grave preoccupazione” è anche la violenza di genere, la discriminazione e i discorsi di odio contro le minoranze, in particolare quella Lgbtq+.
    Considerata la volontà di Ankara di modernizzare l’Unione doganale con l’Ue, spicca la poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca” e l’inflazione ormai alle stelle, ma soprattutto le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Sono in “fase iniziale” i preparativi nei settori della libera circolazione dei lavoratori, del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi, mentre “è proseguito l’arretramento della politica economica e monetaria, che riflette una politica inefficiente nel garantire la stabilità dei prezzi e nell’ancorare le aspettative di inflazione”. Al tema economico si connette anche la questione della guerra russa in Ucraina, nonostante il ruolo importante giocato da Ankara nello sblocco del grano ucraino e nella condanna dell’invasione: “Il mancato allineamento della Turchia alle misure restrittive dell’Ue” contro il Cremlino pone gravi problemi alla libera circolazione dei prodotti all’interno dell’Unione doganale, dal momento in cui “comporta il rischio di compromettere” le sanzioni Ue per i beni a duplice uso.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan
    Durissimo il capitolo sulle relazioni esterne. “La politica estera unilaterale della Turchia ha continuato a essere in contrasto con le priorità dell’Ue”, in particolare per le azioni militari in Siria e Iraq e per il dispiegamento di soldati in Libia. A questo si somma la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con Ankara che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    Ultimo, ma non per importanza, il file sulla politica migratoria e l’asilo. Nonostante il quadro di rapporti tesi tra Bruxelles e Ankara, nel marzo 2016 il leader turco è riuscito a far pesare il proprio potere negoziale nell’accordo stretto tra l’Ue e la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari: “Del bilancio operativo completo di 6 miliardi di euro nell’ambito dello strumento per i rifugiati, oltre 4,7 miliardi di euro sono stati erogati entro giugno 2022“, ha reso noto la Commissione. Tuttavia per Bruxelles rimangono criticità sia sull’attuazione delle disposizioni sui cittadini di Paesi terzi contenute nell’accordo di riammissione Ue-Turchia, sia il rispetto dei parametri per la liberalizzazione dei visti ancora lontano.

    Nell’agenda del Consiglio Affari Esteri del 20 luglio è previsto anche uno scambio di vedute sul rapporto tra l’Unione e Ankara, in particolare sul processo di allargamento e sul modo di procedere “strategico e lungimirante”. Pesano gli sviluppi al margine del summit Nato a Vilnius

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    Turchia, veto dell’Europarlamento: “Processo di adesione non può riprendere”

    Bruxelles – Adesione della Turchia all’Unione europea? No. Dal Parlamento Ue arriva un chiaro stop alle ambizioni comunitarie di Ankara. “Il processo di adesione non può riprendere nelle circostanze attuali“, stabilisce la commissione Affari esteri nel parere adottato a larga maggioranza (49 favorevoli, 10 astenuti, nessun contrario). Un voto che rappresenta una vera e propria bocciatura del modello Erdogan, visto che il veto degli europarlamentari può essere rimosso “a meno che non ci sia un drastico cambio di rotta da parte del governo turco”.
    L’invito, per entrambe le parti impegnate nel non semplice negoziato, è esplorare formule alternative di cooperazione quale “un partenariato più stretto”, o “un quadro parallelo e realistico per le relazioni UE-Turchia”.
    Il voto parlamentare irrompe nell’agenda del consiglio Affari esteri. I Ventisette ministri si ritroveranno a Bruxelles giovedì (20 luglio) per discutere, tra le altre cose, anche delle relazioni con Ankara. Non affiora, per il momento, la possibilità di una ripresa del processo di adesione, avviato nel 2005 ma congelato dal 2018. La linea scelta, fanno sapere a Bruxelles, è “continuare a ricercare progressi nei settori in cui possibile”, perché anche in Consiglio si sposa la tesi avallata oggi dagli eurodeputati: “Date le attuali circostanze i negoziati di adesione di Turchia si sono fermati”.
    L’espressione della commissione Affari esteri dell’europarlamento dunque invita gli Stati membri a non cedere, non cambiare idea, non fare concessioni. “Recentemente abbiamo assistito a un rinnovato interesse da parte del governo turco nel rilanciare il processo di adesione all’Ue, ma ciò non accadrà a seguito di contrattazioni geopolitiche”, scandisce Nacho Sánchez Amor (S&D), relatore del parere approvato, in riferimento al tentativo di Ankara di legare l’adesione della Svezia alla Nato con lo sblocco del processo di adesione all’Ue della Turchia. “Quando le autorità turche mostreranno un reale interesse a fermare il continuo regresso nelle libertà fondamentali e nello stato di diritto” allora l’Ue potrà rivedere le proprie posizioni.

    L’invito in vista della riunione dei ministri degli Esteri. Ragionare a “un partenariato più stretto” o a “un quadro parallelo e realistico per le relazioni UE-Turchia”

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    Le minacce di Erdoğan sull’adesione Ue della Turchia dividono Bruxelles. La Commissione frena, il Consiglio apre

    Bruxelles – Le minacce del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, di sbloccare lo stallo sull’adesione della Svezia alla Nato solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea alla fine hanno avuto qualche effetto. Nonostante nella serata di ieri (10 luglio) sia stata trovata un’intesa all’ultimo minuto tra Ankara e Stoccolma prima del vertice Nato in programma tra oggi e domani a Vilnius per l’ingresso del Paese scandinavo nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, il quasi ricatto di Erdoğan ha messo in luce qualche crepa tra le istituzioni comunitarie nell’approccio al percorso di avvicinamento della Turchia all’Unione. In particolare tra Consiglio e Commissione.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a Vilnius (10 luglio 2023)
    A mostrare che non c’è totale allineamento tra l’istituzione presieduta dal belga Charles Michel e quella guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen sono state le dichiarazioni a sorpresa del primo, al termine di un incontro a Vilnius con il presidente turco a poche ore dalle minacce su un possibile legame tra il percorso di adesione della Svezia nella Nato e quello della Turchia nell’Ue. “Abbiamo esplorato le opportunità per riportare la cooperazione Ue-Turchia in primo piano”, ha reso noto il numero uno del Consiglio al termine del bilaterale, utilizzando l’espressione controversa “rivitalizzare le nostre relazioni” per riferirsi al rilancio del dialogo tra le due parti. Che non si tratti solo di parole di circostanza lo dimostrerebbe la precisazione fatta dallo stesso Michel che coinvolge anche la Commissione: “Il Consiglio Europeo ha invitato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza [Josep Borrell, ndr] e la Commissione Europea a presentare un rapporto per procedere in modo strategico e lungimirante“. La prossima settimana i ministri degli Esteri Ue si riuniranno per discutere anche delle relazioni tra Ue e Turchia (già in programma da tempo nell’agenda del Consiglio Affari Esteri).
    Non è chiaro al momento se il presidente Michel si sia consultato con i Ventisette e con von der Leyen prima dell’incontro con Erdoğan, né il valore concreto delle sue promesse in relazione allo sblocco dell’adesione della Svezia alla Nato. Sta di fatto che solo poche ore prima era arrivata dalla Commissione una risposta gelida all’indirizzo di Ankara: “I due processi che avvengono in parallelo – l’adesione di nuovi membri alla Nato e il processo di allargamento dell’Unione Europea – sono separati“, ha messo in chiaro la portavoce dell’esecutivo comunitario, Dana Spinant. L’Unione ha un processo di allargamento “molto strutturato” e misure “molto chiare”, che sono richieste a “tutti i Paesi candidati e anche quelli che desiderano diventarlo”, è stata la netta precisazione sul fatto che “non si possono collegare i due processi“.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, a Vilnius (10 luglio 2023)
    Alcuni interrogativi su cosa abbia promesso Michel a Erdoğan si sono però sollevati a Bruxelles, dal momento in cui la decisione della Turchia di togliere il veto all’adesione della Svezia alla Nato è arrivata a stretto giro dal bilaterale con il numero uno del Consiglio Ue. Da tenere in considerazione c’è anche una condizione stabilita dall’accordo tra Turchia e Svezia proprio nel trilaterale con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, in cui è stato sbloccato l’ingresso del nuovo membro nell’Alleanza Atlatica. Considerate le minacce di Erdoǧan, la risposta piccata della Commissione e il tweet di Michel, non è di poco conto il passaggio sul sostegno “attivo” che la Svezia si è impegnata ad assumere per “rinvigorire il processo di adesione della Turchia all’Unione Europea, compresa la modernizzazione dell’Unione doganale Ue-Turchia e la liberalizzazione dei visti“.
    La Turchia nel Pacchetto Allargamento Ue 2022
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, come ripete dal 2020 il commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Lo stato dei rapporti tra Bruxelles e Ankara – per quanto riguarda il percorso di avvicinamento del Paese del Vicino Oriente all’Unione – è definito nel Pacchetto annuale sull’allargamento (pubblicato ogni autunno dalla Commissione Ue), come tutti i Paesi terzi candidati o che hanno fatto richiesta di adesione. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultima relazione presentata nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”.
    Le questioni riguardano sia gli affari interni, sia le relazioni con l’Unione. “Il funzionamento delle istituzioni democratiche turche presenta gravi carenze”, si legge nel rapporto dell’esecutivo comunitario, con un chiaro riferimento alle politiche di Erdoǧan: “L’architettura costituzionale ha continuato ad accentrare i poteri a livello della Presidenza senza garantire una solida ed efficace separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario” e in assenza di un meccanismo di pesi e contrappesi “la responsabilità democratica del ramo esecutivo continua a essere limitata alle elezioni” (appena vinte dal leader al potere da 20 anni). La magistratura continua a prendere “sistematicamente” di mira i membri dei partiti di opposizione, mentre la democrazia locale nel Sud-est (dove vive una consistente minoranza curda) è “gravemente” ostacolata. La supervisione civile delle forze di sicurezza “non è stata consolidata” e non sono stati registrati progressi nel campo della riforma della pubblica amministrazione e della lotta anti-corruzione.
    Critico il rispetto dei diritti umani, con molte delle misure introdotte durante lo stato di emergenza del 2018 che rimangono in vigore: “La procedura d’infrazione avviata dal Consiglio d’Europa nel febbraio 2022 ha segnato l’ennesimo punto di riferimento dell’allontanamento della Turchia dagli standard per i diritti umani e le libertà fondamentali“. Un “grave arretramento” è stato registrato anche per la libertà d’espressione, considerate le cause penali e le condanne di “giornalisti, difensori dei diritti umani, avvocati, scrittori, politici dell’opposizione, studenti, artisti e utenti dei social media”, così come per la libertà di riunione e associazione. Fonte di “grave preoccupazione” è anche la violenza di genere, la discriminazione e i discorsi di odio contro le minoranze, in particolare quella Lgbtq+.
    Al centro: l’autocrate russo, Vladimir Putin, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, all’inaugurazione del gasdotto TurkStream nel 2020
    Considerata la volontà di Ankara di modernizzare l’Unione doganale con l’Ue, spicca la poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca” e l’inflazione ormai alle stelle, ma soprattutto le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Sono in “fase iniziale” i preparativi nei settori della libera circolazione dei lavoratori, del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi, mentre “è proseguito l’arretramento della politica economica e monetaria, che riflette una politica inefficiente nel garantire la stabilità dei prezzi e nell’ancorare le aspettative di inflazione”. Al tema economico si connette anche la questione della guerra russa in Ucraina, nonostante il ruolo importante giocato da Ankara nello sblocco del grano ucraino e nella condanna dell’invasione: “Il mancato allineamento della Turchia alle misure restrittive dell’Ue” contro il Cremlino pone gravi problemi alla libera circolazione dei prodotti all’interno dell’Unione doganale, dal momento in cui “comporta il rischio di compromettere” le sanzioni Ue per i beni a duplice uso.
    Durissimo il capitolo sulle relazioni esterne. “La politica estera unilaterale della Turchia ha continuato a essere in contrasto con le priorità dell’Ue”, in particolare per le azioni militari in Siria e Iraq e per il dispiegamento di soldati in Libia. A questo si somma la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con Ankara che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Ultimo, ma non per importanza, il file sulla politica migratoria e l’asilo. Nonostante il quadro di rapporti tesi tra Bruxelles e Ankara, nel marzo 2016 il leader turco è riuscito a far pesare il proprio potere negoziale nell’accordo stretto tra l’Ue e la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari: “Del bilancio operativo completo di 6 miliardi di euro nell’ambito dello strumento per i rifugiati, oltre 4,7 miliardi di euro sono stati erogati entro giugno 2022“, ha reso noto la Commissione. Tuttavia per Bruxelles rimangono criticità sia sull’attuazione delle disposizioni sui cittadini di Paesi terzi contenute nell’accordo di riammissione Ue-Turchia, sia il rispetto dei parametri per la liberalizzazione dei visti ancora lontano.

    Prima di sbloccare l’ingresso Nato della Svezia, il presidente turco aveva annunciato di volerlo legare al processo di allargamento dell’Unione ad Ankara. Gelida la risposta dal Berlaymont, ma il leader del Consiglio Ue, Charles Michel, ha chiesto un piano per “rivitalizzare le nostre relazioni”

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    Cipro, l’Unione europea vuole riprendere i negoziati per la riunificazione. Christodoulides propone un emissario Ue a Nicosia

    Bruxelles – “Finché Cipro sarà divisa, l’Unione europea non sarà mai completa”. Con queste parole la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha accolto oggi (13 giugno) il premier cipriota, Nikos Christodoulides, alla plenaria di Strasburgo. A quasi mezzo secolo dall’invasione turca del nord dell’isola, nel luglio del 1974, il presidente eletto lo scorso febbraio ha scelto la sua priorità: lasciare in eredità alle generazioni future “una Cipro riunificata”.
    Per ridare vigore ai negoziati con la Repubblica turca di Cipro del Nord, arenatisi l’ultima volta nel 2021, Christodoulides ha chiesto a gran voce che Bruxelles giochi un ruolo da protagonista, incaricando un rappresentante speciale dell’Ue a Nicosia che supporti il processo guidato dalle Nazioni Unite. “Credo, con l’impegno di tutte le parti e dell’Ue, di poter essere il presidente che risolverà il problema di Cipro”, ha dichiarato con convinzione il presidente nell’aula di Strasburgo. Christodoulides ha incassato il sostegno di tutti i gruppi politici e della presidente Metsola, secondo cui “il problema di Cipro è una questione europea, e credo che un maggiore coinvolgimento dell’Ue in tutte le fasi del negoziato non possa che essere utile”.
    Nikos Christodoulides, Presidente di Cipro, al Parlamento europeo
    In linea con la risoluzione 2561 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, del 29 gennaio 2021, che individuava una soluzione basata su una federazione composta da due comunità e due zone e caratterizzata da uguaglianza politica, Metsola ha indicato “l’unica via percorribile”: un unico Stato europeo con “zone federate”. Il problema però, al di là dello sforzo diplomatico che potrà mettere in campo Bruxelles, sta dall’altra parte del muro che divide Nicosia, l’ultima capitale europea a portare ancora una ferita aperta nel proprio territorio. Ha un nome e un cognome: Recep Tayyip Erdoğan, fresco di riconferma alla guida della Turchia, che proprio ieri si è recato in visita nella parte settentrionale dell’isola, internazionalmente riconosciuta solo da Ankara, per incontrare il suo fedele omologo Ersin Tatar.
    Perché Ankara, da cui dipende l’economia e in definitiva la sopravvivenza stessa del governo turco-cipriota, negli anni ha intensificato la propria influenza sulla repubblica secessionista, sostenendo alle ultime elezioni presidenziali la candidatura di Tatar, favorevole alla divisione permanente dell’isola. Nell’aprile del 2021 infatti, data dell’ultimo tentativo Onu di riaprire il negoziato, il governo di Tatar ha avanzato per la prima volta la proposta di accettare lo status quo e di riconoscere due stati sovrani a Cipro. Il dialogo tra Christodoulides e Tatar si preannuncia dunque molto più complesso di quanto non lo fosse ad esempio tra i loro predecessori, il greco-cipriota Nicos Anastasiades e il turco-cipriota Mustafa Akıncı, che nel 2017 traghettarono le due parti vicinissimo all’accordo. Accordo che, nonostante il loro sincero rapporto di amicizia e il fatto che lo stesso Akıncı fosse un sostenitore della riunificazione, fallì a causa di rivendicazioni e accuse reciproche sedimentate in quasi cinquant’anni di discriminazioni e scontri etnici.
    La partenza è tutta in salita, ma Christodoulides e l’Unione europea sembrano convinti di potere contare su due carte per riaprire la partita. La prima è proprio la rielezione di Erdogan, ormai ventennale interlocutore di Bruxelles che, se stimolato nelle corde giuste, ha dimostrato più volte la disponibilità a sedersi al tavolo delle trattative. La seconda è il logoramento della popolazione turco-cipriota, provata da mezzo secolo di isolamento pressoché totale dal resto del mondo, che storicamente non si è mai opposta apertamente alla riunificazione. Paradossalmente, è sempre stato il sud dell’isola a storcere il naso: nel referendum del 2004 per la creazione di uno Stato federale, il 75 per cento dei greco-ciprioti si oppose, mentre il 65 per cento della parte turca votò a favore.
    Dall’Eurocamera, Christodoulides ha voluto mandare un messaggio proprio agli abitanti della Repubblica di Cipro del Nord, “che sono cittadini della Repubblica di Cipro e dell’Unione europea: il vostro futuro e quello di tutti gli abitanti di Cipro passa attraverso la nostra identità comune di stato membro dell’Ue”.

    A quasi mezzo secolo dall’invasione turca del Nord dell’isola, dall’Eurocamera di Strasburgo il leader cipriota si candida come “il presidente che risolverà il problema”. Per Metsola l’unica via percorribile è “un unico Stato europeo con zone federate”, in linea con le risoluzioni Onu

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    La rimonta dell’opposizione turca fallisce. L’Ue si congratula con Erdoğan per l’ennesima rielezione alla presidenza

    Bruxelles – Le speranze già flebili dell’opposizione turca di mettere fine al potere di Recep Tayyip Erdoğan sono arrivate al capolinea. Al ballottaggio delle elezioni presidenziali in Turchia, il leader in carica ha vinto ancora, mettendo fine all’illusione di quasi metà della popolazione di un cambio al vertice, dopo 20 anni quasi da capo assoluto del Paese. Erdoğan ha vinto, non trionfato, e questo mostra una Turchia molto divisa soprattutto tra città e aree rurali.
    La mappa delle circoscrizioni elettorali in Turchia vinte da Recep Tayyip Erdoğan (in giallo) e da Kemal Kılıçdaroğlu (in rosso)
    Chiamati al secondo turno di voto ieri (28 maggio), gli elettori turchi hanno riconfermato la fiducia nel presidente in carica, che ha conquistato il 52,16 per cento dei voti. Tre punti percentuali in più rispetto al primo turno, abbastanza per garantirsi la rielezione alle spese dello sfidante Kemal Kılıçdaroğlu, che ha tentato la rimonta impossibile e si è fermato al 47,84 per cento delle preferenze nel testa a testa. Ribaltati completamente i sondaggi di sole poche settimane fa, quando una vittoria del candidato unico dell’opposizione turca veniva dato alle stesse percentuali (se non leggermente più alte) di quelle conquistate ieri da Erdoğan. Una vittoria che – nonostante non sia arrivata già al primo turno come invece accaduto nelle tornate del 2018 e del 2014 – può sancire definitivamente l’aura di invincibilità del ‘sultano’ turco.
    Perché sei partiti di opposizione si erano uniti nella cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ per esprimere un candidato comune e aumentare le possibilità di scalzare il leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) dalla presidenza del Paese. I sondaggi avevano evidenziato una reale occasione per Kılıçdaroğlu, economista dai toni pacati e leader del Partito popolare repubblicano (Chp), il principale partito d’opposizione fondato nel 1923 dal primo presidente turco, Mustafa Kemal Atatürk. La prima doccia fredda è arrivata al primo turno del 14 maggio, quando Erdoğan è riuscito a mettere il sigillo quasi perfetto sulle presidenziali del 2023 – contrariamente alle aspettative – e arrivando a mezzo punto percentuale dalla rielezione. Ben sotto le aspettative il risultato di Kılıçdaroğlu, fermo al 45 per cento e costretto alla rimonta. Prospettiva diventata ancora più ardua dopo che il terzo candidato escluso dal ballottaggio, il nazionalista di estrema destra Sinan Oğan, ha espresso l’indicazione di voto per i suoi sostenitori a favore proprio del presidente in carica e ha così indirizzato l’esito finale delle elezioni.
    “L’unico vincitore oggi è la Turchia”, ha rivendicato Erdoğan nel suo discorso post-vittoria, attaccando nuovamente l’opposizione sulle questioni Lgbtq+, dei curdi e del terrorismo. “Tutti i mezzi dello Stato sono stati messi ai piedi di un solo uomo, sono le elezioni più ingiuste degli ultimi anni“, ha contrattaccato Kılıçdaroğlu, che però non ha contestato l’esito delle urne. Con la seconda rielezione a presidente (prima ha rivestito la carica di premier dal 2003 al 2014, carica abolita nel 2018), Erdoğan si appresta a diventare il leader più longevo dopo Atatürk (1923-1938), il padre fondatore della Turchia moderna rinata dalle rovine dell’Impero Ottomano: il centenario della nascita della Repubblica sarà celebrato il prossimo 29 ottobre proprio con il nuovo ‘sultano’ saldamente alla testa del Paese. Un leader che sta portando la Turchia su una strada nazionalista, conservatrice e di matrice islamista.
    Quali sfide attendono l’Ue con la Turchia di Erdoğan
    Quasi immediate nella serata delle vittoria di Erdoğan le congratulazioni da parte dei leader delle istituzioni dell’Unione Europea. “Non vedo l’ora di lavorare ancora con lei per approfondire le relazioni Ue-Turchia negli anni a venire“, ha commentato in un tweet il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. A fargli eco la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “È di importanza strategica per l’Ue e la Turchia lavorare per far progredire queste relazioni, a beneficio dei nostri popoli”. Al momento nessun commento è invece arrivato dalla presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, mentre l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, si sono esposti in una nota congiunta: “L’Ue ha un interesse strategico a continuare a intrattenere relazioni cooperative e reciprocamente vantaggiose con la Turchia e con tutto il suo popolo, nonché a creare un ambiente stabile e sicuro nel Mediterraneo orientale“. A questo si aggiunge l’impegno con Ankara per la “prosperità e stabilità condivisa, sulla base degli impegni per i diritti umani, lo Stato di diritto, il diritto internazionale e la stabilità regionale”.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan (credits: Adem Altan / Afp)
    Tutte questioni calde per i rapporti tra Bruxelles e Ankara negli ultimi anni di presidenza Erdoğan, destinati a continuare (almeno) per altri cinque anni. Uno dei temi più caldi sul tavolo è quello della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con la Turchia che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    C’è poi il congelamento dei capitoli negoziali per l’adesione della Turchia all’Unione Europea, avviati nel 2005 e da anni “a un punto morto” per i “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, aveva sottolineato ancora nel 2020 il commissario Várhelyi. Per Bruxelles è di cruciale importanza anche la questione della gestione delle persone migranti dirette verso l’Europa: se nel marzo 2016 l’Ue ha stretto un accordo con la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari (oggi Erdoğan parla esplicitamente di rimpatri in Libia per milioni di persone), in diverse occasioni la Grecia ha lanciato dure accuse ad Ankara per violazioni dell’accordo stesso e sta implementando una politica di costruzione di barriere fisiche alla frontiera.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio Europe, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, ad Ankara (6 aprile 2021)
    Per la presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue è invece caldissimo il tema del veto sull’adesione di Stoccolma alla Nato, legato alla repressione della minoranza curda. Ora che Erdoğan si è riconfermato leader del Paese, ci si aspettano movimenti sul dossier – che riguarda sia la politica interna sia quella estera del presidente – fermo da mesi per le richieste intransigenti da Ankara a Stoccolma di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La posizione irremovibile del leader turco ha indispettito non poco i leader dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord e dei Paesi membri Ue, che hanno visto sfumare l’ingresso congiunto di Svezia e Finlandia nell’Alleanza nello stesso giorno (il 4 aprile 2023).
    Ultimo, ma non per importanza diplomatica, quello che è passato alle cronache politiche come ‘Sofagate’. Il 6 aprile 2021 i presidenti von der Leyen e Michel si erano recati ad Ankara in visita istituzionale per rilanciare il dialogo Ue-Turchia. Ma l’accoglienza al palazzo presidenziale per la numero uno dell’esecutivo comunitario era stata tutt’altro che piacevole e rispettosa: mentre al leader del Consiglio è stata riservata una sedia accanto a Erdoğan, von der Leyen si era dovuta accomodare – con evidente imbarazzo e disappunto – su un sofà, appunto. Uno sgarbo istituzionale arrivato a poche settimane dalla decisione del presidente turco di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, che ancora una volta aveva evidenziato tutta la tensione nei rapporti tra Bruxelles e Ankara.

    Il leader al potere da 20 anni si riconferma alla guida del Paese, superando al ballottaggio lo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu con il 52,16 per cento dei voti. Per Bruxelles ora si apre una nuova fase su temi già caldi, dalla migrazione all’allargamento, fino a Nato, energia e diritti umani