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    L’iniziativa per il grano del Mar Nero è stata estesa per altri 4 mesi. L’Ue accoglie l’accordo contro la crisi alimentare

    Bruxelles – Altri quattro mesi di accordo per le esportazioni di grano dai porti del Mar Nero dell’Ucraina, per non aggravare la crisi alimentare globale nel corso dell’inverno. Le quattro parti coinvolte nell’iniziativa per il grano del Mar Nero (Turchia, Ucraina, Russia e le Nazioni Unite) hanno confermato questa mattina (giovedì 17 novembre) l’estensione dell’intesa “senza alcun cambiamento”, con l’annuncio arrivato dal presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan: “A seguito di colloqui a quattro ospitati dalla Turchia, l’accordo sul corridoio del grano del Mar Nero è stato prorogato di 120 giorni dal 19 novembre“.
    A celebrare l’intesa arrivata in extremis sono stati i vertici delle istituzioni comunitarie. “L’iniziativa Black Sea Grains delle Nazioni Unite aiuta a evitare carenze alimentari globali e ad abbassare i prezzi dei prodotti nonostante la guerra della Russia” in Ucraina, ha sottolineato in un tweet la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, congratulandosi con il segretario generale dell’Onu, António Guterres, e con il leader turco per il risultato raggiunto. Anche il numero uno del Consiglio, Charles Michel, ha ricordato che “con 10 milioni di tonnellate già esportate nell’ambito di questa iniziativa dall’Ucraina, è una buona notizia per un mondo che ha un disperato bisogno di accesso a cereali e fertilizzanti“.

    I congratulate @antonioguterres and President @RTErdogan for the agreement on the continuation of the Black Sea Grain Initiative
    Together with EU Solidarity Lanes the UN Black Sea Grain Initiative helps avoid global food shortages and bring down food prices despite Russia’s war. https://t.co/PWW2p6oE5F
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 17, 2022

    In vista della scadenza imminente dell’accordo, nelle ultime settimane sono stati condotti intensi negoziati sotto l’egida Onu, per garantire la proroga dell’intesa. Mentre oltre 10 milioni di tonnellate di creali sono ancora bloccate nei silos in Ucraina, a essere più colpiti sono i Paesi in via di sviluppo (che a oggi hanno ricevuto il 40 per cento di tutte le esportazioni dai porti ucraini del Mar Nero). I cereali sono essenziali per stabilizzare i prezzi sui mercati internazionali e per rifornire le popolazioni più vulnerabili al rischio fame, in particolare in Africa. Poco più di due settimane fa la Russia si era temporaneamente sfilata dall’accordo e ne aveva chiesto la sospensione, dopo l’attacco subito dalla sua flotta al largo di Sebastopoli (principale città della Crimea annessa illegalmente da Mosca).
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Nel quadro della stessa intesa sul grano dal Mar Nero, l’Onu ha anche agevolato la consegna di 260 mila tonnellate di fertilizzante russo, il cui primo carico andrà in Malawi (uno dei Paesi più poveri dell’Africa australe). “Sebbene la Russia sia impegnata in campagne di manipolazione delle informazioni e di diffusione della propaganda”, l’Ue è sempre stata chiara sul fatto che “le nostre sanzioni non riguardano il commercio di prodotti agricoli e alimentari, compresi cereali e fertilizzanti, tra la Russia e i Paesi terzi”, ha precisato in una nota l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    Nella stessa nota Borrell ha ricordato che il rinnovo dell’iniziativa delle Nazioni Unite sul grano del Mar Nero “rimane fondamentale per continuare a far scendere i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale e per garantire la sicurezza alimentare in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più vulnerabili”. Nonostante “il cibo non dovrebbe mai essere usato come arma di guerra”, Mosca ha “esacerbato l’impennata dei prezzi alimentari”, anche a causa degli attacchi “deliberati” contro le strutture agricole e le rotte di esportazione ucraine.
    È qui che si inserisce l’iniziativa per il grano del Mar Nero mediata dalle Nazioni Unite, che “insieme alle rotte terrestri che attraversano l’Ue” nel quadro del corridoi di solidarietà – potenziati recentemente con un ulteriore miliardo di euro – ha contribuito a “stabilizzare e ad allentare la pressione sui prezzi alimentari globali, facilitando l’esportazione di cereali e prodotti agricoli verso i mercati mondiali”. Le due iniziative combinate hanno soprattutto permesso l’esportazione di “oltre 25 milioni di tonnellate di cereali e altri prodotti agricoli“, ha sottolineato con forza l’alto rappresentante Borrell, contribuendo al “calo dei prezzi degli alimenti negli ultimi mesi”.

    Le quattro parti coinvolte nell’intesa Black Sea Grains (Turchia, Ucraina, Russia e Nazioni Unite) hanno confermato l’estensione dell’accordo “senza alcun cambiamento”. Insieme ai corridoio di solidarietà di Bruxelles sono stati esportati “oltre 25 milioni di tonnellate di cereali”

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    Aumenta la tensione tra Bruxelles e Ankara per l’intesa sugli idrocarburi Turchia-Libia (che impatta su confini greci)

    Bruxelles – Dopo tre anni si riaccende lo scontro tra l’Ue e la Turchia sull’intesa bilaterale di Ankara con la Libia per tracciare nuove frontiere marittime nel Mar Mediterraneo, e ora l’energia si ritaglia un ruolo centrale nella contesa. Lunedì (3 ottobre) il governo libico di Tripoli e quello turco hanno siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica all’interno del memorandum d’intesa del 2019, scatenando la reazione sdegnata di Grecia, Egitto e Bruxelles.
    “La posizione dell’Ue rimane invariata: il memorandum d’intesa Turchia-Libia del 2019 viola i diritti sovrani di Stati terzi, non è conforme al diritto del mare e non può produrre alcuna conseguenza giuridica”, denuncia in una nota il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, a proposito del nuovo accordo che – nonostante non sia ancora stato reso pubblico – non deve comportare “azioni che possano minare la stabilità regionale”. Dura la risposta del governo turco alle dichiarazioni arrivate da Bruxelles: “Non hanno alcun significato e valore per il nostro Paese“, ha attaccato il portavoce del ministero degli Esteri, Tanju Bilgiç: “Opporsi a questo accordo di cooperazione tra due Stati sovrani è contrario al diritto internazionale e ai principi fondamentali dell’Onu”. L’affondo è sia alla Grecia – “tenta di usurpare i diritti legittimi non solo della Turchia ma anche della Libia attraverso le sue richieste massimaliste di aree di giurisdizione marittima” – sia all’Ue: “Non è un organo giudiziario internazionale che può commentare o giudicare accordi tra Paesi terzi sovrani“.
    La tensione è altissima, proprio alla vigilia della prima riunione della Comunità Politica Europea (Cpe), il nuovo format di confronto tra 44 capi di Stato e di governo Ue e non-Ue sulla sicurezza e le questioni di interesse comune – che vedrà la partecipazione anche del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan. Il nuovo accordo sull’esplorazione di idrocarburi in mare riaccende lo scontro sulla delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con Ankara che continua a mettere in discussione i confini greci e, di conseguenza, le frontiere esterne dell’Unione a sud dell’isola di Creta. L’Ue segue da vicino la vicenda, perché non può permettersi di dover gestire un altro fronte di instabilità geopolitica dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Erdoğan e il premier greco, Kyriakos Mītsotakīs, si incroceranno domani (giovedì 6 ottobre) a Praga, ma al momento non sono previsti incontri bilaterali (anche se fonti europee ribadiscono che questo tipo di scambi non saranno inclusi formalmente nell’agenda  del vertice).

    L’accordo preliminare tra il governo turco e quello di unità nazionale di Tripoli sull’esplorazione energetica nel Mediterraneo si inserisce nel quadro del memorandum d’intesa del 2019 e avrebbe implicazioni sulla delimitazione della giurisdizione nelle aree del Mediterraneo

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    L’UE condanna l’attacco di Putin al porto di Odessa a poche ore dagli accordi sul grano

    Bruxelles – Neanche ventiquattrore dalla firma degli accordi per sbloccare l’esportazione del grano ucraino e la Russia ha lasciato intendere di non sentirsi vincolata dagli accordi internazionali neanche quando si tratta di arrestare quella che rischia di diventare una grave crisi alimentare. Sabato 23 luglio Mosca ha bombardato con quattro missili il porto ucraino di Odessa, tra i principali snodi commerciali di Kiev sul Mar Nero, dopo aver siglato a Istanbul venerdì con l’Ucraina un accordo sotto l’egida delle Nazioni Unite e con la mediazione politica della Turchia per sbloccare le esportazioni di almeno 20 milioni di tonnellate di grano, rimaste bloccate nei principali porti ucraini da quando l’invasione della Russia è iniziata lo scorso 24 febbraio, facendo temere per la sicurezza alimentare globale.
    L’intesa raggiunta dopo mesi di mediazione dell’Onu e anche di Ankara dovrebbe consentire il passaggio di milioni di tonnellate di grano di Kiev dal Mar Nero, attraverso tre principali porti ucraini di Odessa, Chornomorsk e Yuzhny e la creazione di un centro di controllo a Istanbul per monitorare le navi per assicurare che non trasportino armi, al posto del grano. Mosca si era anche impegnata a non attaccare i porti e le navi che dovrebbero essere impegnate nell’operazione. Così non è stato, a meno di ventiquattro ore dalla firma dell’accordo Mosca ha bombardato il porto, giustificandosi dicendo di aver voluto colpire una nave da guerra ucraina e un negozio di armi a Odessa.
    Da Bruxelles si è assistito con sgomento all’attacco e, ferma, è arrivata la condanna da parte dell’Unione europea. “Raggiungere un obiettivo cruciale per l’esportazione di grano il giorno dopo la firma degli accordi di Istanbul è particolarmente riprovevole e dimostra ancora una volta il totale disprezzo della Russia per il diritto e gli impegni internazionali”, ha accusato in un tweet l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.

    EU strongly condemns Russian missile strike on Odesa’s seaport. Striking a target crucial for grain export a day after the signature of Istanbul agreements is particularly reprehensible & again demonstrates Russia’s total disregard for international law & commitments#StopRussia
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 23, 2022

    Anche prima della firma degli accordi, venerdì il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna Peter Stano aveva sollevato preoccupazione sull’attuazione degli accordi sul grano, sottolineando al briefing con la stampa che molto del loro successo dipenderà dalla volontà della Russia di farli rispettare. Secondo Kiev non ci sono stati danni significativi. “E’ la Russia che blocca le esportazioni ucraine, dunque l’attuazione è importante soprattutto da parte russa”, ha spiegato. Ucraina e Russia rappresentano circa il 30 per cento del commercio mondiale di grano, e secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) Kiev è tra i principali esportatori di grano al mondo, fornendo oltre 45 milioni di tonnellate all’anno al mercato globale. L’invasione russa ha provocato, tra le altre cose, prezzi record di cibo e carburante, oltre a problemi alla catena di approvvigionamento, con tonnellate di scorte di grano bloccate in silos.

    Neanche ventiquattro ore dall’intesa raggiunta a Istanbul per sbloccare l’esportazione di almeno 20 milioni di tonnellate di grano bloccato in Ucraina da quando è iniziata l’invasione di Mosca. L’alto rappresentante Borrell: “Atto riprovevole che dimostra il totale disprezzo della Russia per il diritto e gli impegni internazionali”

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    Firmato il protocollo di adesione, Svezia e Finlandia più vicine alla NATO

    Bruxelles – Svezia e Finlandia nella NATO, il passo “storico” è compiuto. Firmato il protocollo di adesione che può permettere all’Alleanza di espandersi ancora e divenire a 32 Stati, Turchia permettendo. Perché per poter essere membro a pieno titolo occorre che tutti i Parlamenti nazionali ratifichino il protocollo di adesione, e questo concede ancora ad Ankara libertà di manovra e di pressione nella sua lotta al separatismo curdo. Estonia e Paesi Bassi i primi ad attivarsi. I partner UE, prima ancora che NATO, hanno convocato i rispettivi organismi legislativi per iniziare sin da subito il procedimento di discussione e voto, rispondendo all’invito del segretario generale della stessa Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, di “fare in fretta”.

    Allies signed the Accession Protocols for #Finland & #Sweden in the presence of 🇫🇮 FM @Haavisto & 🇸🇪 FM @AnnLinde.
    SG @jensstoltenberg said: “This is truly an historic moment. For Finland, for Sweden, for #NATO & for our shared security.”
    Read: https://t.co/J1C1vuapiJ pic.twitter.com/GVjQGQVpw4
    — Oana Lungescu (@NATOpress) July 5, 2022

    Il processo di allargamento della NATO è una delle conseguenze dell’aggressione russa in Ucraina, che ha indotto i due Paesi scandinavi a infrangere la politica della neutralità. La prossimità geografica e la condotta del Cremlino hanno spazzato via decenni di dibattiti e convinzioni, portando politica ed opinione pubblica verso tutt’altra collocazione. Ma il passo storico è stato possibile grazie alla decisione della Turchia di rimuovere il veto, dopo il protocollo d’intesa raggiunto con Ankara sulla lotta al terrorismo declinata in senso anti-curdo.
    Proprio qui rischiano di annidarsi le possibili, nuove, insidie al percorso di avvicinamento alla NATO per Svezia e Finlandia. Soprattutto dopo che la ministra degli Esteri  del regno scandinavo, Anna Linde, ha chiarito che non ci saranno concessioni né scappatoie. “Onoreremo il protocollo”, ma “non ci possono essere vie legali aggiuntive, rispetteremo la legge svedese e il diritto internazionale“. Il che vuol dire che “le autorità preposte all’estradizione ricevono le richieste e le processano secondo le procedure, poi è l’Alta corte a prendere la decisione“.
    La Turchia sta a guardare e certamente, a differenza di Estonia e Paesi Bassi, non accelererà le procedure parlamentari. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, già ha anticipato che Anakra bloccherà l’adesione di Svezia e Finlandia se non dovessero rispettare il memorandum tripartito di Madrid. Firmato il protocollo di adesione, tutto può ancora succedere.

    Ora occorre la ratifica parlamentare di tutti i membri dell’Alleanza atlantica. Estonia e Paesi Bassi si attivano, la Turchia osserva ed è pronta a bloccare tutto

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    Cosa prevede il memorandum d’intesa tra Turchia, Svezia e Finlandia sull’adesione NATO, tra estradizioni e armi

    Bruxelles – La Turchia ha revocato il veto sull’adesione NATO della Svezia e della Finlandia e ora i due Paesi scandinavi potranno essere invitati a diventare trentunesimo e trentaduesimo membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Il via libera del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, non arriva senza costi per i due Paesi scandinavi (e di riflesso per l’Unione Europea), che si sono dovuti in un certo modo piegare ai ricatti di Ankara su diversi dossier, ma in una forma che lascia ancora molto aperta la possibilità di libera interpretazione delle concessioni fatte nel memorandum d’intesa, soprattutto sulla questione delle estradizioni.
    Secondo quanto si legge nel memorandum trilaterale, il punto centrale dei negoziati condotti sotto gli auspici della NATO riguarda la “cooperazione nella lotta contro il terrorismo”, che per la Turchia significa la persecuzione del movimento politico-militare curdo del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). L’organizzazione è considerata terroristica non solo da Ankara, ma anche dall’Unione Europea – di cui Finlandia e Svezia fanno parte – nonostante l’attribuzione sia controversa proprio per le persecuzioni messe in atto dal regime di Erdoğan: ecco perché soprattutto Stoccolma ha considerato diversi membri del PKK rifugiati politici e si rifiuta di estradarli. Le concessioni su questo punto non sono sostanziali – appunto, anche Svezia e Finlandia considerano già il PKK un’organizzazione terroristica – ed è stato ribadito l’impegno generico a prevenirne le attività e a intensificare la cooperazione tra i tre Paesi.
    La firma del memorandum d’intesa NATO tra Turchia, Svezia e Finlandia a Madrid (28 giugno 2022)
    Non va sovrastimato il riferimento alle nuove leggi nazionali antiterrorismo dei due Paesi scandinavi, perché tutto dipende dal livello di implementazione per i casi specifici dei presunti esponenti del PKK considerati rifugiati politici (e che, in linea teorica, già ora sarebbero dovuti essere estradati). Allo stesso modo, se può preoccupare il riferimento esplicito all’affrontare “in modo rapido e approfondito” le richieste di espulsione o estradizione di “sospetti terroristi” presentate dalla Turchia – le informazioni, le prove e l’intelligence di Ankara dovranno integrarsi con i principi della Convenzione europea di estradizione e con quadri giuridici bilaterali in cui rimane ancora centrale la questione del diritto alla protezione per i rifugiati politici. In ogni caso, va rilevato anche un fattore pratico: una volta che Finlandia e Svezia saranno membri NATO, a prescindere dal “Meccanismo Congiunto Permanente” stabilito per l’attuazione delle misure, la Turchia non avrà più la possibilità di ricattare i due Paesi scandinavi in caso di rimostranze sulla gestione delle procedure di estradizione di esponenti del PKK (o sospetti tali).
    Controverso è anche il riferimento all’intesa sull’astensione dal fornire sostegno alle Unità di Protezione Popolare (YPG) e al Partito dell’Unione Democratica (PYD) curdi. “In quanto potenziali alleati della NATO, Finlandia e Svezia estendono il loro pieno sostegno alla Turchia contro le minacce alla sua sicurezza nazionale”, si legge nel memorandum d’intesa trilaterale, con la precisazione che “condannano senza ambiguità tutte le organizzazioni terroristiche che perpetrano attacchi contro la Turchia”. Le forze curde sono state coinvolte nella lotta contro lo Stato Islamico dal 2014, rendendosi indispensabili per l’offensiva della coalizione internazionale contro Daesh in Siria, ma sono state abbandonate da tutti gli ex-alleati occidentali durante le operazioni militari turche nella regione del Kurdistan siriano. Ecco perché stupisce fino a un certo punto che Helsinki e Stoccolma abbiano firmato un’intesa che coinvolge anche questa concessione discutibile, dal momento in cui non aggiunge né toglie nulla al supporto inesistente sul piano internazionale al confederalismo democratico curdo.
    Ma la questione più cruciale riguarda le sanzioni del 2019 per l’intervento militare turco in Siria, che hanno portato al divieto di vendita di armi ad Ankara. “La Turchia, la Finlandia e la Svezia confermano che ora non esistono più embarghi nazionali sulle armi“, si legge nel testo dell’accordo firmato alla vigilia del Summit NATO di Madrid. “La Svezia sta modificando il quadro normativo nazionale per le esportazioni di armi in relazione agli alleati” e “in futuro, le esportazioni di armi da Finlandia e Svezia saranno condotte in linea con la solidarietà dell’Alleanza”, specifica il memorandum. Questa potrebbe essere la vera chiave di volta dello sblocco del veto turco all’adesione di Helsinki e Stoccolma all’Alleanza Atlantica, con fondati sospetti che la partita sia più ampia e coinvolga anche Washington, per la fornitura dagli Stati Uniti dei 40 nuovi caccia F-16 alla Turchia bloccata da tempo al Congresso a causa i rapporti controversi degli ultimi anni tra Erdoğan e l’omologo russo Putin.

    È stato firmato dai ministri degli Esteri dei tre Paesi e ha sbloccato la strada per l’adesione all’Alleanza Atlantica di Helsinki Stoccolma. Sono evidenti le concessioni sulle richieste di Ankara (in particolare su embargo e PKK), ma tutto dipenderà dall’implementazione degli accordi

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    La Turchia toglie il veto sull’adesione NATO di Svezia e Finlandia: sosterrà l’invito al vertice di Madrid

    Bruxelles – Il più importante vertice dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord dalla fine della Guerra Fredda si apre con una decisione che è a tutti gli effetti storica. La Turchia ha annunciato che toglierà il veto alla richiesta di adesione NATO di Svezia e Finlandia, sostenendo l’invito durante il vertice di Madrid (29-30 giugno) a diventare nuovi membri dell’Alleanza.
    La firma del memorandum d’intesa NATO tra Turchia, Svezia e Finlandia a Madrid (28 giugno 2022)
    “Sono lieto di annunciare che abbiamo raggiunto un accordo che apre la strada all’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO”, ha annunciato ieri sera (martedì 28 giugno) il segretario generale, Jens Stoltenberg, dopo il vertice a quattro con il presidente della Finlandia, Sauli Niinistö, la prima ministra svedese, Magdalena Andersson, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan: “La politica delle porte aperte della NATO è un successo, abbiamo mostrato di saper risolvere i problemi attraverso le negoziazioni”. Con il memorandum d’intesa firmato dai ministri degli Esteri di Helsinki, Stoccolma e Ankara, si apre la strada per l’invito ai due Paesi scandinavi a diventare nuovi membri della NATO. La decisione formale sarà presa oggi dai 30 alleati – Turchia compresa – nel corso della prima giornata di Summit a Madrid.
    La decisione assume una particolare rilevanza nel contesto del nuovo concetto strategico dell’Alleanza Atlantica, che considera la Russia “la più significativa e diretta minaccia” per la sicurezza degli alleati. La svolta nei due Paesi scandinavi tradizionalmente non-allineati militarmente è arrivata dopo l’aggressione militare della Russia all’Ucraina, un attacco non giustificato a uno Stato indipendente e sovrano che ha fatto temere il peggio anche a Helsinki e Stoccolma. “Inviamo un messaggio molto chiaro a Vladimir Putin“, ha sottolineato con forza il segretario generale Stoltenberg. “La nostra porta è aperta, e ha ottenuto l’opposto di quello che chiedeva” prima di invadere il territorio ucraino: “Voleva meno NATO, ora si trova con più NATO ai suoi confini“. Anche da Bruxelles è stata accolta positivamente l’intesa tra Finlandia, Svezia e Turchia per aprire le porte dell’Alleanza Atlantica ai due Paesi scandinavi: “Una NATO unita manterrà i nostri cittadini al sicuro e faciliterà una maggiore cooperazione con l’UE“, ha commentato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel.
    La questione turca
    Dopo la firma del memorandum d’intesa tra Svezia, Finlandia e Turchia a livello NATO, si attende ora la definizione dei dettagli dell’accordo sulle “minacce alla sicurezza reciproca”, estradizioni verso Ankara comprese (che “rispetteranno gli standard europei”). Tutte questioni che, ancora prima che il segretario generale Stoltenberg ricevesse le richieste di adesione da Helsinki e Stoccolma, avevano spinto la Turchia di Erdoğan a mettersi di traverso, a causa delle tensioni diplomatiche con i due Paesi scandinavi.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, e il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg
    La prima questione che ha tenuto in stallo per più di un mese l’adesione NATO di Finlandia e Svezia è legata al presunto sostegno al movimento politico-militare curdo del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) da parte dei due Paesi europei. In realtà, l’organizzazione è bollata come terroristica non solo dalla Turchia, ma anche dall’Unione Europea (di cui Finlandia e Svezia fanno parte), anche se questa attribuzione è controversa: a causa delle persecuzioni a cui è sottoposta la popolazione curda in Turchia, in particolare Stoccolma si è rifiutata di estradare diversi membri del PKK, considerandoli rifugiati politici. La seconda ragione si spiega con le sanzioni imposte nel 2019 contro la Turchia per l’intervento militare in Siria, che hanno portato al divieto di vendita di armi ad Ankara.
    Il testo firmato ieri sera dai tre leader specifica che Finlandia e Svezia “estenderanno il loro pieno sostegno” alla Turchia in materia di sicurezza nazionale, facendo concessioni risolutorie: la promessa è di “non fornire sostegno” ai gruppi curdi siriani PYD/YPG, attivi nella lotta contro lo Stato Islamico (IS) in Siria e di aprire a possibili estradizioni di membri del PKK (al momento non c’è nulla di vincolante per i due Paesi scandinavi), mentre è stata ribadita l’assenza di embarghi nazionali sulle vendite di armi alla Turchia. Infine, Helsinki e Stoccolma hanno confermato il sostegno alla “più ampia inclusione possibile” di Ankara e di altri alleati extra-UE alle “iniziative attuali e future” dei quadri di difesa dell’Unione Europea.

    Il processo di adesione alla NATO
    Per diventare membro della NATO, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta (come nel caso dell’Ucraina), la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella NATO di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione alla NATO inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri NATO, che attualmente sono 30 (oggi dovrebbe succedere questo al vertice di Madrid, con l’allineamento della Turchia). A questo punto si aprono nel quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale della NATO.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato dalla NATO con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della NATO invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    Dopo la firma del memorandum d’intesa con Helsinki e Stoccolma, al Summit di Madrid Ankara si allineerà agli altri 29 membri dell’Alleanza Atlantica. Decisive le concessioni dei due Paesi scandinavi su estradizioni ed embargo di armi, ma si attendono i dettagli dell’accordo

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    Unione Europea, oscar come attore non protagonista

    In questo contesto drammaticamente difficile e spietato si leggono i nomi degli attori che possono porsi come intermediari nel conflitto tra Russia ed Ucraina: gli Stati Uniti, la Cina, la Turchia e… l’Unione Europea?
    La posizione dei paesi dell’Unione Europea
    Sia chiaro, è ben noto che l’UE, attraverso i suoi leader nazionali, si muove verso la direzione diplomatica, ma è qui, paradossalmente, che il suo limite si evidenzia e si rende visibile.
    Prendiamo come esempio i casi più rappresentativi.
    Il premier francese Emmanuel Macron, che con il suo partito “En Marche” ha più volte espresso il desiderio e la visione di un’Unione Europea salda e compatta, ha avuto colloqui privati con Vladimir Putin.
    Essere risolutore della controversia potrebbe portare un enorme consenso che, con ogni probabilità, può tradursi in un risultato elettorale favorevole in vista delle prossime elezioni presidenziali che si terranno ad aprile nel Paese d’Oltralpe e che porranno l’attenzione dei “cugini” ad un bivio riguardo la percezione della Francia nel mondo.
    Infatti, probabilmente, il presidente in carica si troverà al ballottaggio contro il presidente del Rassemblement National,  Marine Le Pen, che più volte si è espressa, se non favorevole al regime russo, critica nei confronti dell’unità europea.
    Da più fronti si è fatta avanti la proposta di porre l’ex cancelliera tedesca, Angela Merkel, per mediare con il presidente russo, in virtù delle sue qualità e competenze.
    Tuttavia è necessario far notare che per quanto credibile, l’ex leader dell’Unione Cristiana Democratica è, ad oggi, “in pensione” e il suo partito non è più al governo del suo paese.
    In Germania infatti, dopo i risultati elettorali, vede l’SPD, i Liberali e i Verdi come forza di maggioranza e il CDU all’opposizione.
    Per cui, pur non potendo fare un bilancio negativo della figura politica e amministrativa rappresentata dalla Merkel alla guida della “locomotiva d’Europa”, viene spontaneo chiedere e chiedersi: possibile che non vi sia nessun rappresentante istituzionale europeo, ad oggi in carica, in grado di rappresentare l’Unione e la sua posizione in questo momento delicato?
    Risulta davvero necessario lasciare il passo ad Erdogan, Xi Jinping o Biden?
    Ultimo, e per certi versi più doloroso, capitolo riguarda il ruolo italiano.
    L’Italia sta gradualmente vivendo un periodo di ridimensionamento nello scenario internazionale, senza prolungarsi nell’annoso discorso riguardante i nostri vicini, Albania e Libia in primis, nei quali sono sempre meno presenti posizioni solide di interesse nazionale, i suoi rapporti con l’orso russo sembrano deteriorati, Pratica di Mare è lontana.
    Il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, pubblicamente viene sbeffeggiato dagli organi della Federazione e dichiara in una nota trasmissione televisiva che:
    “Tra un cane e Putin, quello atroce è il secondo”.
    Non è necessario essere Bismark o Cavour per comprendere che in situazioni delicate la forma e la sostanza spesso coincidono e che la cautela è un prerequisito fondamentale in diplomazia.
    Il premier Draghi dal canto suo cerca di porsi in una condizione intermedia, facendo i conti con la realtà.
    Le sanzioni, per quanto stringenti, potrebbero non bastare in un’ottica di organizzazione comunitaria.
    Se, da un lato il mercato europeo è appetibile per Mosca e inevitabilmente esiste una perdita nel paese, dall’altro è bene far notare che non è l’unico interlocutore commerciale e per certi versi le misure stringenti adottate si avvertono anche in Europa che vede aumentare i prezzi di beni di consumo come il grano e i costi dell’energia.
    Il costo della vita aumenta mentre, in Italia, gli stipendi restano stabili, certo, la condizione non è figlia esclusivamente del conflitto, ma è bene far notare come le tensioni sociali si rendono sempre più evidenti.
    Attraverso questa breve e sommaria analisi infatti è possibile riassumere che i singoli Paesi siano attenti al conflitto, limitandone, per quanto possibile, ulteriori eventi catastrofici e facendosi largo procedendo verso la strada diplomatica, la migliore auspicabilmente.
    L’Unione Europea necessita di perseguire i propri interessi e la sua politica estera comune
    Una politica estera comune per sopravvivere al contesto globale
    Tuttavia viene a mancare la direzione unitaria dell’attore europeo, che risulta essere carente, in questo contesto, di una dimensione politica e strategica comune e unitaria.
    Risulta possibile dunque evidenziare, per certi versi, dei limiti dell’Unione nel contesto internazionale?
    Un attore internazionale che è primario in termini di diritti, di welfare nei confronti dei suoi, purtroppo pochi, cittadini, e che è unito da cultura, storia e trattati, per quanto tempo ancora può non avere rilevanza a favore di vere e proprie autocrazie?
    Siamo ben lontani dai falsi miti del “fardello dell’uomo bianco” o da altre narrazioni etnocentriche che pongono l’Occidente, in questo caso declinato nel contesto europeo, come guida ispirata ed illuminata del mondo, ma non possiamo sottovalutare i rischi che si rendono sempre più evidenti.
    Ora è necessario distinguere i due criteri di “potenza” degli attori in gioco: l’hard e il soft power.
    L’hard power russo, cinese, pakistano, è noto, come lo è il deterrente che inevitabilmente si crea quando il proprio interlocutore è una potenza nucleare.
    Tuttavia non è possibile sottovalutare anche il soft power, ovvero quelli elementi culturali, sociali, che vengono perpetrati attraverso metodi comunicativi e mediatici, basti pensare a Russia Today o Sputnik e la propaganda filo-cinese, specialmente durante la prima fase pandemica.
    Interessi strategici, economici, militari, ma anche sistemici di valori, che l’UE non può abbandonare se l’intenzione è sopravvivere.
    In ottica “coloniale” abbiamo visto come Pechino si espande in Africa, nel Mediterraneo e ponendosi sempre più come traino asiatico; altri attori emergono sempre più; l’Occidente sembra diviso tra Stati Uniti che, gradualmente “tornano a casa” e un’Europa ancora in formazione, non compatta e immatura.
    Lo scenario che si prospetta è verosimilmente, diversamente a quanto vissuto negli ultimi 80 anni, multipolare, ed esiste la forte necessità di un’Unione Europea unita, stabile e salda, non frammentata in Stati che si renderanno sempre più marginali.
    L’Occidente europeo saprà rinnovarsi e sciogliere i nodi rappresentati dalle sfide future?

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    Accordo tra Italia e Grecia: fissati i confini marittimi, potenziata la cooperazione tra Roma e Atene

    Bruxelles – L’incontro alla Farnesina trai ministri degli Esteri di Italia Grecia ha visto lo scambio degli strumenti di ratifica dell’accordo sui confini marittimi dei due Paesi. Nikos Dendias, in una lettera indirizzata all’omologo italiano Luigi di Maio, ha parlato di “un atto simbolico di eccezionale importanza”.
    L’accordo tra Italia e Grecia e la ZEE
    Un’intesa era stata già trovata nel giugno del 2020, poi pubblicata in Gazzetta ufficiale nel 2021. Adesso l’accordo diventa realtà anche sul piano internazionale. I confini marittimi ricalcano quelli disegnati già nel 1977. All’epoca però non erano state definite le specificità funzionali delle zone disegnate. Adesso Atene e Roma si sono accordate per delimitare le rispettive Zone economiche esclusive (ZEE). 
    Si tratta della prima ZEE formalmente dichiarata dall’Italia. Fino al 2020 la Penisola era uno dei pochi Paesi Mediterranei a non aver esteso il proprio diritto esclusivo su un braccio di mare oltre le 12 miglia di acque territoriali. Tutt’oggi i confini marittimi e di sfruttamento delle risorse italiani sono fonte di controversie con Malta, Algeria e Tunisia, non esistendo una zona definita nel Canale di Sicilia e al largo delle coste sarde.
    Luigi di Maio auspica che l’accordo odierno possa “rappresentare un modello per il futuro”. Le ZEE sono in genere proclamate tramite decisioni unilaterali, ma solo l’accordo con i Paesi confinanti assicura che le delimitazioni vengano realmente rispettate. Un approccio simile a quello tenuto con la Grecia potrebbe ad esempio essere replicato con le nazioni sull’altro lato dell’Adriatico, con cui Roma ha in generale buoni rapporti.

    Non solo confini marittimi
    Ma i ministri non hanno discusso solo di confini marittimi. Come ha dichiarato di Maio, Italia e Grecia hanno affrontato una serie di dossier che spaziano dal “rafforzare il ruolo di hub energetici in Europa” alla “collaborazione sui temi europei, in particolare sulla necessità di un accordo sulle migrazioni”. L’incontro ha confermato che le due diplomazie sono d’accordo per una soluzione promossa dall’UE per evitare l’instabilità nei Balcani occidentali.
    Sul tavolo anche la Libia. Dendias ha ribadito la sua fiducia nella Conferenza internazionale sul futuro del Paese che inizierà a Parigi il 12 novembre. Lo scopo fondamentale per il ministro greco è quello di “favorire l’uscita dei mercenari dal Paese”, insieme a “un impegno di lungo periodo per ricostruire lo Stato”.
    Stando alle dichiarazioni dei funzionari del governo italiano l’accordo è solo una questione tra Roma ed Atene. Ma la lettera scritta dal ministro degli Esteri greco è indirizzata anche ad un altro interlocutore, la Turchia. Nel documento Dendias fa riferimento alle continue “violazioni del diritto internazionale” operate dalla marina turca nel Mediterraneo orientale e alla “ricerca di un casus belli” contro la Grecia.
    Dichiarazioni che fanno pensare che l’accordo con l’Italia, almeno per la Grecia, è una risposta all’intesa che Erdogan ha raggiunto con il governo dell’ex premier libico al-Sarraj nel 2019, per la creazione di un corridoio economico esclusivo tra Turchia e Libia. Questa delimitazione comprende anche alcuni tratti di mare a largo dell’isola di Creta che Atene rivendica come di propria competenza.

    L’accordo sulla delimitazione dei confini marittimi era stato firmato nel giugno del 2020 e riprendeva i confini di un’intesa siglata già nel 1977, ma negli ultimi 45 anni non erano ancora state individuate le rispettive zone di giurisdizione funzionale