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    Accordo sul 14esimo pacchetto di sanzioni alla Russia, l’Ue prende di mira le importazioni di gas da Mosca

    Bruxelles – L’Ue spezza il tabù sul gas russo. Dopo settimane di trattative, gli ambasciatori dei Paesi membri hanno raggiunto oggi (20 giugno) l’accordo sul 14esimo pacchetto di sanzioni alla Russia dall’inizio della guerra di aggressione in Ucraina. Un pacchetto “potente e sostanziale”, lo definisce la presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue nel dare l’annuncio. Per la prima volta, Bruxelles prende di mira le importazioni di Gnl da Mosca, che nel 2023 hanno generato circa 8 miliardi di euro di profitti per il Cremlino.Per l’approvazione ufficiale e la pubblicazione del pacchetto bisognerà aspettare il Consiglio Ue Affari Esteri di lunedì 24 giugno. Ma fonti Ue rivelano già che le sanzioni colpiranno “più di 100 nuove persone ed entità, per un totale di oltre 2200″ e che includono misure per dare un taglio alle “importazioni, investimenti e trasbordi di Gnl”.Perché, anche se dall’inizio del conflitto in Ucraina l’Ue ha ridotto di circa due terzi la sua dipendenza dal gas russo, ha continuato a importarlo e rivenderlo. E così, nonostante il Gnl da Mosca rappresenti solo il 5 per cento del consumo di gas dell’Ue nel 2023, i 20 miliardi di metri cubi di Gnl russo acquistati dai 27 – Belgio, Francia e Spagna i punti di ingresso principali – hanno portato nelle casse del Cremlino profitti per circa 8 miliardi di euro.L’accordo raggiunto oggi dagli ambasciatori Ue non prevede un divieto assoluto di importazione: le aziende europee potranno ancora acquistare il Gnl russo, ma sarà vietata la sua riesportazione (o trasbordo) in altri Paesi. Secondo l’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis), circa il 21 per cento del Gnl che arriva da Mosca viene poi trasbordato a livello globale. Oltre 4 miliardi di metri cubi.“Questo pacchetto incisivo negherà ulteriormente alla Russia l’accesso alle tecnologie chiave” e “spoglierà la Russia di ulteriori entrate energetiche”, ha esultato con un post su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. L’accordo è stato sbloccato dopo la strenua opposizione di Germania e Ungheria: Budapest non voleva ulteriori sanzioni nel settore energetico, Berlino aveva espresso riserve sugli oneri previsti per le aziende europee per evitare che le misure restrittive in essere vengano aggirate.Come spiegano fonti Ue, il 14esimo pacchetto di sanzioni fornisce anche “ulteriori strumenti per evitare l’elusione, soprattutto nel caso di filiali di Paesi terzi di società madri dell’Ue”. A quanto si apprende, a tutela delle imprese Ue sono stati previsti due tipi di rimedi, “in modo che possano agire dinanzi alle corti nazionali per chiedere di essere risarcite”. Da un lato potranno ottenere il risarcimento di danni subiti “a fronte di cause avviate in Paesi terzi da soggetti russi o controllati da russi per contratti o transazioni la cui esecuzione è stata colpita dalle sanzioni europee”. Dall’altro, le imprese europee “saranno tutelate per i danni causati da soggetti russi che hanno beneficiato dei provvedimenti russi di assegnazione in amministrazione temporanea”.

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    Il Parlamento europeo chiede un’applicazione più rigorosa delle sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Le sanzioni ci sono, ma non si applicano. Durante la seduta plenaria odierna (9 novembre) del Parlamento europeo, gli eurodeputati hanno chiesto all’Unione e ai suoi Stati membri di rafforzare e centralizzare il controllo sull’attuazione delle sanzioni contro la Russia, nonché di sviluppare un meccanismo per la prevenzione e il monitoraggio dell’elusione.Il regime di sanzioni applicato dall’Ue contro la Russia presenta varie lacune, che mettono in allarme l’Eurocamera. Quello che manca è soprattutto un’adeguata applicazione delle misure restrittive, ma gli eurodeputati hanno espresso la loro preoccupazione anche sui tentativi di compromettere gli sforzi volti a indebolire strategicamente l’economia e la base industriale russa e a ostacolare la capacità del Paese di condurre la guerra.La Russia finora è stata in grado di eludere le misure comunitarie come il tetto massimo sulle sanzioni petrolifere introdotto dagli Stati membri dell’Ue e il cosiddetto Price Cap Coalition. A questo si aggiunge il problema dell’importazione di prodotti petroliferi realizzati con petrolio russo, attraverso Paesi terzi come l’India, da parte dei Ventisette. In questo modo, la sanzione viene aggirata con una scorciatoria e la quantità di questi prodotti che arrivano in territorio europeo passando da altri Paesi è in crescita. Il problema è lo stesso anche nella direzione opposta: è il caso di alcuni componenti occidentali cruciali, che arrivano ancora in Russia attraverso Paesi come Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Kazakistan, Kirghizistan e Serbia.A causa di alcune lacune nelle norme sulle sanzioni, Il Cremlino è riuscito a racimolare fondi per i suoi scopi bellici. L’Unione europea aveva concesso alla Bulgaria un’esenzione unica al divieto sull’acquisto di petrolio russo, grazie alla quale il Paese ha potuto permettere a milioni di barili di raggiungere una raffineria locale di proprietà russa, che ha poi esportato vari combustibili raffinati all’estero, Ue compresa. Secondo Politico, questa scappatoia avrebbe permesso a Putin di raccogliere 1 miliardo di euro. Anche Paesi come l’Azerbaigian starebbero mascherando la provenienza russa del gas per esportarlo nell’Ue. La stessa Unione rimane poi uno dei maggiori clienti di combustibili fossili della Russia, a causa delle continue importazioni di gas da metanodotti e Gnl, nonché di varie eccezioni al divieto di importare petrolio greggio e prodotti petroliferi.Nella risoluzione votata oggi, l’Eurocamera ha poi espresso preoccupazione per il commercio in corso di beni strategici per la guerra tra gli Stati membri dell’Ue e Mosca. Bisognerà fare più attenzione anche a chiudere adeguatamente il mercato comunitario per i combustibili fossili di origine russa, nonché a imporre sanzioni a tutte le principali compagnie petrolifere russe, a Gazprombank, alle loro controllate e ai loro consigli di amministrazione e gestione. Secondo l’Eurocamera, l’Ue ha poi un altro compito: esplorare vie legali che consentano la confisca dei beni russi congelati e il loro utilizzo per la ricostruzione dell’Ucraina.Per portare a termine quanto espresso nella risoluzione, l’Unione europea dovrebbe collaborare con il G7: lo scopo è abbassare sostanzialmente il prezzo massimo del petrolio russo e dei prodotti petroliferi, oltre a imporre un divieto totale sulle importazioni russe di Gnl e Gpl nonché sull’importazione di carburante e altri prodotti petroliferi da paesi Paesi extra-Ue, qualora questi prodotti fossero stati fabbricati utilizzando petrolio russo. Il Parlamento vuole inoltre che l’Unione vieti la spedizione di petrolio russo e le esportazioni di Gnl attraverso i Ventisette e introduca limiti di prezzo e volume sulle importazioni comunitarie di fertilizzanti russi e bielorussi. A questo, gli eurodeputati aggiungono ancora una richiesta, indirizzata soprattutto alla Commissione europea: le sanzioni per includere un divieto totale sulla commercializzazione e sul taglio dei diamanti di origine russa o riesportati dalla Russia nell’Unione europea.
    Le misure restrittive finora applicate alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina sono lacunose e insufficienti. L’Eurocamera propone di usare i beni russi congelati per ricostruire l’Ucraina

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    L’Ue: “Sanzioni anti-Russia funzionano. Pronti a vararne altre, se necessario”

    Bruxelles – “Voglio ribadirlo: le sanzioni contro la Russia funzionano“. Il commissario per la Giustizia, e adesso anche commissario per la Concorrenza ad interim, lo scandisce sia nell’intervento di apertura che di chiusura del dibattito d’Aula al Parlamento europeo. Didier Reynders trova un emiciclo diviso, dove al fronte dei sempre contrari alla misure restrittive nei confronti di Mosca per l’aggressione dell’Ucraina si aggiungono che iniziano a essere stanchi delle ricadute economiche. A tutti però ricorda che “le sanzioni stanno avendo un forte impatto sull’economia russa”, e lo dicono i numeri. “Solo per quest’anno le stime parlano di una contrazione economica di 1,7 miliardi di rubli”. A questo si aggiungono i circa “300 miliardi di euro di asset congelati, due terzi dei quali in Europa”.La linea non si cambia. Perché è giusto così e perché funziona. Tanto che la presidenza spagnola di turno del Consiglio dell’Ue annuncia la disponibilità ad andare avanti. “L’attuale regime di sanzioni contro la Russia è il più vasto mai adottato dall’Ue”, premette Pascual Navarro Rios, segretario per gli Affari europei del governo di Madrid. Quindi l’affondo: “L’Ue è pronta ad accrescere la pressione ulteriormente, anche con altre sanzioni, quando e dove necessario“.Un’apertura che trova il plauso di Juan Fernando Lopez Aguilar. L’europarlamentare socialista chiede di spostare attenzione e azione dell’Unione europea “sul settore dei porti”, così da chiudere ogni strada alle merci per e dalla Russia. C’è chi invece invita alla riflessione. “Sulle sanzioni sarebbe magari il caso di fare meno filosofia e iniziare a pensare sul prezzo che le aziende italiane ed europee stanno pagando”, scandisce Paolo Borchia (Lega/Id), che invoca “un ragionamento in termini di efficacia e di ricadute sulla nostra economia”. Piè deciso l’alleato Harald Vilimsky, esponente dell’ultradestra di Fpo ed euroscettico del gruppo Id, lo stesso gruppo della Lega. “Le sanzioni non garantiscono stabilità dei prezzi? No. L’inflazione è una conseguenza delle sanzioni. Dobbiamo lavorare per portare le persone attorno al tavolo”.Ma trattare non è un’opzione, almeno non per i liberali. “Sento gli amici di Putin in quest’Aula parlare dei costi delle sanzioni e contro le sanzioni, senza dire che il costo di questa guerra anche maggiore”, tuona  Sophie in’t Veld (Re).
    Il commissario per la Giustizia e la presidenza spagnola del Consiglio nell’Aula del Parlamento insistono sulla necessità di procedere come fatto finora. Sovranisti ed euroscettici vogliono lo stop e chiedono trattative con Mosca

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    Il Belgio alla fine cede sui diamanti nelle sanzioni contro la Russia. Per il premier De Croo sono “un simbolo della guerra”

    Bruxelles – L’apertura ora è ufficiale e può iniziare il lavoro con il principale hub del commercio internazionale di diamanti. Il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, ha esortato esplicitamente il settore della gioielleria a “innalzare gli standard di trasparenza” e allinearsi alla prossima iniziativa del G7 per limitare i ricavi del Cremlino dal commercio di diamanti. “In qualità di hub leader nel commercio dei diamanti, il Belgio ha la responsabilità di contribuire al suo successo“, ha messo in chiaro il premier durante un incontro ieri sera (20 settembre) con i responsabili dell’industria della gioielleria presso il Console Generale del Belgio a New York, dove si è recato per partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
    Il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo (terzo da sinistra) con i responsabili dell’industria della gioielleria (20 settembre 2023)
    Per la prima volta De Croo ha sgomberato il campo dalle ambiguità che il suo Paese ha mantenuto nell’ultimo anno a causa della posizione di assoluta centralità della città di Anversa nel commercio globale di pietre preziose. “I diamanti russi sono diventati il simbolo della guerra e delle violazioni dei diritti umani” ed è per questo che l’intero settore in Europa e in Belgio deve fare “l’ultimo miglio” per garantire il successo dell’iniziativa del Gruppo dei Sette ormai pronta. Si tratta nello specifico di un sistema di tracciabilità su cui si sta lavorando da maggio per una collaborazione tra partner internazionali “al fine di garantire l’effettiva attuazione di future misure restrittive coordinate”, aveva anticipato la dichiarazione del G7 di Hiroshima. Secondo quanto riferito dal premier belga, il sistema di tracciamento per impedire che i diamanti russi entrino nei mercati che hanno imposto il divieto è quasi pronto, ma “renderlo completamente trasparente richiede molto lavoro, che dobbiamo fare insieme”, è l’esortazione ai responsabili del settore “per implementare il sistema dal primo gennaio 2024“. La base del meccanismo di verifica dovrebbe essere il Certificato di Kimberley istituito nel 2003 per frenare il flusso dei ‘diamanti insanguinati’ nel mercato globale, attraverso l’utilizzo della tecnologia blockchain: in caso di successo il sistema dovrebbe eliminare i diamanti russi e ridurne il valore sul mercato a favore di quelli provenienti dal continente africano.
    Il sistema di tracciabilità costituisce per Bruxelles – e per Anversa – un’alternativa credibile all’embargo sull’importazione di diamanti, escluso anche dall’ultima tornata di sanzioni Ue contro la Russia. A margine del vertice G7 di Hiroshima, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva precisato che la volontà dell’Unione è quella di limitare il commercio: “Faremo in modo che ci sia coerenza con quello che stiamo facendo a livello europeo“. Diverse fonti diplomatiche avevano fatto sapere a Eunews che, nonostante non si stia più discutendo di embargo tra le misure restrittive Ue perché “difficile da attuare”, il Belgio e la Commissione Europea stavano mettendo a punto un sistema di tracciabilità in linea con quanto in via di definizione in sede G7. Attualmente a Bruxelles è in fase di preparazione il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia e l’attesa presentazione del sistema di tracciabilità del G7 sarebbe “l’innesco per il lancio” della prossima tornata di misure restrittive Ue, fanno sapere le stesse fonti, anche se non ci sono ancora tempistiche certe.
    Un anno di resistenze sui diamanti
    (credits: Punit Paranjpe / Afp)
    La questione dei diamanti era entrata per la prima volta nelle discussioni tra gli ambasciatori al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) in occasione del settimo pacchetto di sanzioni definito di maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento). Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue del 21 luglio era stato deciso di includere anche i gioielli nel divieto di acquistare, importare o trasferire l’oro russo (anche se esportato in un Paese terzo), ma era rimasto fuori il commercio di diamanti, dal momento in cui nella richiesta di allineamento dei leader del G7 in Germania questa azione non era prevista.
    Di fronte alla pressione crescente nei mesi successivi a causa dell’escalation della guerra in Ucraina, nelle trattative per l’ottavo pacchetto di sanzioni la proposta della Commissione Ue di un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia è arrivata a un passo dal via libera da tutti i Paesi membri Ue, prima di essere bloccata da un colpo di coda in extremis. A spingere per l’esclusione del gigante russo dell’estrazione Alrosa dalla lista delle entità colpite era stata l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che aveva denunciato il rischio di disoccupazione per oltre 10 mila lavoratori nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di diamanti: la città controlla l’86 per cento del commercio globale di quelli grezzi e la metà di quelli lavorati. Si è trattata di una vera e propria concessione alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno influenzato la posizione del governo belga per prendere a picconate la proposta del gabinetto von der Leyen.
    Nel corso delle trattative tra gli ambasciatori anche per l’approvazione dei due pacchetti successivi di misure restrittive è passata la linea morbida del Belgio per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti, facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro dell’ottobre 2022 aveva segnato una sconfitta per Baltici e Polonia, che hanno sempre appoggiato un embargo totale sui diamanti (non-industriali). Ma, come avevano riferito al tempo fonti diplomatiche a Eunews, gli altri Paesi membri non avevano levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca (pari al 30 per cento in tutto il mondo), mentre ogni giorno ad Anversa vengono commerciati diamanti per un valore di 220 milioni di dollari, pari a circa 47 miliardi di dollari all’anno.

    A New York per l’Assemblea Generale dell’Onu, il premier belga ha messo in chiaro che il suo Paese “ha la responsabilità di contribuire al successo” dell’iniziativa del G7 per ridurre i ricavi del Cremlino dal commercio delle pietre preziose. Si discute se inserirlo nel dodicesimo pacchetto

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    Un colpo al cerchio ucraino e uno alla botte russa. La Serbia di Vučić tenta uno spericolato equilibro tra Mosca e Kiev

    Bruxelles – Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si muove sui cristalli, ma nessuno dei cocci che rompe fanno piacere a Bruxelles. Perché il leader del Paese candidato all’adesione Ue dal 2012 sembra avere una propensione naturale al cerchiobottismo, sfidando sempre un po’ di più i limiti che l’Unione può tollerare. Ma il rischio che si sta assumendo dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina sta diventando sempre più grosso e l’equilibrio sempre più delicato, volendo barcamenarsi in una presunta “equidistanza” non solo tra Bruxelles e Mosca, ma ora anche tra Kiev e il Cremlino, e tirando in ballo un’altra questione molto delicata per l’Ue: convincere altri Paesi a non riconoscerei il Kosovo.
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ad Atene (21 agosto 2023)
    A mettere in luce la nuova spericolata avventura di Vučić è stata la cena informale di lunedì (21 agosto) ad Atene tra i leader delle istituzioni comunitarie, dei Balcani Occidentali, dell’Ucraina e della Moldova, in cui sono andati in scena anche una serie di incontri bilaterali su allargamento Ue e invasione della Russia. Proprio uno dei punti, quest’ultimo, su cui Vučić ha dovuto più destreggiarsi. Il leader serbo non è nuovo alle critiche dell’Unione per il mancato allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina (unico in Europa a non averlo fatto nemmeno a livello di principio), ma fino a oggi non ha mai ceduto ad allontanarsi eccessivamente dal legame con il Cremlino. Al contrario, nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro, nel maggio dello scorso anno ha siglato un’intesa con Vladimir Putin per altri tre anni di gas russo a condizioni favorevoli.
    La vera novità dalla cena di Atene è – come lo stesso Vučić ha dichiarato oggi (23 agosto) nel corso di una conferenza stampa – l’opposizione esplicita a inserire riferimenti alle sanzioni e ai crimini di guerra di Putin nella Dichiarazione di Atene, il tutto allo stesso tavolo di Zelensky: “Per noi sono condizioni molto difficili”, anche se ha concesso molto vagamente che “non può esserci impunità per la guerra e altri crimini, come gli attacchi contro i civili e la distruzione delle infrastrutture”. Il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dačić, nel celebrare pomposamente la “vittoria diplomatica da soli contro 13 Paesi” in un’intervista a Kurir Tv, ha rivelato un dettaglio di non poco conto: il presidente serbo avrebbe usato “la sua influenza politica” per modificare il testo della dichiarazione ufficiale, “in modo da eliminare il paragrafo che menzionava le sanzioni contro la Russia“, perché “contrario ai nostri interessi nazionali”. Da Bruxelles nessun commento sulla questione, ma in ogni caso non si tratta di segnali incoraggianti sullo spirito che anima l’establishment politico di Belgrado a un anno e mezzo dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
    L’Ucraina tra Serbia e Kosovo
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ad Atene (21 agosto 2023)
    Per cercare di non tagliare i ponti con l’Ucraina, il leader serbo ha cercato di spostare la discussione su un altro livello: quello dell’integrità territoriale, che interessa tanto Kiev quanto Belgrado. “Un incontro aperto, onesto e proficuo”, lo ha definito il presidente Zelensky, riportando i temi di discussione all’incontro bilaterale di Atene: “Rispetto della Carta delle Nazioni Unite e inviolabilità dei confini, futuro comune delle nostre nazioni nella casa europea e relazioni reciproche nel mutuo interesse”. Perché se per l’Ucraina integrità territoriale significa Donbas e Crimea all’interno dei confini nazionali, per la Serbia significa non accettare l’indipendenza del Kosovo proclamata nel 2008. “Sto cercando di ottenere il meglio per la Serbia”, ha dichiarato alla stampa il presidente serbo, parlando delle conversazioni che ha avuto con quattro leader presenti ad Atene i cui Paesi non riconoscono la sovranità di Pristina: due membri Ue (Grecia e Romania) e due non-Ue, Bosnia ed Erzegovina e Ucraina, appunto. Facendo riferimento alle “pressioni” esercitate da Bruxelles su questi Stati, la missione di Vučić ad Atene è stata quella di spingere il leader ucraino a non cedere, facendo leva con tutta probabilità sull’invio di armi per la difesa dall’invasione russa.
    Eppure questo atteggiamento di Vučić si potrebbe scontrare presto non solo con l’irritazione di Mosca per il supporto all’esercito ucraino, ma soprattutto con la posizione dell’Unione Europea per la violazione di accordi precedentemente presi. Secondo l’accordo di Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo firmato sotto l’egida Ue lo scorso 27 febbraio “nessuna delle due Parti bloccherà, né incoraggerà altri a bloccare i progressi dell’altra Parte nel rispettivo cammino verso l’Ue sulla base dei propri meriti”, recita l’articolo 5, riferendosi implicitamente alla sovranità di Pristina (un Paese non indipendente non può fare ingresso nell’Ue). A questo si aggiunge il punto 4 dello stesso accordo, già violato da Belgrado in occasione della votazione sulla richiesta di Pristina di aderire al Consiglio d’Europa: “La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“. Secondo quanto confermato dallo stesso presidente serbo, Belgrado chiederà che si tenga “quanto prima” una sessione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni sulla situazione nel nord del Kosovo. Perché la strada di Vučić ormai è tracciata, per quanto spericolato sia l’equilibrio cercato tra Mosca e Kiev e a prescindere dagli avvertimenti di Bruxelles.

    Il presidente serbo sostiene di essere riuscito a modificare la bozza della Dichiarazione di Atene, rendendo meno duri i punti sui crimini di guerra e sanzioni. Ma intanto stringe i rapporti con Zelensky sull’integrità territoriale per impedire che Kiev riconosca la sovranità del Kosovo

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    L’Ue ha adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. C’è lo strumento anti-elusione e nuovi divieti

    Bruxelles – E sono undici. Dal Consiglio dell’Ue è arrivato questa mattina (23 giugno) il via libera all’adozione del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, il secondo introdotto dall’inizio dell’anno, l’undicesimo dall’inizio della guerra d’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022. Una media di una tornata di misure restrittive ogni 44 giorni, che nel suo ultimo aggiornamento si è concentrata sulla prevenzione e il contrasto dell’elusione delle misure restrittive già introdotte nei precedenti dieci pacchetti. “Massimizzeremo la pressione sulla Russia privandola ulteriormente delle risorse di cui ha disperatamente bisogno per proseguire la sua guerra illegale contro l’Ucraina”, ha promesso l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Considerato il fatto che “le nostre sanzioni stanno già avendo un forte impatto sull’economia russa e sulla capacità del Cremlino di finanziare le sue aggressioni”, l’undicesimo pacchetto “aumenta la nostra pressione sulla Russia e sulla macchina da guerra di Putin“, grazie a una serie di misure restrittive proposte dalla Commissione Ue lo scorso 5 maggio e dopo poco più di un mese approvate dagli ambasciatori dei 27 Paesi membri riuniti al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti). L’elemento di vera novità è il contrasto all’elusione di quanto già previsto finora, attraverso un nuovo strumento anti-elusione che sarà attivato solo in caso di fallimento del rafforzamento della cooperazione con i Paesi terzi. In questo scenario – non auspicato da Bruxelles – si metterà in moto un processo in due fasi, ovvero una “azione rapida, proporzionata e mirata“, finalizzata “esclusivamente a privare la Russia delle risorse” bandite da Bruxelles. Prima l’Unione si impegnerà in un ulteriore “dialogo costruttivo con il Paese terzo in questione” e nel caso in cui l’elusione rimanga comunque “sostanziale e sistemica”, l’Ue avrà la possibilità di adottare “misure eccezionali di ultima istanza“. In altre parole, il Consiglio potrà decidere all’unanimità di limitare la vendita, la fornitura, il trasferimento o l’esportazione di beni e tecnologie la cui esportazione verso la Russia è già vietata – “in particolare prodotti e tecnologie per il campo di battaglia” – a Paesi terzi la cui giurisdizione è dimostrata essere “a rischio continuo e particolarmente elevato“.
    Nell’undicesimo pacchetto rientra comunque anche il lavoro per aumentare la pressione sull’economia russa. In particolare viene aggiornato l’elenco delle entità soggette a restrizioni più severe sulle esportazioni di beni e tecnologie a duplice uso. Tra le 87 nuove entità, ce ne sono anche quattro iraniane che producono droni e li vendono al Cremlino, ma anche altre coinvolte nell’elusione delle restrizioni commerciali e registrate in Cina, Uzbekistan, Emirati Arabi Uniti, Iran, Siria e Armenia. Anche un altro elenco Ue è stato aggiornato nella nuova tornata di sanzioni, ovvero quello dei prodotti che potrebbero contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza della Russia: ora ne fanno parte 15 di nuovi, tra cui componenti elettronici, materiali per semiconduttori, attrezzature per la produzione e il collaudo di circuiti elettronici integrati e schede a circuito stampato, precursori di materiali energetici e di armi chimiche, componenti ottici, strumenti di navigazione, metalli utilizzati nel settore della difesa e attrezzature marine. Anche attraverso il dialogo sempre più stretto con la Svizzera come Paese partner, Bruxelles ha deciso di inasprire le restrizioni sulle importazioni di prodotti siderurgici e di vietare l’esportazione di auto elettriche e ibride di lusso (cilindrata maggiore di 1.900 cm³).
    Di grande importanza per l’Unione anche la lista delle persone ed entità soggette al congelamento dei beni e al divieto di viaggio sul territorio dell’Unione, che ora conta più di 1.500 nomi. Con il nuovo pacchetto sono stati aggiunti 100 nuovi soggetti, tra cui alti ufficiali militari, responsabili della deportazione illegale di bambini e del saccheggio del patrimonio culturale ucraino, uomini d’affari, giudici e banche che operano nei territori occupati, aziende informatiche che forniscono tecnologia, software critici all’intelligence e propagandisti. A questo proposito, “per far fronte alla sistematica campagna internazionale di manipolazione dei media e di distorsione dei fatti”, è stato estesa la sospensione delle licenze di trasmissione ad altri cinque media (oltre a quelli già inseriti, Sputnik, Russia Today, Rossiya RTR / RTR Planeta, Rossiya 24 / Russia 24, TV Centre International, NTV / NTV Mir, Rossiya 1, REN TV e Pervyi Kanal). Si tratta di RT Balkan, Oriental Review, Tsargrad, New Eastern Outlook e Katehon, tutte emittenti “sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, della leadership della Federazione Russa” e che preoccupano anche in vista delle elezioni europee del 2024: “La propaganda ha ripetutamente e costantemente preso di mira i partiti politici europei, soprattutto durante i periodi elettorali”.
    C’è infine la questione dei trasporti e dell’energia. In primis è stato esteso il divieto di trasportare merci nell’Ue su strada ai rimorchi e ai semirimorchi immatricolati in Russia, anche se trasportati da autocarri immatricolati fuori dalla Russia. Inoltre – considerato il “forte aumento di pratiche ingannevoli da parte di navi che trasportano greggio e prodotti petroliferi” – il Consiglio ha deciso anche di vietare l’accesso ai porti e alle chiuse dell’Ue a “tutte le navi che effettuano trasferimenti da nave a nave”, se le autorità competenti hanno “ragionevoli motivi” per sospettare che la nave stia violando il divieto di importare greggio e prodotti petroliferi russi o stia trasportando prodotti russi acquistati al di sopra del massimale di prezzo concordato dalla Price Cap Coalition. Sull’energia spicca lo stop definitivo alla deroga temporanea concessa a Germania e Polonia per la fornitura di petrolio greggio dalla Russia attraverso la sezione settentrionale dell’oleodotto Druzhba, mentre quello proveniente “dal Kazakistan o da un altro Paese terzo” potrà continuare a transitare per la Russia. Sarà estesa invece fino al 31 marzo 2024 l’estensione dell’eccezione al tetto del prezzo del petrolio di Sakhalin per il Giappone.

    Il Consiglio dell’Ue ha approvato l’adozione della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca, il cui punto saliente è l’introduzione di “misure eccezionali di ultima istanza” nel caso in cui le merci il cui export è vietato passano da Paesi terzi e poi finiscono sul territorio russo

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    I diamanti tornano al centro del dibattito Ue sulle sanzioni contro la Russia. Si ragiona su un sistema di tracciabilità

    Bruxelles – È passato quasi un anno dalla prima volta che la questione dei diamanti russi si è affacciata nel dibattito pubblico europeo a proposito delle sanzioni internazionali contro la Russia, ma da allora questo commercio globale che solo nel 2021 ha portato nelle casse di Mosca circa 4,5 miliardi di euro non è mai entrato in nessuno dei dieci pacchetti di misure restrittive già messi a terra dall’Unione. Si tratta di uno dei punti più critici dei rapporti tra l’Ue e la Russia, in particolare per uno Stato membro (e una sua città) che della lavorazione dei diamanti ha fatto il punto di forza della propria economia. Il Belgio e il porto di Anversa.
    Nonostante tutte le resistenze e le attività di lobby che hanno permesso all’industria belga della lavorazione dei diamanti di non essere coinvolte nei tagli alla macchina di finanziamento indiretto della guerra russa in Ucraina, nel pieno delle discussioni tra i 27 ambasciatori Ue sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino la questione è riemersa con più vigore. Tanto che diverse fonti riferiscono a Eunews una spinta convergente da Bruxelles e Hiroshima (dove è in corso il vertice dei leader del G7) sulla limitazione a questo commercio. Come si legge nella dichiarazione del Gruppo dei Sette sull’Ucraina – in linea con le anticipazioni della vigilia da funzionari europei – “al fine di ridurre le entrate che la Russia ricava dall’esportazione di diamanti, continueremo a collaborare strettamente per limitare il commercio e l’uso di diamanti estratti, lavorati o prodotti in Russia“. La precisazione è un impegno “con i principali partner al fine di garantire l’effettiva attuazione di future misure restrittive coordinate, anche attraverso tecnologie di tracciamento“.
    È proprio sulla questione del tracciamento che l’attenzione ritorna a Bruxelles. Fonti diplomatiche precisano che non ci sarà l’embargo in questa tornata di misure restrittive, ma che Belgio e Commissione Europea stanno mettendo a punto un sistema di tracciabilità, che dovrebbe rendere la misura più efficace rispetto a un semplice divieto di esportazione “difficile da attuare”. In ogni caso questo lavoro richiederà altro tempo per la definizione dei dettagli e della messa a terra e perciò non è atteso all’interno dell’undicesimo pacchetto. Altre fonti però invitano a prestare attenzione alle discussioni tra i leader del G7 e in particolare a quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Nel corso di un punto con la stampa a poche ore dall’inizio della riunione, il numero uno del Consiglio ha sottolineato che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre e spiegheremo apertamente perché queste sanzioni sono necessarie e giustificate”. Ricordando che “non posso parlare a nome del governo belga”, proprio Michel (ex-premier del Paese) ha fatto notare che “sui diamanti c’è una discussione qui al G7 e una in parallelo sulle sanzioni a Bruxelles, faremo in modo che ci sia coerenza tra la dichiarazione e quello che stiamo facendo a livello europeo“.
    Un anno di dibattito su diamanti e sanzioni
    La questione dei diamanti era entrata per la prima volta nelle discussioni tra gli ambasciatori al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) nel luglio dello scorso anno, in occasione del settimo pacchetto di sanzioni definito di maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento). Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue del 21 luglio era stato deciso di includere anche i gioielli nel divieto di acquistare, importare o trasferire l’oro russo (anche se esportato in un Paese terzo), ma era rimasto fuori il commercio di diamanti, dal momento in cui nella richiesta di allineamento dei leader del G7 in Germania questa azione non era prevista.
    (credits: Alexander Nemenov / Afp)
    Di fronte alla pressione crescente nei mesi successivi a causa dell’escalation della guerra in Ucraina, nelle trattative per l’ottavo pacchetto di sanzioni la proposta della Commissione Ue di un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia è arrivata a un passo dal via libera da tutti i Paesi membri Ue, prima di essere bloccata da un colpo di coda in extremis. A spingere per l’esclusione del gigante russo dell’estrazione Alrosa dalla lista delle entità colpite era stata l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che aveva denunciato il rischio di disoccupazione per oltre 10 mila lavoratori nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di diamanti. Si è trattata di una vera e propria concessione alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno influenzato la posizione del governo belga per prendere a picconate la proposta del gabinetto von der Leyen.
    Nel corso delle trattative tra gli ambasciatori anche per l’approvazione dei due pacchetti successivi di misure restrittive è passata la linea morbida del Belgio per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti, facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro dell’ottobre 2022 aveva segnato una sconfitta per Baltici e Polonia, che hanno sempre appoggiato un embargo totale sui diamanti (non-industriali). Ma, come avevano riferito al tempo fonti diplomatiche a Eunews, gli altri Paesi membri non avevano levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, pari al 30 per cento in tutto il mondo.

    Da Hiroshima, dove il vertice G7 ha avallato il dossier, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha messo in chiaro che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre”. Fonti precisano a Eunews che non ci sarà l’embargo nell’undicesimo pacchetto

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    Bruxelles avverte la Georgia sull’allineamento alle sanzioni internazionali sul transito aereo dalla Russia

    Bruxelles – Un richiamo a rispettare i principi e doveri della Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue per i Paesi che aspirano ad aderire all’Unione, un’esortazione a chiudere le porte a qualsiasi forma di elusione delle sanzioni internazionali e a mezzi “ormai non a norma di sicurezza”. Da Bruxelles arrivano pressanti richieste alla Georgia, Paese aspirante candidato all’adesione Ue dal 4 marzo 2022, ad allinearsi al regime di misure restrittive contro la Russia anche sul livello dell’aviazione civile, in risposta alla decisione di Mosca di eliminare il divieto di volo verso la Georgia.
    Scritte contro la Russia durante le proteste a Tbilisi del 7 marzo 2023
    L’appello è arrivato oggi (11 maggio) dal portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo alle domande della stampa a proposito della notizia sulla decisione delle autorità russe di togliere il divieto tra i due Paesi. “Ne prendiamo atto”, ha commentato seccamente il portavoce, approfittando però dell’occasione per richiamare all’ordine i partner georgiani sullo stesso tema, ma da un’angolatura differente: “Dobbiamo ricordare che a causa delle guerra illegale di aggressione della Russia in Ucraina, l’Ue e i partner internazionali hanno introdotto sanzioni contro il settore dell’aviazione russa e non permettiamo voli da, per e sulla Russia“. La questione non riguarda solo i Ventisette, ma anche e soprattutto i Paesi candidati all’adesione Ue (come la Serbia, unico Paese europeo che autorizza la sua compagnia di bandiera Air Serbia a volare sulle città russe) e aspiranti tali: “L’Ue incoraggia la Georgia ad allinearsi alle sanzioni esistenti contro la Russia, bisogna rimanere vigili rispetto a qualsiasi possibile tentativo di aggirarle“, ha incalzato Stano.
    C’è poi anche una questione di sicurezza che si solleva sul sorvolo di velivoli russi nei cieli dei Paesi partner dell’Unione. Come evidenziato anche dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao) esistono “significativi rischi” che un Paese come la Georgia potrebbe correre se autorizzasse “mezzi ormai non a norma di sicurezza”. È qui che si inserisce la questione più volte rimarcata dalla Commissione Europea sull’impatto delle sanzioni internazionali sull’economia e l’industria di Mosca: “La Russia non è in grado di aggiornare il 95 per cento dei mezzi della propria flotta aerea“. O, in altre parole, il Paese non riesce a “mantere il livello sufficiente di standard di sicurezza” nel settore dell’aviazione civile.
    La situazione politica in Georgia
    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro il progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). L’ultima notizia è il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per le politiche contestate da tutta l’Unione e per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest).
    Due mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente del Paese, Salomé Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.
    In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti. Nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. Ecco perché anche la questione dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia nel settore dell’aviazione civile da parte di Tbilisi viene considerato essenziale da Bruxelles per tagliare ogni rapporto equivoco con il Cremlino e per proseguire con decisione sulla strada della candidatura per l’adesione all’Unione Europea.

    In qualità di Paese che aspira a diventare candidato all’adesione all’Unione, Tbilisi è chiamata a impedire “qualunque tentativo di elusione” anche nel settore dell’aeronautica civile. A causa delle misure restrittive Mosca non è in grado di aggiornare “il 95% della propria flotta”