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    Le lobby belghe dei diamanti vincono la loro battaglia: niente bando sui preziosi russi

    Bruxelles – In extremis, con un colpo di coda quasi inatteso, l’Ue ha rinunciato a includere una misura da diversi miliardi di euro nell’ottavo pacchetto di misure restrittive contro Mosca. Il commercio di diamanti grezzi con la Russia non è entrato alla fine nell’ultima tornata di sanzioni di Bruxelles, con il gigante russo dell’estrazione Alrosa risparmiato dalla lista delle entità colpite. Un’ennesima concessione, nei fatti, alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno continuato a picconare la proposta della Commissione Europea.
    A spingere per l’esclusione di Alrosa dall’ottavo pacchetto di sanzioni è stata in particolare l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che ha denunciato che un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia potrebbe costare 10 mila posti di lavoro nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di questo prodotto. Se nelle precedenti tornate di sanzioni il governo belga è sempre riuscito a tutelare il comparto economico cruciale a livello nazionale, l’escalation della guerra in Ucraina ha reso sempre più insostenibile la posizione contraria di Bruxelles. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti attorno ai 4,5 miliardi di euro nel 2021 (una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, il 30 per cento in tutto il mondo) e la necessità di tagliare ogni ulteriore forma di finanziamento della macchina bellica del Cremlino ha fatto sì che la Commissione includesse anche il commercio dei diamanti grezzi nella proposta di ottavo pacchetto di sanzioni.
    Nel corso delle trattative al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio), è passata invece la linea morbida del Belgio, che ha spinto per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti e facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro segna una sconfitta in particolare per Stati baltici e Polonia, che avevano appoggiato un embargo totale sui diamanti, per cedere poi solo su un divieto per quelli non-industriali, ma – come riportano fonti diplomatiche – gli altri Paesi membri non hanno levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Questa mattina è arrivata l’approvazione politica dell’ottavo pacchetto da parte degli ambasciatori dei 27 Paesi membri e ora, dopo la traduzione nelle lingue dell’Unione e la conclusione della procedura scritta, si attende per domani (giovedì 6 ottobre) la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’entrata in vigore delle misure restrittive.

    Ribaltata in extremis la proposta della Commissione Ue. Il gigante estrattivo Alrosa (che garantisce enormi entrate economiche al Cremlino) è stata esclusa durante le discussioni degli ambasciatori dei Ventisette dalla lista delle entità colpita dalle misure restrittive europee

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    I diamanti russi inclusi nell’ottavo pacchetto di sanzioni. Ormai insostenibile la posizione contraria del Belgio

    Bruxelles – All’ottavo pacchetto di sanzioni l’assente eccellente ha fatto la sua comparsa. Come rendono noto a Eunews fonti europee, anche il commercio di diamanti grezzi dalla Russia è finito nella lista delle misure restrittive dell’Unione Europea attualmente in fase di approvazione al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio). Dunque certezze definitive ancora non ci sono. Nell’ulteriore stretta annunciata mercoledì scorso (28 settembre) dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, altre fonti qualificate riportano che dovrebbero essere incluse anche tecnologie critiche per l’industria russa, prodotti chimici, farmaceutici, lignite, lavorati d’acciaio (dal valore di 3 miliardi di euro), armi a uso civile, pietre e metalli preziosi (dopo l’embargo all’oro di luglio). E, oltre ai diamanti grezzi, nella lista delle entità sanzionate dovrebbe comparire anche la più grande azienda russa di estrazione, Alrosa.
    Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti attorno ai 4,5 miliardi di euro nel 2021 (una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, il 30 per cento in tutto il mondo) e finora l’assenza di questo prodotto nella lista delle sanzioni Ue è stata determinata dal ruolo di primo piano del Belgio nell’industria mondiale della lavorazione dei diamanti, in particolare Anversa. Nella città portuale fiamminga un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia potrebbe costare 10 mila posti di lavoro – avverte l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre – ma l’escalation della guerra in Ucraina ha reso sempre più insostenibile la posizione contraria del governo belga.
    Se pubblicamente il Paese ha mostrato aperture alle richieste di Polonia, Paesi Bassi e Baltici, i diplomatici belgi dietro alle quinte hanno cercato di non cedere alle pressioni, forti del timore che questa misura restrittiva possa colpire più l’economia e l’occupazione europea – o piuttosto nazionale – rispetto a quelle di Mosca. Lo stesso premier, Alexander De Croo, in una conferenza ad Anversa ha sostenuto la tesi dell’auto-danneggiamento, sottolineando allo stesso tempo che “per sei secoli questa città ha dimostrato di riuscire a rimanere resistente e innovativa in tempi turbolenti”. Dall’altra parte dell’Atlantico, gli Stati Uniti hanno bloccato l’importazione di diamanti grezzi dalla Russia a poche settimane dall’invasione dell’Ucraina, sanzionando anche l’amministratore delegato di Alrosa, Sergei Sergeevich Ivanov.

    Fonti europee confermano a Eunews che nell’ultima proposta della Commissione Ue compare il divieto al commercio di diamanti grezzi con Mosca, stimato sui 4,5 miliardi di euro nel 2021. Il governo di Bruxelles ha cercato fino all’ultimo di salvare l’industria della lavorazione di Anversa

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    L’Ue reagisce all’escalation in Ucraina con l’ottavo pacchetto di sanzioni: price cap a petrolio e stop a europei nei Cda russi

    Bruxelles – Dal sesto all’ottavo pacchetto di sanzioni, passando dal maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento, un sorta di ‘sesto e mezzo’), per colpire il Cremlino immediatamente dopo la nuova escalation in Ucraina, caratterizzata dai referendum farsa di annessione dei territori occupati dalla Russia, l’arruolamento di 300 mila riservisti, le minacce di uso dell’arma nucleare e il sabotaggio ai gasdotti Nord Stream. “La Russia ha portato l’invasione dell’Ucraina a un nuovo livello, siamo determinati a far pagare al Cremlino questa ulteriore escalation“, ha attaccato senza troppi giri di parole la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    Il cuore del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia è un’ulteriore limitazione degli scambi commerciali, che “costerà al Cremlino altri 7 miliardi di euro in entrate“. Le proposte dettagliate ancora non sono state rese note, ma dal discorso della numero uno della Commissione e dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si iniziano a intravedere le direttrici dell’intervento. Prima di tutto un isolamento ulteriore dell’economia russa, per privare il complesso militare del Cremlino di tecnologie-chiave: “Si tratta di ulteriori prodotti per l’aviazione, componenti elettronici e sostanze chimiche specifiche”, ha anticipato von der Leyen. Ma soprattutto, nel pacchetto sarà introdotto un “tetto massimo di prezzo del petrolio russo per i Paesi terzi”, per annullare i profitti del Cremlino derivanti dalla vendita di combustibili fossili. “Abbiamo già deciso di vietare il trasporto di greggio russo via mare nell’Unione Europea a partire dal 5 dicembre”, ha ricordato von der Leyen – fornendo per la prima volta una data precisa alla decisione sul sesto pacchetto approvato a giugno. “Stiamo gettando le basi legali per questo tetto al prezzo del petrolio”, è l’annuncio che però ancora rimane molto vago.
    Sarà poi vietato ai cittadini europei di fornire servizi e sedere negli organi direttivi delle imprese statali russe, perché Mosca “non dovrebbe beneficiare delle conoscenze e delle competenze europee”, e saranno anche intensificati gli sforzi per reprimere l’elusione delle misure restrittive: “Stiamo aggiungendo una nuova categoria, con cui saremo in grado di schedare le persone che aggirano le nostre sanzioni“, per esempio chi acquista beni nell’Ue e li porta in Russia passando da Paesi terzi. “Credo che avrà un grande effetto deterrente, rendendo a Putin ancora più difficile sostenere la guerra”, ha concluso la presidente della Commissione.
    “Il Cremlino sta seguendo lo stesso schema che abbiamo già visto in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014“, ha messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell: “Sono sicuro di poter parlare a nome degli Stati membri dell’Unione Europea, che nessuno di loro riconoscerà il risultato falsificato dei referendum farsa” nelle province ucraine occupate di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Ribadendo che “le nostre sanzioni stanno funzionando”, Borrell ha illustrato l’aggiornamento dell’elenco dei sanzionati, che “già ora conta più di 1.300 tra individui ed entità“. Saranno colpiti dalle sanzioni “tutti coloro che sono coinvolti nell’occupazione e nell’annessione illegale di aree dell’Ucraina da parte della Russia”, vale a dire le autorità russe per procura a Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia e i responsabili dell’organizzazione dei referendum farsa. Saranno poi inclusi i funzionari di alto livello del ministero della Difesa russo e “coloro che sostengono le forze armate russe fornendo attrezzature e armi dell’esercito, compresi missili e aerei da combattimento”, o che “partecipano al reclutamento” dei riservisti. Infine sarà prevista una nuova stretta sulla propaganda e la disinformazione di regime e ai donatori nelle aree occupate.
    A completare il quadro sulle sanzioni contro la Russia, il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, ha elencato i dati del crollo dell’economia del Cremlino: “Le importazioni dall’Ue sono diminuite di circa il 50 per cento nel periodo marzo-giugno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, la nostra quota di importazioni di gas dalla Russia è diminuita dal 45 per cento prima della guerra al 14 di oggi“. Ancora più impressionante è quanto riporta il commissario italiano sull’industria civile di Mosca: “Le poche auto oggi prodotte sono prive di airbag, Abs e marmitte catalitiche, mentre i dati dell’estate indicavano un calo delle vendite di oltre il 70 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso a causa del crollo della produzione”. Un chiaro segno che “la nostra risposta comune sta funzionando”, come dimostrano anche le recenti mosse di Putin, “dall’interruzione delle consegne di gas attraverso Nord Stream 1, fino alla mobilitazione dei riservisti e ai falsi referendum nei territori occupati”, ha ribadito Gentiloni.

    La Commissione ha annunciato nuove misure restrittive contro “tutti coloro che sono coinvolti nell’aggressione armata e nell’annessione illegale di territori ucraini”. La presidente von der Leyen ha annunciato che la nuova stretta alle importazioni “costerà al Cremlino altri 7 miliardi di euro”

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    I referendum farsa nelle regioni occupate dell’Ucraina sono state un plebiscito (forzato) per l’annessione alla Russia

    Bruxelles – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Si sono concluse ieri sera (martedì 27 settembre) le operazioni di voto nelle quattro province occupate dall’esercito russo in Ucraina e l’esito del referendum è stato un plebiscito: il 99 per cento dei votanti si è espressa a favore dell’annessione alla Russia. Questa è la versione di Mosca, ma il filtro è quello degli occupanti, in un Paese invaso da ormai più di cinque mesi. La realtà dei fatti è che quanto messo in piedi dal Cremlino nelle quattro regioni orientali e meridionali dell’Ucraina sono dei referendum farsa, organizzati in maniera illegale e a cui, dati alla mano, ha partecipato una quota quasi irrisoria di cittadini ucraini, senza contare le minacce armate dei soldati russi sulla popolazione al momento del voto.
    L’esito non era minimamente in discussione, ma ora si apre una fase nuova per la guerra in Ucraina. Perché l’autocrate russo, Vladimir Putin, utilizzerà il risultato di questi referendum illegali per dichiarare l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina occupata alla Russia: in altre parole – nella visione propagandistica del Cremlino – il conflitto si trasformerà da una “operazione speciale” offensiva a una guerra di difesa dei nuovi territori inglobati e, allo stesso tempo, la controffensiva dell’esercito ucraino sarà considerata un attacco alla sovranità russa. Non è la prima volta che Mosca ribalta a 360 gradi causa ed effetto degli eventi (basti ricordare le motivazioni dell’attacco armato a un Paese sovrano, ‘giustificate’ dalla legittima richiesta dell’Ucraina di aderire all’Unione Europea e alla Nato), ma questo momento rappresenta senza dubbio un punto di svolta per lo scenario bellico sul continente europeo. Anche perché nel frattempo sono iniziate le operazioni di arruolamento dei 300 mila riservisti russi, nonostante l’ondata di proteste e la fuga di decine di migliaia di persone dal Paese.
    Per la conferma basterà aspettare venerdì (30 settembre) quando, secondo quanto riportano le fonti d’intelligence britanniche, Putin terrà un discorso in entrambe le Camere del Parlamento (l’Assemblea Federale e la Duma di Stato), con la “realistica possibilità” che annunci formalmente l’annessione delle regioni occupate come “rivendicazione” dei successi della “operazione militare speciale”. In questo scenario, l’annessione dovrebbe avvenire già il giorno seguente, consentendo a Mosca la coscrizione forzata di civili ucraini per combattere contro il loro stesso Paese. Putin si sente forte del plebiscito dei risultati del referendum-farsa nelle quattro regioni che rappresentano circa il 15 per cento del territorio dell’Ucraina, ma sono impietosi i dati sul numero di cittadini che – in modo forzato e pilotato – hanno partecipato al voto. Nella regione di Zaporizhzhia hanno votato in totale in 39.367 su una popolazione complessiva di 1.666.515 persone, ovvero il 2,3 per cento. Nell’Oblast di Donetsk – solo parzialmente controllato dall’esercito russo – avrebbe votato il 97 per cento degli aventi diritto al voto, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa statale Ria Novosti, ma non coincidono dati sulla popolazione: per il Cremlino sarebbero poco più di due milioni, ma al gennaio 2022 Kiev ne contava oltre quattro milioni. Tutto ciò accompagnato dai soldati russi che tra il 23 e il 27 settembre si recavano casa per casa per costringere i cittadini ucraini a votare e lo scrutinio effettuato con modalità del tutto illecite.
    Rimane alta l’attenzione anche a Bruxelles sulla situazione nell’est dell’Ucraina, con le condanne a pioggia per i “referendum illegali” di annessione alla Russia, sulla falsariga di quello in Crimea nel 2014. “L’Ue denuncia lo svolgimento di referendum illegali e il loro esito falsificato, si tratta di un’altra violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, in mezzo a sistematici abusi dei diritti umani”, è l’attacco dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica sicurezza, Josep Borrell: “Lodiamo il coraggio degli ucraini, che continuano a opporsi e a resistere all’invasione russa”. Senza troppi giri di parole la condanna del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Referendum fasulli, risultati fasulli. Non riconosciamo nessuno dei due”. Le istituzioni comunitarie si preparano a varare un nuovo pacchetto di misure restrittive contro i responsabili dei referendum farsa nelle regioni occupate dell’Ucraina e il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, avverte che la Commissione ritiene “certamente un’opzione” imporre sanzioni individuali anche ai cittadini europei che sostengono quest’azione illegale di Mosca: “Tutto dipenderà dal livello di partecipazione, la responsabilità di capire se vanno adottate misure caso per caso è degli Stati membri”.

    Sham referenda.
    Sham results.
    We recognize neither.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) September 27, 2022

    Nelle operazioni di voto “illegali” e truccate dal Cremlino negli Oblast di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, il “sì” avrebbe vinto con il 99 per cento: Putin potrebbe dichiarare il 30 settembre l’ampliamento del territorio nazionale. Dura condanna Ue: “Altra violazione della sovranità di Kiev”

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    Le previsioni dell’Ue sull’impatto delle sanzioni sulla Russia: “Il Pil crollerà dell’11 per cento, peggio della caduta dell’Urss”

    Bruxelles – Peggio della caduta dell’Unione Sovietica. Le sanzioni internazionali stanno colpendo la Russia con una violenza mai vista prima nella storia, dopo anni in cui Mosca affronta una recessione economica. La conferma arriva dal vicedirettore generale per l’Europa orientale e l’Asia centrale del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Luc Pierre Devigne, nel corso di un’audizione alla sessione congiunta della commissione Affari esteri (Afet) e della sottocommissione per la Sicurezza e la difesa (Sede) del Parlamento Ue. “Le nostre sanzioni funzionano, la Russia affronta una recessione dagli anni Novanta e ora ci aspettiamo un crollo del Pil nazionale dell’11 per cento, ancora maggiore rispetto a quello della caduta dell’Urss“.
    Nel corso dell’audizione parlamentare Devigne si è soffermato sulle motivazioni per cui è necessario un nuovo round di misure restrittive internazionali contro il Cremlino, ormai in difficoltà evidente sia sul fronte economico, sia su quello militare: “La Russia è sempre più isolata, partner importanti come Cina e India hanno dichiarato che questi non possono essere tempi di guerra e il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha annunciato che i territori strappati all’Ucraina non saranno riconosciuti”. Come già ha spiegato recentemente anche il premier italiano dimissionario, Mario Draghi, e ancor prima il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, “dobbiamo essere ancora più risoluti e continuare sulla strada delle sanzioni contro la Russia, che si stanno dimostrando efficaci”, ha ribadito con forza Devigne, precisando agli eurodeputati che “non posso rivelarne il contenuto per non mettere a repentaglio la loro efficacia e per non impattare sul costo di ciò che potrebbe essere sanzionato”.
    A determinare decisione di un nuovo round di misure restrittive (arrivate a sei pacchetti e un ultimo a luglio definito maintenance and alignement, aggiornamento e allineamento) è l’ulteriore escalation militare in Ucraina, con i referendum-farsa nelle autoproclamate Repubbliche filo-russe e la mobilitazione parziale dei riservisti dichiarata da Vladimir Putin, con annesse minacce nucleari all’Occidente. “Qualsiasi riferimento all’uso di armi nucleari o di azioni contro gli impianti nucleari in Ucraina pone la Russia ai margini della civiltà”, ha attaccato il vicedirettore generale del Seae. Minacce che in ogni caso “non indeboliranno la nostra decisione di continuare sulla strada delle sanzioni” e che, al contrario, stanno portando l’esecutivo comunitario a valutare la proposta di una nuova tranche di aiuti militari a Kiev attraverso lo strumento dell’European Peace Facility, rende noto Devigne.
    Il momento è cruciale per la guerra in Ucraina perché, “senza successi militari, Putin continua sulla strada dell’escalation, cercando di intimidire l’Ucraina e i Paesi che la supportano”. Le contraddizioni sono evidenti, considerato il fatto che si parla di circa 300 mila coscritti, “anche se il Cremlino riporta di aver perso solo seimila soldati e parte del decreto di mobilitazione è secretata”. La stessa mobilitazione “parziale” potrebbe essere un modo per “non far capire al popolo russo quanto la situazione sia grave”, ma nonostante questo è già iniziata l’ondata di proteste: “Più di duemila persone sono state arrestate, ma molte di più se ne vanno dal Paese”, ha ricordato Devigne, facendo riferimento alle “file chilometriche di auto ai confini e i voli aerei andati esauriti”. Mentre l’esercito ucraino continua nella propria avanzata nella controffensiva a est, “l’escalation di Putin dimostra che la Russia sta attraversando una crisi, o quantomeno un momento critico, visto che sono state anche rafforzate le sanzioni per chi si arrende o rifiuta di arruolarsi”, ha concluso il proprio intervento il vicepresidente del Seae.

    Il vicedirettore generale per l’Europa orientale e l’Asia centrale del Servizio europeo per l’azione esterna, Luc Pierre Devigne, ribadisce che “le misure restrittive funzionano”, perché colpiscono un Paese che “affronta una recessione dagli anni Novanta e ora viene abbandonato da Cina e India”

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    Il G7 spinge sul price cap al petrolio russo via mare, mentre von der Leyen apre al tetto ai prezzi del gas del Cremlino

    Bruxelles – Si spinge per il price cap sul petrolio russo via mare, ora serve solo l’unanimità dei 27 membri dell’Unione europea. Il vertice ministeriale del G7 delle Finanze ha approvato il piano per stabilire un tetto al prezzo dei prodotti petroliferi in arrivo da Mosca via mare e la palla ora passa a Bruxelles, dove dovrà essere aggiornato il sesto pacchetto di sanzioni, quello che per un mese (durante tutto il mese di maggio) era rimasto ostaggio per alcuni giorni del veto dell’Ungheria di Viktor Orbán. E intanto dalla Germania la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha aperto senza mezzi termini alla possibile introduzione di un tetto dei prezzi al gas russo tra le misure d’urgenza per contrastare il caro-prezzi dell’energia.
    “Confermiamo la nostra intenzione politica comune di finalizzare e attuare un divieto globale di servizi che consentano il trasporto marittimo di greggio e prodotti petroliferi di origine russa“, si legge nel comunicato del G7 ministeriale, che riprende l’impegno del vertice dei leader a Elmau di impedire alla Russia di trarre profitto dalla guerra di aggressione in Ucraina e di sostenere la stabilità dei mercati energetici globali. “La fornitura di tali servizi sarà consentita solo se il petrolio e i prodotti petroliferi saranno acquistati a un prezzo pari o inferiore rispetto a quello determinato dall’ampia coalizione di Paesi che aderiscono al price cap e lo attuano”, specificano i ministri di Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti.
    Il price cap sul petrolio è “specificamente concepito” per ridurre le entrate del Cremlino, ma allo stesso tempo anche per “limitare l’impatto della guerra russa sui prezzi globali dell’energia”, permettendo ai fornitori di servizi del settore di operare con prodotti petroliferi russi via mare venduti solo a un prezzo pari o inferiore al tetto fissato: “Questa misura si baserebbe e amplificherebbe la portata delle sanzioni esistenti, in particolare del sesto pacchetto dell’Ue, garantendo la coerenza attraverso un solido quadro globale”. Come confermato anche dal commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, adesso bisogna “allargare il sostegno europeo e globale al price cap, contro gli extra profitti destinati alla guerra e per ridurre i prezzi dell’energia”. L’accordo del G7 “si basa e rafforza ulteriormente” il sesto pacchetto dell’Unione, in linea con le tempistiche concordate del 5 dicembre per il greggio e del 5 febbraio 2023 per i prodotti petroliferi.

    Accordo al #G7Finance per un tetto al prezzo del #petrolio russo. Sopra quel prezzo, non potrà entrare nell’intera area G7. Ora allargare il sostegno europeo e globale al price cap. Contro gli extra profitti destinati alla guerra e per ridurre i prezzi dell’energia.
    — Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) September 2, 2022

    Il tetto iniziale dei prezzi sarà basato su “una serie di dati tecnici” e sarà deciso “dall’intera coalizione prima dell’attuazione in ogni giurisdizione”, precisano i sette ministri, che sottolineano con forza che la comunicazione sarà fatta in modo “pubblico, chiaro e trasparente”. Inoltre, “il prezzo, l’efficacia e l’impatto saranno monitorati attentamente e il livello dei prezzi sarà rivisto se necessario“. Secondo le previsioni del G7, l’attuazione pratica del price cap sul petrolio russo importato via mare “si baserà su un modello di registrazione e attestazione che coprirà tutti i tipi di contratti pertinenti”, limitando le possibilità di aggirare il regime e riducendo al minimo l’onere amministrativo per gli operatori di mercato. Nel frattempo continuerà il confronto con Paesi e parti interessate “in vista della progettazione e dell’implementazione definitiva”.
    L’obiettivo è proprio quello di creare “un’ampia coalizione per massimizzare l’efficacia” della misura: “Esortiamo tutti i Paesi che vogliono ancora importare petrolio e prodotti petroliferi russi a impegnarsi a farlo solo a prezzi pari o inferiori al massimale di prezzo”, ribadiscono i ministri del Gruppo dei Sette. Il punto di forza della misura è non solo l’ambizione di affrancarsi dal petrolio in arrivo da Mosca per chi ne ha la forza e la volontà, ma soprattutto l’essere “particolarmente vantaggiosa per i Paesi, in particolare quelli vulnerabili a basso e medio reddito, che soffrono per gli alti prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari”. È proprio in quest’ottica che saranno sviluppati anche “meccanismi di mitigazione mirati accanto alle nostre misure restrittive“, in modo da garantire che i partner più svantaggiati possano mantenere la sicurezza dell’accesso ai mercati dell’energia, “anche dalla Russia”.

    Today the @G7 finance ministers issued a joint statement on the extension to the #G7 of the services ban related to the export of Russian oil and petroleum products in combination with a price cap. ➡️ https://t.co/GuqoUea8hb #Sanctions
    — Bundesministerium der Finanzen (@BMF_Bund) September 2, 2022

    A proposito di price cap, in vista del Consiglio straordinario Energia di venerdì prossimo (9 settembre), la presidente della Commissione von der Leyen ha messo in chiaro che è sempre più concreta l’idea di introdurlo anche per il gas: “Credo fermamente che sia giunto il momento di fissare un tetto massimo di prezzo per il gas proveniente dal gasdotto russo verso l’Europa“, ha dichiarato a margine di un incontro dei legislatori conservatori tedeschi nella città di Murnau (in Germania). Nonostante le minacce del vice-capo del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, di un conseguente taglio totale del gas da parte del Cremlino, il premier ceco e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Ue, Petr Fiala, ha appoggiato entusiasta la proposta della numero uno dell’esecutivo comunitario: “La presidente della Commissione ha sostenuto la limitazione del prezzo del gas russo, è chiaro che i nostri sforzi per contrastare i prezzi elevati dell’energia a livello europeo hanno un senso“.

    Al vertice ministeriale G7 delle Finanze è stato approvato il piano che prevede il “divieto globale di servizi che consentono il trasporto marittimo” di greggio e prodotti raffinati. Saranno consentiti solo se acquistati a un prezzo pari o inferiore a quello stabilito dalla coalizione

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    Estonia e Finlandia vogliono un coordinamento a livello Ue contro il rilascio di visti turistici ai cittadini russi

    Bruxelles – Una stretta su tutta la popolazione della Federazione Russa, non solo sugli oligarchi della cerchia di Putin. Estonia e Finlandia chiedono un ulteriore passo in avanti da parte dell’Unione Europea nel far pagare le conseguenze della guerra in Ucraina ai cittadini russi, tagliando anche il canale dei visti turistici rilasciati dai Paesi membri dell’area Schengen (con un allineamento anche di Bulgaria, Cipro, Croazia, Irlanda e Romania). La proposta è stata suggerita dalle prime ministre dei rispettivi Paesi, l’estone Kaja Kallas e la finlandese Sanna Marin, dopo alcuni episodi di propaganda del Cremlino attraverso cittadini russi in vacanza nell’Unione e l’attacco del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky: “I russi dovrebbero vivere nel loro mondo finché non cambiano filosofia”, ha dichiarato in un’intervista per il Washington Post.
    “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano“, è stato l’affondo della premier estone Kallas, spiegando le conseguenze dell’interruzione dei viaggi aerei dalla Russia: “Mentre i Paesi Schengen rilasciano visti, i vicini [Finlandia, Estonia, Lettonia, ndr] ne portano l’onere“. Di qui la necessità di “porre fine ora al turismo dalla Russia”. Un invito già arrivato lunedì (8 agosto) dall’omologa finlandese Marin, che in un’intervista per il programma televisivo Yle Uutiset ha definito “ingiusta” la possibilità per i cittadini russi di “vivere una vita normale, viaggiare in Europa, essere turisti” e ottenere visti dai Paesi membri dell’Ue, mentre Mosca “sta conducendo una guerra di aggressione aggressiva e brutale in Europa”.

    Stop issuing tourist visas to Russians. Visiting #Europe is a privilege, not a human right. Air travel from RU is shut down. It means while Schengen countries issue visas, neighbours to Russia carry the burden (FI, EE, LV – sole access points). Time to end tourism from Russia now
    — Kaja Kallas (@kajakallas) August 9, 2022

    Per i tre Paesi di confine la questione è vissuta in modo diretto, dal momento in cui ogni cittadino russo – non colpito dalle sanzioni internazionali – può attraversare la frontiera se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese dell’area Schengen. Il visto Schengen consente a un visitatore di soggiornare per un massimo di 90 giorni per turismo o affari, con la possibilità di viaggiare liberamente all’interno di una zona che comprende 22 Stati membri Ue, oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein: è in questo modo che i cittadini russi, anche in assenza di collegamenti aerei diretti, possono ancora visitare per turismo la maggior parte dei Paesi dell’Ue. Estonia e Lettonia non rilasciano più visti Schengen a chi ne fa richiesta da Mosca e lo stesso ha deciso di fare la Bulgaria (con i propri visti nazionali) dopo il duro scontro diplomatico con la Russia a fine giugno.
    Ecco perché le due prime ministre stanno spingendo per portare a Bruxelles la questione dei visti turistici ai cittadini russi, alzando l’asticella ben oltre la raccomandazione della Commissione Ue di limitare i visti d’oro. Secondo quanto affermato dalla premier finlandese, il tema della libertà di movimento è già stato discusso in tutti i Consigli Ue dallo scoppio della guerra in Ucraina, ma è oggetto di non poche perplessità, in particolare per la discriminazione a priori di un’intera popolazione (che non necessariamente è allineata alle scelte del suo presidente) e per i rischi di chiudere le porte ai dissidenti ancora sul suolo russo e in cerca di una via d’uscita in futuro. “Ritengo che nelle future riunioni del Consiglio la questione si presenterà con ancora maggiore forza”, ha precisato Marin, anticipando una possibile discussione al Consiglio Affari Esteri informale di fine agosto.
    A Bruxelles intanto si temporeggia, con la Commissione Ue poco intenzionata a sbilanciarsi sul comunicare ulteriori sanzioni contro la Russia. “È importante sapere che i Paesi membri rilasciano i propri visti sulla base di norme nazionali e ci sono sempre casi in cui possono essere rilasciati, come a dissidenti politici, giornalisti e per questioni umanitarie”, ha spiegato la portavoce per gli Affari interni, Anitta Hipper, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea, precisando che “è competenza degli Stati membri decidere cosa fare”. A questo proposito, Estonia e Finlandia stanno già studiando misure da poter attuare autonomamente: per esempio, inasprire le condizioni per l’ottenimento dei visti turistici, dando priorità a quelli lavorativi e per motivi familiari o di studio, e introdurre sanzioni nazionali ad hoc da affiancare a quelle già in vigore a livello Ue.

    Se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese Schengen, per un cittadino russo è possibile attraversare la frontiera e viaggiare per 90 giorni nell’Unione. Le prime ministre Kallas e Marin vogliono portare la questione al Consiglio: “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano”

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    Embargo all’oro russo (anche nei gioielli) e specifiche sulla sicurezza alimentare. L’Ue rafforza le sanzioni contro Mosca

    Bruxelles – Embargo all’oro e ai gioielli russi, Sberbank nella lista nera e precisazioni sulle deroghe per non interferire sulla sicurezza alimentare. È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, che ha assunto i contorni di un aggiornamento e allineamento con i partner internazionali, considerando i buchi e gli effetti indesiderati di quanto finora adottato nei quasi cinque mesi di guerra russa in Ucraina.
    Le linee-guida erano già note da giorni, ma il Consiglio ha dato il via libera oggi (giovedì 21 luglio) anche ad alcune novità che dovrebbero rendere più coerente l’azione dell’Unione Europea nel suo contrasto economico alla Russia di Putin. Insieme al nuovo divieto di acquistare, importare o trasferire l’oro russo (anche se esportato in un Paese terzo), si è deciso di includere anche i gioielli: funzionari Ue fanno sapere che ci sono state lunghe discussioni a riguardo, ma alla fine è passata la linea dura. Non rientra invece il commercio di diamanti, dal momento in cui nella richiesta di allineamento dei leader G7 questa azione non era inclusa e per ora nemmeno Bruxelles se ne è discusso.

    Tra le novità del pacchetto maintenance and alignement rientra invece l’inserimento di Sberbank, una delle più grandi banche russe, nella lista nera dell’Ue (anche se è prevista una fase di adattamento di circa sei mesi per l’Austria e “probabilmente un anno” per l’Ungheria, a causa dei tempi più lunghi per la liquidazione dei sussidi). Nell’ultimo pacchetto di sanzioni approvato a inizio giugno Sberbank era stata inclusa tra gli istituti bancari scollegati dal sistema internazionale di pagamenti Swift, ma da oggi sarà vietata la quasi totalità di transazioni e il congelamento degli asset sul territorio comunitario. Il ‘quasi’ è d’obbligo, perché per Bruxelles è prioritaria la questione del non interferire con il commercio internazionale di beni alimentari, messo in crisi dal blocco russo delle esportazioni di cereali nei porti ucraini del Mar Nero. L’Ue ha ribadito infinite volte che le sanzioni contro la Russia non prendono di mira né il grano né i fertilizzanti commerciati da Mosca, ma quello di cui ci si è accorti in questi mesi – in particolare dopo un confronto con l’Unione Africana sull’impatto del divieto di transazioni, come riferiscono le stesse fonti Ue – è che gli effetti indiretti possono avere ripercussioni pesanti anche sulla sicurezza alimentare.
    Ecco perché le nuove misure prevedono una deroga per permettere agli Stati membri di sbloccare fondi congelati di banche ed entità russe, “dopo aver accertato che tali fondi o risorse economiche sono necessari per l’acquisto, l’importazione o il trasporto di prodotti agricoli e alimentari, compresi il frumento e i fertilizzanti”, si legge nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. “L’Ue sta facendo la sua parte per garantire di poter superare l’incombente crisi alimentare globale”, ha commentato l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ribandendo che “spetta alla Russia smettere di bombardare i campi e i silos dell’Ucraina e di bloccare i porti del Mar Nero”. Come sottolineano le fonti europee, ciò che ha guidato l’azione di Bruxelles è l’ascolto dei problemi potenziali comunicati dai partner terzi, come per esempio la questione dell’interruzione dei pagamenti attraverso il sistema Swift, che ha complicato l’acquisto da parte dei Paesi africani di prodotti agricoli anche quando erano presenti. In altre parole, la volontà è quella di procedere con misure sì punitive nei confronti del Cremlino, ma che non abbiano alcuna conseguenza “nemmeno indiretta” sulla situazione alimentare globale, che sta andando incontro al rischio di carestia per milioni di persone.

    Tra le altre misure previste va rilevata la cosiddetta self-reporting obligation, ovvero l’imposizione a persone ed entità sanzionate dell’obbligo di dichiarare i beni posseduti negli Stati membri Ue e di collaborare con le autorità competenti: “Il non rispetto di tale obbligo costituirebbe un’elusione del congelamento dei beni e sarebbe soggetto a sanzioni se, in base alle norme e procedure nazionali applicabili, sono soddisfatte le condizioni per imporre tali sanzioni”, si legge nel documento. Questa decisione cerca non solo di stringere le maglie larghe dell’elusione delle misure restrittive da parte degli oligarchi, ma anche di arrivare con più facilità alla confisca dei beni congelati dopo un’investigazione per crimine penale (ovvero di violazione delle sanzioni Ue), come sta cercando di spingere la Commissione da mesi.
    Infine, il pacchetto di sanzioni Ue estende l’elenco dei prodotti il cui commercio con la Russia è vietato, in quanto potrebbe contribuire al potenziamento militare e tecnologico di Mosca o allo sviluppo del settore della difesa e della sicurezza russo. Sono stati così rafforzati i controlli sulle esportazioni di tecnologie avanzate, viene esteso anche alle chiuse dei porti l’attuale divieto di accesso per le navi russe e viene estesa la portata del divieto di accettare depositi per includere quelli provenienti da Paesi terzi e posseduti in maggioranza da cittadini russi.

    Nel pacchetto di aggiornamento delle misure restrittive sono previste eccezioni sulle transazioni di Paesi terzi con banche ed entità russe sanzionate per impedire effetti indiretti sul commercio di generi alimentari. Nella lista nera dell’Ue entra Sberbank, vietato anche il commercio di gioielli