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    La proposta politica della Finlandia: Alleanza Ue-Stati Uniti in senso anti-Cina

    Bruxelles – Meno Cina nell’agenda dell’Unione europea, e più Stati Uniti. La Finlandia prova a riorganizzare la politica dell’Unione europea, suggerendo ai partner di entrambe le sponde dell’Atlantico il modo di andare avanti. Suggerisce un’alleanza commerciale tutta euro-americana e dazi contro Pechino, il tutto in considerazione delle alleanze sullo scacchiere internazionale, prime fra tutte quelle militari. Elina Valtonen, ministra degli Esteri finlandese, tiene a ricordare come il conflitto russo-ucraino si sia allargato, con la partecipazione di Corea del Nord, Iran e “anche Cina” al fianco di Mosca.“Se la Cina sta ostacolando in modo così importante la sicurezza e l’architettura della sicurezza dell’Europa non possiamo continuare con le relazioni normali”, scandisce la ministra al suo arrivo a Bruxelles per i lavori del consiglio Affari esteri: “Non possiamo andare avanti con il ‘business as usual’ con la Cina per quanto riguarda il nostro commercio”.Da qui l’invito di Valtonen, che “vale anche per l’Europa” e non solo per gli Stati Uniti, di tessere nuove relazioni trans-atlantiche. Per ragioni storiche e contingenti “la relazione tra Ue e Usa è più importante che mai, e in tal senso siccome siamo alleati così uniti e condividiamo gli stessi valori non possiamo imporci dazi l’uno contro l’altro“.La sottolineatura di Valtonen conferma una volta di più i timori dell’Ue per una guerra commerciale che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe innescare, vista la natura molto più decisa del presidente eletto a tutelare e difendere interesse ed economia degli Stati Uniti. Allo stesso tempo le considerazioni della ministra finlandese offrono un esempio di realpolitik: visto che a Washington si vede nella Repubblica popolare il principale concorrente economico un’alleanza in senso anti-cinese potrebbe aiutare entrambe le parti. Del resto l’imposizione a titolo definitivo di dazi Ue sulle auto elettriche cinesi ha già aperto un fronte di guerra commerciale a cui aggiungerne un altro per l’Europa diventerebbe complicato.

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    L’Eurocamera condanna la Cina per le esercitazioni e le provocazioni militari contro Taiwan

    Bruxelles – Mentre la tensione nello Stretto di Taiwan continua a salire, arriva puntuale la condanna del Parlamento europeo alle “continue provocazioni militari” della Cina contro l’isola. L’emiciclo di Strasburgo ha approvato oggi (24 ottobre) a larghissima maggioranza una risoluzione in cui respinge fermamente “qualsiasi modifica unilaterale dello status dello Stretto”.Nel testo, adottato con 432 voti a favore, 60 contrari e 71 astensioni, l’esplicito riferimento alle esercitazioni militari “ingiustificate” della Cina del 14 ottobre scorso, quando Pechino aveva tra l’altro dichiarato che “non si impegnerà mai a rinunciare all’uso della forza” verso la riunificazione con Taiwan. I tentativi “con la forza o la coercizione, non saranno accettati e incorreranno in una reazione decisa e ferma“, è la risposta dell’Eurocamera.  La risoluzione, pur reiterando l’impegno a favore della politica ‘una sola Cina’ come fondamento delle relazioni Ue-Cina, sottolinea che “solo il governo democraticamente eletto di Taiwan può rappresentare il popolo taiwanese a livello internazionale”.Secondo il Parlamento europeo la Cina “distorce la storia e le norme internazionali”, reinterpretando la risoluzione 2758 dell’Assemblea generale dell’Onu, che nel 1971 riconobbe la Repubblica Popolare Cinese come l’unico legittimo rappresentante della Cina presso le Nazioni Unite. Quella risoluzione, sostengono gli eurodeputati, “non prende alcuna posizione su Taiwan”. Pechino invece la utilizza nei suoi “costanti sforzi per bloccare la partecipazione di Taiwan alle organizzazioni multilaterali”. La stessa accusa lanciata da Lai Ching-te, presidente della piccola nazione insulare dal 20 maggio, secondo cui l’interpretazione che fa Pechino della risoluzione 2758 non serve solo come “base legale per l’aggressione militare contro Taiwan”, ma anche per cercare di isolarla diplomaticamente.L’Eurocamera ha invitato l’Ue e gli Stati membri a “sostenere la partecipazione significativa” di Taiwan alle organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale, l’Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol) e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.Per far fronte al comportamento “sempre più aggressivo della Cina”, secondo l’emiciclo di Strasburgo “l’Ue e i suoi Stati membri dovrebbero rafforzare le proprie capacità marittime nella regione“. Un invito che non è condiviso dal Movimento 5 Stelle, che insieme al suo gruppo politico europeo, la Sinistra, si è opposto alla risoluzione.

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    Sanchez all’Ue: ripensiamo i dazi sulle auto elettriche cinesi

    Bruxelles – L’imposizione di dazi sui veicoli elettrici cinesi dovrebbe essere “riconsiderata” dall’Unione europea. Lo ha detto ieri (11 settembre), durante la sua visita in Cina, il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez: “Non abbiamo bisogno di una nuova guerra, in questo caso una guerra commerciale”, ha affermato.La Commissione dovrebbe imporre le sue tariffe entro la fine di ottobre, dopo un annuncio della fine di agosto.La paura spagnola sembra essere quella di ritorsioni da parte cinese, dopo che da alcuni mesi Pechino ha avviato diverse indagini antidumping e antisovvenzioni su prodotti europei, tra cui la carne di maiale, delle quali la Spagna è il principale esportatore dell’Ue.Entro la fine di ottobre gli Stati membri saranno chiamati a votare sull’approvazione di dazi sui veicoli elettrici cinesi, che potrebbero essere bloccati se una maggioranza qualificata di Stati membri votasse contro.All’inizio di luglio, dazi provvisori sono stati approvati da undici Paesi, mentre altri quattro hanno votato contro e nove si sono astenuti.

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    L’Ue ripristina obbligo di visti per Vanuatu: troppe cittadinanze ‘facili’ con cui entrare in Europa

    Bruxelles – Flussi di immigrati irregolari provenienti dall’altro angolo del mondo grazie a politiche ‘generose’ in termini di concessione della cittadinanza, con documenti che agevolano l’ingresso nello spazio Schengen a russi, cinesi e iraniani. L’Unione europea vede in Vanuatu un Paese terzo che inizia a presentare “serie e carenze e falle di sicurezza” per gli interessi dell’Ue, secondo i servizi della Commissione europea, che decide di sospendere l’accordo bilaterale che abolisce l’obbligo di visto per i cittadini dell’arcipelago dell’Oceania per entrare su suolo comunitario.La decisione dell’esecutivo comunitario può sembrare ‘curiosa’. Si si dà un sguardo al mappamondo si vede che Vanuatu è assai distante dall’Europa. Situato a est dell’Australia, a sud delle isole Salomone, nel versante orientale del mar dei Coralli, Vanuatu è davvero una destinazione remota. Ma ciò non impedisce al Paese di rappresentare una minaccia in termini di immigrazione regolare e sicurezza.Quello che ravvisano a Bruxelles è una politica di concessione delle cittadinanza di Vanuatu a cittadini di altri Paesi terzi. L’acquisizione della cittadinanza implica la possibilità di poter entrare e soggiornare liberamente nell’Ue per effetto dell’accordo che non richiede il visto. Dal 2015, denuncia la Commissione, le autorità vanuatiane hanno avviato “programmi di cittadinanza per investitori che consentono ai cittadini di paesi terzi soggetti all’obbligo del visto di ottenere facilmente la cittadinanza e il passaporto di Vanuatu, consentendo loro così di ottenere l’accesso senza visto all’UE, aggirando la procedura del visto Schengen”.Una pratica che sembra studiata a tavolino, visto che questi speciali programmi non prevedono requisiti specifici minimi di residenza su almeno una delle 65 isole abitate dell’arcipelago della Melanesia. Addirittura emerge che il processo di richiesta di cittadinanza è gestito da agenzie specializzate situate fuori Vanuatu, con la Commissione che cita esplicitamente Dubai (Emirati arabi), Thailandia e Malesia. In questo gioco di ‘documenti facili’ si teme anche per le ricadute in termini di sicurezza. Nello specifico preoccupa “la legislazione permissiva sui cambi di nome, poiché il richiedente che ha ottenuto la cittadinanza per investimento può anche richiedere un cambio di identità”.A usufruire dei passaporti di Vanuatu soprattutto richiedenti cinesi, russi, iraniani, nigeriani, siriani, iracheni. L’Ue teme che il remoto Stato dell’Oceania possa operare come ‘cavallo di troia’ per potenziali spie e estremisti islamici. “Ci avvaliamo del meccanismo di sospensione dei visti per rispondere in modo efficace alle minacce alla sicurezza”, taglia corto Ylva Johannson, commissaria per gli Affari interni. Vanuatu figura già nella lista nera dell’Ue dei Paesi non collaborativi in materia di lotta all’evasione fiscale. Adesso si aggiunge il capitolo ‘passaporti facili’.

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    Ue, la condanna di 14 attivisti pro-democrazia a Hong Kong “un ulteriore deterioramento delle libertà fondamentali”

    Bruxelles – L’Ue “profondamente preoccupata” per il verdetto emesso questa mattina (30 maggio) nell’ambito del maxi-processo rinominato “Hong Kong 47”, in cui la giuria selezionata dal governo della Regione speciale ha condannato 14 delle 16 persone che si erano dichiarate non colpevoli nel gruppo di 47 attivisti democratici accusati di aver organizzato le elezioni primarie non ufficiali nel luglio 2020. Le altre due sono state assolte.I 14 sono stati ritenuti colpevoli di “cospirazione per sovvertire il potere statale”, ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale (NSL) imposta dal governo di Pechino. Il processo, durato 10 mesi, si è concluso a dicembre, più di mille giorni dopo i primi arresti. Gli altri 31 – che si sono dichiarati colpevoli – stanno ancora aspettando l’esito dei loro casi. Le primarie pre-elettorali incriminate, che si sono tenute l’11 e il 12 luglio 2020, non sono state le prime primarie della storia di Hong Kong, ma sono avvenute a meno di due settimane dall’introduzione della legge voluta da Pechino per aiutare le autorità di Hong Kong a reprimere quel che restava del movimento pro-democrazia dopo le proteste di massa del 2019. E che, secondo il rapporto annuale della Commissione europea sullo status dell’ex colonia britannica relativo al 2021, ha impresso una decisa svolta autoritaria e avvicinato Hong Kong alle politiche della Cina.I giudici hanno deliberato che il piano dell’opposizione democratica di Hong Kong per ottenere la maggioranza nel Consiglio legislativo – al fine di bloccare i disegni di legge di bilancio e costringere alle dimissioni il capo dell’esecutivo se non avesse accettato le richieste del movimento pro-democrazia – costituiscono una violazione della Legge fondamentale di Hong Kong. Per la Corte qualsiasi atto che possa “interferire seriamente, interrompere o minare i compiti e le funzioni del governo è chiaramente un atto che mette in pericolo la sicurezza nazionale di Hong Kong”.In un comunicato, la portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Nabila Massrali, ha dichiarato che la sentenza “segna un ulteriore deterioramento delle libertà fondamentali e della partecipazione democratica a Hong Kong”. Secondo l’Ue, gli imputati sono stati condannati “per un’attività politica pacifica che dovrebbe essere legittima in qualsiasi sistema politico che rispetti i principi democratici fondamentali”. E in effetti il tribunale di West Kowloon ha stabilito un precedente significativo, ritenendo che un atto non violento – come le elezioni primarie – costituisca una sovversione secondo la legge sulla sicurezza nazionale.Il caso “mette anche in discussione l’impegno di Hong Kong per l’apertura e il pluralismo, che sono state le pietre miliari dell’attrattiva della città come centro commerciale e finanziario internazionale”, prosegue il comunicato del Seae. Bruxelles promette infine che “continuerà a monitorare da vicino la situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a Hong Kong”.

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    Orbán stende il tappeto rosso per “l’amico di lunga data” Xi Jinping. Cina e Ungheria firmano 16 accordi di cooperazione

    Bruxelles – Si conclude tra le sventolanti bandiere cinesi di Budapest il tour europeo di Xi Jinping. Dopo il trilaterale con Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a Parigi e la visita in Serbia, il presidente della Cina è ospite oggi (9 maggio) dell’amico “di lunga data” ungherese. Per l’occasione del 75esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Pechino e Budapest (e della festa dell’Europa, per uno strano scherzo del destino) il primo ministro Viktor Orbán e Xi firmeranno 16 accordi di cooperazione, che inaugurano una nuova fase dei rapporti tra il gigante asiatico e il suo più stretto alleato nell’Unione europea.Il premier cinese e la moglie, Peng Liyuan, sono stati ricevuti in mattinata dal presidente ungherese Tamas Sulyok nel palazzo presidenziale, per poi dirigersi – accompagnati lungo il percorso da centinaia di persone che sventolavano bandiere cinesi e ungheresi – alla volta del castello di Buda, dove hanno sfilato su un tappeto rosso mentre risuonavano gli inni nazionali. Alla cerimonia hanno partecipato numerosi funzionari dei due Paesi, tra cui il primo ministro Orbán.Bandiere cinesi e ungheresi davanti al Castello di Buda a Budapest (Photo by Attila KISBENEDEK / AFP)Gli accordi – annunciati nei giorni scorsi dal governo ungherese – riguardano un ampio ventaglio di settori: dalle infrastrutture ferroviarie e stradali, all’energia nucleare e all’automobile. Budapest attira da anni numerose aziende cinesi e grandi progetti di produzione di veicoli elettrici e batterie. Investimenti per decine di miliardi di euro, di cui l’opposizione ungherese ha denunciato l’opacità dei contratti, l’impatto ambientale delle fabbriche e la corruzione. Investimenti che arricchirebbero lo stretto “circolo di Orbán”.Secondo i dati dell’Observatory of Economic Complexity (Oec), nel 2022 il surplus commerciale della Cina con l’Ungheria è stato di quasi 8 miliardi di dollari: Budapest ha importato beni dalla Repubblica Popolare per un valore di 10,5 miliardi (il 6,88 per cento del totale delle importazioni, seconda solo alla Germania), mentre l’export verso la Cina si è fermato a 2,89 miliardi di dollari. Una forbice in costante aumento negli ultimi anni che – sommata alla serie di contratti miliardari che Orbán ha firmato con Pechino – è stata definita dall’Ispi “una trappola del debito” con la Cina.Ma il legame sempre più stretto con la Cina fa parte della politica perseguita da Orbán fin dal 2010, che guarda a Est e fa l’occhiolino a Mosca oltre che a Pechino. Sul conflitto in Ucraina, la posizione di Orbán è molto più vicina a quella della Cina rispetto a quella dell’Unione europea, come dimostrano i recenti scontri tra gli altri 26 e l’Ungheria sulle sanzioni al Cremlino e sul fondo per l’Ucraina. In un editoriale pubblicato sul quotidiano ungherese filogovernativo Magyar Nemzet prima del suo arrivo, Xi Ha elogiato i 75 anni di relazioni diplomatiche in cui “Cina e Ungheria sono rimaste buone amiche e hanno imparato l’una dall’altra”, proponendo “una maggiore fiducia politica reciproca” e la guida congiunta della “cooperazione regionale e il mantenimento della giusta direzione delle relazioni Cina-Europa” al fine di “unire le forze per affrontare le sfide globali”.Dichiarazioni zuccherine che ricalcano quelle di pochi giorni fa a Belgrado tra il presidente cinese e l’omologo serbo, Aleksandar Vučić. Anche in quell’occasione, i due leader hanno siglato un totale di 28 accordi e protocolli d’intesa dalle infrastrutture alla cultura, dallo sport alla tecnologia. Accordi che non possono non impensierire Bruxelles, non proprio in linea con la richiesta di una maggiore cooperazione per “evitare incomprensioni” che von der Leyen e Macron hanno rivolto a Xi nella prima tappa del suo tour europeo.

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    Ue e Francia spingono la Cina a cooperare per “affrontare le sfide globali ed evitare incomprensioni”

    Bruxelles – Geopolitica e relazioni commerciali. Unione Europea e Cina cercano di riprendere le fila di un rapporto spinoso affrontando le due questioni più complesse ancora in cima agenda, nonostante tre incontri in un anno tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il leader cinese, Xi Jinping. A dimostrarlo è stato l’atteso vertice trilaterale ospitato a Parigi oggi (6 maggio) dal presidente francese, Emmanuel Macron, in cui è emersa da una parte la necessità di avere “buone relazioni reciproche”, ma dall’altra anche l’urgenza per Bruxelles di “affrontare le distorsioni” provocate da Pechino “con gli strumenti di difesa di cui disponiamo, se necessario”.Da sinistra: il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Parigi il 6 maggio 2024 (credits: Ludovic Marin / Afp)A mettere tutto questo sul tavolo è stata la presidente della Commissione Ue, che nel suo intervento introduttivo al trilaterale di Parigi ha ricordato quanto “il nostro impegno è fondamentale per garantire il rispetto reciproco, evitare malintesi e trovare soluzioni comuni alle sfide globali“. Proprio per queste ragioni rimane l’interesse a “dimostrare che il nostro impegno è efficace”. In particolare, secondo quanto emerge dalle parole di von der Leyen, “la Cina è importante per l’Unione Europea per affrontare le principali sfide globali“, come per esempio “la lotta congiunta contro il cambiamento climatico e la determinazione a proteggere la biodiversità e ad attuare la governance degli oceani”. Un messaggio identico a quello veicolato nell’incontro nello stesso formato a Pechino nella primavera 2023, ma che rappresenta pur sempre la base di partenza per non esacerbare un rapporto molto delicato con la controparte cinese.Anche dall’ospite francese è emerso uno spirito di cooperazione necessario per affrontare le frizioni comunque innegabili tra le due parti: “La situazione internazionale ha bisogno più che mai di questo dialogo euro-cinese“, ha rivendicato Macron lo sforzo di “tentare di superare le preoccupazioni” attuali e scongiurare una “logica di disaggregazione che sarebbe nefasta sul piano economico”. Da parte sua il presidente Xi Jinping ha parlato di un “rafforzamento del consenso e del coordinamento strategico” tra Unione Europea e Cina, che “come due grandi potenze mondiali devono rimanere partner, perseguire il dialogo e la cooperazione, approfondire la comunicazione e la fiducia reciproca”. Perché le due questioni più cruciali sul tavolo – a cui ancora non è stata trovata una soluzione definitiva – sono non solo enormi nella loro portata, ma anche potenzialmente travolgenti per gli equilibri globali.Dall’Ucraina all’Asia orientaleIl vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino il 6 aprile 2023Il primo tema spinoso per i rapporti Ue-Cina è senza dubbio il “funzionamento dell’ordine internazionale basato sulle regole, in un contesto molto turbolento in Europa, in Medio Oriente e in Asia orientale“. Rimangono solo tra le righe le tensioni nello Stretto di Taiwan, mentre trova ampio spazio nelle parole di von der Leyen l’invasione russa dell’Ucraina: “Siamo determinati a fermare la guerra di aggressione e a stabilire una pace giusta e duratura”. Facendo leva su un “interesse comune nella pace e nella sicurezza” e ricordando il “ruolo importante del presidente Xi Jinping nella de-escalation della minaccia nucleare irresponsabile” del Cremlino, l’esortazione a Pechino è sempre quella di “usare tutta la sua influenza sulla Russia” per mettere fine al conflitto. In questo contesto è cruciale soprattutto lo stop totale della fornitura di beni cinesi a duplice uso che finiscono sul terreno di battaglia: “Serve più sforzo, considerata l’enorme minaccia che questa guerra rappresenta sia per l’Ucraina sia per l’Ue, questo tema ha un impatto” sulle relazioni tra l’Unione e Pechino, è l’avvertimento di von der Leyen.Il secondo scenario di instabilità dell’ordine internazionale è quello del Medio Oriente, “che è di enorme preoccupazione per entrambe le parti” e per il quale “non deve essere risparmiato nessuno sforzo per la de-escalation della tensione e per evitare un conflitto più vasto nella regione“. Mentre Israele ha ordinato l’evacuazione di Rafah nella Striscia di Gaza in vista di un’imminente attacco di terra, la numero uno dell’esecutivo Ue ha ribadito la richiesta di un “cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi”, mentre tra Bruxelles e Pechino “lavoriamo per fornire tutto il supporto umanitario possibile e per la soluzione a due Stati”. Quella che anche per Xi Jinping “è l’unica via” per la fine del conflitto in Palestina. Da non sottovalutare è anche la “minaccia diretta dell’Iran”, su cui anche in questo caso “la Cina può giocare un ruolo importante nel limitare la proliferazione irresponsabile dei missili e droni”, ha esortato von der Leyen.Le relazioni economiche Ue-CinaOltre agli scenari di instabilità geopolitica e il differente approccio dei due partner, nessuno nasconde che il tema di maggiore fragilità del rapporto tra Unione Europea e Cina è quello della concorrenza economica e commerciale. “Il nostro volume di scambi quotidiani è di circa 2,3 miliardi di euro al giorno, ma questa relazione è messa a dura prova“, ha ricordato von der Leyen a Xi Jinping, citando “la sovraccapacità indotta dallo Stato, la disparità di accesso al mercato e l’eccessiva dipendenza”. Basti ricordare che negli ultimi dieci anni si è assistito a un graduale squilibrio della bilancia commerciale, con il deficit dell’Unione che si è più che triplicato e ha quasi raggiunto i 400 miliardi di euro nel 2022: “Lo sbilanciamento rimane significativo ed è una questione di grande preoccupazione ma, come abbiamo dimostrato, difenderemo le nostre economie se necessario”.Inevitabile il riferimento ai prodotti che ricevono sussidi statali in Cina – “come i veicoli elettrici o l’acciaio” – e che “stanno sommergendo il mercato europeo”. A Bruxelles sono state avviate una serie di indagini sui sussidi di Pechino, a partire proprio dalle auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore. “La Cina continua a sostenere massicciamente il settore manifatturiero e questo, combinato con la domanda interna che non aumenta, fa sì che il mondo non possa assorbire la produzione cinese”, è l’attacco di von der Leyen, che ha reso nota la richiesta al governo cinese di “affrontare questa sovraccapacità”, mentre nel frattempo “ci coordineremo con i Paesi del G7 e con le economie emergenti che devono affrontare le distorsioni” provocate dalla politica economica e commerciale di Pechino. Ma il leader cinese ha tagliato corto, sostenendo che “il problema della sovraccapacità non esiste” in Cina.Tuttavia questo tema riguarda da vicino l’Unione e il suo Mercato interno, dal momento in cui “l’accesso ai mercati deve essere reciproco“, e l’approccio al momento è quello di “discutere come arrivare a progressi effettivi”, mentre “facciamo uso dei nostri strumenti di difesa, se necessario”. A dimostrarlo è la decisione dello scorso 24 aprile di lanciare la prima indagine attraverso lo Strumento per gli appalti internazionali nel mercato dei dispositivi medici: “Non possiamo accettare pratiche che distorcono il mercato e che possono portare alla deindustrializzazione qui in Europa“. E infine la questione delle catene di approvvigionamento, in particolare “l’eccessiva dipendenza” sul piano delle materie prime critiche. È proprio su questo fronte che la numero uno della Commissione rivendica il successo del nuovo approccio delineato all’inizio del 2023: “Abbiamo negoziato diversi accordi con molti Paesi terzi da cui otteniamo materie prime critiche, questo è il de-risking nella pratica“, ha ricordato von der Leyen, salutando il vertice trilaterale con un messaggio per il futuro: “Il nostro mercato rimane aperto alla concorrenza equa e agli investimenti, non è un bene per l’Europa se danneggia la nostra sicurezza e ci rende vulnerabili”.

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    Macron si prepara ad accogliere Xi Jinping (e von der Leyen). Nuovo round di colloqui dopo Pechino

    Bruxelles – Tra Parigi, Berlino e Bruxelles sono iniziati i preparativi per un evento tanto atteso quanto imprevedibile per il risultato finale. Lunedì (6 maggio) il presidente francese, Emmanuel Macron, ospiterà insieme alla numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Parigi il presidente della Cina, Xi Jinping, in una riedizione del trilaterale andato in scena a Pechino nell’aprile dello scorso anno. Ancora una volta il leader cinese proverà a far leva sulle divergenze tra i 27 Paesi membri sull’approccio verso Pechino – in particolare Francia e Germania – per spingere i propri interessi nazionali, partendo dai due temi più rilevanti sul tavolo dell’Eliseo: la guerra russa in Ucraina e le indagini Ue sui sussidi statali per i veicoli elettrici.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf ScholzNon è un caso se ieri sera (2 maggio) proprio il presidente francese Macron si è incontrato in modo informale a Parigi con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per cercare un confronto onesto sui rispettivi approcci nei confronti di Pechino, prima dell’inizio del tour europeo di Xi Jinping (che lo porterà anche in Serbia e in Ungheria la prossima settimana). Lo scorso 16 aprile la visita del cancelliere tedesco in Cina aveva sollevato alcune perplessità, non tanto per la visita in sé quanto per la decisione di non affrontare con la controparte cinese i due temi più spinosi per i Ventisette. In primis le indagini di Bruxelles su una serie di beni ampiamente sovvenzionati dallo Stato cinese che rischiano di turbare il Mercato unico dell’Unione: uno su tutti le auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina.Il vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino (6 aprile 2023)È passato un anno dal trilaterale Macron-von der Leyen-Xi Jinping a Pechino, ma la strategia di de-risking dell’Unione Europea dalla Cina sembra essere appena alle battute iniziali. “Dobbiamo affrontare le soluzioni attraverso il dialogo e la diplomazia” e puntare su “una strategia di de-risking, cioè focalizzarci sui rischi specifici, ma anche apprezzare il fatto che la grande maggioranza dei beni e servizi è priva di rischi”, aveva sottolineato prima e durante il vertice di Pechino la numero uno della Commissione Ue, partendo dall’analisi sui rapporti Ue-Cina divenuta paradigmatica per l’approccio che si vorrebbe seguire a Bruxelles: “Alcune dipendenze commerciali sollevano dei rischi significativi e sappiamo che per alcuni la conseguenza è sganciarsi dalla Cina, ma io dubito che questa sia una soluzione desiderabile o percorribile“. Senza dubbio la questione dei potenziali sussidi anti-concorrenziali – anche nel settore delle turbine eoliche e dei dispositivi medici – non può non essere considerata come il fattore che può creare più frizioni con la controparte cinese, ma allo stesso tempo anche come la cartina tornasole della solidità dell’Unione nell’affrontare una bilancia commerciale che pende nettamente verso Pechino.La seconda linea rossa delle discussioni di lunedì a Parigi sarà senza dubbio la questione della guerra russa in Ucraina e di come l’Ue voglia uno stop totale della fornitura di attrezzature cinesi a duplice uso che stanno sostenendo la controffensiva del Cremlino. Un anno fa erano sul tavolo due proposte di pace – il piano in 10 punti del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e la proposta cinese accolta con grande scetticismo in Europa – e soprattutto le richieste dei due leader europei a Xi Jinping di definire il posizionamento della Cina in qualità di membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “In quanto tale ha una grande responsabilità e ci aspettiamo che giochi un ruolo importante per promuovere una pace giusta che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, aveva messo in chiaro senza troppi giri di parole von der Leyen. Quando è passato un anno e molto poco poco a livello diplomatico oltre la telefonata tra i leader ucraino e cinese a fine aprile 2023, il sostegno dei Ventisette a Kiev passerà anche dalla capacità di convincere Pechino ad allentare il sostegno indiretto a Mosca con beni a duplice uso, ovvero quelli venduti per scopi civili ma convertibili dal Cremlino per uso bellico al fronte.