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    Ue, la condanna di 14 attivisti pro-democrazia a Hong Kong “un ulteriore deterioramento delle libertà fondamentali”

    Bruxelles – L’Ue “profondamente preoccupata” per il verdetto emesso questa mattina (30 maggio) nell’ambito del maxi-processo rinominato “Hong Kong 47”, in cui la giuria selezionata dal governo della Regione speciale ha condannato 14 delle 16 persone che si erano dichiarate non colpevoli nel gruppo di 47 attivisti democratici accusati di aver organizzato le elezioni primarie non ufficiali nel luglio 2020. Le altre due sono state assolte.I 14 sono stati ritenuti colpevoli di “cospirazione per sovvertire il potere statale”, ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale (NSL) imposta dal governo di Pechino. Il processo, durato 10 mesi, si è concluso a dicembre, più di mille giorni dopo i primi arresti. Gli altri 31 – che si sono dichiarati colpevoli – stanno ancora aspettando l’esito dei loro casi. Le primarie pre-elettorali incriminate, che si sono tenute l’11 e il 12 luglio 2020, non sono state le prime primarie della storia di Hong Kong, ma sono avvenute a meno di due settimane dall’introduzione della legge voluta da Pechino per aiutare le autorità di Hong Kong a reprimere quel che restava del movimento pro-democrazia dopo le proteste di massa del 2019. E che, secondo il rapporto annuale della Commissione europea sullo status dell’ex colonia britannica relativo al 2021, ha impresso una decisa svolta autoritaria e avvicinato Hong Kong alle politiche della Cina.I giudici hanno deliberato che il piano dell’opposizione democratica di Hong Kong per ottenere la maggioranza nel Consiglio legislativo – al fine di bloccare i disegni di legge di bilancio e costringere alle dimissioni il capo dell’esecutivo se non avesse accettato le richieste del movimento pro-democrazia – costituiscono una violazione della Legge fondamentale di Hong Kong. Per la Corte qualsiasi atto che possa “interferire seriamente, interrompere o minare i compiti e le funzioni del governo è chiaramente un atto che mette in pericolo la sicurezza nazionale di Hong Kong”.In un comunicato, la portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Nabila Massrali, ha dichiarato che la sentenza “segna un ulteriore deterioramento delle libertà fondamentali e della partecipazione democratica a Hong Kong”. Secondo l’Ue, gli imputati sono stati condannati “per un’attività politica pacifica che dovrebbe essere legittima in qualsiasi sistema politico che rispetti i principi democratici fondamentali”. E in effetti il tribunale di West Kowloon ha stabilito un precedente significativo, ritenendo che un atto non violento – come le elezioni primarie – costituisca una sovversione secondo la legge sulla sicurezza nazionale.Il caso “mette anche in discussione l’impegno di Hong Kong per l’apertura e il pluralismo, che sono state le pietre miliari dell’attrattiva della città come centro commerciale e finanziario internazionale”, prosegue il comunicato del Seae. Bruxelles promette infine che “continuerà a monitorare da vicino la situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a Hong Kong”.

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    Orbán stende il tappeto rosso per “l’amico di lunga data” Xi Jinping. Cina e Ungheria firmano 16 accordi di cooperazione

    Bruxelles – Si conclude tra le sventolanti bandiere cinesi di Budapest il tour europeo di Xi Jinping. Dopo il trilaterale con Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a Parigi e la visita in Serbia, il presidente della Cina è ospite oggi (9 maggio) dell’amico “di lunga data” ungherese. Per l’occasione del 75esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Pechino e Budapest (e della festa dell’Europa, per uno strano scherzo del destino) il primo ministro Viktor Orbán e Xi firmeranno 16 accordi di cooperazione, che inaugurano una nuova fase dei rapporti tra il gigante asiatico e il suo più stretto alleato nell’Unione europea.Il premier cinese e la moglie, Peng Liyuan, sono stati ricevuti in mattinata dal presidente ungherese Tamas Sulyok nel palazzo presidenziale, per poi dirigersi – accompagnati lungo il percorso da centinaia di persone che sventolavano bandiere cinesi e ungheresi – alla volta del castello di Buda, dove hanno sfilato su un tappeto rosso mentre risuonavano gli inni nazionali. Alla cerimonia hanno partecipato numerosi funzionari dei due Paesi, tra cui il primo ministro Orbán.Bandiere cinesi e ungheresi davanti al Castello di Buda a Budapest (Photo by Attila KISBENEDEK / AFP)Gli accordi – annunciati nei giorni scorsi dal governo ungherese – riguardano un ampio ventaglio di settori: dalle infrastrutture ferroviarie e stradali, all’energia nucleare e all’automobile. Budapest attira da anni numerose aziende cinesi e grandi progetti di produzione di veicoli elettrici e batterie. Investimenti per decine di miliardi di euro, di cui l’opposizione ungherese ha denunciato l’opacità dei contratti, l’impatto ambientale delle fabbriche e la corruzione. Investimenti che arricchirebbero lo stretto “circolo di Orbán”.Secondo i dati dell’Observatory of Economic Complexity (Oec), nel 2022 il surplus commerciale della Cina con l’Ungheria è stato di quasi 8 miliardi di dollari: Budapest ha importato beni dalla Repubblica Popolare per un valore di 10,5 miliardi (il 6,88 per cento del totale delle importazioni, seconda solo alla Germania), mentre l’export verso la Cina si è fermato a 2,89 miliardi di dollari. Una forbice in costante aumento negli ultimi anni che – sommata alla serie di contratti miliardari che Orbán ha firmato con Pechino – è stata definita dall’Ispi “una trappola del debito” con la Cina.Ma il legame sempre più stretto con la Cina fa parte della politica perseguita da Orbán fin dal 2010, che guarda a Est e fa l’occhiolino a Mosca oltre che a Pechino. Sul conflitto in Ucraina, la posizione di Orbán è molto più vicina a quella della Cina rispetto a quella dell’Unione europea, come dimostrano i recenti scontri tra gli altri 26 e l’Ungheria sulle sanzioni al Cremlino e sul fondo per l’Ucraina. In un editoriale pubblicato sul quotidiano ungherese filogovernativo Magyar Nemzet prima del suo arrivo, Xi Ha elogiato i 75 anni di relazioni diplomatiche in cui “Cina e Ungheria sono rimaste buone amiche e hanno imparato l’una dall’altra”, proponendo “una maggiore fiducia politica reciproca” e la guida congiunta della “cooperazione regionale e il mantenimento della giusta direzione delle relazioni Cina-Europa” al fine di “unire le forze per affrontare le sfide globali”.Dichiarazioni zuccherine che ricalcano quelle di pochi giorni fa a Belgrado tra il presidente cinese e l’omologo serbo, Aleksandar Vučić. Anche in quell’occasione, i due leader hanno siglato un totale di 28 accordi e protocolli d’intesa dalle infrastrutture alla cultura, dallo sport alla tecnologia. Accordi che non possono non impensierire Bruxelles, non proprio in linea con la richiesta di una maggiore cooperazione per “evitare incomprensioni” che von der Leyen e Macron hanno rivolto a Xi nella prima tappa del suo tour europeo.

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    Ue e Francia spingono la Cina a cooperare per “affrontare le sfide globali ed evitare incomprensioni”

    Bruxelles – Geopolitica e relazioni commerciali. Unione Europea e Cina cercano di riprendere le fila di un rapporto spinoso affrontando le due questioni più complesse ancora in cima agenda, nonostante tre incontri in un anno tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il leader cinese, Xi Jinping. A dimostrarlo è stato l’atteso vertice trilaterale ospitato a Parigi oggi (6 maggio) dal presidente francese, Emmanuel Macron, in cui è emersa da una parte la necessità di avere “buone relazioni reciproche”, ma dall’altra anche l’urgenza per Bruxelles di “affrontare le distorsioni” provocate da Pechino “con gli strumenti di difesa di cui disponiamo, se necessario”.Da sinistra: il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Parigi il 6 maggio 2024 (credits: Ludovic Marin / Afp)A mettere tutto questo sul tavolo è stata la presidente della Commissione Ue, che nel suo intervento introduttivo al trilaterale di Parigi ha ricordato quanto “il nostro impegno è fondamentale per garantire il rispetto reciproco, evitare malintesi e trovare soluzioni comuni alle sfide globali“. Proprio per queste ragioni rimane l’interesse a “dimostrare che il nostro impegno è efficace”. In particolare, secondo quanto emerge dalle parole di von der Leyen, “la Cina è importante per l’Unione Europea per affrontare le principali sfide globali“, come per esempio “la lotta congiunta contro il cambiamento climatico e la determinazione a proteggere la biodiversità e ad attuare la governance degli oceani”. Un messaggio identico a quello veicolato nell’incontro nello stesso formato a Pechino nella primavera 2023, ma che rappresenta pur sempre la base di partenza per non esacerbare un rapporto molto delicato con la controparte cinese.Anche dall’ospite francese è emerso uno spirito di cooperazione necessario per affrontare le frizioni comunque innegabili tra le due parti: “La situazione internazionale ha bisogno più che mai di questo dialogo euro-cinese“, ha rivendicato Macron lo sforzo di “tentare di superare le preoccupazioni” attuali e scongiurare una “logica di disaggregazione che sarebbe nefasta sul piano economico”. Da parte sua il presidente Xi Jinping ha parlato di un “rafforzamento del consenso e del coordinamento strategico” tra Unione Europea e Cina, che “come due grandi potenze mondiali devono rimanere partner, perseguire il dialogo e la cooperazione, approfondire la comunicazione e la fiducia reciproca”. Perché le due questioni più cruciali sul tavolo – a cui ancora non è stata trovata una soluzione definitiva – sono non solo enormi nella loro portata, ma anche potenzialmente travolgenti per gli equilibri globali.Dall’Ucraina all’Asia orientaleIl vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino il 6 aprile 2023Il primo tema spinoso per i rapporti Ue-Cina è senza dubbio il “funzionamento dell’ordine internazionale basato sulle regole, in un contesto molto turbolento in Europa, in Medio Oriente e in Asia orientale“. Rimangono solo tra le righe le tensioni nello Stretto di Taiwan, mentre trova ampio spazio nelle parole di von der Leyen l’invasione russa dell’Ucraina: “Siamo determinati a fermare la guerra di aggressione e a stabilire una pace giusta e duratura”. Facendo leva su un “interesse comune nella pace e nella sicurezza” e ricordando il “ruolo importante del presidente Xi Jinping nella de-escalation della minaccia nucleare irresponsabile” del Cremlino, l’esortazione a Pechino è sempre quella di “usare tutta la sua influenza sulla Russia” per mettere fine al conflitto. In questo contesto è cruciale soprattutto lo stop totale della fornitura di beni cinesi a duplice uso che finiscono sul terreno di battaglia: “Serve più sforzo, considerata l’enorme minaccia che questa guerra rappresenta sia per l’Ucraina sia per l’Ue, questo tema ha un impatto” sulle relazioni tra l’Unione e Pechino, è l’avvertimento di von der Leyen.Il secondo scenario di instabilità dell’ordine internazionale è quello del Medio Oriente, “che è di enorme preoccupazione per entrambe le parti” e per il quale “non deve essere risparmiato nessuno sforzo per la de-escalation della tensione e per evitare un conflitto più vasto nella regione“. Mentre Israele ha ordinato l’evacuazione di Rafah nella Striscia di Gaza in vista di un’imminente attacco di terra, la numero uno dell’esecutivo Ue ha ribadito la richiesta di un “cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi”, mentre tra Bruxelles e Pechino “lavoriamo per fornire tutto il supporto umanitario possibile e per la soluzione a due Stati”. Quella che anche per Xi Jinping “è l’unica via” per la fine del conflitto in Palestina. Da non sottovalutare è anche la “minaccia diretta dell’Iran”, su cui anche in questo caso “la Cina può giocare un ruolo importante nel limitare la proliferazione irresponsabile dei missili e droni”, ha esortato von der Leyen.Le relazioni economiche Ue-CinaOltre agli scenari di instabilità geopolitica e il differente approccio dei due partner, nessuno nasconde che il tema di maggiore fragilità del rapporto tra Unione Europea e Cina è quello della concorrenza economica e commerciale. “Il nostro volume di scambi quotidiani è di circa 2,3 miliardi di euro al giorno, ma questa relazione è messa a dura prova“, ha ricordato von der Leyen a Xi Jinping, citando “la sovraccapacità indotta dallo Stato, la disparità di accesso al mercato e l’eccessiva dipendenza”. Basti ricordare che negli ultimi dieci anni si è assistito a un graduale squilibrio della bilancia commerciale, con il deficit dell’Unione che si è più che triplicato e ha quasi raggiunto i 400 miliardi di euro nel 2022: “Lo sbilanciamento rimane significativo ed è una questione di grande preoccupazione ma, come abbiamo dimostrato, difenderemo le nostre economie se necessario”.Inevitabile il riferimento ai prodotti che ricevono sussidi statali in Cina – “come i veicoli elettrici o l’acciaio” – e che “stanno sommergendo il mercato europeo”. A Bruxelles sono state avviate una serie di indagini sui sussidi di Pechino, a partire proprio dalle auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore. “La Cina continua a sostenere massicciamente il settore manifatturiero e questo, combinato con la domanda interna che non aumenta, fa sì che il mondo non possa assorbire la produzione cinese”, è l’attacco di von der Leyen, che ha reso nota la richiesta al governo cinese di “affrontare questa sovraccapacità”, mentre nel frattempo “ci coordineremo con i Paesi del G7 e con le economie emergenti che devono affrontare le distorsioni” provocate dalla politica economica e commerciale di Pechino. Ma il leader cinese ha tagliato corto, sostenendo che “il problema della sovraccapacità non esiste” in Cina.Tuttavia questo tema riguarda da vicino l’Unione e il suo Mercato interno, dal momento in cui “l’accesso ai mercati deve essere reciproco“, e l’approccio al momento è quello di “discutere come arrivare a progressi effettivi”, mentre “facciamo uso dei nostri strumenti di difesa, se necessario”. A dimostrarlo è la decisione dello scorso 24 aprile di lanciare la prima indagine attraverso lo Strumento per gli appalti internazionali nel mercato dei dispositivi medici: “Non possiamo accettare pratiche che distorcono il mercato e che possono portare alla deindustrializzazione qui in Europa“. E infine la questione delle catene di approvvigionamento, in particolare “l’eccessiva dipendenza” sul piano delle materie prime critiche. È proprio su questo fronte che la numero uno della Commissione rivendica il successo del nuovo approccio delineato all’inizio del 2023: “Abbiamo negoziato diversi accordi con molti Paesi terzi da cui otteniamo materie prime critiche, questo è il de-risking nella pratica“, ha ricordato von der Leyen, salutando il vertice trilaterale con un messaggio per il futuro: “Il nostro mercato rimane aperto alla concorrenza equa e agli investimenti, non è un bene per l’Europa se danneggia la nostra sicurezza e ci rende vulnerabili”.

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    Macron si prepara ad accogliere Xi Jinping (e von der Leyen). Nuovo round di colloqui dopo Pechino

    Bruxelles – Tra Parigi, Berlino e Bruxelles sono iniziati i preparativi per un evento tanto atteso quanto imprevedibile per il risultato finale. Lunedì (6 maggio) il presidente francese, Emmanuel Macron, ospiterà insieme alla numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Parigi il presidente della Cina, Xi Jinping, in una riedizione del trilaterale andato in scena a Pechino nell’aprile dello scorso anno. Ancora una volta il leader cinese proverà a far leva sulle divergenze tra i 27 Paesi membri sull’approccio verso Pechino – in particolare Francia e Germania – per spingere i propri interessi nazionali, partendo dai due temi più rilevanti sul tavolo dell’Eliseo: la guerra russa in Ucraina e le indagini Ue sui sussidi statali per i veicoli elettrici.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf ScholzNon è un caso se ieri sera (2 maggio) proprio il presidente francese Macron si è incontrato in modo informale a Parigi con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per cercare un confronto onesto sui rispettivi approcci nei confronti di Pechino, prima dell’inizio del tour europeo di Xi Jinping (che lo porterà anche in Serbia e in Ungheria la prossima settimana). Lo scorso 16 aprile la visita del cancelliere tedesco in Cina aveva sollevato alcune perplessità, non tanto per la visita in sé quanto per la decisione di non affrontare con la controparte cinese i due temi più spinosi per i Ventisette. In primis le indagini di Bruxelles su una serie di beni ampiamente sovvenzionati dallo Stato cinese che rischiano di turbare il Mercato unico dell’Unione: uno su tutti le auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina.Il vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino (6 aprile 2023)È passato un anno dal trilaterale Macron-von der Leyen-Xi Jinping a Pechino, ma la strategia di de-risking dell’Unione Europea dalla Cina sembra essere appena alle battute iniziali. “Dobbiamo affrontare le soluzioni attraverso il dialogo e la diplomazia” e puntare su “una strategia di de-risking, cioè focalizzarci sui rischi specifici, ma anche apprezzare il fatto che la grande maggioranza dei beni e servizi è priva di rischi”, aveva sottolineato prima e durante il vertice di Pechino la numero uno della Commissione Ue, partendo dall’analisi sui rapporti Ue-Cina divenuta paradigmatica per l’approccio che si vorrebbe seguire a Bruxelles: “Alcune dipendenze commerciali sollevano dei rischi significativi e sappiamo che per alcuni la conseguenza è sganciarsi dalla Cina, ma io dubito che questa sia una soluzione desiderabile o percorribile“. Senza dubbio la questione dei potenziali sussidi anti-concorrenziali – anche nel settore delle turbine eoliche e dei dispositivi medici – non può non essere considerata come il fattore che può creare più frizioni con la controparte cinese, ma allo stesso tempo anche come la cartina tornasole della solidità dell’Unione nell’affrontare una bilancia commerciale che pende nettamente verso Pechino.La seconda linea rossa delle discussioni di lunedì a Parigi sarà senza dubbio la questione della guerra russa in Ucraina e di come l’Ue voglia uno stop totale della fornitura di attrezzature cinesi a duplice uso che stanno sostenendo la controffensiva del Cremlino. Un anno fa erano sul tavolo due proposte di pace – il piano in 10 punti del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e la proposta cinese accolta con grande scetticismo in Europa – e soprattutto le richieste dei due leader europei a Xi Jinping di definire il posizionamento della Cina in qualità di membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “In quanto tale ha una grande responsabilità e ci aspettiamo che giochi un ruolo importante per promuovere una pace giusta che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, aveva messo in chiaro senza troppi giri di parole von der Leyen. Quando è passato un anno e molto poco poco a livello diplomatico oltre la telefonata tra i leader ucraino e cinese a fine aprile 2023, il sostegno dei Ventisette a Kiev passerà anche dalla capacità di convincere Pechino ad allentare il sostegno indiretto a Mosca con beni a duplice uso, ovvero quelli venduti per scopi civili ma convertibili dal Cremlino per uso bellico al fronte.

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    Bruxelles chiama Washington nella corsa alle materie critiche. E avvia un’indagine sulle turbine eoliche dalla Cina

    Bruxelles – Catapultata in un ordine economico mondiale che fa sempre più paura, l’Ue si rivolge all’alleato di sempre. La commissaria europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager, ha scelto la prestigiosa università di Princeton per lanciare l’appello agli Stati Uniti: nella corsa geopolitica alla tecnologia – con la Cina che la fa da padrone – “avere partner di cui ci si può fidare è un vantaggio competitivo”.Sull’altare della storica amicizia che lega le due sponde dell’atlantico, la commissione Ue è pronta a mettere il sempre più complicato rapporto con Pechino, “partner, concorrente economico e rivale sistemico”. La vicepresidente esecutiva della Commissione europea, invitata nella prestigiosa università americana, è stata durissima sulla Repubblica Popolare Cinese, che “non sempre gioca in modo corretto” quando si parla del mercato delle tecnologie critiche.Oltre le parole, i fatti, per convincere Washington – e il prossimo inquilino della Casa Bianca – che l’Ue non ha alcun dubbio su che parte stare. Le indagini sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina lanciata in ottobre, su cui “se dovessimo stabilire che queste auto elettriche sono state sovvenzionate illegalmente, imporremmo dei rimedi”, e su “offerte sospette” in diverse gare d’appalto in Bulgaria e in Romania, con aziende cinesi che “potrebbero essere state indebitamente avvantaggiate”.

    Margrethe Vestager al Consiglio Commercio e Tecnologia Ue-Usa (Photo by Johanna Geron / POOL / AFP)Ma Vestager ha rilanciato ancora, annunciando l’avvio di una nuova indagine sui fornitori cinesi di turbine eoliche. “Stiamo indagando sulle condizioni per lo sviluppo di parchi eolici in Spagna, Grecia, Francia, Romania e Bulgaria”, ha dichiarato la commissaria. Annuncio che arriva proprio nel momento in cui il ministro per il Commercio cinese è in viaggio in Europa, con l’obiettivo di – secondo quanto riportato da Reuters – di respingere l’indagine Ue sulle auto elettriche.Davanti alla platea di Princeton, Vestager ha smascherato il metodo utilizzato da Pechino per “dominare” l’industria dei pannelli solari: “In primo luogo, attirando investimenti stranieri nel suo grande mercato interno, di solito richiedendo joint venture. In secondo luogo, acquisendo la tecnologia, e non sempre in modo trasparente. Terzo, concedendo massicci sussidi ai fornitori nazionali, chiudendo contemporaneamente e progressivamente il mercato nazionale. E quarto, esportando la capacità in eccesso nel resto del mondo a prezzi bassi”.Con il risultato che solo il 3 per cento dei pannelli solari utilizzati oggi nell’Unione europea sono stati prodotti nei 27 Paesi membri. La commissaria è stata perentoria: “Non possiamo permetterci che ciò che è successo per i pannelli solari si ripeta per i veicoli elettrici, l’eolico o i chip essenziali”. Ma l’Ue ha bisogno di avere le spalle coperte, schiacciata tra i due giganti Usa e Cina. “Mentre sviluppiamo ulteriormente la strategia per le tecnologie pulite, dobbiamo riflettere sulla questione dell’affidabilità”, ha incalzato Vestager.L’Ue alla ricerca di “partner affidabili”La proposta lanciata dalla responsabile per la Concorrenza del gabinetto von der Leyen è quella di “sviluppare – a livello di G7 – un elenco di criteri di affidabilità per le tecnologie pulite critiche“. Che vanno dall’impronta ambientale nella loro produzione, ai diritti dei lavoratori fino alla sicurezza informatica. E che possano essere usati “come condizioni per determinati incentivi” o come “criteri” negli appalti pubblici.Un approccio concertato tra partner che “condividono gli stessi valori”, agli antipodi di quanto successo con l’approvazione da parte del governo di Joe Biden dell’Inflation Reduction Act, l’enorme piano di sostegno all’industria nazionale che nell’agosto del 2022 ha messo in crisi la competitività delle aziende europee. “Legando i criteri alla produzione locale invece dell’affidabilità, gli Stati Uniti hanno limitato il potenziale di scala dei produttori occidentali. E ci hanno costretti a reagire con la concessione di sussidi corrispondenti”, ha pungolato Vestager, sottolineando che in questo modo “ognuno di noi utilizza il denaro dei contribuenti per attirare o trattenere i progetti dell’altro, invece di usarlo per dare alle nostre aziende un vantaggio innovativo o competitivo in questa corsa globale”.Ma Bruxelles sembra pronta a lasciarsi alle spalle lo sgarbo di Washington, in nome di una causa comune. Che dovrà essere rinnovata dai prossimi leader sulle due sponde dell’Atlantico. Con lo spauracchio di un ritorno al potere di Donald Trump. “Mentre sia l’Ue che gli Usa entrano in periodo elettorale, vediamo l’incertezza che ci attende. Ma una cosa rimane certa: in questa corsa geopolitica alla tecnologia, avere partner di cui ci si può fidare è un vantaggio competitivo”, ha concluso Vestager.

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    Il tredicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia è pronto e colpirà anche alcune aziende cinesi

    Bruxelles – L’Unione europea segnerà il secondo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina con l’approvazione del tredicesimo pacchetto di sanzioni a Mosca. A tre giorni dal 24 febbraio, gli ambasciatori dei 27 hanno dato il via libera all’applicazione di misure restrittive a quasi 200 individui ed entità, che vanno ad aggiungersi agli oltre 2000 soggetti vicini al Cremlino già sanzionati in due anni di guerra.Il pacchetto sanzionatorio sarà ora adottato formalmente dal Consiglio con procedura scritta entro la data simbolica auspicata del 24 febbraio. “Uno dei più ampi” approvati finora, ha sottolineato nel dare l’annuncio la presidenza belga dell’Ue.  Il pacchetto si dovrebbe concentrare sulla lotta all’elusione delle misure restrittive – in continuità con il dodicesimo – e sulle reti di approvvigionamento di tecnologia avanzata e equipaggiamento militare del Cremlino.In particolare, Bruxelles vuole colpire le aziende che riforniscono Mosca dei componenti per la costruzione di droni, che vengono poi utilizzati nei bombardamenti sulle città ucraine. “Dobbiamo continuare a ridurre la macchina da guerra di Putin. Con 2000 nomi in totale, manteniamo alta la pressione sul Cremlino. Stiamo anche riducendo ulteriormente l’accesso della Russia ai droni”, ha commentato in un post su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Oltre a diverse imprese russe, l’Ue avrebbe inserito nella lista nera anche aziende turche e della Corea del Nord. Ma soprattutto, a quanto si apprende le nuove sanzioni prenderanno di mira – per la prima volta – anche tre aziende cinesi che avrebbero fornito tecnologia militare a Mosca. “La Russia sta pagando per le sue azioni. Il tredicesimo pacchetto di sanzioni concordato oggi dall’Ue ridurrà ulteriormente la produzione dell’arsenale del Cremlino e frammenterà la sua cassa di guerra”, ha esultato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola.

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    È su una compagnia statale cinese di treni la prima indagine Ue sulle sovvenzioni estere distorsive

    Bruxelles – È la Cina il primo Paese extra-Ue a finire sotto la lente della Commissione Europea per il possibile ricorso a sovvenzioni che hanno consentito a società estere di beneficiare di vantaggi sleali, turbando l’integrità del Mercato interno. Dopo gli avvertimenti arrivati a più riprese lo scorso anno, l’Antitrust Ue ha annunciato oggi (16 febbraio) di aver avviato la sua prima indagine approfondita ai sensi del Regolamento sulle sovvenzioni estere, per il caso di una gara d’appalto pubblico lanciata in Bulgaria per la fornitura di 20 treni elettrici ‘push-pull’ e dei relativi servizi di manutenzione e formazione del personale per 15 anni (per un valore contrattuale di 610 milioni di euro).

    L’indagine avviata oggi fa seguito a una notifica presentata alla Commissione Europea da Crrc Qingdao Sifang Locomotive – una controllata del produttore di treni di proprietà statale cinese Crrc Corporation – che secondo l’esame preliminare già condotto dai servizi dell’esecutivo Ue presenta “sufficienti indicazioni che questa società abbia ricevuto una sovvenzione estera che distorce il Mercato interno” dell’Unione. Secondo il Regolamento sulle sovvenzioni estere le aziende sono obbligate a notificare le loro gare d’appalto pubbliche sul territorio dell’Unione quando il valore stimato del contratto supera i 250 milioni di euro e quando l’azienda ha ricevuto almeno 4 milioni di euro di contributi finanziari esteri da almeno un Paese terzo nei tre anni precedenti la notifica. Crrc Qingdao Sifang Locomotive ha presentato una notifica completa lo scorso 22 gennaio e – da quel momento – la Commissione ha 110 giorni lavorativi per prendere una decisione finale (fino al 2 luglio).Ma la volontà di approfondire la questione rappresenta per il Berlaymont già di per sé “la determinazione a preservare l’integrità del Mercato interno, garantendo che i beneficiari di sovvenzioni estere non possano beneficiare di un vantaggio sleale per aggiudicarsi appalti pubblici nell’Ue”. In questo caso specifico la Commissione Ue deve valutare “se il contributo finanziario estero costituisca una sovvenzione che conferisce direttamente o indirettamente un vantaggio selettivo all’azienda” e se questo consente all’azienda stessa di “presentare un’offerta indebitamente vantaggiosa” rispetto ad altre società che hanno partecipato alla gara d’appalto in Bulgaria. In seguito all’indagine si possono delineare tre scenari: il via libera agli impegni proposti dall’azienda “se questi pongono rimedio in modo completo ed efficace alla distorsione”, il divieto all’aggiudicazione del contratto o una decisione di non obiezione.Nella stessa nota la Commissione Ue avverte che “negli ultimi anni le sovvenzioni estere sembrano aver distorto il Mercato interno dell’Ue, anche fornendo ai loro beneficiari un vantaggio sleale nell’acquisizione di imprese o nell’ottenimento di contratti di appalto pubblico”. Il primo caso accertato secondo il Regolamento entrato in vigore nel luglio 2023 potrebbe essere proprio quello relativo a Crrc Corporation Limited, produttore di materiale rotabile di proprietà statale cinese e il più grande al mondo in termini di fatturato.

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    INTERVISTA / Spajić: “Il Montenegro investe su Ue e Nato. La presenza cinese non ci preoccupa più”

    Bruxelles – Il Montenegro sembra finalmente aver trovato un suo equilibrio, dopo anni di instabilità politica e istituzionale. Podgorica non ha mai perso la bussola del percorso verso l’Unione Europea, ma ora che la tempesta lunga più di tre anni è passata, l’obiettivo è ancora più visibile all’orizzonte. “Stiamo lavorando duramente e credo che sarà davvero epocale avere 28 membri entro il 2028“, confessa il primo ministro del Montenegro in carica dal primo novembre 2023, Milojko Spajić, nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata a Eunews a margine dell’inaugurazione dell’iniziativa del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ‘Membri candidati all’allargamento Ue’ a Bruxelles.

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićPrimo ministro Spajić, quanto ritiene realistico che – a cinque anni da oggi – il Montenegro parteciperà alle prossime elezioni europee?“Noi saremo pronti anche prima del 2028. Ma sappiamo anche che la politica di allargamento Ue è un processo a doppio senso e faremo del nostro meglio per concludere i negoziati di adesione nel 2026 e attendere fino al 2028 per la ratifica del Trattato di adesione da parte di tutti gli Stati membri. Dal momento in cui l’Unione contava già 28 membri, non è necessaria una revisione interna dei Trattati prima del nostro ingresso. Sarebbe un passo storico vedere i politici montenegrini in corsa per le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nel 2029”.Che tipo di partner è il Montenegro per l’Unione Europea?“Oggi il rapporto con l’Unione Europea e con gli altri Paesi dei Balcani Occidentali è il più positivo di sempre, ma dobbiamo migliorare ancora. Per quanto riguarda gli investimenti, vogliamo invitare società, imprese e istituzioni europee a ricostruire le infrastrutture, vogliamo ancora più scambi commerciali tra il Montenegro e l’Unione Europea, e ancora più imprese che aprono da noi e viceversa. Questa è una grande opportunità per Paesi come l’Italia, per esempio: Il Montenegro e tutti i Balcani Occidentali sono un frutto a portata di mano, perché i nostri cittadini amano l’Italia, la guardano come un modello in termini di società e di adesione all’Ue. Vogliamo più imprese italiane in Montenegro, così come da altri Paesi dell’Unione”.Eppure il Montenegro negli ultimi anni ha sollevato non poche perplessità a Bruxelles.“Il problema più grande del Montenegro è che nel 2020, quando sono diventato ministro delle Finanze, quasi il 60 per cento del turismo proveniva da Paesi esterni all’Unione Europea, alla regione e alla NATO. Le infrastrutture erano finanziate al 100 per cento da Paesi ed entità esterne a questo spazio politico, e anche il 90 per cento degli investimenti proveniva da Oriente. Allo stesso tempo, dal punto di vista geopolitico siamo membri della Nato e potenziali membri dell’Ue, con un 100 per cento di allineamento alla sua Politica estera e di sicurezza comune. Era una sorta di situazione bipolare, in cui geopoliticamente eravamo allineati da una parte, ma economicamente eravamo completamente isolati dal continente europeo e ci comportavamo come una nazione dell’Asia centrale. In quattro anni – all’inizio come ministro delle Finanze e ora da primo ministro – abbiamo cambiato completamente la rotta economica del Montenegro”.Ma quanto è ancora preoccupante la presenza cinese nell’economia del Paese?“Abbiamo ereditato il prestito con la China Investment Bank, lo abbiamo coperto con successo e abbiamo ridotto l’esposizione dal 27 per cento del Pil al 7/8 per cento. Ora è completamente gestibile, quasi trascurabile, è solo uno dei prestiti nel nostro portafoglio e non ci preoccupa molto. Vogliamo che il finanziamento delle infrastrutture in futuro provenga quasi esclusivamente dai nostri alleati della regione, dell’Ue e della Nato. Stiamo finalmente regolando l’economia e la geopolitica nel modo giusto”.

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićA proposito di Nato. È preoccupato dalle minacce di Trump, secondo cui gli Stati Uniti non dovrebbero difendere gli alleati che non spendono abbastanza nella difesa da un’eventuale aggressione russa?“Rischierei di entrare nella campagna politica statunitense, se commentassi questa dichiarazione. Io voglio intenderla come un messaggio cruciale per gli Stati Uniti, non solo per Trump ma anche per Biden: che Washington vuole vedere un contributo più attivo da parte di tutti i partner della Nato. Abbiamo ricevuto il massaggio, il Montenegro vuole essere un partner credibile per tutti coloro che fanno parte dell’Alleanza. Il governo è entrato in carica il primo novembre scorso, non abbiamo avuto molto tempo: la precedente bozza di bilancio diceva che la spesa per gli scopi Nato era pari all’1,8 per cento del Pil, ma in un solo mese siamo riusciti ad aumentarla al 2,01 per cento”.Diventando così uno dei 18 Paesi Nato che quest’anno avranno raggiunto la soglia minima di spesa del 2 per cento per la difesa in rapporto al Pil.“Questa è la dimostrazione di quanto siamo impegnati. Dopo l’aggressione russa all’Ucraina è fondamentale rendersi conto di quanto sia importante la sicurezza non più solo a livello teorico, ma anche e soprattutto pratico. È inimmaginabile che un membro della Nato possa essere invaso e conquistato da una potenza straniera come ha fatto la Russia con l’Ucraina”.