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    A Pechino il secondo dialogo di alto livello Ue-Cina sul digitale. Per Jourová fondamentale “mantenere aperti i canali di comunicazione”

    Bruxelles – Mantenere aperti i canali di comunicazione con la Cina. È questa la parola d’ordine della Commissione europea, a pochi giorni dall’annuncio di Ursula von der Leyen di voler istituire un’indagine sulle sovvenzioni statali ai veicoli elettrici provenienti dal gigante asiatico, che ha creato non pochi dissapori con Pechino. E la prima occasione è andata in scena oggi (18 settembre), con la vicepresidente dell’esecutivo Ue, Věra Jourová, impegnata nel secondo appuntamento del dialogo ad alto livello con la Cina sul digitale.
    È stata propria la vice di von der Leyen, responsabile per le politiche sui valori e la trasparenza, a ricordare su X (ex Twitter) la necessità di proseguire un dialogo costruttivo con Pechino, quanto meno dove gli interessi sono convergenti. Questioni chiave come le piattaforme digitali e le normative sui dati, l’intelligenza artificiale, la ricerca e l’innovazione, il flusso transfrontaliero di dati industriali, la sicurezza dei prodotti venduti online: questi i temi sul tavolo del dialogo co-presieduto da Jourová e dal vicepremier cinese, Zhang Guoqing.
    Il piano d’azione Ue-Cina sulla sicurezza dei prodotti venduti online
    “Oggi abbiamo avuto una discussione franca con la Cina sugli aspetti cruciali delle nostre politiche e tecnologie digitali, vogliamo cooperare laddove possiamo realizzare progressi sostanziali”, ha dichiarato Jourová a margine della giornata di lavori, annunciando inoltre di aver compiuto “un importante passo avanti sul fronte della tutela dei consumatori”. La Commissione Ue e la Cina hanno infatti accolto con favore la firma del piano d’azione sulla sicurezza dei prodotti venduti online, che si pone come obiettivo di “rafforzare ulteriormente il dialogo e la cooperazione” tra l’esecutivo comunitario e l’Amministrazione generale delle dogane cinesi (Gacc).
    Un piano d’azione che prevede lo scambio più rapido di informazioni su prodotti non sicuri, l’organizzazione di workshop periodici per condividere informazioni su leggi, regolamenti e buone pratiche, e attività specifiche di formazione per le aziende sulle più avanzate norme europee sulla sicurezza dei prodotti online. “Si tratta di una situazione vantaggiosa per tutti e di un passo importante verso l’innalzamento degli standard di protezione dei consumatori all’interno dell’Unione europea e oltre”, ha commentato il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders.
    Reciprocità per le aziende europee e de-risking dalla Cina. Gli attriti rimangono
    Archiviato questo piccolo successo, il dialogo è proseguito con un aggiornamento da parte della Commissione europea sugli ultimi sviluppi normativo dell’Ue, tra cui il Digital Services Act e il Digital Market Act, e con uno scambio di vedute sull’intelligenza artificiale. Jourová ha presentato a Pechino gli sviluppi della legge Ue sull’intelligenza artificiale e ha sottolineato “l’importanza di un uso etico di questa tecnologia nel pieno rispetto dei diritti umani universali, alla luce dei recenti rapporti delle Nazioni Unite”. La commissaria avrebbe espresso le preoccupazioni del blocco Ue sulle difficoltà incontrate dalle imprese europee in Cina nell’utilizzare i propri dati industriali e esortato le autorità cinesi a “garantire un contesto imprenditoriale equo e basato sulla reciprocità” del settore digitale.
    Gli attriti e la diffidenza rimangono, come dimostra il fatto che Jourová abbia dovuto rendere conto a Guoqing della politica di de-risking che l’Ue ha scelto di condurre nei confronti del gigante asiatico. Un approccio che consiste nel mitigare i rischi per le catene di approvvigionamento, le infrastrutture critiche e la sicurezza tecnologica emancipandosi da qualsiasi rischio di dipendenza da Pechino. “Dobbiamo impegnarci nelle aree in cui non siamo d’accordo. Non possiamo risolvere le nostre preoccupazioni e i nostri punti di vista diversi in un giorno, ma manterremo il dialogo sulle questioni digitali, che sono così fondamentali sia per le nostre economie che per le nostre società”, ha concluso la vicepresidente della Commissione europea. Le parti hanno concordato di proseguire le discussioni a livello tecnico, riprendendo il dialogo Cina-Ue sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic).

    La vicepresidente della Commissione Ue per i valori e la trasparenza ha presieduto i lavori con il vicepremier cinese, Zhang Guoqing. “Importante passo avanti” con la firma del piano d’azione sulla sicurezza dei prodotti online, ma Jourová avverte: “Dobbiamo impegnarci nelle aree in cui non siamo d’accordo”

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    La stretta cinese all’export di gallio e germano preoccupa l’Ue: “Presto valutazione d’impatto sugli Stati”

    Bruxelles – La stretta cinese sull’esportazione di gallio e germanio, ovvero materie prime critiche per la produzione di semiconduttori, preoccupa l’Unione europea che sta valutando quale potrebbe essere l’impatto potenziale delle restrizioni sugli Stati membri. Parte delle restrizioni entrano in vigore da oggi (primo agosto) e la Commissione europea “sta attualmente lavorando su un’analisi dettagliata del potenziale impatto di queste misure restrittive alle esportazioni sui Ventisette”, ha spiegato la portavoce dell’Esecutivo europeo responsabile per il commercio, Miriam Garcia, durante il briefing quotidiano con la stampa, assicurando che l’Ue ha insistito con Pechino “sul fatto che questo controllo delle esportazioni non è” giustificato da “situazioni di sicurezza e quindi abbiamo sollevato le nostre preoccupazioni”.

    Non ha precisato quali saranno i tempi e quanto potrebbe richiedere la valutazione dell’impatto. A inizio luglio il ministero del Commercio cinese ha annunciato l’intenzione di Pechino di introdurre a partire dal primo agosto una serie di limiti all’esportazione di gallio e germanio, due materie prime utilizzate nella produzione di semiconduttori e di conseguenza per i microchip alla base delle tecnologie per la doppia transizione digitale e verde. Nel 2022 la Cina ha esportato circa 94 tonnellate di gallio e 43,7 tonnellate di germanio, coprendo rispettivamente circa l’80 e il 60 per cento (con il resto proveniente da Canada, Finlandia, Russia e Stati Uniti) del fabbisogno.
    Secondo uno studio pubblicato dai servizi della Commissione Ue, i Ventisette importano dalla Cina il 71 per cento del gallio e il 45 per cento del germanio necessari per la produzione industriale. Per anni Pechino è riuscita nel tempo a garantire una sorta di monopolio, proponendo sul mercato materie prime critiche a un prezzo competitivo. Entrambi i metalli sono utilizzati per lo sviluppo dei chip per computer ad alta velocità e nei settori della difesa e delle energie rinnovabili.
    Sulle materie prime critiche necessarie alla doppia transizione, Bruxelles ha chiarito più volte di non voler ripetere gli errori commessi in passato con la dipendenza energetica dai combustibili fossili importati (a prezzo basso) dal mercato russo. Quindi la strategia è quella della diversificazione, anche se sulle materie critiche non sarà facile come per gli idrocarburi. La Commissione europea ha varato lo scorso 16 marzo una vera e propria proposta di Legge sulle materie prime critiche (il Critical Raw material act) con cui ha individuato una lista di 34 materie critiche (dalla bauxite all’elio, dall’arsenico allo stronzio), ma riducendo l’elenco a sole 16 da considerarsi ‘strategiche’, tra cui gallio e germanio. Oltre alla Cina, piccole quantità di gallio sono prodotte da Giappone, Russia e Corea del Sud, mentre il Canada è il più grande produttore di germanio del Nord America.E’ nel quadro del Critical Raw Materials Act che la Commissione europea sta lavorando a un ‘Club’ delle materie prime critiche, ovvero un gruppo ristretto di partner affidabili con cui creare una catena di approvvigionamento, che non dipenda solo dalla Cina.

    In vigore dal primo agosto le restrizioni cinesi all’esportazione di alcune materie prime critiche necessarie alla transizione, gallio e germanio. Bruxelles lavora a un’analisi “dettagliata del potenziale impatto di queste misure restrittive alle esportazioni sui Ventisette”

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    Uranio e influenza in Africa, il dilemma Ue del Niger tra interessi russi e cinesi

    Bruxelles – Democrazia, diritti, e poi l’uranio. Le instabilità in Niger possono di mettere in difficoltà il mercato dell’energia nucleare dell’Unione europea, che proprio dal Niger acquista uranio grezzo per i propri reattori. Per ora si rassicura, e si escludono impatti negativi dal colpo di Stato nel Paese dell’Africa occidentale. “Non c’è alcun rischio di approvvigionamento”, sostiene il portavoce della Commissione europea, Adalbert Jahnz. “Le imprese hanno sufficienti scorte di uranio naturale per mitigare qualsiasi rischio di approvvigionamento a breve termine e per il medio e lungo termine ci sono abbastanza depositi sul mercato mondiale per coprire il fabbisogno dell’Ue”.
    C’è però una questione geo-politica in ballo, fatta di energia nucleare, risorse, e presenza europea nell’area. Fin qui il Niger è stato il forniture numero uno dell’uranio nella sua forma grezza. La relazione della Commissione europea sul mercato di uranio, con dati aggiornati al 2021, afferma che “analogamente agli anni precedenti, Niger, Kazakistan e Russia sono stati i primi tre paesi a fornire uranio naturale all’Ue nel 2021, fornendo il 66,94% del totale”. Il Niger da solo, è arrivato a rappresentare un quarto dell’import complessivo a dodici stelle (24,26%). Non un fornitore marginalcina e, dunque. Alla luce delle relazioni sempre più delicate e complesse con la Russia quale risultato dell’aggressione all’Ucraina, l’Ue ha bisogno di ridurre le dipendenze con la federazione russa e un deterioramento ulteriore della situazione in Niger potrebbe indurre a rivedere la domanda di uranio.
    La Commissione Ue per ora intendere rimanere presente nel Paese. Evacuazione del personale e chiusura delle sedi di rappresentanza non sono prese in considerazione, perché andare via vorrebbe dire lasciare mano libera ad altri attori, a cominciare da quello cinese. Dopo la Francia la Repubblica popolare è il secondo più grande investitore straniero.
    Pechino è presente in Niger dal 1974, e ha dato nuovi impulsi alle relazioni bilaterali dagli inizi degli anni Duemila. Ha iniziato ad investire in infrastrutture (strade, ospedali, telecomunicazioni), scambi culturali (borse di studio per nigerini in Cina), a garantire sostegni umanitari contro disastri naturali. In cambio ha ottenuto diritto di esplorazione petrolifera e di uranio. Il progetto dell’oleodotto di circa 675 chilometri per la connessione Niger-Benin è possibile grazie a PetroChina, il colosso petrolifero cinese. Mentre Cnnc, la società di Stato attiva nel settore del nucleare, ha già avuto modo di lavorare col governo di Niamey per lo sviluppo del giacimento di Azelik.
    A livello globale il Niger rifornisce appena il 5% circa dell’uranio mondiale, ma è un fornitore leader per l’Ue. Sottrarre quote di mercato agli europei sarebbe per la Cina, già allo stato attuale fornitore principale di tutto ciò che serve all’Ue in termini di materie prime per la transizione sostenibile, un ulteriore colpo alle ambizioni di indipendenza e potenza europea.
    L’instabilità politica rischia però di complicare anche i piani cinesi, e non a caso anche la Cina segue con attenzione gli sviluppi nel Paese africano invitando a una soluzione. Per quanto a Bruxelles si cerchi di minimizzare e si ostenti sicurezza, in gioco c’è molto. Perché l’Ue ha deciso che il nucleare è ‘green’, non inserendolo la tecnologia nella tassonomia, l’insieme dei criteri che servono a determinare la sostenibilità di attività e prodotti. L’Ue ha bisogno dell’uranio per il suo nucleare, e il suo principale fornitore adesso offre meno garanzie.
    C’è anche l’aspetto russo della questione nigerina. L’uranio è certamente una questione ‘calda’ per l’Ue, ancora troppo legato alla Russia per ciò che serve per le centrali attive in Europa, soprattutto nei Paesi membri del quadrante nord-orientale. Alternative al combustibile russo è qualcosa di tutt’altro che semplice, e l’Ue non può permettersi di finire nuovamente nelle braccia del Cremlino. Ma da anni Mosca agisce nel continente africano, attraverso forniture di armi, accordi di cooperazione militare. Il controllo del continente sta diventando sempre più strategico, per via della sue ricchezze naturali in termini di risorse e materie prime. Governi ‘amici’ fanno l’interesse della partita in atto.
    La presenza del gruppo Wagner è stata accertata in almeno cinque Paesi africani (Libia, Mali, Sudan, Repubblica centrafricana, Mozambico). Si teme che il gruppo para-militare possa diventare una presenza forte anche in Niger. Analisti ricordano l’esempio del Mali, dove la Russia ha saputo inserirsi perché più accomodante rispetto alle richieste e alla condizioni poste dagli europei. “Ci sono già segnali che l’Ue potrebbe affrontare un dilemma simile in Niger“, avvertiva un anno fa, a giugno 2022, il think-tank pan-europeo Ecfr.
    C’è dunque la possibilità che il confronto tra Europa e Russia non si consumi solo sul fronte ucraino. La destabilizzazione del Niger gioca a favore di Mosca, più che dell’Europa, che nel Niger contava e conta anche per la gestione dei flussi migratori. All’incrocio di diverse rotte migratorie, il Niger ha rafforzato la sua politica di lotta alla migrazione irregolare con il sostegno dell’Ue, nell’ambito del nuovo partenariato dell’Ue con i Paesi terzi. Ora tutto questo rischia di saltare.
    A Bruxelles c’è già chi fa i conti con le tensioni e le incertezze nel Paese. In Parlamento Ue si inizia a riconoscere che il golpe “rischia di destabilizzare ulteriormente il Paese, oltre a problemi esistenti come l’instabilità regionale, la proliferazione di gruppi jihadisti violenti, un’ondata di rifugiati e sfollati interni”. In questo clima “il colpo di stato, salutato da Yevgeny Prigozhin, il capo di Wagner, potrebbe aumentare l’influenza della Russia sul Paese“.
    Una presa d’atto anche in Commissione, con l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, che punta il dito contro Mosca. In Niger, scrive sul suo blog, “l‘unica interferenza di cui possiamo parlare oggi è quella dei militari che rovesciano un Presidente eletto e quella di una Russia imperialista che vuole usare questi regimi come pedine nella sua partita a scacchi mondiale” in cui l’Europa ha molto da perdere. Attacca frontalmente anche il leader del Cremlino. “Da diversi anni la Russia di Vladimir Putin alimenta questi colpi di stato con la sua falsa propaganda e approfitta dell’instaurazione di questi regimi militari con le sue milizie private”. Accuse e toni che confermano l’importanza della posta in gioco. L’Ue si vede scalzata dall’Africa, e non solo dal Niger e dalle sue forniture di uranio.

    Per la Commissione ciò che serve al nucleare europeo non è a rischio ma in gioco c’è molto di più, con la presenza di Mosca e Pechino tutt’altro che marginale

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    Il vertice dei leader Ue dà il via libera alla nuova strategia dell’Unione sulla Cina: de-risking e relazioni equilibrate

    Bruxelles – In un Consiglio Europeo dominato dalla questione migrazione, il capitolo sulla Cina rimane quasi ai margini, almeno se confrontato con le attese fino a un mese fa. Eppure il contenuto è un orientamento strategico dell’Unione non di poco conto, che costituirà per il prossimo futuro la base di partenza su cui impostare qualsiasi discorso e confronto con Pechino: “Nonostante i diversi sistemi politici ed economici, l’Unione Europea e la Cina hanno un interesse comune a perseguire relazioni costruttive e stabili, ancorate al rispetto dell’ordine internazionale basato sulle regole, all’impegno equilibrato e alla reciprocità”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader Ue.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (29 giugno 2023)
    Come affermato per la prima volta nel discorso programmatico della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina lo scorso 30 marzo, i Ventisette confermano che l’Unione “continuerà a impegnarsi con la Cina per affrontare le sfide globali”, ma soprattutto incoraggia Pechino a “intraprendere azioni più ambiziose in materia di cambiamenti climatici e biodiversità, salute e preparazione alle pandemie, sicurezza alimentare, riduzione delle catastrofi, riduzione del debito e assistenza umanitaria”. La discussione strategica tra i 27 capi di Stato e di governo si è dimostrata un lavoro “rapido” sia nel lavoro per avere “una posizione unica”, ma anche per concordare conclusioni che mettessero in chiaro come Pechino sia “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico” e che gli Stati membri devono tenere un “approccio politico multiforme”.
    Questo discorso riguarda prima di tutto l’aspetto economico e commerciale: “L’Unione Europea cercherà di garantire condizioni di parità, in modo che le relazioni commerciali ed economiche siano equilibrate, reciproche e reciprocamente vantaggiose”. L’obiettivo dichiarato è quello di “ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento”, così come “diversificare dove necessario e appropriato”. La stella polare – discussa anche nel confronto del 6 aprile a Pechino tra la presidente della Commissione Ue von der Leyen, quello francese, Emmanuel Macron, e quello cinese, Xi Jinping – rimane il fatto che “l’Unione Europea non intende disaccoppiarsi o ripiegarsi su se stessa“. O, come ripete la numero uno dell’esecutivo comunitario, “de-risking, non disaccoppiamento”, che significa “ridurre le vulnerabilità dal punto di vista delle nostre relazioni economiche” come sulle materie prime critiche necessarie per la produzione di tecnologia pulita. Un tema su cui “c’è ampio consenso sia tra i governi Ue sia con i nostri partner G7”, ha messo in chiaro von der Leyen.

    Ue e Cina su politica estera e interna (cinese)
    Ma nelle conclusioni del vertice rientrano anche tematiche di natura puramente politica. In primis quella del controverso rapporto tra Pechino e Mosca, che Bruxelles sta cercando di spezzare per assicurarsi un alleato di peso per spingere la Russia a cessare la sua invasione dell’Ucraina: “In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha una responsabilità speciale nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole”, ricordano i leader Ue, facendo riferimento alla “pressione” che Xi Jinping dovrebbe esercitare su Vladimir Putin perché “cessi la sua guerra di aggressione e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina”. Sempre sul piano delle relazioni esterne viene messo nero su bianco il fatto che “i mari della Cina orientale e meridionale sono di importanza strategica per la prosperità e la sicurezza regionale e globale” e che l’Unione “è preoccupata per le crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan“. In questo senso il Consiglio “si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione” e “riconferma la coerente politica di una sola Cina”.
    In ultima istanza non manca il riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, con un riferimento alla ripresa del dialogo sui diritti umani con la Cina. In ogni caso i Ventisette ribadiscono le preoccupazioni per “il lavoro forzato, il trattamento dei difensori dei diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze e la situazione in Tibet e nello Xinjiang“, ma anche il rispetto dei “precedenti impegni della Cina in materia di impegni assunti dalla Cina in relazione a Hong Kong”.

    Nelle conclusioni del Consiglio Europeo trova spazio anche il capitolo sulle relazioni con Pechino, sulla base dei risultati del viaggio Macron-von der Leyen del 6 aprile: “È contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico, serve un approccio politico multiforme”

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    Ue-Cina, i 27 approvano la strategia di Borrell. De-risking economico e sostegno all’Ucraina al centro dei nuovi rapporti

    Bruxelles – Passa la linea dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, sulle relazioni tra l’Unione europea e la Cina. Una linea che si riassume con l’espressione de-risking, vale a dire la necessità di ridurre la dipendenza economica eccessiva dal gigante asiatico, e con il pugno duro sul tema della sicurezza strategica: su Taiwan e soprattutto sulla guerra della Russia in Ucraina, Pechino è chiamata a stare dalla parte giusta della storia.
    Al vertice informale dei ministri degli Esteri dei 27, tenutosi oggi (12 maggio) a Stoccolma, il capo della diplomazia europea ha presentato un documento in cui ha messo nero su bianco i tre punti fondamentali per ricalibrare i rapporti con Pechino: valori, sicurezza economica e sicurezza strategica. “Sono contento di annunciare che ci siamo trovati d’accordo”, ha esordito Borrell in conferenza stampa. Il mantra che rimane sullo sfondo è sempre lo stesso: la Cina è rivale, partner e competitor. Partner, perché con l’Ue scambia con Pechino merci per 2,7 miliardi al giorno. Competitor, perché la crescita economica e la capacità tecnologica cinese hanno sbilanciato le relazioni commerciali con il vecchio continente. Rivale, perché la Cina presenta al mondo un modello di sistema politico differente e valori spesso contrastanti a quelli dell’Unione, ad esempio sul rispetto dei diritti umani.
    Josep Borrell al vertice di Stoccolma
    Ma non c’è alcuno spiraglio, secondo Borrell, per il “decoupling“, lo sganciamento dell’economia europea da quella cinese. Piuttosto l’impegno a “ribilanciare in maniera giusta” le relazioni, ora che la storia recente ha insegnato all’Ue il rischio dell’estrema dipendenza commerciale da un solo Paese. Addirittura, ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue, attualmente “le dipendenze europee dalla Cina sono maggiori di quelle che avevamo dalla Russia sui combustibili fossili“. Centrare con le proprie gambe l’obiettivo della doppia transizione verde e digitale “richiederà la diversificazione delle catene di approvvigionamento dell’Ue, la riconfigurazione delle catene del valore, il controllo degli investimenti in entrata ed eventualmente in uscita e lo sviluppo di uno strumento anti-coercizione”, si legge nel non paper presentato da Borrell.
    Sicurezza strategica: l’Ue chiama la Cina a fermare Putin in Ucraina
    Questa strategia di “coinvolgimento e competizione” con Pechino rischia di crollare in un solo caso, su cui i 27 hanno ribadito totale fermezza: l’eventuale sostegno di Xi Jinping alla guerra di Putin in Ucraina. “Le relazioni con la Cina non si svilupperanno normalmente, se la Cina non spingerà la Russia a ritirarsi“, ha avvertito Borrell. Che ha poi sottolineato l’altra questione geopolitica, quella relativa all’isola di Taiwan: “La nostra posizione rimane la stessa, mantenere lo status quo e promuovere una de-escalation nello stretto di Taiwan”, è l’indicazione che arriva dai ministri degli Esteri Ue.
    Resta da capire cosa significa “le relazioni non si svilupperanno normalmente”, cosa succederebbe cioè nel drammatico scenario di un ulteriore avvicinamento tra Vladimir Putin e Xi Jinping. Perché anche se “è fondamentale che la Cina capisca che la guerra in atto in Ucraina è un rischio esistenziale per l’Ue”, lo stesso Borrell ha ammesso che “è impossibile provare a risolvere le sfide globali più importanti senza un forte impegno con la Cina“. Sicuramente, anche e soprattutto nell’eventualità peggiore, gli Stati europei devono essere uniti e agire secondo una politica comune. In questo oggi Borrell ha ottenuto un successo, in attesa degli sviluppi futuri più immediati: il “perfezionamento del paper” in vista del Consiglio Europeo del 29-39 giugno e “l’approvazione di una proposta congiunta sulla sicurezza economica”. All’orizzonte si profila anche una visita dello stesso Alto rappresentante in terra cinese, già programmata in aprile ma rimandata a causa della positività di Borrell al Covid.

    Al vertice dei Ministri degli Esteri in Svezia, l’Alto rappresentante Ue ha presentato le linee guida per “ricalibrare” i rapporti con Pechino. Valori, sicurezza economica e sicurezza strategica i tre punti principali. Ma “le relazioni non si svilupperanno normalmente” se la Cina appoggerà la Russia

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    A Bruxelles filtra ottimismo per la telefonata tra Xi Jinping e Zelensky dopo il viaggio di von der Leyen e Macron in Cina

    Bruxelles – Con pazienza, dopo qualche settimana dal viaggio dei presidenti della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e della Francia, Emmanuel Macron, l’Unione Europea inizia a cogliere i frutti del proprio impegno diplomatico. Il presidente cinese, Xi Jinping, ha telefonato ieri (26 aprile) al leader ucraino, Volodymyr Zelensky, aprendo ufficialmente i canali di comunicazione tra Pechino e Kiev. Potrebbe sembrare semplicemente un caso, ma i fatti sono fatti: in oltre un anno di guerra russa l’assenza di un contatto diplomatico tra Cina e Ucraina è sempre stata il grande elefante nella stanza, mentre dopo sole tre settimane dalle pressioni Ue a Pechino si è concretizzata la tanto attesa conversazione di alto livello tra i due leader.
    Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente della Cina, Xi Jinping (credits: Afp)
    “È un primo passo importante, atteso da tempo, della Cina nell’esercizio delle sue responsabilità di membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”, è quanto rendono noto i portavoce della Commissione Europea, commentando la notizia della telefonata tra Xi Jinping e Zelensky, in linea con le richieste di von der Leyen e Macron. Questo passo in avanti da parte del presidente cinese viene considerato come un segnale incoraggiante per mettere pressioni sul Cremlino, dopo i timori suscitati dalla visita all’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca il mese scorso: “Deve usare la sua influenza per indurre la Russia a porre fine alla guerra di aggressione, a ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina e a rispettare la sua sovranità, come base per una pace giusta”.
    Funzionari Ue parlano esplicitamente di momento “positivo”, perché ora “i canali di comunicazione sono aperti”. Per Bruxelles il dovere morale di Pechino nel fare pressione su Mosca per mettere fine all’invasione russa deriva sempre dal fatto che la Cina è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e “condivide la responsabilità globale di difendere e sostenere la Carta delle Nazioni Unite e i principi del diritto internazionale”. Ecco perché si guarda con ottimismo all’annuncio di Xi Jinping di voler inviare a Kiev un rappresentante speciale per gli affari eurasiatici, che avrà il compito di analizzare come il testo in 12 punti sui principi politici di Pechino possa convergere con il piano di pace di Zelensky per la pace. A questo proposito le fonti ribadiscono che l’Unione continua a sostenere l’iniziativa del presidente ucraino “per una pace giusta basata sul rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità territoriale” del Paese invaso dal 24 febbraio dello scorso anno: “Spetta all’Ucraina decidere i parametri futuri di ogni potenziale negoziato“.
    C’è poi la questione nucleare, su cui Pechino è particolarmente sensibile: “Non ci sono vincitori in una guerra nucleare“, ha ribadito Xi Jinping nella telefonata di ieri. Un messaggio chiaramente indirizzato a Putin (e all’Occidente), dal momento in cui l’Ucraina non dispone di armamenti di questo tipo dal 1994. Anche nelle istituzioni comunitarie si guarda a questo aspetto della guerra con grande attenzione e le parole del leader cinese non sono passate inosservate: “L’appello ha avuto luogo nel giorno dell’anniversario del disastro di Chernobyl [l’incidente del 26 aprile 1986 alla centrale nucleare ucraina, allora parte dell’Unione Sovietica, ndr], che sottolinea l’importanza della sicurezza nucleare”, fanno notare i funzionari europei. Una questione che è tornata di stretta attualità non solo per le minacce dell’uso dell’arma nucleare da parte di Mosca, ma soprattutto per le continue “attività militari attorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia”.
    Prima e dopo il confronto von der Leyen-Macron-Xi Jinping
    A Bruxelles il dossier Cina è caldissimo, anche ma non solo per la questione della guerra russa in Ucraina. Per le istituzioni comunitarie è diventato cruciale trovare una via per mantenere aperto il dialogo con Pechino, senza però rendersi dipendenti da un partner/competitor con cui esistono evidenti divergenze sul piano del rispetto della democrazia, dei diritti umani e delle relazioni internazionali. Ecco perché lo scorso 30 marzo la presidente della Commissione Ue von der Leyen ha tenuto un discorso programmatico sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina, considerato soprattutto lo squilibrio commerciale. Una strategia che si baserà sul de-risking nelle aree in cui non è possibile trovare un’intesa di cooperazione – ma che in ogni caso non implica uno sganciamento di Bruxelles da Pechino – e che è stata ribadita il 6 aprile a Pechino su diversi temi: relazioni economiche, guerra russa in Ucraina e tensioni sullo Stretto di Taiwan.
    Proprio il rischio di un’escalation della tensione tra Cina e Taiwan – che rischierebbe di diventare un nuovo scenario di guerra globale dopo quello nell’Europa orientale – è diventato centrale nel dibattito interno all’Unione Europea, dopo le parole del presidente francese Macron di ritorno dal viaggio a Pechino. “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina“. Il contesto era quello della necessità di raggiungere una vera autonomia strategica europea (non un’equidistanza tra Washington e Pechino), ma anche nel dibattito al Parlamento Ue della settimana scorsa è emerso più uno scontro tra i gruppi politici sulle parole di Macron che un effettivo ragionamento sulla gestione dei rapporti con la Cina sia sul tema della guerra in Ucraina sia nel caso di uno scivolamento delle tensioni diplomatiche tra Pechino e Taipei verso uno scontro armato.
    A tentare di mettere una pezza sono stati la presidente von der Leyen e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che hanno ribadito la necessità di unità contro la “politica di divisione e conquista” cinese e la “ferma opposizione” a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo nello Stretto di Taiwan, “in particolare attraverso l’uso della forza”. Lo stesso alto rappresentante Ue ha esortato le marine europee a “pattugliare lo Stretto, per dimostrare l’impegno dell’Europa a favore della libertà di navigazione in quest’area assolutamente cruciale per il commercio globale”. Ad agitare nuovamente i rapporti tra Pechino e Bruxelles è stato però l’ambasciatore cinese in Francia, Lu Shaye, che ha messo in discussione la sovranità dei Paesi dell’ex-Unione Sovietica, inclusi quelli oggi parte dell’Ue (Estonia, Lettonia e Lituania). Ecco perché a Bruxelles si stanno iniziando a preparare le discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo al Consiglio di giugno, quando si dovrà “rivalutare e ricalibrare la nostra strategia verso Pechino“, ha anticipato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel.

    Fonti Ue precisano che si tratta di “un primo passo importante, atteso da tempo” e che è stato al centro delle discussioni dei due leader europei con il presidente cinese a Pechino: “Deve usare la sua influenza per indurre la Russia a porre fine alla sua guerra di aggressione in Ucraina”

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    Bufera per le parole dell’ambasciatore cinese in Francia sui Paesi ex-Urss. Relazioni con Pechino al Consiglio Ue di giugno

    Bruxelles – Scoppia la bufera diplomatica nell’Unione Europea sulle parole dell’ambasciatore cinese in Francia, che potrebbe avere ripercussioni pesanti sui rapporti Ue-Cina. “Sono inaccettabili le dichiarazioni” dell’ambasciatore Lu Shaye “che mettono in dubbio la sovranità dei Paesi divenuti indipendenti con la fine dell’Unione Sovietica nel 1991”, ha attaccato l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Ue può solo supporre che queste dichiarazioni non rappresentino la politica ufficiale della Cina”. Facendo ingresso questa mattina (24 aprile) al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, lo stesso Borrell ha spiegato alla stampa che “oggi ne parleremo nel quadro della questione cinese, inizieremo a preparare le discussioni sui rapporti Ue-Cina del Consiglio Europeo di giugno“.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Cina, Xi Jinping
    Le polemiche sono state scatenate da un’intervista del diplomatico cinese al canale francese Lci, che ha messo in questione il fatto che “nel diritto internazionale i Paesi dell’ex-Unione Sovietica non hanno lo status effettivo, perché non esiste un accordo internazionale per materializzare il loro status di Paesi sovrani”. Dai Baltici all’Ucraina, dagli ‘stan’ al Caucaso, per l’ambasciatore Lu sarebbe in questione la sovranità e l’indipendenza di tutti gli Stati che si sono staccati dall’Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta. “La Cina deve rispettare l’Ue e tutti i suoi Stati membri, è cruciale per i nostri buoni rapporti”, è stato il secco commento del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, prima del vertice ministeriale a Lussemburgo: “È un Paese-chiave anche per spingere la Russia a lasciare l’Ucraina, ma sono in totale disaccordo con quanto detto dall’ambasciatore cinese”.
    Durissime le reazioni proprio di quei Paesi che per 50 anni hanno subito il giogo dell’Unione Sovietica e che oggi sono parte dell’Unione Europea (Lituania, Lettonia ed Estonia). “Quanto affermato è completamente inaccettabile, i tre Paesi baltici convocheranno gli ambasciatori cinesi per chiedere spiegazioni se la posizione sull’indipendenza è cambiata e per ricordare loro che eravamo Paesi illegalmente occupati dall’Unione Sovietica”, ha attaccato il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis. Parole simili a quelle dell’omologo estone, Margus Tsahkna, che ha evidenziato come “ci servono spiegazioni sul perché la Cina ha questa posizione sui Paesi baltici, che sono indipendenti, sovrani e membri di Ue e Nato”. Anche Jan Lipavský, ministro degli Esteri della Repubblica Ceca (Paese del Patto di Varsavia fino al 1991) ha denunciato una dichiarazione che “ci sorprende, perché un rappresentante ufficiale dello Stato cinese dovrebbe sapere come si costruiscono le relazioni internazionali”. Fonti Ue fanno notare che non è comune che diplomatici cinesi si discostino dalla politica ufficiale di Pechino e sarà importante osservare “cosa succede all’ambasciatore” (se sarà richiamato o meno).
    L’alto rappresentante Ue Borrell ha promesso una “forte posizione per chiarire qual è la posizione ufficiale del governo cinese sulla sovranità e l’indipendenza di alcuni Stati membri Ue“, aprendo alle discussioni tra i Ventisette in vista del vertice dei leader del 29-30 giugno, in cui i rapporti Ue-Cina “saranno all’ordine del giorno”, ha precisato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Dovrà rivalutare e ricalibrare la nostra strategia verso Pechino, è una delle questioni più importanti”, è l’esortazione di Borrell.

    I rapporti Ue-Cina tra viaggi, polemiche e strategie
    Le discussioni tra i 27 leader Ue si baseranno su quanto accaduto nell’ultimo mese a Bruxelles e Pechino, ma anche in Francia. È dello scorso 30 marzo il discorso della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in cui sono state definite le direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina, considerato lo squilibrio commerciale con il partner/competitor. Una strategia che si baserà sul de-risking nelle aree in cui non è possibile trovare un’intesa di cooperazione, ma che in ogni caso non implica uno sganciamento di Bruxelles da Pechino. A stretto giro la leader dell’esecutivo comunitario e il presidente francese, Emmanuel Macron, si sono recati in visita a Pechino per discutere di persona delle relazioni Ue-Cina con il leader cinese, Xi Jinping: dalle relazioni economiche alla guerra russa in Ucraina, fino alle tensioni sullo Stretto di Taiwan.
    Proprio il tema del rapporto dei Ventisette con Taiwan – nel caso dell’escalation della tensione con Pechino – ha avvelenato il dibattito interno all’Unione sui rapporti Ue-Cina. A scatenare il vespaio sono state le parole del presidente francese Macron di ritorno dal viaggio a Pechino. “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina“, è stato il commento dell’inquilino dell’Eliseo, tratteggiando la necessità di una vera autonomia strategica europea (ma non un’equidistanza tra Washington e Pechino). Dopo la divisione tra le opinioni pubbliche nazionali nei 27 Paesi membri Ue sulle dichiarazioni di Macron e su come si dovrebbe raggiungere la chimera dell’autonomia strategica, le discussioni si sono spostate al Parlamento Europeo la scorsa settimana.
    Nel pieno della bagarre tra i gruppi politici alla sessione plenaria a Strasburgo, la presidente von der Leyen e l’alto rappresentante Borrell hanno messo in chiaro che serve unità contro la “politica di divisione e conquista” cinese e che le istituzioni europee si oppongono “fermamente” a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo, “in particolare attraverso l’uso della forza”. A confermare questa posizione, in un’intervista a Le Journal du Dimanche lo stesso alto rappresentante Ue ha esortato le marine europee a “pattugliare lo Stretto di Taiwan, per dimostrare l’impegno dell’Europa a favore della libertà di navigazione in quest’area assolutamente cruciale” per il commercio globale.

    Il diplomatico ha messo in questione la sovranità di Stati come Baltici e Ucraina secondo il diritto internazionale. “Dichiarazioni inaccettabili, auspichiamo non sia la posizione ufficiale della Cina”, ha attaccato l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, che preparerà le discussioni tra i Ventisette

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    Von der Leyen e Borrell cercano di serrare le fila Ue tra Cina e Taiwan. Ma all’Eurocamera scoppia la polemica su Macron

    Bruxelles – Divide et impera. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono certi che la Cina stia giocando una partita diplomatica sottile, sfruttando le crepe nell’unità degli Stati membri e delle famiglie politiche europee per quanto riguarda i rapporti dell’Unione con Pechino, la posizione su Taiwan e la strategia per arrivare all’ormai inflazionato concetto della ‘autonomia strategica’. Una tattica che si starebbe sviluppando sull’onda lunga delle polemiche scatenate dalle parole del presidente francese, Emmanuel Macron, di ritorno dal viaggio a Pechino proprio con la numero uno della Commissione Ue lo scorso 6 aprile.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (18 aprile 2023)
    “Negli ultimi giorni e settimane abbiamo già visto queste tattiche in azione“, è stato l’avvertimento lasciato tra le righe dalla presidente von der Leyen nel corso del suo intervento di oggi (18 aprile) alla sessione plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo nel dibattito sulla strategia per le relazioni Ue-Cina. Il riferimento è alla necessità di “una forte politica europea sulla Cina, che si basa su un coordinamento tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue” – come affermato nel discorso programmatico del 30 marzo – e alla “volontà di evitare le tattiche di divisione e conquista che sappiamo di dover affrontare“. Divide et impera, appunto. “È ora che anche l’Europa passi all’azione, è il momento di dimostrare la nostra volontà collettiva e mostrare l’unità che ci rende forti”, ha provato a esortare l’emiciclo dell’Eurocamera la leader dell’esecutivo comunitario.
    La posizione di von der Leyen sulle sfide portate dalla Cina è netta, nel tentativo di compattare i gruppi politici e mettersi alla testa di un’Unione che non parli con diverse voci contrastanti. “Il punto di partenza è la necessità di avere un quadro condiviso e chiaro dei rischi e delle opportunità“, ha messo in chiaro agli eurodeputati la presidente della Commissione: “Questo significa riconoscere e dire chiaramente che le azioni del Partito Comunista Cinese sono ormai al passo con l’indurimento della postura strategica complessiva negli ultimi anni”. Non solo le “dimostrazioni di forza militare” nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, o al confine con l’India, ma anche la questione di Taiwan. “La politica dell’Ue di ‘una sola Cina’ [il principio secondo cui esiste un solo Stato-nazione nel mondo sotto il nome di Cina, ndr] è di lunga data”, ha ricordato von der Leyen, ma questo non cambia il fatto che “abbiamo sempre chiesto pace e stabilità nello Stretto di Taiwan e ci opponiamo fermamente a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo, in particolare attraverso l’uso della forza“.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (18 aprile 2023)
    Sulla stessa linea d’onda l’alto rappresentante Borrell, riferendosi proprio alla questione delle tensioni tra Cina e Taiwan. “Stiamo parlando dello Stretto più strategico al mondo, dobbiamo essere presenti per difendere la libertà di commercio”, ha sottolineato con forza intervenendo di fronte agli eurodeputati. Non si tratta solo di “una questione morale nell’essere contrari all’uso della forza”, ma anche di una fredda valutazione sul fronte economico: “Sarebbe gravissimo per la produzione dei semiconduttori a Taiwan“. E poi c’è il tema del ruolo dell’Unione Europea come “potenza geopolitica”, che per Borrell implica il fatto di “essere presenti in tutte le regioni del mondo, per difendere i nostri interessi”. Ecco perché è necessario fare un “appello alla calma” tra Pechino e Taipei, ha concluso Borrell: “Bisogna tornare a uno status quo nel perimetro strategico dell’Ue e non gettare benzina sul fuoco, sono sicuro che tutti i Paesi Ue saranno d’accordo“.
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    La bagarre al Parlamento Ue sulle parole di Macron su Cina e Taiwan
    Ma quel senso di unità auspicato da von der Leyen e Borrell non si è manifestato nemmeno a pochi minuti dalla fine dei due interventi, quando i presidenti dei gruppi politici al Parlamento Ue si sono succeduti di fronte all’emiciclo per esprimere il proprio punto di vista sulle relazioni tra Bruxelles e Pechino. A scatenare le polemiche tra gli eurodeputati sono state le accuse contro Macron da parte del presidente del Partito Popolare Europeo (Ppe), Manfred Weber (dopo aver tentato invano di far passare un titolo per la discussione sulle relazioni Ue-Cina incentrato proprio sui “danni” provocati dal presidente francese). “È ingenuo dire che Taiwan non è una nostra questione“, è stato l’attacco di Weber, facendo esplicito riferimento alle affermazioni “sciocche” dell’inquilino dell’Eliseo a proposito della possibilità per l’Ue di non essere coinvolta in un conflitto tra Pechino e Taipei. “Per l’economia europea Taiwan è essenziale, e chi la attacca vuole distruggere l’essenza democratica” su cui si basa l’Unione: “Chi non è chiaro da questo punto di vista tradisce gli interessi e i valori europei” e Macron “ha intaccato l’unità dell’Ue”.
    Durissima la risposta del presidente del gruppo di Renew Europe, Stephan Séjourné: “Weber non si è accorto che il titolo della discussione è diverso, ma in ogni caso non ricorda che con i governi di partiti affiliati al Ppe sono aumentate le dipendenze strategiche dalla Cina“. Anche la leader del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Iratxe García Pérez, si è scagliata contro il collega popolare: “In questo nuovo ruolo di leader dell’opposizione, per Weber è indifferente criticare tutti i leader europei, da Macron a Scholz, ma mai quelli dell’estrema destra, attenzione che magari un giorno criticherà anche von der Leyen”. Il presidente del gruppo dei Verdi/Ale, Philippe Lamberts, ha invece preso di mira “l’ingenuità mercantilistica che abbia avuto nei confronti della Cina, come se un commercio senza limiti avrebbe potuto portare la democrazia a Pechino”, mentre l’omologo del gruppo di Identità e Democrazia (ID), Marco Zanni, ha definito Macron “il più grande sovranista e nazionalista d’Europa, che è andato in Cina e ha portato a casa ricchi contratti e accordi per le aziende francesi”.
    A tentare di smorzare le polemiche su Macron e riprendere le fila di un’unità difficile sulla questione cinese è stato l’alto rappresentante Borrell, in chiusura del dibattito durato tre ore. “Ho letto con molta attenzione il discorso dove ha sviluppato il concetto di autonomia strategica, ci ho trovato molte idee europeiste che condivido“, ha puntualizzato di fronte agli eurodeputati, esortandoli a “evitare ulteriori cacofonie” e “lavorare insieme sulla politica di sicurezza, perché il Parlamento Europeo svolge un ruolo importante”. La strategia dell’Unione “non si contraddice con la Nato e non cerca alternative agli Stati Uniti”, ha ribadito con forza Borrell: “Si tratta di rendere la comunità transatlantica più forte, se lo saremo anche noi, perché Stati Uniti e Nato non possono risolvere tutte le nostre crisi“.

    Nei rispettivi interventi alla plenaria del Parlamento Ue è stata ribadita la necessità di unità tra i Ventisette nell’affrontare la tattica di Pechino di “divisione e conquista”. Le accuse del presidente del Ppe, Manfred Weber, al leader francese riaccendono però la bagarre tra eurodeputati