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    Strategie di neutralità climatica, riuso di detriti degli edifici e circolarità. L’Ue sostiene la ricostruzione verde dell’Ucraina

    Bruxelles – Quattro giorni di confronto per mettere a terra politiche e azioni per la futura ricostruzione verde dell’Ucraina. Si è aperta oggi (28 novembre) a Vilnius, in Lituania, la conferenza di alto livello che mira ad allineare Kiev e tutta l’Unione Europea sulle linee operative del Green Deal in vista del futuro a medio e lungo termine del Paese invaso dall’esercito russo da un anno e nove mesi, “un futuro che ora sembra molto lontano, ma che posso assicurarvi non sarà un sogno ad occhi aperti”, ha assicurato il commissario per l’Ambiente, Virginijus Sinkevičius.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (8 maggio 2023)Sindaci e ministri ucraini, agenzie Ue e organizzazioni della società civile hanno iniziato a Vilnius il confronto sui “passi concreti” che permettano alle città dell’Ucraina di “riprendersi più forti di prima dagli attacchi russi, discuteremo di un futuro di prosperità, autonomia e alta qualità della vita“, ha assicurato il responsabile per l’Ambiente del gabinetto von der Leyen, aprendo i lavori della conferenza di alto livello: “La cosa più importante è che il futuro sarà condiviso tra Ucraina e Unione Europea, dobbiamo guardare oltre e questo è ciò che stiamo già facendo”.La necessità di discussioni serrate sull’allineamento degli “obiettivi strategici” – risorse necessarie e azioni sul campo – parte non solo dal fatto che l’Ucraina è considerata in prospettiva un futuro membro dell’Unione, ma anche da alcuni desolanti dati sul presente della guerra. Secondo i dati forniti la stessa Commissione Europea, i danni della guerra russa sull’ambiente e sulle infrastrutture ambientali finora ammontano complessivamente a “oltre 52 miliardi di euro”. Si contano “497 strutture di gestione dell’acqua danneggiate o distrutte, oltre 1,4 miliardi di euro di danni nel settore forestale e il 20 per cento delle aree protette minacciato”. Oggi l’Ucraina “è il Paese più minato al mondo”, senza dimenticare che la devastazione ambientale causata dalla distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovka “è il peggior disastro causato dall’uomo dai tempi dell’incidente di Chernobyl”.Il sostegno Ue per un’Ucraina più verdeIl Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea a Bruxelles, illuminato con la bandiera dell’UcrainaÈ per queste regioni che l’Ue guarda agli strumenti che ha già iniziato a mettere in campo per sostenere la ripresa verde dell’Ucraina, con l’obiettivo di spingere ancora di più il suo supporto a Kiev. “L’iniziativa Phoenix è una combinazione su misura tra i programmi della Commissione Europea che abbiamo lanciato quest’anno e riguarda decisori politici e società civile dell’Ucraina per facilitare la ricostruzione verde”, ha ricordato il commissario Sinkevičius. Si tratta di un’iniziativa pensata per la prima volta a inizio febbraio, quando 15 commissari europei (guidati dalla presidente Ursula von der Leyen) si erano recati in visita a Kiev per una serie di incontri con le controparti del governo ucraino. Phoenix si articola in due direttrici: un bando da 5 milioni di euro nel contesto del Nuovo Bauhaus Europeo e 7 milioni di euro in finanziamenti dai programmi Horizon Europe e Life, tutti con il focus della gestione dei rifiuti, del riutilizzo dei detriti nel settore dell’edilizia e delle costruzioni e della conservazione della natura.Come precisato dal commissario Sinkevičius, il Nuovo Bauhaus Europeo punta a “combinare le migliori idee del Green Deal e la realtà degli spazi abitativi, per l’Ucraina permetterà una ricostruzione sostenibile, accessibile e costruita sui bisogni delle persone“. Il network del Bauhaus “sta aiutando le città su questioni specifiche, come i materiali riciclabili da edifici demoliti e l’uso di metodi di costruzione circolare”, grazie a una “stretta cooperazione con i sindaci ucraini, che presenteranno le loro esperienze di collaborazione con l’Ue”. Per quanto riguarda il secondo elemento dell’iniziativa, i due bandi di gara “dedicati appositamente all’Ucraina” sotto il programma Life e sotto Horizon Europe per le città climaticamente neutre e intelligenti sono pensati per “incoraggiare gli standard di sostenibilità negli sforzi di ricostruzione, con un lavoro congiunto insieme ai partner europei e con progetti scelti che coinvolgeranno città ucraine ed europee”. Anche grazie all’intensificazione dei rapporti tra Bruxelles e Kiev con la cruciale conferenza di Vilnius, l’Unione Europea si pone così in prima linea non solo nel sostegno immediato alle capacità dell’Ucraina di affrontare la guerra russa, ma anche per lo sviluppo della pianificazione urbana e la ricostruzione circolare e sostenibile in vista del futuro comune.
    Aperta a Vilnius (Lituania) la conferenza di alto livello per la definizione delle linee strategiche per allineare politiche e azioni sul campo tra Kiev e Bruxelles attraverso diversi canali di sviluppo dei progetti congiunti: Nuovo Bauhaus Europeo, fondi Horizon e Life e iniziativa Phoenix

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    Charles Michel è in Ucraina per i 10 anni da Euromaidan. In 3 settimane la decisione sui negoziati di adesione Ue

    Bruxelles – Sono passati 10 anni da quella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, da quella che è passata alla storia come Euromaidan, la prima vera scelta di campo del popolo ucraino ed espressione delle ambizioni europee del Paese ex-sovietico. Ma non si tratta solo di un anniversario. Perché oggi, 10 anni più tardi, le aspirazioni di Euromaidan si stanno concretizzando nel processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, con una tappa decisiva attesa fra poco più di tre settimane. È per questo che il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha deciso oggi (21 novembre) di recarsi nuovamente in visita a Kiev per ribadire il supporto di Bruxelles al cammino del Paese verso l’integrazione nell’Unione.A destra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Kiev (21 novembre 2023)“È bello essere di nuovo a Kiev, tra amici”, ha reso noto così il suo arrivo nella capitale ucraina. Parlando con la stampa al seguito, Michel ha messo in chiaro che lo scopo del suo viaggio è quello di riaffermare il “grande sostegno” dell’Ue all’Ucraina “in un giorno importante, 10 anni fa gli ucraini hanno scelto l’Europa e alcuni sono morti“. L’argomento centrale dei confronto a Kiev con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è proprio quello del percorso di avvicinamento all’Unione: “Incontrarsi di persona è molto importante per capire cosa è realistico e per far capire qual è la situazione da parte dell’Ue”. In altre parole, sostegno sì, ma bisogna anche gestire le aspettative sul Consiglio Europeo del 14-15 dicembre, quando i 27 capi di Stato e di governo dovranno decidere se seguire la raccomandazione della Commissione Ue di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina. “Il prossimo Consiglio Europeo sarà difficile, il rapporto della Commissione sull’allargamento non è bianco o nero, ha delle sfumature, e io stesso sono rimasto sorpreso per il rapporto ulteriore di marzo”, ha confessato Michel, parlando del seguito che l’esecutivo Ue ha promesso di fornire fra quattro mesi: “Lavoro per un Consiglio di successo, ma a volte il fallimento è parte del processo dell’Ue, non è un mistero che alcuni Paesi sono cauti sull’allargamento”La verità è che, dopo i relativamente pochi successi della controffensiva ucraina dall’inizio di quest’anno, la guerra ha raggiunto una situazione di stallo e i partner europei e statunitensi di Kiev sono preoccupati che l’esercito non sia in grado di portare a termine la riconquista di porzioni significative di territorio a sud e sud-est. Nel frattempo si è innestata anche la questione della guerra tra Israele e Hamas, che rischia di far deviare l’attenzione occidentale dall’invasione russa dell’Ucraina. “Sono molto attivo nel mantenere i rapporti con il Sud globale e questo è un lavoro molto utile anche per l’Ucraina”, ha assicurato Michel l’impegno di Bruxelles per non disperdere le forze con tutti i partner internazionali: “Dobbiamo confrontarci sulle sfide e le difficoltà del momento, per essere in sintonia“. Ecco perché nelle discussioni di oggi con Zelensky rientrano anche i temi “delle sanzioni, della situazione militare sul campo, del sostegno allo sforzo bellico e del possibile uso degli asset russi per la ricostruzione dell’Ucraina”, ha precisato il numero uno del Consiglio Ue.Dieci anni da EuromaidanLe proteste in piazza Maidan nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2023, Kiev (credits: Genya Savilov / Afp)Prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra Mosca e Kiev dieci anni fa è stata proprio la prospettiva europea dell’Ucraina. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 si verificarono nella capitale ucraina una serie di dure proteste a causa della decisione del governo di sospendere il processo di ratifica dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea. Quelle proteste – conosciute appunto come Euromaidan – portarono alla sollevazione popolare della stessa piazza l’anno seguente, con la messa in stato di accusa e la destituzione dell’allora presidente, Viktor Janukovyč (finito nell’agosto dello scorso anno nella lista Ue dei sanzionati per aver sostenuto i separatisti filo-russi nel minare la sovranità del Paese). A seguito di quegli eventi scoppiò la crisi in Crimea, con il primo intervento armato di Mosca su territorio ucraino a sostegno dei separatisti filo-russi. Era il febbraio 2014 e di lì a pochi mesi sarebbe scoppiata anche la guerra civile in Donbass che continua interrotta da allora. Ora è tutta l’Ucraina sotto l’attacco della potenza vicina, mentre la strada dell’adesione all’Ue sta continuando senza sosta.“Dieci anni di dignità, di orgoglio, di lotta per la libertà”, ricorda su X la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Le fredde notti invernali di Euromaidan hanno cambiato l’Europa per sempre” e oggi è “più chiaro che mai” che “il futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea, il futuro per cui Maidan ha lottato è finalmente iniziato“. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, assicura che “la rivoluzione di Maidan ha cambiato per sempre il futuro dell’Ucraina”. Dieci anni più tardi “in questo giorno di dignità e libertà, siamo orgogliosamente al fianco dell’Ucraina prossima ai negoziati di adesione all’Ue” e “per ogni missile lanciato dalla Russia, il nostro sostegno si rafforza”.Lo stravolgimento nel percorso dell’Ucraina verso l’Ue – pur sempre in salita – è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Nel pieno della guerra, il 28 febbraio 2022 il presidente Zelensky ha firmato la richiesta di adesione “immediata” all’Unione. Il 7 marzo gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere sulla domanda di adesione, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la numero uno della Commissione ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde alla concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, prima della decisione ufficiale arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione.Un anno e mezzo più tardi, secondo quanto emerge dal report specifico sull’Ucraina all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023, Kiev merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano fonti Ue). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report. Ora tutto dipende dall’esito delle discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo Ue, con la decisione ufficiale che arriverà fra poco più di tre settimane.
    Il ritorno del presidente del Consiglio Ue a Kiev coincide con l’anniversario della scelta di campo del popolo ucraino nel 2013. Che al prossimo vertice dei Ventisette di dicembre potrebbe arrivare a compimento con l’avvio delle discussioni formali per diventare Paese membro dell’Unione

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    Ucraina, migrazione e Niger. Perché il buco di Chigi sullo ‘scherzo telefonico’ russo a Meloni riguarda anche l’Ue

    Bruxelles – Il caso dello ‘scherzo telefonico’ alla premier italiana, Giorgia Meloni, da parte di due comici russi – che ha più i contorni di un attacco ibrido rispetto a un’innocente candid camera – arriva anche a Bruxelles, suscitando non poche perplessità per la gestione della sicurezza delle comunicazioni di Palazzo Chigi, oltre che sui contenuti della finta telefonata con il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani. Non si sbottona la Commissione Ue, ma sono aspre le critiche degli eurodeputati dei partiti di opposizione al governo italiano in carica per un episodio negativo che è stato ripreso dai giornali di tutto il mondo.“Meloni ridicolizza l’Italia agli occhi del mondo, è impressionante la leggerezza che lo scherzo ha messo in luce“, è l’attacco del capo-delegazione del Partito Democratico al Parlamento Ue, Brando Benifei: “Gravissima la mancanza di filtri, da chi è circondata la presidente del Consiglio di un Paese del G7?” Su una linea simile l’eurodeputato di Italia Viva e vicepresidente del gruppo Renew Europe, Nicola Danti: “L’inganno telefonico consumato ai danni di Meloni ha dell’incredibile, aver trasformato la presidente del Consiglio di un Paese del G7 in una ‘macchietta’ non può essere tollerato”. Per questo motivo la richiesta è quella che “i responsabili dell’accaduto si dimettano“. Durissimo il commento della vicepresidente del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici (S&D) all’Eurocamera, Elisabetta Gualmini: “Siamo in mano a dei dilettanti per l’ennesima volta”, come dimostrerebbe il fatto che “due comici sono entrati in contatto privato con la premier facendole esprimere pensieri e opinioni gravi sia sulla guerra in Ucraina che sulle strategie future internazionali del Paese”. Anche l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle ed ex-vicepresidente del Parlamento Ue, Fabio Massimo Castaldo, parla di “una gravità senza precedenti“, sia per il fatto che “Palazzo Chigi non sia in grado di approntare misure di sicurezza e protocolli di verifica minimi” sia per le “dichiarazioni così pesanti” su Ucraina e migrazione.I contenuti della telefonata di MeloniLa prima ministra italiana, Giorgia MeloniOltre alla questione di come sia stato possibile che il corpo di consiglieri diplomatici di Meloni non abbia intercettato la minaccia, c’è anche da considerare il contenuto di quanto affermato dalla prima ministra italiana nel corso della finta telefonata con il presidente dell’Unione Africana. In primis sulla questione più calda, ovvero l’Ucraina. “Vedo che c’è molta stanchezza, devo dire la verità, da tutti i lati“, è il passaggio più criticato. Si tratta di un tipo di affermazione che certo non stupisce, ma che allo stesso tempo cozza con la narrativa del ‘staremo al fianco di Kiev per tutto il tempo che sarà necessario’ sempre pubblicamente rivendicato anche dalla premier Meloni. A questo si aggiunge il fatto che la telefonata è datata 18 settembre (ma è stata resa pubblica il primo novembre): quel giorno iniziava l’Assemblea Generale dell’Onu, in cui i leader occidentali cercavano di convincere il resto del mondo della necessità di non perdere la spinta a difesa del rispetto del diritto internazionale. Se “la controffensiva dell’Ucraina forse non sta funzionando come ci aspettavamo” è di per sé un dato di fatto, è un altro passaggio a gettare alcune ombre sull’impegno europeo: “Siamo vicini al momento in cui tutti capiranno che abbiamo bisogno di una via d’uscita“. Meloni ha parlato di “problema” a trovarne una “che possa essere accettabile per Kiev e Mosca senza distruggere il diritto internazionale” o “aprire altri conflitti”. A questo proposito la premier dice di avere alcune idee, ma di voler aspettare “il momento giusto per metterle sul tavolo”.Da sinistra: il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Tunisia, Kaïs Saïed, e la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, alla firma del Memorandum d’Intesa Ue-Tunisia (17 luglio 2023)C’è poi la questione migrazione, su cui Meloni non ha risparmiato bordate alla Commissione Ue e a Ursula von der Leyen. “La Commissione Europea dice di capirlo [le necessità italiane, ndr], il problema è di quanto tempo ha bisogno per darci risposte concrete”, ha confessato la premier, facendo esplicito riferimento alla numero uno dell’esecutivo Ue: “Nelle parole capisce assolutamente, ma quando chiedi di prendere i soldi e di investire per aiutarci, per discutere con questi Paesi, lì diventa più difficile, devo dire la verità”. Questo riguarda anche la Tunisia, su cui Meloni si è presa i meriti di aver organizzato a luglio il memorandum tra l’Ue e il presidente tunisino, Kaïs Saïed. “Ma lui non ha visto ancora un euro”, ha attaccato la premier, dimenticando però che è stato proprio Saïed ad aver rifiutato la prima tranche da 60 milioni di euro. Ma l’attacco è molto più ampio e coinvolge anche i leader dei Paesi membri Ue: “Il problema è che agli altri non interessa, non hanno risposto al telefono quando li ho chiamati e sono tutti d’accordo sul fatto che l’Italia deve risolvere da sola questo problema“.In particolare si avverte una certa nota di fastidio nel passaggio in cui si parla del presidente francese, Emmanuel Macron, e della situazione in Niger dopo il colpo di Stato di quest’estate. “Vedo che la Francia sta spingendo per una sorta di intervento, ma io sto cercando di capire come possiamo sostenere uno sforzo diplomatico, dobbiamo stare attenti”, è l’avvertimento di Meloni, che ha accusato Parigi di avere “altre priorità, che non sono l’immigrazione in nazioni come il Niger”. Priorità “nazionali”, contro cui la premier italiana starebbe premendo per “non fare cose che ci creano più problemi di quanti già ne abbiamo” e a cui contrappone invece “un piano di investimento per l’energia in Africa”. Il Piano Mattei – che sarebbe dovuto arrivare in una conferenza a Roma a inizio novembre – con l’orizzonte del prossimo anno: “Mi piacerebbe concentrare la nostra presidenza del G7 soprattutto sul tema dell’Africa, andiamo verso un’epoca in cui è già troppo tardi, dobbiamo muoverci”, ha assicurato Meloni. Ignara che dall’altra parte della cornetta non c’era il presidente dell’Unione Africana, ma due comici russi.
    Critiche dagli eurodeputati a Bruxelles per l’attacco ibrido di Mosca concretizzatosi con una chiamata alla premier italiana da due comici, che hanno finto di essere il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani: “Di una gravità senza precedenti, i responsabili si dimettano”

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    Tsikhanouskaya chiede a Strasburgo la prospettiva europea per la Bielorussia. “L’Ue da Lisbona a Minsk, l’incubo di Putin”

    Bruxelles – Un lungo e appassionato discorso per chiedere qualcosa che sembra quasi impossibile per tutti, tranne che per lei, la presidente legittima della Bielorussia riconosciuta dall’Ue. “Sono venuta al Parlamento Europeo per chiedervi di sostenere la prospettiva europea della Bielorussia, vogliamo sentire che l’Ue ci attende, che il nostro Paese non sarà un premio di consolazione per Putin”, è quanto affermato senza margini di esitazione da Sviatlana Tsikhanouskaya, la leader delle forze di opposizione all’autocrate Alexander Lukashenko. Il suo terzo intervento alla sessione plenaria dell’Eurocamera – nel giorno del discorso sullo Stato dell’Unione della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – è il momento in cui l’asticella viene posta più in alto che mai: “Senza Ucraina e Bielorussia il progetto europeo non sarà completo“.
    Da sinistra: l’autocrate bielorusso, Alexander Lukashenko, e quello russo, Vladimir Putin
    La Bielorussia di Lukashenko, autoproclamato presidente bielorusso dopo le elezioni-farsa dell’agosto 2020, è il partner più stretto della Russia di Vladimir Putin, e tutto ci si aspetta fuorché possa essere aperto un discorso sull’adesione di Minsk all’Ue. Ma questo perché non si considera il giusto interlocutore. “Un mese fa le forze democratiche hanno redatto una dichiarazione congiunta per gli obiettivi strategici, che non sono altro che l’adesione all’Unione Europea“, ha messo in chiaro Tsikhanouskaya nel suo intervento di oggi (13 settembre) all’emiciclo di Strasburgo, spiegando senza troppi giri di parole perché questo dovrebbe essere uno scenario auspicato a Bruxelles: “L’Ue da Lisbona a Minsk è un incubo per Putin, ma per noi è la realtà in cui vogliamo vivere, perché porterà al crollo dell’impero del male una volta per tutte”. L’impero del male è quello del Cremlino e del suo alleato Lukashenko, di cui la leader bielorussa aveva già tratteggiato i contorni agli eurodeputati: “Quando sono stata qui due anni fa ho parlato della tirannia come un virus, che non può essere limitato dalle frontiere” e dal novembre 2021 a oggi “abbiamo visto che il virus della tirannia può mutare e diventare un vero e proprio tumore, quello della guerra“.
    Se la guerra in Ucraina è fatta di armi e bombe, quella in Bielorussia invece è “una guerra silenziosa“, ma l’obiettivo è lo stesso: “Il Cremlino vuole annientare un Paese sovrano per farne un satellite russo”. Un progetto portato avanti con la complicità del dittatore bielorusso, “che sta vendendo la nostra indipendenza e il nostro Paese pezzo dopo pezzo”, con l’obiettivo di recidere “tutti i legami con la nostra storia, la nostra cultura e ciò che ci allinea all’Europa”. In altre parole, “evitare che la Bielorussia diventi una nazione democratica europea, in modo che neanche l’Europa possa essere in pace e completa”. Ecco perché la richiesta è di continuare a tenere alta la pressione su Putin con le sanzioni, ma senza dimenticare Lukashenko, che “tortura i manifestanti pacifici, collabora con la Russia contro l’Ucraina e non merita nulla all’interno del forum della comunità internazionale, se non un biglietto di sola andata verso l’Aia”, è il duro attacco di Tsikhanouskaya.
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (13 settembre 2023)
    Dal 2020 c’è un nuovo spirito in Bielorussia, nonostante la repressione, nonostante la collaborazione tra Putin e Lukashenko, nonostante la guerra e nonostante l’isolamento internazionale del Paese. “Nessuna tirannia, Wagner o Kgb può annientare il germe della libertà in Bielorussia, i bielorussi sono eroi e resilienti, sono eroi silenziosi”, ha rivendicato la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue, spiegando che nel suo Paese “anche parlare bielorusso oggi è un atto di eroismo”. E la direzione del popolo e delle forze democratiche è chiara: “I tiranni voglio che l’Ue sia un castello di carte pronto a crollare, ma noi bielorussi – proprio come gli ucraini e i moldavi – vogliamo far parte di questa famiglia, vogliamo tornare a casa”. L’Europa “è nel nostro Dna, l’abbiamo scelta secoli fa e l’abbiamo ribadito nel 2020”, è la conferma calorosa di Tsikhanouskaya, che riconosce il fatto che “ci vorrà tempo, non sarà facile, ma non c’è possibilità di tornare indietro, l’Ue è la nostra destinazione finale, punto e basta“.
    La speranza ha dei contorni precisi nelle sue parole: la bandiera bielorussa che sventola con le altre 27, i rappresentanti bielorussi “eletti democraticamente in quest’Aula”, la lingua bielorussa “che ha sofferto tanto la dominazione russa” una tra quelle ufficiali dell’Ue. Ringraziando la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, “per averci sempre sostenuti e per essere un esempio per tutti”, Tsikhanouskaya ha anche fornito un’altra indicazione sulla collaborazione sempre più stretta che dovrà iniziare a impostarsi da subito tra le forze democratiche bielorusse e i Ventisette. “La situazione per noi diventerà ancora peggiore, perché la settimana scorsa Lukashenko ha firmato una legge per sottrarci i passaporti all’estero, ci serve una soluzione e stiamo lavorando per rilasciare passaporti nazionali bielorussi“, grazie alla consulenza dei governi nazionali e dell’esecutivo comunitario. “Questi documenti confermano la cittadinanza bielorussa e permetteranno di viaggiare ai cittadini in esilio”, come fatto dai Baltici durante l’occupazione sovietica: “Presto chiederemo ai vostri Paesi di riconoscere i nuovi passaporti“, ha annunciato la leader bielorussa.
    La risoluzione del Parlamento Ue sulla Bielorussia
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (13 settembre 2023)
    La risposta del Parlamento Europeo alla richiesta di “istituzionalizzare le relazioni tra Parlamento Europeo e Bielorussia democratica prima delle prossime elezioni europee” non si è fatta attendere ed è stata quasi un plebiscito: 514 voti a favore, 21 contrari e 40 astenuti per la risoluzione firmata dal lituano Petras Auštrevičius. La richiesta è in linea con l’intervento della leader bielorussa, a partire dal presupposto che il ritiro unilaterale del regime di Lukashenko dalla politica del partenariato orientale dal 28 gennaio 2021 “non ha alcuna legittimità in quanto non riflette la vera volontà del popolo bielorusso e le relative aspirazioni a uno Stato libero e democratico”. Di qui l’esortazione alle altre istituzioni Ue e ai Ventisette di “valutare la possibilità di consentire ai rappresentanti della società civile e delle forze democratiche di occupare le cariche vacanti, a titolo bilaterale e multilaterale“, al Consiglio Affari Esteri di rivolgere “un invito permanente” a Tsikhanouskaya a qualsiasi riunione riguardi i rapporti con Minsk, e alla Comunità Politica Europea di “includere le forze democratiche bielorusse conferendo loro lo status di osservatore”.
    Il tutto si basa sulla solidità delle forze guidate da Tsikhanouskaya: “Hanno una struttura ben consolidata che gode di sempre maggiore riconoscimento internazionale”, compresa una Missione a Bruxelles aperta lo scorso primo marzo. Ma più di tutto sono inequivocabili le “aspirazioni europee dei bielorussi”, che ribadiscono i “legami storici della Bielorussia con il resto d’Europa”, condividendone il patrimonio culturale e identitario. Ecco perché Minsk – non l’attuale regime Lukashenko – “dovrebbe rimanere parte dello spazio politico, culturale ed economico europeo” e la conferma dovrebbe arrivare da una “strategia più ambiziosa e globale, unita a un ampio piano economico” per sostenere le forze anti-regime. Da parte sua il Parlamento Ue sostiene la volontà di “sottoscrivere un accordo per formalizzare e sistematizzare la cooperazione con le forze democratiche e la società civile”, mentre Consiglio e Commissione dovrebbero preparasi a “diversi scenari, come la sostituzione (forzata) di Lukashenko oppure l’annessione de facto o l’occupazione” del Paese da parte dell’esercito del Cremlino.
    Gli eurodeputati continuano a chiedere alla Commissione che “le sanzioni applicate nei confronti della Russia siano applicate anche nei confronti della Bielorussia“, ma rimane centrale la salvaguardia dei più fragili, ovvero coloro che fuggono o si trovano già in esilio: “Esortiamo gli Stati membri a semplificare ulteriormente le procedure per ottenere i visti e il permesso di soggiorno” per i perseguitati politici o per chi deve ricorrere a trattamenti medici all’estero per le violenze. Parallelamente l’invito sia alla Commissione e sia ai Ventisette è di “elaborare norme e procedure per trattare i casi in cui siano privati della loro cittadinanza”, ma anche di “fornire sostegno ai bielorussi residenti nell’Ue i cui documenti di identità stanno per scadere e che non dispongono di mezzi per rinnovarli, dal momento che non possono tornare in Bielorussia”, specifica la risoluzione dell’Eurocamera.

    Alla sessione plenaria dell’Eurocamera la presidente legittima riconosciuta dall’Ue ha esortato a dialogare “sull’obiettivo strategico” con l’opposizione a Lukashenko: “Senza Ucraina e Bielorussia il progetto europeo non sarà completo”. Appoggio degli eurodeputati a larga maggioranza

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    L’Ue condanna le elezioni amministrative “illegali” dopo i referendum farsa del 2022 nelle regioni occupate in Ucraina

    Bruxelles – Era solo una questione di tempo, dopo i referendum farsa e l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina occupate dalla Russia dopo l’inizio dell’invasione del 24 febbraio 2022. Tra l’8 e il 10 settembre anche a Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – così come in Crimea e nella città di Sebastopoli – sono andate in scena le elezioni amministrative, in corrispondenza di quelle locali e regionali sul territorio russo. Elezioni che sono state immediatamente definite “illegali” dalla comunità internazionale e dall’Unione Europea, tanto quanto lo erano stati i plebisciti di un anno fa che avrebbero sancito la presunta volontà popolare di farsi inglobare da Mosca.
    Operazioni di voto nell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, 10 settembre 2023 (credits: Afp)
    “L’Unione Europea condanna fermamente lo svolgimento di queste cosiddette ‘elezioni’ illegittime nei territori dell’Ucraina temporaneamente occupati dalla Russia”, è la condanna dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che – nel respingere “con forza” l’appuntamento elettorale – lo ha definito piuttosto un “ulteriore futile tentativo” da parte del Cremlino di “legittimare o normalizzare il suo controllo militare illegale e il tentativo di annessione di parti dei territori ucraini”. L’ennesima “palese” violazione del diritto internazionale non è tollerata da Bruxelles, che “non riconosce e non riconoscerà né lo svolgimento di queste cosiddette ‘elezioni’ né i loro risultati“. Al contrario “la leadership politica russa e coloro che sono coinvolti nell’organizzazione delle elezioni dovranno affrontare le conseguenze di queste azioni illegali”, è la minaccia di Borrell.
    Sembra scontato ricordarlo, ma è già solo il contesto (oltre all’invasione armata) a dimostrare come queste elezioni non possano essere considerate un appuntamento elettorale democratico o spontaneo: dalla concessione forzata di passaporti russi – “anche ai bambini” – ai trasferimenti e le deportazioni forzate, dalle violazioni e gli abusi “diffusi e sistematici” dei diritti umani, fino all’intimidazione e la crescente repressione dei cittadini ucraini da parte delle autorità d’occupazione. L’alto rappresentante Ue ha voluto rivolgere un incoraggiamento ai residenti ucraini “che si sono opposti al voto fittizio e continuano a resistere all’occupazione russa”, ribandendo che Mosca “deve ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue truppe e i suoi equipaggiamenti militari all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. Fuori anche dalla penisola di Crimea, dove dal 2014 è stata istituita (sempre in modo illegale secondo il diritto internazionale) una Repubblica autonoma che è di fatto parte della Russia.
    Operazioni di voto a Mosca, 10 settembre 2023 (credits: Natalia Kolesnikova / Afp)
    A questo si aggiunge quanto accaduto nel corso del fine settimana nella stessa Russia, dove ormai nessuno considera più gli appuntamenti alle urne delle vere elezioni (ben prima di quelle del 2021). “Si sono svolte in un contesto estremamente ristretto, alimentato dall’aggressione all’Ucraina“, ha attaccato Borrell, ricordando che “le autorità hanno amplificato la repressione interna introducendo la censura di guerra e reprimendo ulteriormente” i politici dell’opposizione, le organizzazioni della società civile, i media indipendenti e altre voci critiche “con l’uso di leggi repressive e sentenze politicamente motivate“. Tutto questo ha inevitabilmente comportato restrizioni dei diritti civili e politici, “precludendo a molti candidati la possibilità di candidarsi e limitando la scelta degli elettori russi e l’accesso a informazioni accurate”.
    I referendum farsa del 2022 nelle regioni occupate in Ucraina
    È passato quasi un anno esatto da quel 27 settembre 2022, quando nelle quattro regioni dell’Ucraina occupata era andato in scena uno spettacolo a dir poco desolante. Il 99 per cento dei votanti si era espressa a favore dell’annessione alla Russia, ma – dati alla mano – con una partecipazione quasi irrisoria di cittadini ucraini, senza contare le minacce armate dei soldati russi casa per casa per costringere la popolazione ad andare a votare nelle quattro regioni che rappresentano circa il 15 per cento del territorio dell’Ucraina. Per esempio, nella regione di Zaporizhzhia avevano votato in totale in 39.367 su una popolazione complessiva di 1.666.515 persone, ovvero il 2,3 per cento. O ancora, nell’Oblast di Donetsk – solo parzialmente controllato dall’esercito russo – avrebbe votato il 97 per cento degli aventi diritto al voto, ma ‘dimenticando’ di contare più della metà degli elettori. Tutto ciò condito da uno scrutinio effettuato con modalità del tutto illecite.
    L’autocrate russo, Vladimir Putin, e i quattro leader separatisti dei territori occupati dalla Russia in Ucraina, alla cerimonia di annessione al Cremlino (30 settembre 2022)
    In ogni caso l’autocrate russo, Vladimir Putin, ha utilizzato questi finti plebisciti per dichiarare l’annessione delle quattro regioni pochi giorni più tardi. Il 30 settembre 2022 i leader filo-russi delle autoproclamate Repubbliche popolari hanno siglato il Trattato di adesione alla Russia al Cremlino, in una cerimonia-parata nel solito stile di grandezza ostentata di Putin. “Voglio che mi sentano a Kiev, che mi sentano in Occidente: le persone che vivono a Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia diventano nostri cittadini per sempre”, ha minacciato l’autocrate russo. Il 18 marzo del 2014 i rappresentanti separatisti della Crimea avevano anticipato i tempi e otto anni più tardi il copione si è ripresentato quasi uguale a se stesso. A tre giorni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina Mosca aveva riconosciuto l’indipendenza di Donetsk e Luhansk e aveva poi fatto lo stesso sette mesi più tardi con Kherson e Zaporizhzhia, prima di inglobare tutte le regioni ucraine separatiste all’interno del progetto della Grande Russia.

    Organizzata una tornata elettorale a Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson in corrispondenza del voto locale e regionale in Russia. “Un ulteriore futile tentativo di legittimare o normalizzare il suo tentativo di annessione”, è la condanna dell’alto rappresentante Ue, Josep Borrell

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    L’Ucraina ha ricevuto dall’Ue la settima tranche di supporto macrofinanziario. Gli aiuti nel 2023 salgono a 12 miliardi

    Bruxelles – Continua secondo i piani della Commissione Europea il sostegno macro-finanziario all’Ucraina promesso per tutto il 2023. Nella giornata di oggi (22 agosto) sono stati versati nelle casse di Kiev altri 1,5 miliardi di euro, a un mese dall’ultima tranche stanziata da Bruxelles per supportare il Paese invaso dall’esercito russo dal 24 febbraio 2022 negli “sforzi di riparazione, recupero e mantenimento dello Stato”. Ad annunciare lo stanziamento della settima tranche di assistenza macrofinanziaria è stata la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che ha promesso che “ne arriveranno altri, quest’anno e oltre“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (8 maggio 2023)
    Con la settimana tranche di aiuti destinati a Kiev attraverso lo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+, il supporto economico fornito da Bruxelles nel corso di quest’anno sale a 12 miliardi di euro, dei 18 totali previsti dal pacchetto approvato alla fine dello scorso anno dai co-legislatori. “Con questo strumento, l’Ue cerca di aiutare l’Ucraina a coprire il suo fabbisogno finanziario immediato, con un sostegno finanziario stabile, prevedibile e consistente nel 2023“, sottolinea l’esecutivo comunitario in una nota. Il supporto sarà utilizzato per pagare stipendi e pensioni, per mantenere in funzione i servizi pubblici essenziali (ospedali, scuole e alloggi per gli sfollati), per garantire la stabilità macroeconomica e per ripristinare le infrastrutture critiche distrutte (infrastrutture energetiche, sistemi idrici, reti di trasporto, strade, ponti): “Il Paese sta affrontando la brutale guerra di aggressione della Russia e sta lavorando per ripristinare le sue infrastrutture“, ha voluto ricordare von der Leyen.
    Il pagamento è arrivato dopo che il 25 luglio scorso la Commissione ha rilevato i “continui progressi” di Kiev nell’attuazione delle “condizioni politiche concordate”, rispettando i requisiti di rendicontazione “per garantire un uso trasparente ed efficiente dei fondi”. I progressi più importanti sono stati riscontrati nel lavoro per migliorare la stabilità finanziaria e il sistema del gas, rafforzare lo Stato di diritto, incoraggiare l’efficienza energetica e promuovere un migliore clima imprenditoriale. Ma la presidente von der Leyen ha voluto spingersi oltre: “Continueremo a stare risolutamente al fianco dell’Ucraina, con un sostegno fino a 50 miliardi di euro proposto per il periodo 2024-2027”. Il riferimento è alla proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027, con l’idea di creare una riserva finanziaria da 50 miliardi di euro per i prossimi quattro anni, composta di sovvenzioni e prestiti. Mentre i 33 miliardi di prestiti saranno finanziati attraverso l’assunzione di prestiti sui mercati finanziari, i 17 miliardi di euro in sovvenzioni arriveranno direttamente dalle risorse aggiuntive previste dalla revisione del bilancio.
    Dall’inizio della guerra russa in Ucraina Bruxelles stima che il sostegno finanziario, umanitario, di bilancio d’emergenza e militare a Kiev arrivato dall’Unione Europea, dai Paesi membri e dalle istituzioni finanziaria europee “ammonta a 76 miliardi di euro“. Per quanto riguarda l’assistenza macro-finanziaria Ue, il totale è di 19,2 miliardi, di cui 7,2 miliardi stanziati nel 2022 e i 12 di quest’anno. La prima tranche dallo strumento assistenza macrofinanziaria Amf+ è arrivata all’Ucraina il 17 gennaio con un supporto iniziale di 3 miliardi, seguita da altri sei tranche mensili da 1,5 miliardi nel successivo semestre.

    Lo annuncia la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promettendo che “ne arriveranno altri, quest’anno e oltre”. Lo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+ mobiliterà in totale 18 miliardi per gli “sforzi di riparazione, recupero e mantenimento dello Stato”

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    In Ungheria è andato in scena uno strano trasferimento di prigionieri ucraini dalla Russia. L’Ue: “Budapest chiarisca”

    Bruxelles – È oscura la vicenda del trasferimento in Ungheria di 11 prigionieri di guerra ucraini nelle mani dell’esercito russo fino al 9 giugno. Non si è trattato di un normale scambio di ostaggi mediato da un Paese terzo (per quanto l’Ungheria sia un membro dell’Unione Europea e a livello teorico nettamente schierato sulla guerra in corso), dal momento in cui tutta l’operazione è avvolta dal mistero e di certo c’è solo che non è stata coordinata con Kiev. È un trasferimento strano perché è stato proposto dalla Chiesa ortodossa russa, perché il governo ungherese sostiene di non saperne nulla, ma allo stesso tempo quello ucraino lo accusa di non permettere i contatti con i suoi soldati.
    Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán
    “Le autorità competenti dell’Ungheria devono spiegare alle controparti ucraine cosa è accaduto, come è accaduto, chi è stato coinvolto, qual è stato il ruolo dell’Ungheria e come è stato gestito con l’Ucraina”, Paese i cui cittadini “sono stati fatti prigionieri di guerra dall’aggressore russo”. È quanto messo in chiaro oggi (21 giugno) nel corso del punto con la stampa di Bruxelles dal portavoce del Servizio per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo alle perplessità dei giornalisti sul fatto che un membro dell’Unione possa aver tenuto all’oscuro gli altri 26 Paesi membri e soprattutto l’Ucraina su un’operazione di rilascio di prigionieri di guerra con l’esercito di Vladimir Putin (a fronte di quale prezzo al momento non è dato sapere). “Chiederemo alle autorità ungheresi maggiori informazioni su quanto accaduto”, ha anticipato il portavoce, precisando che “spetta loro spiegare alle autorità ucraine i dettagli e la partecipazione su questo caso“.
    A quanto si apprende da funzionari del governo ungherese, il trasferimento degli 11 prigionieri di guerra ucraini sarebbe stato organizzato dalla Chiesa ortodossa russa e dal Servizio di beneficenza ungherese dell’Ordine di Malta, senza il coinvolgimento del governo di Budapest né con il coordinamento di Kiev. I soldati sarebbero tutti originari della Transcarpazia, regione sud-occidentale dell’Ucraina con una consistente comunità ungherese, di cui solo tre sono stati rimpatriati ieri (20 giugno) nel Paese. Da Kiev son arrivate accuse al governo Orbán per aver organizzato un’operazione segreta con il fine di aumentare la propria popolarità interna, impedendo al governo ucraino di mettersi in contatto con i membri del suo esercito. Dal capo di gabinetto del premier ungherese, Gergely Gulyas, è arrivata una netta smentita: “Non sono prigionieri di guerra da un punto di vista legale in Ungheria, possono lasciare il Paese in qualsiasi momento, non li controlliamo o monitoriamo”.
    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán
    A prescindere dal coinvolgimento delle autorità ungheresi (anche se l’eventualità rappresenterebbe uno scenario sconcertante per un Paese membro dell’Ue), è evidente che i rapporti tra Kiev e Budapest – ma anche tra Bruxelles e Budapest – sono ai minimi storici. Il premier Orbán non ha mai nascosto le sue simpatie per l’autocrate russo Putin, con cui ha ancora forti legami politici ed economici mai recisi nemmeno con l’invasione dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022. L’Ungheria è sempre una spina nel fianco dell’Unione quando si tratta di dare il via libera a nuove sanzioni contro Mosca e negli ultimi mesi anche allo stanziamento di nuovi finanziamenti a Kiev, ma soprattutto sul piano energetico (una delle sfide più grandi per l’Ue nell’affrontare la dipendenza dalle fonti fossili russe). Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjártó, è stato il primo politico di un Paese membro a recarsi a Mosca per stringere un accordo per maggiori forniture di gas rispetto ai volumi previsti dal contratto a lungo termine che dal 2021 lega Budapest e Mosca. Il tutto quando manca un anno all’avvio della presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’Ue: dal primo luglio 2024 il governo Orbán avrà in mano le chiavi di una delle tre istituzioni comunitarie per sei mesi.

    La Commissione Europea vuole che il governo di Viktor Orbán spieghi “cosa è accaduto, come è accaduto, chi è stato coinvolto” nella vicenda del trasferimento segreto di 11 soldati rilasciati su proposta della Chiesa ortodossa russa in un’operazione non coordinata con Kiev

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    Riforme, adesione e 50 miliardi al 2027 per la ricostruzione. Il futuro dell’Ucraina nell’Ue secondo von der Leyen

    Bruxelles – Corrono lungo due direttrici parallele gli sforzi per la ricostruzione internazionale dell’Ucraina e quelli per l’adesione di Kiev all’Unione Europea. “Ogni giorno vediamo la volontà degli ucraini di rinascere dalle ceneri, nei campi di battaglia, nelle strade e ovunque per costruire il proprio futuro”, ha sottolineato oggi (21 giugno) la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza internazionale sulla ripresa dell’Ucraina a Londra, parlando dei tentativi dei cittadini “non solo per ricostruire quello che c’era, ma anche per rimodellare il proprio Paese, stanno immaginando di nuovo il proprio futuro con le energie pulite e con le bandiere dell’Ue sventolare sopra le proprie città”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza internazionale sulla ripresa dell’Ucraina Londra (21 giugno 2023)
    Rispondendo alla richiesta del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, di “passare dai principi agli accordi, dagli accordi a veri e propri piani concreti”, la numero uno dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro a Londra che lo sforzo internazionale servirà per “rendere possibile il sogno di un’Ucraina più pulita, più verde e più moderna, l’ultima eredità di questa atroce guerra”. In primo luogo c’è l’aspetto finanziario “come comunità coordinata sotto forma di una piattaforma innovativa che veicolerà fondi per le riforme e le priorità” di Kiev, in modo tale che “gli aiuti vadano esattamente dove l’Ucraina ne ha più bisogno”. Se per il 2023 la Commissione Ue ha già messo sul piatto 18 miliardi di euro – “e abbiamo chiuso il gap di deficit con altri donatori” – è la prospettiva di medio periodo che preoccupa Bruxelles. Secondo le stime fornite dalla stessa presidente von der Leyen, al 2027 l’Ucraina avrà un buco di 60 miliardi di euro e 50 miliardi per i bisogni immediati: “Al momento è previsto un totale di 110 miliardi di euro“. È per questo motivo che nella proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027 presentata ieri (20 giugno) dalla Commissione Ue, “ho proposto ai Ventisette di coprirne il 40 per cento, con 50 miliardi di euro per l’Ucraina”.
    Quanto ricordato da von der Leyen di fronte alla platea di donatori internazionali è la proposta di un nuovo strumento nel budget Ue, una riserva che “assicurerà costante supporto finanziario fino al 2027” e che sarà alimentata in tre modi: “Sovvenzioni dirette dal bilancio dell’Unione, prestiti raccolti sui mercati finanziari e mobilitando gli asset russi congelati”. A proposito di questo ultimo punto la presidente della Commissione Ue ha anticipato che “presenteremo una proposta sugli asset russi prima della pausa estiva“. Gli sforzi sul piano economico – “per ogni passo verso di noi, noi dobbiamo fare un passo verso l’Ucraina” – porteranno a un lavoro in stretto contatto con Kiev, per mettere a terra “un piano di investimenti e riforme, che diventerà una bussola per i donatori internazionali, anche privati, che hanno bisogno di trasparenza, chiarezza e prevedibilità”.
    Sono proprio la trasparenza e la prevedibilità a collegare l’aspetto economico con quello più prettamente politico. Perché, come gli investimenti, anche il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Unione Europea dipenderà dalla capacità di Kiev di mettere a terra le riforme richieste da Bruxelles. “Non ho dubbio che l’Ucraina sarà parte dell’Unione”, ha confermato ancora una volta la presidente von der Leyen, proprio nel giorno in cui il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha riferito al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) la presentazione orale dei rapporti sullo stato dell’implementazione delle riforme in Ucraina, Georgia e Moldova. Un aggiornamento che sarà presentato dallo stesso commissario anche al Consiglio Affari Generali informale di domani (22 giugno) – quando si conosceranno maggiori dettagli a riguardo – ma su cui la numero uno dell’esecutivo comunitario ha fornito un’anteprima a Londra: “Abbiamo visto un’impressionante velocità e risultati nel mezzo della guerra, in particolare nell’area delle riforme in ambito giudiziario, dell’anticorruzione, delle leggi sui media e sulle minoranze“. In attesa di conoscere il contenuto della presentazione orale – a cui seguirà il consueto rapporto scritto nel Pacchetto allargamento di ottobre, prima delle discussioni in Consiglio sull’avvio dei negoziati entro la fine dell’anno – “con queste riforme Kiev manda un forte messaggio agli investitori internazionali sulla trasparenza e il funzionamento delle istituzioni necessarie per investire nel Paese”, ha ribadito con forza von der Leyen.

    Alla Conferenza internazionale a Londra la presidente della Commissione Europea ha illustrato le basi su cui si imposterà il sostegno internazionale per sostenere Kiev “non solo a raggiungere la pace, ma anche per ricostruire il Paese che i cittadini stanno immaginando”