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    L’Ucraina ha ricevuto dall’Ue la settima tranche di supporto macrofinanziario. Gli aiuti nel 2023 salgono a 12 miliardi

    Bruxelles – Continua secondo i piani della Commissione Europea il sostegno macro-finanziario all’Ucraina promesso per tutto il 2023. Nella giornata di oggi (22 agosto) sono stati versati nelle casse di Kiev altri 1,5 miliardi di euro, a un mese dall’ultima tranche stanziata da Bruxelles per supportare il Paese invaso dall’esercito russo dal 24 febbraio 2022 negli “sforzi di riparazione, recupero e mantenimento dello Stato”. Ad annunciare lo stanziamento della settima tranche di assistenza macrofinanziaria è stata la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che ha promesso che “ne arriveranno altri, quest’anno e oltre“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (8 maggio 2023)
    Con la settimana tranche di aiuti destinati a Kiev attraverso lo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+, il supporto economico fornito da Bruxelles nel corso di quest’anno sale a 12 miliardi di euro, dei 18 totali previsti dal pacchetto approvato alla fine dello scorso anno dai co-legislatori. “Con questo strumento, l’Ue cerca di aiutare l’Ucraina a coprire il suo fabbisogno finanziario immediato, con un sostegno finanziario stabile, prevedibile e consistente nel 2023“, sottolinea l’esecutivo comunitario in una nota. Il supporto sarà utilizzato per pagare stipendi e pensioni, per mantenere in funzione i servizi pubblici essenziali (ospedali, scuole e alloggi per gli sfollati), per garantire la stabilità macroeconomica e per ripristinare le infrastrutture critiche distrutte (infrastrutture energetiche, sistemi idrici, reti di trasporto, strade, ponti): “Il Paese sta affrontando la brutale guerra di aggressione della Russia e sta lavorando per ripristinare le sue infrastrutture“, ha voluto ricordare von der Leyen.
    Il pagamento è arrivato dopo che il 25 luglio scorso la Commissione ha rilevato i “continui progressi” di Kiev nell’attuazione delle “condizioni politiche concordate”, rispettando i requisiti di rendicontazione “per garantire un uso trasparente ed efficiente dei fondi”. I progressi più importanti sono stati riscontrati nel lavoro per migliorare la stabilità finanziaria e il sistema del gas, rafforzare lo Stato di diritto, incoraggiare l’efficienza energetica e promuovere un migliore clima imprenditoriale. Ma la presidente von der Leyen ha voluto spingersi oltre: “Continueremo a stare risolutamente al fianco dell’Ucraina, con un sostegno fino a 50 miliardi di euro proposto per il periodo 2024-2027”. Il riferimento è alla proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027, con l’idea di creare una riserva finanziaria da 50 miliardi di euro per i prossimi quattro anni, composta di sovvenzioni e prestiti. Mentre i 33 miliardi di prestiti saranno finanziati attraverso l’assunzione di prestiti sui mercati finanziari, i 17 miliardi di euro in sovvenzioni arriveranno direttamente dalle risorse aggiuntive previste dalla revisione del bilancio.
    Dall’inizio della guerra russa in Ucraina Bruxelles stima che il sostegno finanziario, umanitario, di bilancio d’emergenza e militare a Kiev arrivato dall’Unione Europea, dai Paesi membri e dalle istituzioni finanziaria europee “ammonta a 76 miliardi di euro“. Per quanto riguarda l’assistenza macro-finanziaria Ue, il totale è di 19,2 miliardi, di cui 7,2 miliardi stanziati nel 2022 e i 12 di quest’anno. La prima tranche dallo strumento assistenza macrofinanziaria Amf+ è arrivata all’Ucraina il 17 gennaio con un supporto iniziale di 3 miliardi, seguita da altri sei tranche mensili da 1,5 miliardi nel successivo semestre.

    Lo annuncia la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promettendo che “ne arriveranno altri, quest’anno e oltre”. Lo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+ mobiliterà in totale 18 miliardi per gli “sforzi di riparazione, recupero e mantenimento dello Stato”

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    In Ungheria è andato in scena uno strano trasferimento di prigionieri ucraini dalla Russia. L’Ue: “Budapest chiarisca”

    Bruxelles – È oscura la vicenda del trasferimento in Ungheria di 11 prigionieri di guerra ucraini nelle mani dell’esercito russo fino al 9 giugno. Non si è trattato di un normale scambio di ostaggi mediato da un Paese terzo (per quanto l’Ungheria sia un membro dell’Unione Europea e a livello teorico nettamente schierato sulla guerra in corso), dal momento in cui tutta l’operazione è avvolta dal mistero e di certo c’è solo che non è stata coordinata con Kiev. È un trasferimento strano perché è stato proposto dalla Chiesa ortodossa russa, perché il governo ungherese sostiene di non saperne nulla, ma allo stesso tempo quello ucraino lo accusa di non permettere i contatti con i suoi soldati.
    Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán
    “Le autorità competenti dell’Ungheria devono spiegare alle controparti ucraine cosa è accaduto, come è accaduto, chi è stato coinvolto, qual è stato il ruolo dell’Ungheria e come è stato gestito con l’Ucraina”, Paese i cui cittadini “sono stati fatti prigionieri di guerra dall’aggressore russo”. È quanto messo in chiaro oggi (21 giugno) nel corso del punto con la stampa di Bruxelles dal portavoce del Servizio per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo alle perplessità dei giornalisti sul fatto che un membro dell’Unione possa aver tenuto all’oscuro gli altri 26 Paesi membri e soprattutto l’Ucraina su un’operazione di rilascio di prigionieri di guerra con l’esercito di Vladimir Putin (a fronte di quale prezzo al momento non è dato sapere). “Chiederemo alle autorità ungheresi maggiori informazioni su quanto accaduto”, ha anticipato il portavoce, precisando che “spetta loro spiegare alle autorità ucraine i dettagli e la partecipazione su questo caso“.
    A quanto si apprende da funzionari del governo ungherese, il trasferimento degli 11 prigionieri di guerra ucraini sarebbe stato organizzato dalla Chiesa ortodossa russa e dal Servizio di beneficenza ungherese dell’Ordine di Malta, senza il coinvolgimento del governo di Budapest né con il coordinamento di Kiev. I soldati sarebbero tutti originari della Transcarpazia, regione sud-occidentale dell’Ucraina con una consistente comunità ungherese, di cui solo tre sono stati rimpatriati ieri (20 giugno) nel Paese. Da Kiev son arrivate accuse al governo Orbán per aver organizzato un’operazione segreta con il fine di aumentare la propria popolarità interna, impedendo al governo ucraino di mettersi in contatto con i membri del suo esercito. Dal capo di gabinetto del premier ungherese, Gergely Gulyas, è arrivata una netta smentita: “Non sono prigionieri di guerra da un punto di vista legale in Ungheria, possono lasciare il Paese in qualsiasi momento, non li controlliamo o monitoriamo”.
    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán
    A prescindere dal coinvolgimento delle autorità ungheresi (anche se l’eventualità rappresenterebbe uno scenario sconcertante per un Paese membro dell’Ue), è evidente che i rapporti tra Kiev e Budapest – ma anche tra Bruxelles e Budapest – sono ai minimi storici. Il premier Orbán non ha mai nascosto le sue simpatie per l’autocrate russo Putin, con cui ha ancora forti legami politici ed economici mai recisi nemmeno con l’invasione dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022. L’Ungheria è sempre una spina nel fianco dell’Unione quando si tratta di dare il via libera a nuove sanzioni contro Mosca e negli ultimi mesi anche allo stanziamento di nuovi finanziamenti a Kiev, ma soprattutto sul piano energetico (una delle sfide più grandi per l’Ue nell’affrontare la dipendenza dalle fonti fossili russe). Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjártó, è stato il primo politico di un Paese membro a recarsi a Mosca per stringere un accordo per maggiori forniture di gas rispetto ai volumi previsti dal contratto a lungo termine che dal 2021 lega Budapest e Mosca. Il tutto quando manca un anno all’avvio della presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’Ue: dal primo luglio 2024 il governo Orbán avrà in mano le chiavi di una delle tre istituzioni comunitarie per sei mesi.

    La Commissione Europea vuole che il governo di Viktor Orbán spieghi “cosa è accaduto, come è accaduto, chi è stato coinvolto” nella vicenda del trasferimento segreto di 11 soldati rilasciati su proposta della Chiesa ortodossa russa in un’operazione non coordinata con Kiev

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    Riforme, adesione e 50 miliardi al 2027 per la ricostruzione. Il futuro dell’Ucraina nell’Ue secondo von der Leyen

    Bruxelles – Corrono lungo due direttrici parallele gli sforzi per la ricostruzione internazionale dell’Ucraina e quelli per l’adesione di Kiev all’Unione Europea. “Ogni giorno vediamo la volontà degli ucraini di rinascere dalle ceneri, nei campi di battaglia, nelle strade e ovunque per costruire il proprio futuro”, ha sottolineato oggi (21 giugno) la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza internazionale sulla ripresa dell’Ucraina a Londra, parlando dei tentativi dei cittadini “non solo per ricostruire quello che c’era, ma anche per rimodellare il proprio Paese, stanno immaginando di nuovo il proprio futuro con le energie pulite e con le bandiere dell’Ue sventolare sopra le proprie città”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza internazionale sulla ripresa dell’Ucraina Londra (21 giugno 2023)
    Rispondendo alla richiesta del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, di “passare dai principi agli accordi, dagli accordi a veri e propri piani concreti”, la numero uno dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro a Londra che lo sforzo internazionale servirà per “rendere possibile il sogno di un’Ucraina più pulita, più verde e più moderna, l’ultima eredità di questa atroce guerra”. In primo luogo c’è l’aspetto finanziario “come comunità coordinata sotto forma di una piattaforma innovativa che veicolerà fondi per le riforme e le priorità” di Kiev, in modo tale che “gli aiuti vadano esattamente dove l’Ucraina ne ha più bisogno”. Se per il 2023 la Commissione Ue ha già messo sul piatto 18 miliardi di euro – “e abbiamo chiuso il gap di deficit con altri donatori” – è la prospettiva di medio periodo che preoccupa Bruxelles. Secondo le stime fornite dalla stessa presidente von der Leyen, al 2027 l’Ucraina avrà un buco di 60 miliardi di euro e 50 miliardi per i bisogni immediati: “Al momento è previsto un totale di 110 miliardi di euro“. È per questo motivo che nella proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027 presentata ieri (20 giugno) dalla Commissione Ue, “ho proposto ai Ventisette di coprirne il 40 per cento, con 50 miliardi di euro per l’Ucraina”.
    Quanto ricordato da von der Leyen di fronte alla platea di donatori internazionali è la proposta di un nuovo strumento nel budget Ue, una riserva che “assicurerà costante supporto finanziario fino al 2027” e che sarà alimentata in tre modi: “Sovvenzioni dirette dal bilancio dell’Unione, prestiti raccolti sui mercati finanziari e mobilitando gli asset russi congelati”. A proposito di questo ultimo punto la presidente della Commissione Ue ha anticipato che “presenteremo una proposta sugli asset russi prima della pausa estiva“. Gli sforzi sul piano economico – “per ogni passo verso di noi, noi dobbiamo fare un passo verso l’Ucraina” – porteranno a un lavoro in stretto contatto con Kiev, per mettere a terra “un piano di investimenti e riforme, che diventerà una bussola per i donatori internazionali, anche privati, che hanno bisogno di trasparenza, chiarezza e prevedibilità”.
    Sono proprio la trasparenza e la prevedibilità a collegare l’aspetto economico con quello più prettamente politico. Perché, come gli investimenti, anche il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Unione Europea dipenderà dalla capacità di Kiev di mettere a terra le riforme richieste da Bruxelles. “Non ho dubbio che l’Ucraina sarà parte dell’Unione”, ha confermato ancora una volta la presidente von der Leyen, proprio nel giorno in cui il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha riferito al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) la presentazione orale dei rapporti sullo stato dell’implementazione delle riforme in Ucraina, Georgia e Moldova. Un aggiornamento che sarà presentato dallo stesso commissario anche al Consiglio Affari Generali informale di domani (22 giugno) – quando si conosceranno maggiori dettagli a riguardo – ma su cui la numero uno dell’esecutivo comunitario ha fornito un’anteprima a Londra: “Abbiamo visto un’impressionante velocità e risultati nel mezzo della guerra, in particolare nell’area delle riforme in ambito giudiziario, dell’anticorruzione, delle leggi sui media e sulle minoranze“. In attesa di conoscere il contenuto della presentazione orale – a cui seguirà il consueto rapporto scritto nel Pacchetto allargamento di ottobre, prima delle discussioni in Consiglio sull’avvio dei negoziati entro la fine dell’anno – “con queste riforme Kiev manda un forte messaggio agli investitori internazionali sulla trasparenza e il funzionamento delle istituzioni necessarie per investire nel Paese”, ha ribadito con forza von der Leyen.

    Alla Conferenza internazionale a Londra la presidente della Commissione Europea ha illustrato le basi su cui si imposterà il sostegno internazionale per sostenere Kiev “non solo a raggiungere la pace, ma anche per ricostruire il Paese che i cittadini stanno immaginando”

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    Al Summit di Vilnius potrebbe nascere il Consiglio Nato-Ucraina. Stoltenberg: “Vicini ad accordo per tavolo da pari”

    Bruxelles – Una nuova prima volta storica, quasi come un anno fa. Manca meno di un mese al Summit di Vilnius dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (in programma l’11-12 luglio), ma è lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ad annunciare che l’appuntamento in Lituania potrebbe portare con sé un evento che segnerà una svolta decisiva nei rapporti tra l’Alleanza e Kiev: “Stiamo lavorando per stabilire un nuovo Consiglio Nato-Ucraina, la nostra ambizione è quella di tenere il primo incontro a Vilnius con il presidente Volodymyr Zelensky“.
    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky
    A un anno dalla più grande svolta strategica della Nato dalla fine della Guerra Fredda, i 31 Paesi membri della Nato sono pronti a fare un passo in avanti per far avvicinare l’alleato ucraino quantomeno a livello politico, prima di iniziare le vere e proprie discussioni sull’adesione all’Alleanza. È quanto si è discusso oggi (16 giugno) nel corso della riunione ministeriale a Bruxelles e, nello specifico, nella commissione Nato-Ucraina. Perché un organismo di collegamento tra l’Alleanza Atlantica e Kiev già esiste, ma non è più considerato sufficiente per gli obiettivi comuni: “Siamo vicini a finalizzare l’accordo per stabilire il Consiglio, sarà qualcosa di diverso dalla commissione, perché permetterà ai 31 alleati e all’Ucraina di sedersi al tavolo da pari, con gli stessi diritti e le stesse possibilità di consultazione e decisione sulle questioni di sicurezza di interesse comune”, ha precisato Stoltenberg.
    Le riunioni tra i rappresentanti dell’Alleanza e di Kiev al momento si tengono nella commissione Nato-Ucraina, istituita il 9 luglio 1997 e il cui compito è quello di “assicurare la corretta attuazione delle disposizioni della Carta sul Partenariato Distintivo, valutare in generale lo sviluppo delle relazioni reciproche ed esaminare la pianificazione delle attività future”, si legge nel pagina web dedicata. In altre parole, si tratta di “un forum di consultazione” su questioni di interesse comune, “tra cui la guerra della Russia contro l’Ucraina”. Quello che ora i 31 alleati – “a cui spero presto si aggiungerà anche la Svezia”, ha tenuto a precisare Stoltenberg sul continuo stallo con la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan – è “portare l’Ucraina più vicina alla Nato in termini politici”, perché “negli ultimi decenni si è già avvicinata molto, tutti i membri hanno concordato che la nostra porta è aperta“.
    Non si parla ancora esplicitamente del processo di adesione – che il presidente ucraino Zelensky vorrebbe “accelerato” – ma non c’è dubbio sul fatto che Kiev “può diventare membro dell’Alleanza, è una decisione degli alleati e dell’Ucraina, la Russia non ha nessun potere di veto“, ha ribadito con forza il segretario generale della Nato. Su questo “sono d’accordo tutti i 31 membri, per ora non discuteremo sull’invito ad aderire, ma su come possiamo portarla più vicina” e l’appuntamento anche in questo caso è per l’11-12 luglio in Lituania: “Sono fiducioso che troveremo un consenso a Vilnius su come farlo”. All’orizzonte c’è il futuro comune sul lungo termine: “Non sappiamo quando la guerra finirà, ma non appena accadrà dobbiamo essere sicuri di poter mettere in campo un quadro di sicurezza tale per cui la storia non si ripeta”.

    Il processo di adesione Nato
    Per diventare membro della Nato, un Paese (come l’Ucraina) deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione alla Nato inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “”e parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri Nato, che attualmente sono 30. A questo punto si aprono nel quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale della Nato.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato dalla Nato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    Al termine della riunione ministeriale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, il segretario generale ha annunciato il lavoro per stabilire un nuovo format con Kiev in vista del vertice dell’11-12 luglio: “L’ambizione è tenere il primo incontro con il presidente Zelensky”

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    L’Ue reagisce alla visita del serbo-bosniaco Dodik a Putin: “I nostri alleati non vanno in Russia”

    Bruxelles – È successo di nuovo. In più di un anno di guerra in Ucraina non era mai successo che un leader europeo facesse visita all’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca. E invece per due volte in otto mesi a rompere l’unità del continente su questo punto è stato Milorad Dodik, presidente della Repubblica Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina), il più controverso e divisivo politico tra i partner dell’Unione Europea. Un viaggio che rappresenta il culmine di una striscia di provocazioni a Bruxelles, dalle spinte separatiste all’onorificenza a Putin, fino alla legge sugli ‘agenti stranieri’ di ispirazione russa, che rappresenta una sorta di ‘recidiva’ rispetto alla visita al Cremlino del 20 settembre dello scorso anno.
    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)
    “Noi pensiamo che la Federazione Russa, che con insistenza si è battuta per un suo quadro di sicurezza e che ha cercato di ottenere tali garanzie, sia stata semplicemente costretta all’operazione militare in Ucraina“, è quanto riporta il Cremlino in una trascrizione delle parole rivolte da Dodik a Putin, durante il colloquio andato in scena al Cremlino nella giornata di ieri (23 maggio). Proprio sulla guerra in Ucraina l’autocrate russo ha rivolto un ringraziamento al leader serbo-bosniaco per aver mantenuto una “posizione neutrale”, impendendo di fatto alla Bosnia ed Erzegovina di allinearsi alle posizioni dell’Ue e alle sanzioni internazionali contro la Russia.
    Proprio su questo punto Dodik si è lamentato con Putin del fatto che “la Repubblica Srpska è soggetta a pressioni da parte di partner occidentali che ci impediscono di svilupparci normalmente”. Nonostante ciò il commercio bilaterale tra l’entità serba in Bosnia e la Russia nel 2022 sarebbe aumentato del 57 per cento rispetto all’anno precedente, in particolare per quanto riguarda le forniture di gas: come la Serbia, anche la Bosnia ed Erzegovina (e di conseguenza la Republika Srpska) riceve gas dal colosso energetico russo Gazprom attraverso il gasdotto BalkanStream (prolungamento del TurkStream tra Russia e Turchia), che passa dalla Bulgaria. Nonostante Sofia non riceva più gas russo da oltre un anno per essersi rifiutata di pagarlo in rubli, non ha mai impedito il transito del flusso verso i due Paesi balcanici. Duro l’attacco da parte di Bruxelles, che ancora una volta ribadisce come “mantenere stretti legami con la Russia è incompatibile con il percorso dell’Ue“. Il portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano, ha fatto leva su quanto messo in chiaro con tutti i Paesi candidati all’adesione all’Unione – come lo sono la Bosnia ed Erzeogovina e le sue due entità costitutive dal 15 dicembre dello scorso anno: “Le relazioni con la Russia non possono essere business as usual con Putin“.
    Distributore Gazprom in Bosnia ed Erzegovina
    Ecco perché l’Ue si aspetta dai partner che aspirano a fare ingresso nell’Unione “affidabilità per principi, valori, sicurezza e prosperità comuni”, come ricordato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, lunedì (22 maggio) durante la riunione a Bruxelles con ministri degli Esteri di tutti i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Anche il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, al termine di una riunione a Sarajevo la settimana scorsa con la neo-premier bosniaca, Borjana Krišto, aveva condannato il possibile viaggio di Dodik a Mosca: “Gli alleati dell’Ue non vanno in Russia”. Sulla possibilità di imporre sanzioni contro Dodik o la Republika Srpska, fonti Ue rivelano a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma per qualsiasi atto concreto serve l’unanimità ed è l’Ungheria a non permettere il via libera. In altre parole, finché Viktor Orbán “gli coprirà le spalle”, Dodik non sarà inserito nella lista delle sanzioni dell’Unione Europea.
    Le provocazioni di Dodik a Bruxelles
    È dall’ottobre del 2021 – ben prima dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina – che Dodik è diventato una spina nel fianco dell’Ue, facendosi promotore di un progetto secessionista in Republika Srpska. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche (le stesse che le fonti precisano essere in stallo) e dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 20 settembre 2022 (credits: Alexey Nikolsky)
    Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive Ue a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco.
    Parallelamente sono continuati i tentativi di imporre un sistema di controllo sui media e la libertà di stampa che ricorda molto da vicino quello russo. A fine marzo l’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska ha votato a favore di emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per la diffamazione. Il 22 maggio sono scaduti i 60 giorni di consultazione pubblica per l’entrata in vigore degli emendamenti. Allo stesso tempo il governo dell’entità serba della Bosnia ed Erzegovina ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero: il modello è simile a quello adottato a Mosca dal primo dicembre dello scorso anno, che ha ampliato l’utilizzo politico dell’etichetta ‘agente straniero’ già utilizzata dal 2012 per colpire media indipendenti e Ong.

    Il presidente della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, è tornato il primo leader europeo a incontrare a Mosca l’autocrate russo. Fonti Ue riportano a Eunews che a ostacolare l’imposizione di un regime di sanzioni è il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán

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    Von der Leyen è arrivata a Kiev: “I nostri valori difesi ogni giorno, appropriato festeggiare qui la Giornata dell’Europa”

    Bruxelles – Il quinto viaggio, uno dei più simbolici almeno da un punto di vista nella scelta della data. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è arrivata questa mattina (9 maggio) a Kiev, nella capitale di un’Ucraina che da oltre un anno resiste all’invasione russa e punta dritto all’ingresso nell’Unione Europea. E l’occasione non potrebbe essere più adatta: “È bello tornare a Kiev dove i valori a noi cari vengono difesi ogni giorno, è quindi un luogo appropriato per celebrare la Giornata dell’Europa“, ha commentato su Twitter la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario, pubblicando la foto del suo arrivo in stazione a Kiev.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    La Giornata dell’Europa, il 9 maggio, è il giorno in cui in tutta l’Unione si celebra la pace e l’unità sul continente – dal 24 febbraio 2022 minacciata dall’autocrate russo, Vladimir Putin – e che presto sarà festeggiato anche nel Paese che aspira ad aderire all’Ue: “Accolgo la decisione del presidente Volodymyr Zelensky di rendere il 9 maggio Giornata dell’Europa anche qui in Ucraina“. A oggi il 9 maggio in Ucraina si celebra la Giornata della vittoria, la festa nazionale nei Paesi dell’Europa orientale in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, ieri il leader ucraino ha reso noto di voler spostare la festività all’8 maggio (quando effettivamente fu firmata nel 1945 la resa a Berlino), in modo da poter unirsi alle celebrazioni della Giornata dell’Europa il giorno successivo insieme ai Ventisette.
    Arrivata a Kiev la presidente von der Leyen ha visitato il muro della memoria dei caduti per l’Ucraina di fronte al monastero di San Michele, prima di spostarsi nella piazza dove ha potuto osservare i resti dei carri armati e mezzi russi esposti. Parlando in conferenza stampa, la numero uno della Commissione ha ricordato che “stiamo continuando ad aumentare la pressione sulla Russia, l’attenzione è ora rivolta alla rigorosa attuazione delle sanzioni e all’adozione di misure contro l’elusione”, facendo riferimento all’undicesimo pacchetto di sanzioni oggi sul tavolo dei Ventisette: “Siamo determinati a chiudere le scappatoie esistenti, nessuno ne dubiti“. Se la presenza nella capitale ucraina “è simbolica”, non è da sottovalutare il “segno molto concreto del fatto che l’Ue lavora fianco a fianco con l’Ucraina su molte questioni”, ha puntualizzato von der Leyen.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (9 maggio 2023)
    È proprio su questo che si sono concentrate le discussioni con il presidente Zelensky a Kiev: dalla ricostruzione post-bellica del Paese al percorso di adesione Ue, dall’export di grano ucraino (su cui il presidente ucraino ha denunciato “restrizioni assolutamente inaccettabili”) alla responsabilità di Mosca per i crimini di guerra, incluso il tema della costituzione di un tribunale internazionale e dell’utilizzo dei beni confiscati agli oligarchi russi. “I nostri valori comuni possono essere portati a compimento solo se siamo insieme, conto che a giugno sarà presentata una relazione positiva sui progressi dell’Ucraina“, ha dichiarato in conferenza stampa il presidente Zelensky. A questo proposito a partire da oggi si dovrà valutare approfonditamente il percorso di riforme per mettere davvero in campo questo impegno: oltre le parole e i simboli, la verifica minuziosa da parte dell’esecutivo comunitario per puntare a raccomandare al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione entro la fine dell’anno.
    A questi si aggiunge la questione dell’invio delle armi. “Abbiamo discusso la questione della rapidità di consegna delle munizioni, perché ne abbiamo bisogno ora sul campo di battaglia”, ha ricordato Zelensky, ringraziando von der Leyen per la “prontezza dell’Unione Europea nel fornirci un miliardo di proiettili di artiglieria”. La numero uno della Commissione ha messo in chiaro che “la prima priorità è aiutare ad assicurare le munizioni di cui l’Ucraina ha bisogno”, lavorando su tre percorsi: “Il più veloce è il rilascio immediato di munizioni dalle riserve degli Stati membri, abbiamo stanziato un miliardo di euro e sta funzionando”, considerato il fatto che “un numero considerevole di munizioni è stato inviato o è in dirittura di arrivo, ma va fatto di più, urgentemente”. Il secondo percorso è l’accordo della scorsa settimana per “fornire un miliardo di euro per l’approvvigionamento congiunto di munizioni da 152 e 155 millimetri” e “per accelerare questo, il terzo percorso è aiutare gli Stati membri ad aumentare la produzione e accelerare la consegna delle munizioni per rispondere ai bisogni dell’Ucraina e degli Stati membri”.
    Il quinto viaggio di von der Leyen a Kiev
    È la quinta volta dallo scoppio della guerra in Ucraina il 24 febbraio 2022 che la presidente von der Leyen si reca in viaggio a Kiev. La prima visita è datata 8 aprile 2022, quando la numero uno dell’esecutivo comunitario – insieme con l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell – aveva prima visitato i luoghi dei massacri russi sui civili ucraini a Bucha e poi aveva consegnato nelle mani del presidente Zelensky il questionario per l’adesione del Paese all’Ue. Il ritorno a Kiev aveva avuto luogo due mesi più tardi, con un nuovo round di colloqui con il leader ucraino sul supporto Ue e sull’allargamento dell’Unione l’11 giugno.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, con i 15 commissari europei a Kiev con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro, Denys Shmyhal (2 febbraio 2023)
    Dopo l’estate la terza visita. Il 15 settembre è stato il momento dell trionfo diplomatico per la presidente von der Leyen, quando ha assistito all’incisione del suo nome nella ‘Walk of the Brave’, la strada dei valorosi che hanno combattuto contro la Russia. Con una pausa temporale di cinque mesi, il 2023 si è aperto con la visita ‘doppia’ a Kiev a inizio febbraio. Il 2 febbraio von der Leyen si è messa alla testa di 15 commissari del suo gabinetto per un incontro con le rispettive controparti del governo Shmyhal. Il giorno successivo è andato in scena il 24esimo vertice Ue-Ucraina alla presenza di Zelensky e del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il primo svoltosi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.

    Incontro tra la numero uno della Commissione e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ha annunciato la volontà di anticipare di un giorno la Giornata della vittoria per festeggiare il 9 maggio insieme ai Ventisette la pace e unità in Europa. Confronto su ricostruzione adesione Ue

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    Von der Leyen sarà in visita in Ucraina per la Giornata dell’Europa. A Kiev nuovo incontro con il presidente Zelensky

    Bruxelles – La Giornata dell’Europa, in Ucraina. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha deciso di trascorrere il 9 maggio – il giorno che celebra la pace e l’unità in Europa – a Kiev, nella capitale del Paese assediato da un anno dall’esercito russo, portando al presidente Volodymyr Zelensky l’ennesimo segno di “sostegno incondizionato” dell’Unione all’Ucraina.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (15 settembre 2022)
    A renderlo noto sono stati i portavoce della Commissione Europea, sia su Twitter sia nel corso del punto quotidiano con la stampa, confermando i sospetti dei giornalisti (il nome della presidente von der Leyen non era presente nella lista dei membri dell’esecutivo Ue che parteciperanno ai dibattiti alla sessione plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo e non è prevista per domani la consueta riunione del Collegio dei commissari). Il portavoce-capo della Commissione, Eric Mamer, non ha fornito molti dettagli sulla riunione, ma ha specificato che von der Leyen e Zelensky si concentreranno su “tutte le dimensioni della nostra relazione reciproca, compreso l’allargamento dell’Unione all’Ucraina e altre questioni“.
    I viaggi di von der Leyen a Kiev
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (8 aprile 2022)
    Quello di von der Leyen a Kiev domani sarà il quinto viaggio nella capitale ucraina in poco più di un anno dallo scoppio della guerra. La prima visita congiunta con l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è datata 8 aprile 2022, quando la numero uno dell’esecutivo comunitario aveva prima visitato i luoghi dei massacri russi sui civili ucraini a Bucha e poi aveva consegnato nelle mani del presidente Zelensky il questionario per l’adesione del Paese all’Ue. Il ritorno a Kiev aveva avuto luogo due mesi più tardi, con un nuovo round di colloqui con il leader ucraino sul supporto Ue e sull’allargamento dell’Unione l’11 giugno. La terza visita del 15 settembre è stata invece quella del trionfo diplomatico per la presidente von der Leyen, quella dell’incisione del suo nome nella ‘Walk of the Brave’, la strada dei valorosi che hanno combattuto contro la Russia.
    Dopo i tre viaggi del 2022, il nuovo anno si è aperto con la visita ‘doppia’ a Kiev. Il 2 febbraio von der Leyen si è messa alla testa di 15 commissari del suo gabinetto per un incontro con le rispettive controparti del governo guidato da Denys Shmyhal. Il giorno successivo è seguito il 24esimo vertice Ue-Ucraina alla presenza di Zelensky e del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il primo svoltosi dall’inizio della guerra.

    I portavoce della Commissione Ue hanno annunciato che in occasione del 9 maggio la leader dell’esecutivo comunitario porterà nella capitale del Paese invaso da oltre un anno un nuovo segno di “supporto incondizionato”. Sul tavolo anche il processo di adesione all’Unione

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    Via libera dagli ambasciatori Ue al piano da un miliardo di euro per acquisti congiunti di munizioni e missili per l’Ucraina

    Bruxelles – Nel giorno a suo modo storico per l’Unione Europea sul piano della definizione di una strategia militare basata sull’aumento della capacità di produzione di munizioni negli Stati membri, a Bruxelles è stata raggiunta un’intesa che si incastra con l’obiettivo delle istituzioni comunitarie di sostenere lo sforzo bellico della resistenza ucraina contro l’esercito russo invasore. Dalle discussioni tra i 27 ambasciatori Ue al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti) è emerso un allineamento sulla proposta di istituire una nuova misura di assistenza per la fornitura di munizioni e missili alle forze armate ucraine attraverso l’acquisto congiunto da parte dei Ventisette.
    Il via libera dagli ambasciatori è arrivato nel pomeriggio di oggi (3 maggio), a poche ore dalla proposta presentata dal commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, sui 500 milioni di euro dal budget Ue per l’aumento della produzione di munizioni. Quanto concordato tramite procedura scritta in Coreper – che ora dovrà essere adottato all’unanimità da parte del Consiglio – è una misura che prevede uno stanziamento complessivo da un miliardo di euro nell’ambito dell’European Peace Facility (lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale), per gli acquisti congiunti di munizioni e missili a sostegno della controffensiva dell’esercito ucraino, attraverso l’Agenzia per la Difesa (Eda) o un consorzio di Paesi membri.
    Il piano per le munizioni Ue all’Ucraina
    Si tratta del secondo dei tre pilastri della proposta presentata dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: donazione di munizioni di artiglieria da 152/155 millimetri dagli stock già esistenti per un miliardo di euro (su cui è stata trovata l’intesa tra i 27 ministri Ue, ma con tempistiche che non sembrano rispettare le aspettative di Kiev), coordinamento della domanda per gli ordini dei Ventisette per un altro miliardi di euro, e aumento della capacità manifatturiera europea con diminuzione dei tempi di produzione.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Quella su cui è stata trovata l’intesa oggi tra gli ambasciatori è una svolta di una certa rilevanza per l’Unione, considerato il fatto che l’intenzione è quella di far acquistare agli Stati le munizioni in modo congiunto, sul modello di quanto già fatto per i vaccini durante la pandemia Covid-19 e per le riserve di gas contro la crisi energetica. A oggi sono 23 gli Stati membri Ue più Norvegia ad aver firmato l’accordo di progetto dell’Agenzia europea per la difesa per l’approvvigionamento comune di munizioni, aprendo la strada a due opzioni: una procedura accelerata di due anni per i proiettili di artiglieria da 155 mm e un progetto di sette anni per l’acquisizione di più tipi di munizioni. Al momento rimangono fuori Bulgaria, Danimarca, Irlanda e Slovenia. Come riferiscono fonti diplomatiche potranno essere acquistati in modo congiunto munizioni e missili di operatori economici stabiliti e che producono nell’Ue o in Norvegia, ma sono ammissibili anche quegli armamenti che siano stati assemblati nell’Ue in Norvegia con catene di produzione “in parte” extra-europee.

    Trovata l’intesa al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) per istituire una nuova misura di assistenza tramite l’European Peace Facility, parte del piano in tre fasi che comprende anche una donazione da un altro miliardo e l’aumento della capacità manifatturiera europea