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Le autorità del Kosovo vogliono chiudere le istituzioni temporanee serbe nonostante il monito dell’Ue

Bruxelles – L’Unione Europea guarda con “con grande preoccupazione” agli ultimi sviluppi in Kosovo, con “due esempi di azioni non coordinate, unilaterali e prese senza il necessario livello di consultazioni preventive“. È il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, a spiegare alla stampa europea oggi (5 febbraio) il clima che si respira a Bruxelles sulle recenti decisioni delle autorità di Pristina nei confronti della minoranza serbo-kosovara. Dopo il Regolamento che ha introdotto l’uso esclusivo dell’euro come valuta nazionale, sono le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo a mettere in allerta le istituzioni comunitarie e i partner internazionali.

Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (credits: Michal Cizek / Afp)

“Queste azioni non contribuiscono alla de-esclation, a calmare la situazione e a garantire alle persone che la loro vita andrà a migliorare”, ha avvertito Stano, approfondendo le ragioni della “grande preoccupazione” espresse nella nota di ieri (4 febbraio) del Seae a proposito delle operazioni di polizia nei comuni di Dragash, Pejë, Istog e Klinë e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina. “L’improvvisa chiusura di questi uffici avrà effetti negativi sulla vita quotidiana e sulle condizioni di vita delle comunità serbo-kosovare”, si legge nel comunicato coordinato con i partner internazionali dell’Unione, Stati Uniti inclusi: “Limiterà il loro accesso ai servizi sociali di base, data l’apparente assenza di alternative in questo momento“. Il portavoce Stano ha aggiunto anche che le conseguenze di queste decisioni unilaterali del governo di Pristina “potrebbero portare a qualcosa che non vogliamo vedere, cioè il deterioramento della situazione sul campo”.

Dal 2008 – anno della dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – Belgrado ha continuato a finanziare proprie istituzioni temporanee nel Paese confinante al servizio della minoranza serba. Comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali finanziati direttamente dal governo serbo, ma illegali secondo la Costituzioni del Kosovo. Il ministro degli Interni del Kosovo, Xhelal Sveçla, ha dichiarato “l’era dell’illegalità è giunta al termine” con la chiusura delle istituzioni temporanee serbe e ora “l’unica istituzione della Serbia in Kosovo sarà la sua ambasciata a Pristina“. Un’opzione al momento inaccettabile per le autorità di Belgrado, che ancora si rifiutano di riconoscere l’indipendenza e la sovranità di Pristina. Tecnicamente un accordo sull’abolizione è stato raggiunto nell’aprile 2013 nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue, ma non è mai stato messo in pratica.

È proprio su questo punto che Bruxelles cerca di forzare la mano: “È importante ritornare a impegnarsi più seriamente” nel dialogo Pristina-Belgrado, entro i cui negoziati “si prevede che lo status di queste strutture sarà risolto con l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba“, ha ribadito Stano, parlando di uno dei punti più delicati di tutta la mediazione dell’Ue. Senza poter anticipare ancora una data, il portavoce del Seae si è detto speranzoso di poter annunciare “presto” un nuovo dialogo di alto livello, a quasi cinque mesi dall’ultimo infruttuoso incontro a Bruxelles tra il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić.

Tutti i motivi di tensione tra Serbia e Kosovo

Dopo le due riunioni estive del 2021 tra il premier Kurti e il presidente Vučić a Bruxelles, a metà settembre dello stesso anno è scoppiata per la prima volta nel nord del Kosovo la cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘. Inizialmente si è trattata di una controversia diplomatica tra Pristina e Belgrado, legata alla decisione di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro, usate in larga parte dalla minoranza serba nel Paese. L’assenza di una soluzione definitiva ha infiammato il luglio/agosto 2022, con blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara e due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles.

Manifestazioni dei serbo-kosovari nel nord Kosovo del Kosovo, 5 novembre 2022 (credits: Armend Nimani / Afp)

La situazione si è aggravata quando Lista Sprska ha preso in mano le redini della protesta popolare nel nord del Kosovo. Il 5 novembre sono andate in scena dimissioni di massa dei rappresentanti serbi delle istituzioni nazionali in protesta contro il piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe: a Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavić si è reso necessario tornare alle urne a causa delle dimissioni dei quattro sindaci. Parallelamente è stata raggiunta una soluzione di compromesso sulle targhe nella notte tra il 23 e il 24 novembre a Bruxelles, anche se il presidente serbo ha minacciato di boicottare il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana a causa della nomina di Nenad Rašić nel governo kosovaro (al posto del leader di Lista Srpska, Goran Rakić), come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado.

Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)

Il 2022 si è chiuso con una nuova escalation di tensione ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per sopperire alla mancanza di agenti dimessisi sempre a novembre. L’appuntamento alla nuova crisi doveva attendere solo cinque mesi, il 26 maggio 2023. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

(credits: Armen Nimani / Afp)

Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.

Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto.

Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado (8 luglio 2021)

L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari. Il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il presidente serbo Vučić ha avvertito che utilizzerà “tutti i mezzi disponibili contro il divieto del dinaro in Kosovo” (anche se si tratta di un’interpretazione non fattuale della realtà), coinvolgendo la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Ho chiesto che usi tutte le sue forze ed energie per fare in modo che una cosa del genere non accada”.


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Source: https://www.eunews.it/category/politica-estera/feed


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