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    L’Ue cerca ancora una via d’uscita alla crisi Pristina-Belgrado sull’uso esclusivo dell’euro in Kosovo

    Bruxelles – Quando si avvicina la fine del periodo di transizione per l’utilizzo esclusivo dell’euro in Kosovo per i pagamenti ufficiali, la crisi tra Pristina e Belgrado sull’ennesima questione che ha esacerbato i rapporti non ha ancora trovato una soluzione. L’Unione Europea, attraverso il suo rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sta cercando di spingere per cercare una via d’uscita – dopo aver espresso a inizio anno “preoccupazioni” per l’impatto sulla comunità serba in Kosovo – ma per il momento non sembra esserci alcun passo in avanti da parte dei due governi per rimettere il dialogo sui giusti binari.

    La riunione tra i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo a Bruxelles nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado mediato dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák (25 marzo 2024)“Le nostre lunghe discussioni hanno contribuito a chiarire dettagli importanti, la prossima settimana abbiamo concordato di riunirci nuovamente con l’ambizione di trovare una soluzione“, è quanto reso noto ieri (25 marzo) dallo stesso rappresentante speciale Ue al termine della riunione con i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo (rispettivamente Petar Petković e Besnik Bislimi). Lajčák non rinuncia a una visione ottimistica del dialogo Pristina-Belgrado, anche se a un anno dall’accordo di Ohrid c’è molto poco per cui esultare anche per quanto riguarda il confronto sulle “proposte su come procedere per le persone interessate dal Regolamento della Banca centrale del Kosovo sulle operazioni in contanti”.Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro per le transazioni private, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si sono mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Per permettere alla minoranza serba nel nord del Paese di adattarsi alle nuove disposizioni, il governo di Albin Kurti ha definito un periodo di transizione di tre mesi per l’entrata in vigore delle regole, ha offerto conti bancari in euro gratuiti e ha previsto facilitazioni alla Banca Nazionale di Serbia per la conversione dei dinari in euro. Ma da Belgrado l’unica risposta – oltre al non-riconoscimento della sovranità di Pristina – riguarda la necessità di creare l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, ovvero la comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative (inclusa l’operatività della Banca, della Cassa di risparmio e delle Poste serbe).Un anno di escalation tra Kosovo e SerbiaSono passati dieci mesi da quando il 26 maggio 2023 è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier kosovaro Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Oltre all’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari, il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    A un anno dall’accordo di Ohrid è scarso l’impegno di Kosovo e Serbia per l’implementazione

    Bruxelles – È passato un anno, ma i rapporti tra Kosovo e Serbia non sono migliorati. Al contrario. “È deplorevole che, nonostante gli sforzi profusi dall’Ue e dalla più ampia comunità internazionale, i progressi compiuti dal Kosovo e dalla Serbia nell’attuazione degli obblighi assunti con l’Accordo di Ohrid siano stati finora molto limitati“, è il secco commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sul primo anniversario di quello che – il 18 marzo 2023 – veniva considerato un punto di svolta assolutamente positiva per la regione balcanica e per la risoluzione delle controversie tra Pristina e Belgrado.

    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Nelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, un anno fa era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Accordo e relativo allegato di attuazione sono diventati così parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue dei due Paesi balcanici, rendendo di fatto vincolante l’implementazione di tutte le misure messe nero su bianco. “L’Ue ha ricordato più volte che l’Accordo è vincolante nella sua interezza ai sensi del diritto internazionale”, ha ricordato Borrell, ribadendo che “la mancata attuazione non solo mette a rischio l’integrazione europea delle parti, ma danneggia anche la loro reputazione di partner credibili e affidabili“.A oggi non si registrano progressi se non su quei tre elementi già menzionati nell’ultima riunione di alto livello a Bruxelles il 14 settembre dello scorso anno nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. “È giunto il momento per il Kosovo e la Serbia di interrompere l’attuale circolo vizioso di crisi e tensioni e di entrare in una nuova era, quella europea“, ha continuato l’affondo l’alto rappresentante Ue, rilanciando il dialogo di alto livello con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti: “Ci aspettiamo che i leader diano prova di responsabilità, visione e leadership facendo progressi nell’attuazione senza ulteriori ritardi”.L’annus horribilis tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Le autorità del Kosovo vogliono chiudere le istituzioni temporanee serbe nonostante il monito dell’Ue

    Bruxelles – L’Unione Europea guarda con “con grande preoccupazione” agli ultimi sviluppi in Kosovo, con “due esempi di azioni non coordinate, unilaterali e prese senza il necessario livello di consultazioni preventive“. È il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, a spiegare alla stampa europea oggi (5 febbraio) il clima che si respira a Bruxelles sulle recenti decisioni delle autorità di Pristina nei confronti della minoranza serbo-kosovara. Dopo il Regolamento che ha introdotto l’uso esclusivo dell’euro come valuta nazionale, sono le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo a mettere in allerta le istituzioni comunitarie e i partner internazionali.

    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (credits: Michal Cizek / Afp)“Queste azioni non contribuiscono alla de-esclation, a calmare la situazione e a garantire alle persone che la loro vita andrà a migliorare”, ha avvertito Stano, approfondendo le ragioni della “grande preoccupazione” espresse nella nota di ieri (4 febbraio) del Seae a proposito delle operazioni di polizia nei comuni di Dragash, Pejë, Istog e Klinë e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina. “L’improvvisa chiusura di questi uffici avrà effetti negativi sulla vita quotidiana e sulle condizioni di vita delle comunità serbo-kosovare”, si legge nel comunicato coordinato con i partner internazionali dell’Unione, Stati Uniti inclusi: “Limiterà il loro accesso ai servizi sociali di base, data l’apparente assenza di alternative in questo momento“. Il portavoce Stano ha aggiunto anche che le conseguenze di queste decisioni unilaterali del governo di Pristina “potrebbero portare a qualcosa che non vogliamo vedere, cioè il deterioramento della situazione sul campo”.Dal 2008 – anno della dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – Belgrado ha continuato a finanziare proprie istituzioni temporanee nel Paese confinante al servizio della minoranza serba. Comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali finanziati direttamente dal governo serbo, ma illegali secondo la Costituzioni del Kosovo. Il ministro degli Interni del Kosovo, Xhelal Sveçla, ha dichiarato “l’era dell’illegalità è giunta al termine” con la chiusura delle istituzioni temporanee serbe e ora “l’unica istituzione della Serbia in Kosovo sarà la sua ambasciata a Pristina“. Un’opzione al momento inaccettabile per le autorità di Belgrado, che ancora si rifiutano di riconoscere l’indipendenza e la sovranità di Pristina. Tecnicamente un accordo sull’abolizione è stato raggiunto nell’aprile 2013 nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue, ma non è mai stato messo in pratica. È proprio su questo punto che Bruxelles cerca di forzare la mano: “È importante ritornare a impegnarsi più seriamente” nel dialogo Pristina-Belgrado, entro i cui negoziati “si prevede che lo status di queste strutture sarà risolto con l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba“, ha ribadito Stano, parlando di uno dei punti più delicati di tutta la mediazione dell’Ue. Senza poter anticipare ancora una data, il portavoce del Seae si è detto speranzoso di poter annunciare “presto” un nuovo dialogo di alto livello, a quasi cinque mesi dall’ultimo infruttuoso incontro a Bruxelles tra il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić.Tutti i motivi di tensione tra Serbia e KosovoDopo le due riunioni estive del 2021 tra il premier Kurti e il presidente Vučić a Bruxelles, a metà settembre dello stesso anno è scoppiata per la prima volta nel nord del Kosovo la cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘. Inizialmente si è trattata di una controversia diplomatica tra Pristina e Belgrado, legata alla decisione di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro, usate in larga parte dalla minoranza serba nel Paese. L’assenza di una soluzione definitiva ha infiammato il luglio/agosto 2022, con blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara e due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles.

    Manifestazioni dei serbo-kosovari nel nord Kosovo del Kosovo, 5 novembre 2022 (credits: Armend Nimani / Afp)La situazione si è aggravata quando Lista Sprska ha preso in mano le redini della protesta popolare nel nord del Kosovo. Il 5 novembre sono andate in scena dimissioni di massa dei rappresentanti serbi delle istituzioni nazionali in protesta contro il piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe: a Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavić si è reso necessario tornare alle urne a causa delle dimissioni dei quattro sindaci. Parallelamente è stata raggiunta una soluzione di compromesso sulle targhe nella notte tra il 23 e il 24 novembre a Bruxelles, anche se il presidente serbo ha minacciato di boicottare il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana a causa della nomina di Nenad Rašić nel governo kosovaro (al posto del leader di Lista Srpska, Goran Rakić), come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Il 2022 si è chiuso con una nuova escalation di tensione ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per sopperire alla mancanza di agenti dimessisi sempre a novembre. L’appuntamento alla nuova crisi doveva attendere solo cinque mesi, il 26 maggio 2023. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    (credits: Armen Nimani / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto.Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado (8 luglio 2021)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari. Il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il presidente serbo Vučić ha avvertito che utilizzerà “tutti i mezzi disponibili contro il divieto del dinaro in Kosovo” (anche se si tratta di un’interpretazione non fattuale della realtà), coinvolgendo la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Ho chiesto che usi tutte le sue forze ed energie per fare in modo che una cosa del genere non accada”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il nuovo capitolo dei rapporti tra Ue e Kosovo può iniziare con la liberalizzazione del regime dei visti

    Bruxelles – Inizia un nuovo viaggio per i cittadini del Kosovo, finalmente senza restrizioni. Dal primo gennaio, con l’entrata in vigore del regime di visti liberi, anche l’ultimo Paese europeo (fatta eccezione per Russia e Bielorussia post-invasione dell’Ucraina) ha visto aprirsi le frontiere Schengen con il solo utilizzo del passaporto nazionale. Ciò che per i cittadini dell’Unione Europea ormai è un modo di viaggiare dato pressoché per scontato, ora è una realtà anche per quelli del Kosovo resa possibile dal successo politico delle istituzioni europee dello scorso anno.La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (14 giugno 2023)“I nostri cittadini hanno ora la possibilità di visitare la famiglia o di perseguire opportunità educative, culturali e commerciali a un breve volo di distanza: un passo fuori dall’isolamento, un passo più vicino all’Unione Europea“, ha esultato su X il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, che proprio il primo gennaio ha salutato i suoi concittadini in partenza sul primo volo Pristina-Vienna ‘visa free’. Parole confermate dalla presidente del Kosovo, Vjosa Osmani: “Questa tappa storica non è un risultato solo per il Kosovo, ma un importante passo avanti verso il nostro obiettivo comune: un’Europa più vicina, più forte e più unita“. I leader kosovari hanno anche voluto ricordare quali sono “le condizioni che il regime di esenzione dal visto impone”, vale a dire la possibilità di viaggiare e soggiornare liberamente nei Paesi Ue e Schengen ma non oltre 90 giorni in un periodo complessivo di 180 in assenza di un permesso di lavoro o di studio. “Otteniamo maggiori diritti esercitando responsabilmente quelli che ci siamo guadagnati”, ha sottolineato il premier Kurti.Si respira grande soddisfazione anche a Bruxelles, in particolare da parte del relatore del dossier per il Parlamento Europeo nei negoziati con i co-legislatori del Consiglio dell’Ue, Thijs Reuten: “Finalmente! Dopo anni di ritardi assolutamente inutili, l’esenzione dal visto per tutti i cittadini del Kosovo è effettiva”, ha commentato in occasione dell’entrata in vigore della liberalizzazione dei visti concordata nel 2023. Lo stesso eurodeputato olandese – che in occasione del via libera dalla sessione plenaria aveva rilasciato un’intervista a Eunews – ha messo in chiaro che il prossimo passo dovrà essere “l’elaborazione della domanda di status di candidato, il Kosovo è Europa”. Il riferimento è alla richiesta di Pristina di aderire all’Unione Europea, presentata ufficialmente il 15 dicembre 2022. Il dossier è però fermo in Consiglio, dove 5 membri ancora non riconoscono la sovranità del Kosovo (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e stanno bloccando i lavori dei Ventisette. A proposito di stalli, la Spagna è l’unico Paese Ue che ha deciso di non riconoscere nemmeno i passaporti nazionali del Kosovo, di fatto non rispettando la decisione delle istituzioni comunitarie di consentire viaggi liberi su tutto il continente per i cittadini kosovari dal primo gennaio.Oltre il Kosovo, gli altri regimi di visti liberiLe decisioni sulla liberalizzazione dei visti per il Kosovo hanno aggiornato i due elenchi annessi al Regolamento del 2018: quello dei ‘Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne’ e quello dei ‘Paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo’. Del primo elenco fanno parte tutti gli Stati del mondo con cui non sono in vigore accordi per la liberalizzazione dei visti, sia quelli per cui il visto è sempre necessario per entrare o transitare in qualsiasi Paese Schengen (Afghanistan, Bangladesh, Eritrea, Etiopia, Ghana, Iran, Iraq, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo e Somalia), sia quelli per cui non è richiesto in tutti i Paesi Schengen. I cittadini di Stati appartenenti a questo elenco devono rispettare le regole nazionali sui visti richieste da ciascun membro Ue o Schengen.Il secondo elenco contiene 64 membri, comprese anche due regioni amministrative speciali della Cina (Hong Kong e Macao) e Taiwan (autorità territoriale non riconosciuta come Stato da tutti i membri Ue). Gli accordi con Bielorussia, Russia e Vanuatu sono stati invece sospesi. Per tutti questi Paesi extra-Ue ed extra-Schengen – come il Kosovo – è prevista l’esenzione dal dover fare richiesta per ottenere il visto d’ingresso per accedere allo spazio Schengen, ovvero l’area che ha abolito le frontiere interne. I cittadini di questi Stati possono utilizzare semplicemente il proprio passaporto nazionale – senza ulteriori requisiti richiesti – per viaggiare e soggiornare fino a 90 giorni (in un periodo complessivo di 180 giorni) nei Paesi Ue e Schengen.Tutti i cittadini dei Paesi membri Ue possono attraversare liberamente le frontiere interne con la propria carta d’identità – anche quelli che non fanno parte dello spazio Schengen, cioè Cipro, Bulgaria, Irlanda e Romania – così come i cittadini dei territori esterni appartenenti ai 27 Paesi Schengen (Groenlandia, Isole Svalbard, Guyana Francese, Nuova Caledonia e altri territori d’oltremare). All’area che ha abolito le frontiere interne aderiscono anche quattro Stati extra-Ue: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. I cittadini di un qualsiasi altro Paese nel mondo solitamente devono fare richiesta di un visto (di lavoro, turistico, di studio), che è l’atto con il quale uno Stato concede a un individuo straniero il permesso di accedere nel proprio territorio. Tuttavia l’Ue ha istituito una politica di visti comune per soggiorni di breve durata, transito nel territorio o negli aeroporti internazionali degli Stati Schengen.Sulla base di una valutazione caso per caso la Commissione può proporre ai co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue una decisione per la liberalizzazione dei visti. La valutazione si basa su una serie di criteri pre-stabiliti: migrazione irregolare, ordine pubblico e sicurezza, vantaggi economici (turismo e commercio estero), diritti umani, libertà fondamentali, implicazioni di coerenza regionale e reciprocità. Le nuove decisioni sull’esenzione devono essere adottate da entrambi i co-legislatori, dopo i negoziati bilaterali con il Paese interessato.

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    Inizia l’annuale tour di von der Leyen nei Balcani Occidentali, a una settimana dal cruciale Pacchetto Allargamento Ue

    Bruxelles – È iniziato in Macedonia del Nord l’ormai tradizionale tour autunnale della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nelle capitali dei Balcani Occidentali e quest’anno il viaggio arriva a pochi giorni dall’appuntamento più atteso dai Paesi che attendono di accedere all’Unione Europea: la pubblicazione del Pacchetto Allargamento da parte dell’esecutivo comunitario, attesa per l’8 novembre. Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – tralasciata solo l’Albania, in cui però la leader della Commissione è stata appena due settimane fa in occasione del vertice dei leader del Processo di Berlino – per una quattro giorni di incontri istituzionali con alcuni punti fissi in agenda: progressi nel percorso di avvicinamento e nei negoziati di adesione Ue, definizione dei punti del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali e freno alle tensioni nella regione.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, a Skopje (30 ottobre 2023)“Ogni volta che von der Leyen fa visita nel Paese, arriva con proposte concrete per l’avvicinamento all’Unione”, si è congratulato il primo ministro macedone, Dimitar Kovačevski, aprendo questa mattina (30 ottobre) la prima delle conferenze stampa della presidente della Commissione Ue nei Balcani Occidentali e facendo riferimento sia al viaggio del 2022 incentrato sul Piano energetico sia a quello odierno sul nuovo Piano di crescita. “L’anno scorso abbiamo affrontato una dura crisi energetica, ma siamo rimasti uniti e abbiamo spostato le montagne“, ha rivendicato von der Leyen: “Vi abbiamo supportato con 80 milioni di euro [su 500 milioni complessivi per l’intera regione, ndr] per respingere l’impatto dei prezzi dell’energia su imprese e famiglie, abbiamo lavorato duramente e abbiamo vinto”. Per la leader Ue “la cosa più importante è che l’abbiamo fatto insieme” e anche nelle discussioni di oggi c’è stato spazio per questo tema: “Dove ci sono sfide, affrontiamole e superiamole insieme“.Oltre all’energia e ai progressi di Skopje nei negoziati per l’adesione Ue – “vogliamo aprire il cluster sui fondamentali, compresi gli emendamenti alla Costituzione” – il vero tema portante è quello economico. “Abbiamo 30 miliardi per il Piano economico e di investimenti che sta dando risultati velocemente”, ma per Bruxelles è necessario “portare più vicine le nostre economie e raddoppiare quelle balcaniche entro il prossimo decennio”. Ecco perché, dopo averlo anticipato a fine maggio e dettagliato a Tirana lo scorso 16 ottobre, la presidente von der Leyen sta facendo il giro delle altre cinque capitali per presentare i quattro pilastri del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali. Il primo riguarda l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, il secondo è legato al completamento del Mercato regionale comune, il terzo si basa sul liberare il pieno potenziale economico attraverso riforme ambiziose e fondamentali sia sullo Stato di diritto sia in materia economica. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: un pacchetto di 6 miliardi di euro – di cui 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi di euro in prestiti – proposto da von der Leyen nell’ambito della revisione intermedia del bilancio Ue.Il tallone d’Achille dei Balcani OccidentaliMa è la seconda tappa del viaggio a mostrare che la strada è più in salita di quanto le parole non riescano a nascondere. A Pristina, dopo aver ripetuto il discorso sul nuovo Piano di crescita per tutta la regione e aver fatto i complimenti alle autorità kosovare per “anni di duro lavoro” che hanno portato alla liberalizzazione dei visti dal primo gennaio 2024 – la maggior parte del discorso di von der Leyen è stata cannibalizzata dal tema più urgente da oltre sei mesi: le tensioni tra Kosovo e Serbia. La presidente della Commissione Ue ha reiterato la condanna all’attacco terroristico dello scorso 24 settembre nel nord del Kosovo – che è “totalmente inaccettabile e si scontra con i valori Ue” – ma in quello che è il momento più basso dei rapporti tra i due Paesi, l’unico modo di mettere a terra tutti i piani di Bruxelles è “solo con la normalizzazione delle relazioni” attraverso il dialogo Pristina-Belgrado.Niente di veramente nuovo in quanto affermato da von der Leyen – che si è attenuta alla dichiarazione dei leader di Francia, Germania, Italia e Ue a margine del Consiglio Europeo di giovedì scorso (26 ottobre) – se non per il fatto di aver pronunciato queste parole proprio in loco. “Il Kosovo deve stabilire un processo per come è stato definito la settimana scorsa, e lo stesso dirò domani in Serbia”, è stata chiara la presidente dell’esecutivo comunitario. In altre parole, la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo e il riconoscimento de facto della sovranità di Pristina da parte della Serbia. I due punti più delicati, da una parte e dall’altra del confine amministrativo, ma “una de-escalation prevede che siano due attori a impegnarsi”, ha ribadito von der Leyen.Dopo aver assicurato che nell’incontro di domani (31 ottobre) a Belgrado con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, “discuterò dei passi necessari per la Serbia” nel garantire ciò che sembra ancora quasi impossibile – il riconoscimento in qualche forma ufficiosa dell’indipendenza del Kosovo – von der Leyen ha esortato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, (e successivamente il premier Albin Kurti) a fare la propria parte per sbloccare l’impasse sull’implementazione della comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. Perché dalla bozza di Statuto “moderno ed europeo” presentato la scorsa settimana per la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo passa quasi tutto: la normalizzazione delle relazioni con Belgrado, l’eliminazione delle misure “temporanee e reversibili” e “l’apertura delle porte al Piano di crescita” anche per Pristina, è l’avvertimento di von der Leyen nel suo ormai consueto ritorno autunnale nella regione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    La presidente della Commissione Europea in visita nelle capitali balcaniche per anticipare i punti più delicati del report che sarà pubblicato l’8 novembre. Focus su negoziati di adesione, nuovo piano di crescita e sul difficile cammino di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo

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    Attacco terroristico contro la polizia nel nord del Kosovo. Borrell a colloquio con il premier Kurti e il leader serbo Vučić

    Bruxelles – È un nuovo picco di tensione, il più grave da fine maggio, se non degli ultimi anni. Un membro della polizia del Kosovo è stato ucciso ieri (24 settembre) nel corso di un attacco terroristico prima dell’occupazione del monastero serbo-ortodosso di Banjska da parte di un commando di una trentina di persone pesantemente armate. E, come tutti i picchi di escalation nella regione, Belgrado e Pristina si sono subito accusate a vicenda per le violenze, costringendo Bruxelles a reagire: “L’Ue e i suoi Stati membri esortano ripetutamente tutti gli attori ad adoperarsi per smorzare la situazione nel nord del Kosovo”, è quanto messo in chiaro dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo un doppio confronto telefonico con il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić.
    Uomini armati presso il monastero serbo-ortodosso di Banjska, Kosovo (24 settembre 2023)
    L’attacco terroristico è iniziato nelle prime ore della giornata di ieri, quando la polizia kosovara è arrivata a Banjska per la segnalazione di un posto di blocco illegale al confine con la Serbia. Gli agenti sono stati attaccati da diverse postazioni che disponevano di un pesante arsenale di armi da fuoco e, dopo aver ucciso un poliziotto e averne feriti altri due, il gruppo armato è entrato nel complesso monastico dove si trovavano pellegrini provenienti dalla città serba di Novi Sad. Per tutta la giornata sono proseguiti gli scontri durante “l’operazione di sgombero” (come è stata definita dalla polizia kosovara), in cui sono morti tre dei terroristi. In serata il ministro degli Affari interni del Kosovo, Xhelal Svecla, ha reso noto che “abbiamo messo questo territorio sotto controllo dopo diverse battaglie consecutive”. Nonostante la polizia kosovara abbia effettuato diversi arresti e abbia sequestrato una grande quantità di armi, non è chiaro se tutti gli attentatori siano stati fermati al termine dell’operazione o se alcuni siano riusciti a fuggire in territorio serbo.
    Il primo ministro kosovaro Kurti ha definito gli attentatori “criminali sponsorizzati dalla Serbia“, affermando che “non si tratta di cittadini normali, ma di professionisti con un background militare e di polizia”, finanziati da Belgrado. Il leader del Kosovo ha anche sottolineato che gli uomini armati si sono spostati su “veicoli senza targhe” kosovare, riferendosi al contrasto mai risolto sul piano per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe sul territorio nazionale. Anche la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, ha dichiarato che il “tentativo di destabilizzazione da parte della Serbia” è stato “orchestrato da bande criminali serbe”. Immediata la reazione del presidente serbo Vučić, che ha accusato Kurti di “mesi di provocazioni” che hanno portato all’attacco armato “assolutamente riprovevole” e di essere “l’unico che vuole i conflitti e la guerra, il desiderio della sua vita è trascinarci in conflitti con la Nato”.
    “Tutti i fatti relativi all’attacco devono essere accertati, i responsabili devono affrontare la giustizia“, è stato il tentativo dell’alto rappresentante Ue Borrell di riportare la calma tra i due partner con cui sta tentando una difficilissima mediazione per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. La missione Eulex dell’Ue, “in qualità di seconda forza di sicurezza, sta monitorando la situazione sul campo ed è pronta a sostenere le istituzioni del Kosovo nel mantenere la stabilità e la sicurezza di tutte le sue comunità”, in linea con il suo mandato e “in stretto coordinamento” con la forza militare internazionale Kfor guidata della Nato: “Il rappresentante speciale dell’Ue per il Kosovo, Tomáš Szuyog, è in stretto contatto con le autorità”, ha precisato Borrell. Nel corso della telefonata con il premier Kurti, l’alto rappresentante Ue ha espresso le condoglianze alla famiglia e ai colleghi dell’agente di polizia “che ha perso la vita in servizio”, mentre in quella con il presidente Vučić ha preso atto della condanna da parte di Belgrado delle azioni terroristiche.
    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    Il circolo di tensione non ancora risolto tra i due Paesi è iniziato lo scorso 26 maggio, con lo scoppio di violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.
    La questione delle tensioni tra Pristina e Belgrado è finita anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i leader Ue hanno condannato “i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo” e hanno chiesto “un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione Europea il 3 giugno 2023″ (riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese). Entrambe le parti sono state invitate a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo“, con la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. A causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo, che prevedono anche la sospensione del lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione. Per eliminare queste misure (“non sanzioni”, come ricorda Bruxelles) è stata concordata il 12 luglio una tabella di marcia con quattro tappe, che Pristina sta implementando ancora a fatica. L’ultima riunione di alto livello a Bruxelles tra Vučić e Kurti lo scorso 14 settembre si è risolta in un nulla di fatto sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, la comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative

    Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

    L’alto rappresentante Ue condanna “l’odioso e vile” attentato nei pressi del monastero di Banjska, che ha provocato la morte di un poliziotto. Bruxelles cerca di contenere la tensione dopo che Pristina ha definito i 30 attentatori (di cui 3 sono stati uccisi) “criminali sponsorizzati dalla Serbia”

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    Il piano per la de-escalation in Kosovo e il ritiro delle misure restrittive Ue sta procedendo molto lentamente

    Bruxelles – Il piano estivo procede, ma non veloce abbastanza per mettere fine alle misure restrittive imposte da Bruxelles quasi due mesi fa. L’Unione Europea “accoglie con favore” i passi in avanti del Kosovo “nella giusta direzione” per la de-escalation della tensione nel nord del Paese, ma “sono necessari altri passi” per far rientrare la situazione alla normalità e riportare le relazioni con Pristina al business as usual. A confermarlo e Eunews è il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, che ha precisato lo stato dell’arte del piano in 4 punti concordato tra l’Unione e il governo kosovaro lo scorso 10 luglio e cosa ancora manca da fare per revocare le misure “temporanee e reversibili” e convocare il prossimo incontro nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’Ue.
    Dopo il primo annuncio a metà luglio di una riduzione del 25 per cento della presenza di forze dell’ordine all’interno e nei pressi dei municipi di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica (nel nord del Kosovo), l’Ue ha accolto positivamente l’annuncio più recente del governo guidato da Albin Kurti di “un’ulteriore riduzione del 25 per cento” delle forze dell’ordine. Una decisione “presa a seguito di un incontro a livello tecnico” tra la polizia kosovara e la missione civile dell’Ue Eulex, “volto a definire parametri comuni per valutare la situazione della sicurezza nei comuni del nord”, ha spiegato Stano. Si tratta dei primi due punti previsti dalla tabella di marcia con le quattro tappe per la de-escalation nel nord e la normalizzazione delle relazioni con la Serbia, concordata un mese fa tra il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il premier Kurti. Queste azioni dovevano essere intraprese a partire dalla prima settimana dall’accordo del 10 luglio e – considerato il fatto che la valutazione con Eulex è “su base continuativa” – si può dire che Pristina abbia fin qui rispettato le richieste.
    Quello che però preoccupa è il mancato allineamento sul terzo punto, quello su cui tutto il processo di revoca delle misure restrittive si sta bloccando. Entro il 17 luglio – e con “finalizzazione il prima possibile” – il governo del Kosovo avrebbe dovuto rilasciare una dichiarazione pubblica sullo “svolgimento di elezioni locali anticipate nei quattro comuni del nord dopo l’estate“, accompagnata dall’impegno a “predisporre la base giuridica necessaria per l’organizzazione” della nuova tornata elettorale anticipata. Al momento questa dichiarazione non è arrivata, anche se la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, martedì (15 agosto) ha dichiarato che “è una questione di giorni” per il completamento degli statuti sulle scadenze e le questioni tecniche che apriranno la strada alla petizione per la destituzione dei quattro sindaci nel nord del Kosovo e all’annuncio di nuove elezioni: “Una volta completati i regolamenti, spetterà ai cittadini decidere se avvalersi o meno di questo diritto“, ha precisato Osmani. Con il terzo punto ancora non implementato, rimane in stallo anche l’ultimo: secondo la tabella di marcia entro il 24 luglio l’Ue avrebbe dovuto invitare i due capi negoziatori di Serbia e Kosovo a Bruxelles per “finalizzare il piano di sequenza dell’Accordo sul percorso di normalizzazione delle relazioni“. Al momento nulla si muove e il portavoce del Seae non si sbottona: “Lo annunceremo al momento opportuno”.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
    Solo con la messa a terra del piano in quattro tappe il Kosovo riuscirà a convincere Bruxelles a ritirare le misure restrittive comunicate a Pristina il 28 giugno per la mancanza di “passi necessari” per la riduzione della tensione nel nord del Paese. Come appreso da Eunews, l’Ue ha temporaneamente sospeso il lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione avviato nel 2016. Sul piano diplomatico i rappresentanti del Kosovo non saranno invitati a eventi di alto livello e saranno sospese le visite bilaterali, fatta eccezione per quelle incentrate sulla risoluzione della crisi nel nord del Kosovo nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue. Dure anche le due decisioni sul piano finanziario: sospesa la programmazione dei fondi per il Kosovonell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024(Strumento di assistenza pre-adesione) e le proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) non sono state sottoposte all’esame del Consiglio di amministrazione riunitosi il 29-30 giugno.
    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.
    La questione delle tensioni tra Pristina e Belgrado è finita anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i leader Ue hanno condannato “i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo” e hanno chiesto “un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione Europea il 3 giugno 2023″ (riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese). Entrambe le parti sono state invitate a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo“, con la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. La soluzione risiede sempre nella ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo), con l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.

    Bruxelles accoglie alcuni “passi nella giusta direzione” da parte di Pristina, come la riduzione della presenza della polizia all’interno e intorno ai quattro municipi nel nord del Kosovo. Ma si attende ancora l’annuncio sulle elezioni anticipate a Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica

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    Un piano per la de-escalation in Kosovo e il ritiro delle misure Ue. Meno polizia al nord ed elezioni locali dopo l’estate

    Bruxelles – Qualcosa si muove a Pristina, dopo le minacce dell’Unione Europea concretizzatesi nelle misure “temporanee e reversibili”, imposte lo scorso 28 giugno contro il governo del Kosovo per la mancanza di “misure necessarie” per la riduzione della tensione nel nord del Paese. Il confronto degli scorsi giorni tra il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, ha portato alla definizione di un piano in quattro tappe che da questa mattina (13 luglio) è già passato alla fase operativa e nel giro di due settimane dovrà portare a risultati concreti e misurabili.
    A rendere noto lo sblocco dello stallo era stato il rappresentante speciale Lajčák lunedì (10 luglio) al termine degli incontri istituzionali con i rappresentanti del governo di Pristina, ma solo ieri (12 luglio) il premier kosovaro ha pubblicato su Twitter la tabella di marcia con le quattro tappe per la de-escalation nel nord e la normalizzazione delle relazioni con la Serbia: “Questo dimostra la nostra volontà di compiere passi concreti per garantire pace, sicurezza e stabilità in Kosovo e nella regione, al servizio della democrazia e dello Stato di diritto”, ha commentato lo stesso Kurti. Le azioni che Pristina deve intraprendere si concentrano tutte nelle prime due settimane dall’accordo del 10 luglio. Nella prima settimana (entro il 17 luglio) il governo del Kosovo deve “annunciare pubblicamente il suo impegno a lavorare per evitare un’escalation della situazione e che non intraprenderà alcuna misura per inasprire la situazione nel nord del Kosovo”, come fatto ieri da Kurti. Questo impegno include soprattutto “un’immediata riduzione del 25 per cento di tutta la presenza della polizia all’interno e nei pressi degli edifici municipali” di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Il graduale ritiro degli agenti di polizia è iniziato questa mattina.
    Come secondo passo a partire dalla settimana 1 e da proseguire poi “su base continuativa” c’è la valutazione “regolare” delle condizioni di sicurezza insieme alla missione civile dell’Ue Eulex e “se dal caso” con la missione Nato Kfor, per “valutare la possibilità di diminuire ulteriormente la presenza della polizia all’interno e nei pressi degli edifici comunali“. Sempre entro il 17 luglio – e con “finalizzazione il prima possibile” – il governo del Kosovo dovrà rilasciare una dichiarazione pubblica “che incoraggia lo svolgimento di elezioni locali anticipate nei quattro comuni del nord dopo l’estate“, accompagnata dall’impegno a “predisporre la base giuridica necessaria per l’organizzazione” della nuova tornata elettorale anticipata. A fronte di questi tre passi compiuti da Pristina, nella seconda settimana (entro il 24 luglio) l’Ue inviterà i due capi negoziatori di Serbia e Kosovo a Bruxelles per “finalizzare il piano di sequenza dell’Accordo sul percorso di normalizzazione delle relazioni” e a quel punto potrà iniziare “l’attuazione di tutte le disposizioni dell’Accordo”. Dopo l’annuncio del premier Kurti l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha accolto “con favore” l’impegno del Kosovo a rispettare l’accordo raggiunto lunedì: “Ci aspettiamo che compia ulteriori passi positivi e continui a progredire in questa direzione”.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (22 giugno 2023)
    Con la messa a terra del piano in quattro tappe il Kosovo dovrebbe riuscire a convincere Bruxelles a ritirare le misure restrittive comunicate a Pristina il 28 giugno. Come appreso da Eunews, l’Ue ha temporaneamente sospeso il lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione avviato nel 2016. Sul piano diplomatico i rappresentanti del Kosovo non saranno invitati a eventi di alto livello e saranno sospese le visite bilaterali, fatta eccezione per quelle incentrate sulla risoluzione della crisi nel nord del Kosovo nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue. Dure anche le due decisioni sul piano finanziario: sospesa la programmazione dei fondi per il Kosovo nell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024 (Strumento di assistenza pre-adesione) e le proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) non sono state sottoposte all’esame del Consiglio di amministrazione riunitosi il 29-30 giugno.
    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.
    La questione delle tensioni tra Pristina e Belgrado è finita anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i leader Ue hanno condannato “i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo” e hanno chiesto “un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione Europea il 3 giugno 2023″ (riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese). Entrambe le parti sono state invitate a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo“, con la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. La soluzione risiede sempre nella ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo), con l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.

    Bruxelles e Pristina hanno concordato le tappe della tabella di marcia per ridurre la tensione tra il governo centrale e la minoranza serbo-kosovara. Già iniziata la riduzione del 25 per cento degli agenti di polizia, atteso a breve l’annuncio per il ritorno anticipato alle urne in quattro comuni