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L’Ue cerca ancora una via d’uscita alla crisi Pristina-Belgrado sull’uso esclusivo dell’euro in Kosovo

Bruxelles – Quando si avvicina la fine del periodo di transizione per l’utilizzo esclusivo dell’euro in Kosovo per i pagamenti ufficiali, la crisi tra Pristina e Belgrado sull’ennesima questione che ha esacerbato i rapporti non ha ancora trovato una soluzione. L’Unione Europea, attraverso il suo rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sta cercando di spingere per cercare una via d’uscita – dopo aver espresso a inizio anno “preoccupazioni” per l’impatto sulla comunità serba in Kosovo – ma per il momento non sembra esserci alcun passo in avanti da parte dei due governi per rimettere il dialogo sui giusti binari.

La riunione tra i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo a Bruxelles nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado mediato dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák (25 marzo 2024)

“Le nostre lunghe discussioni hanno contribuito a chiarire dettagli importanti, la prossima settimana abbiamo concordato di riunirci nuovamente con l’ambizione di trovare una soluzione“, è quanto reso noto ieri (25 marzo) dallo stesso rappresentante speciale Ue al termine della riunione con i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo (rispettivamente Petar Petković e Besnik Bislimi). Lajčák non rinuncia a una visione ottimistica del dialogo Pristina-Belgrado, anche se a un anno dall’accordo di Ohrid c’è molto poco per cui esultare anche per quanto riguarda il confronto sulle “proposte su come procedere per le persone interessate dal Regolamento della Banca centrale del Kosovo sulle operazioni in contanti”.

Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro per le transazioni private, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si sono mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Per permettere alla minoranza serba nel nord del Paese di adattarsi alle nuove disposizioni, il governo di Albin Kurti ha definito un periodo di transizione di tre mesi per l’entrata in vigore delle regole, ha offerto conti bancari in euro gratuiti e ha previsto facilitazioni alla Banca Nazionale di Serbia per la conversione dei dinari in euro. Ma da Belgrado l’unica risposta – oltre al non-riconoscimento della sovranità di Pristina – riguarda la necessità di creare l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, ovvero la comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative (inclusa l’operatività della Banca, della Cassa di risparmio e delle Poste serbe).

Un anno di escalation tra Kosovo e Serbia

Sono passati dieci mesi da quando il 26 maggio 2023 è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)

Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier kosovaro Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.

Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Oltre all’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari, il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.


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