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    L’Ue cerca ancora una via d’uscita alla crisi Pristina-Belgrado sull’uso esclusivo dell’euro in Kosovo

    Bruxelles – Quando si avvicina la fine del periodo di transizione per l’utilizzo esclusivo dell’euro in Kosovo per i pagamenti ufficiali, la crisi tra Pristina e Belgrado sull’ennesima questione che ha esacerbato i rapporti non ha ancora trovato una soluzione. L’Unione Europea, attraverso il suo rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sta cercando di spingere per cercare una via d’uscita – dopo aver espresso a inizio anno “preoccupazioni” per l’impatto sulla comunità serba in Kosovo – ma per il momento non sembra esserci alcun passo in avanti da parte dei due governi per rimettere il dialogo sui giusti binari.

    La riunione tra i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo a Bruxelles nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado mediato dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák (25 marzo 2024)“Le nostre lunghe discussioni hanno contribuito a chiarire dettagli importanti, la prossima settimana abbiamo concordato di riunirci nuovamente con l’ambizione di trovare una soluzione“, è quanto reso noto ieri (25 marzo) dallo stesso rappresentante speciale Ue al termine della riunione con i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo (rispettivamente Petar Petković e Besnik Bislimi). Lajčák non rinuncia a una visione ottimistica del dialogo Pristina-Belgrado, anche se a un anno dall’accordo di Ohrid c’è molto poco per cui esultare anche per quanto riguarda il confronto sulle “proposte su come procedere per le persone interessate dal Regolamento della Banca centrale del Kosovo sulle operazioni in contanti”.Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro per le transazioni private, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si sono mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Per permettere alla minoranza serba nel nord del Paese di adattarsi alle nuove disposizioni, il governo di Albin Kurti ha definito un periodo di transizione di tre mesi per l’entrata in vigore delle regole, ha offerto conti bancari in euro gratuiti e ha previsto facilitazioni alla Banca Nazionale di Serbia per la conversione dei dinari in euro. Ma da Belgrado l’unica risposta – oltre al non-riconoscimento della sovranità di Pristina – riguarda la necessità di creare l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, ovvero la comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative (inclusa l’operatività della Banca, della Cassa di risparmio e delle Poste serbe).Un anno di escalation tra Kosovo e SerbiaSono passati dieci mesi da quando il 26 maggio 2023 è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier kosovaro Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Oltre all’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari, il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    A un anno dall’accordo di Ohrid è scarso l’impegno di Kosovo e Serbia per l’implementazione

    Bruxelles – È passato un anno, ma i rapporti tra Kosovo e Serbia non sono migliorati. Al contrario. “È deplorevole che, nonostante gli sforzi profusi dall’Ue e dalla più ampia comunità internazionale, i progressi compiuti dal Kosovo e dalla Serbia nell’attuazione degli obblighi assunti con l’Accordo di Ohrid siano stati finora molto limitati“, è il secco commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sul primo anniversario di quello che – il 18 marzo 2023 – veniva considerato un punto di svolta assolutamente positiva per la regione balcanica e per la risoluzione delle controversie tra Pristina e Belgrado.

    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Nelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, un anno fa era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Accordo e relativo allegato di attuazione sono diventati così parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue dei due Paesi balcanici, rendendo di fatto vincolante l’implementazione di tutte le misure messe nero su bianco. “L’Ue ha ricordato più volte che l’Accordo è vincolante nella sua interezza ai sensi del diritto internazionale”, ha ricordato Borrell, ribadendo che “la mancata attuazione non solo mette a rischio l’integrazione europea delle parti, ma danneggia anche la loro reputazione di partner credibili e affidabili“.A oggi non si registrano progressi se non su quei tre elementi già menzionati nell’ultima riunione di alto livello a Bruxelles il 14 settembre dello scorso anno nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. “È giunto il momento per il Kosovo e la Serbia di interrompere l’attuale circolo vizioso di crisi e tensioni e di entrare in una nuova era, quella europea“, ha continuato l’affondo l’alto rappresentante Ue, rilanciando il dialogo di alto livello con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti: “Ci aspettiamo che i leader diano prova di responsabilità, visione e leadership facendo progressi nell’attuazione senza ulteriori ritardi”.L’annus horribilis tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Inizia l’annuale tour di von der Leyen nei Balcani Occidentali, a una settimana dal cruciale Pacchetto Allargamento Ue

    Bruxelles – È iniziato in Macedonia del Nord l’ormai tradizionale tour autunnale della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nelle capitali dei Balcani Occidentali e quest’anno il viaggio arriva a pochi giorni dall’appuntamento più atteso dai Paesi che attendono di accedere all’Unione Europea: la pubblicazione del Pacchetto Allargamento da parte dell’esecutivo comunitario, attesa per l’8 novembre. Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – tralasciata solo l’Albania, in cui però la leader della Commissione è stata appena due settimane fa in occasione del vertice dei leader del Processo di Berlino – per una quattro giorni di incontri istituzionali con alcuni punti fissi in agenda: progressi nel percorso di avvicinamento e nei negoziati di adesione Ue, definizione dei punti del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali e freno alle tensioni nella regione.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, a Skopje (30 ottobre 2023)“Ogni volta che von der Leyen fa visita nel Paese, arriva con proposte concrete per l’avvicinamento all’Unione”, si è congratulato il primo ministro macedone, Dimitar Kovačevski, aprendo questa mattina (30 ottobre) la prima delle conferenze stampa della presidente della Commissione Ue nei Balcani Occidentali e facendo riferimento sia al viaggio del 2022 incentrato sul Piano energetico sia a quello odierno sul nuovo Piano di crescita. “L’anno scorso abbiamo affrontato una dura crisi energetica, ma siamo rimasti uniti e abbiamo spostato le montagne“, ha rivendicato von der Leyen: “Vi abbiamo supportato con 80 milioni di euro [su 500 milioni complessivi per l’intera regione, ndr] per respingere l’impatto dei prezzi dell’energia su imprese e famiglie, abbiamo lavorato duramente e abbiamo vinto”. Per la leader Ue “la cosa più importante è che l’abbiamo fatto insieme” e anche nelle discussioni di oggi c’è stato spazio per questo tema: “Dove ci sono sfide, affrontiamole e superiamole insieme“.Oltre all’energia e ai progressi di Skopje nei negoziati per l’adesione Ue – “vogliamo aprire il cluster sui fondamentali, compresi gli emendamenti alla Costituzione” – il vero tema portante è quello economico. “Abbiamo 30 miliardi per il Piano economico e di investimenti che sta dando risultati velocemente”, ma per Bruxelles è necessario “portare più vicine le nostre economie e raddoppiare quelle balcaniche entro il prossimo decennio”. Ecco perché, dopo averlo anticipato a fine maggio e dettagliato a Tirana lo scorso 16 ottobre, la presidente von der Leyen sta facendo il giro delle altre cinque capitali per presentare i quattro pilastri del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali. Il primo riguarda l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, il secondo è legato al completamento del Mercato regionale comune, il terzo si basa sul liberare il pieno potenziale economico attraverso riforme ambiziose e fondamentali sia sullo Stato di diritto sia in materia economica. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: un pacchetto di 6 miliardi di euro – di cui 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi di euro in prestiti – proposto da von der Leyen nell’ambito della revisione intermedia del bilancio Ue.Il tallone d’Achille dei Balcani OccidentaliMa è la seconda tappa del viaggio a mostrare che la strada è più in salita di quanto le parole non riescano a nascondere. A Pristina, dopo aver ripetuto il discorso sul nuovo Piano di crescita per tutta la regione e aver fatto i complimenti alle autorità kosovare per “anni di duro lavoro” che hanno portato alla liberalizzazione dei visti dal primo gennaio 2024 – la maggior parte del discorso di von der Leyen è stata cannibalizzata dal tema più urgente da oltre sei mesi: le tensioni tra Kosovo e Serbia. La presidente della Commissione Ue ha reiterato la condanna all’attacco terroristico dello scorso 24 settembre nel nord del Kosovo – che è “totalmente inaccettabile e si scontra con i valori Ue” – ma in quello che è il momento più basso dei rapporti tra i due Paesi, l’unico modo di mettere a terra tutti i piani di Bruxelles è “solo con la normalizzazione delle relazioni” attraverso il dialogo Pristina-Belgrado.Niente di veramente nuovo in quanto affermato da von der Leyen – che si è attenuta alla dichiarazione dei leader di Francia, Germania, Italia e Ue a margine del Consiglio Europeo di giovedì scorso (26 ottobre) – se non per il fatto di aver pronunciato queste parole proprio in loco. “Il Kosovo deve stabilire un processo per come è stato definito la settimana scorsa, e lo stesso dirò domani in Serbia”, è stata chiara la presidente dell’esecutivo comunitario. In altre parole, la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo e il riconoscimento de facto della sovranità di Pristina da parte della Serbia. I due punti più delicati, da una parte e dall’altra del confine amministrativo, ma “una de-escalation prevede che siano due attori a impegnarsi”, ha ribadito von der Leyen.Dopo aver assicurato che nell’incontro di domani (31 ottobre) a Belgrado con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, “discuterò dei passi necessari per la Serbia” nel garantire ciò che sembra ancora quasi impossibile – il riconoscimento in qualche forma ufficiosa dell’indipendenza del Kosovo – von der Leyen ha esortato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, (e successivamente il premier Albin Kurti) a fare la propria parte per sbloccare l’impasse sull’implementazione della comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. Perché dalla bozza di Statuto “moderno ed europeo” presentato la scorsa settimana per la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo passa quasi tutto: la normalizzazione delle relazioni con Belgrado, l’eliminazione delle misure “temporanee e reversibili” e “l’apertura delle porte al Piano di crescita” anche per Pristina, è l’avvertimento di von der Leyen nel suo ormai consueto ritorno autunnale nella regione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    La presidente della Commissione Europea in visita nelle capitali balcaniche per anticipare i punti più delicati del report che sarà pubblicato l’8 novembre. Focus su negoziati di adesione, nuovo piano di crescita e sul difficile cammino di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo

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    Il dialogo Pristina-Belgrado è incagliato sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo

    Bruxelles – Un compromesso fallito, almeno per il momento. Perché la partita a scacchi che l’Ue sta giocando contemporaneamente con il Kosovo e con la Serbia – complessa, lunga e a tratti estenuante – va impostata sulla costanza e sull’uso bilanciato di promesse, minacce e ricompense, accettando qualche passo falso. Ma abbandonare il tavolo non è possibile, o si rischia di abbandonare a se stessa una regione in cui solo 25 anni fa è andato in scena uno dei conflitti etnici più violenti della recente storia europea. “Il tempo sta scadendo e alla fine quelli che soffrono di più per l’incapacità dei loro leader di rispettare la parola data sono proprio i cittadini” di Serbia e Kosovo, è il duro commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine dell’ultimo round di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado: “È una cosa particolarmente grave in un momento, poi, in cui l’Ue procede verso l’allargamento ed entrambi i leader dichiarano di voler essere membri dell’Unione, Serbia e Kosovo rischiano di essere lasciati indietro“.
    È questo il riassunto di una giornata di colloqui complessi oggi (14 settembre) a Bruxelles – alla presenza del presidente serbo, Aleksandar Vučić, e del primo ministro kosovaro, Albin Kurti – con il focus sull’implementazione dell’accordo per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paese balcanici, dopo l’ultimo incontro di quasi tre mesi fa occupato dalla crisi nel nord del Kosovo. “È da un anno che abbiamo iniziato le discussioni e sei mesi da quando le abbiamo finalizzate”, ha ricordato Borrell, con riferimento all’accordo di Bruxelles del 27 febbraio (che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo) e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo. A oggi “solo tre elementi sono stati affrontati“, ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Ma è proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. L’implementazione del “punto più sostanziale” dell’intesa raggiunta tra febbraio e marzo “non è ancora iniziata e parla chiaro sull’impegno delle parti per normalizzare le relazioni, o meglio sull’assenza di impegno“, è il duro commento dell’alto rappresentante Borrell: “L’assenza di azione è una violazione dei rispettivi obblighi e promesse”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (14 settembre 2023)
    L’istituzione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo “è un vecchio obbligo per le parti ed é sempre stato un elemento-chiave per il processo di normalizzazione delle relazioni”. Il fallimento di oggi è legato ai “ripetuti sforzi per un compromesso”, rispetto a due interlocutori “partiti dagli estremi opposti”. Il presidente serbo “vuole l’istituzione dell’Associazione prima di impegnarsi nei suoi obblighi”, mentre il premier kosovaro “parte prima dagli aspetti politici”, ovvero la “formalizzazione del riconoscimento de facto” della sovranità del suo Paese (che ha dichiarato l’indipendenza unilaterale da Belgrado nel 2008). È per questo motivo che l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, hanno proposto “quello che consideriamo l’unico e migliore compromesso possibile a oggi” secondo Bruxelles e i partner statunitensi: un processo che permetta di “portare avanti le due istanze in parallelo”. Do ut des, senza progressi da una parte non si procede dall’altra. Mentre il presidente Vučić “ha accettato la proposta” – anche se arrivato a Bruxelles con una sua – “sfortunatamente dopo un lungo incontro il premier Kurti non era pronto per procedere“, ha spiegato Borrell: “Abbiamo provato con forza, ma non siamo riusciti a superare le differenze”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (14 settembre 2023)
    Tutto questo ha un impatto concreto sul campo. “Non c’è stato nessun progresso sulle tensioni nel nord del Kosovo“, ha tagliato corto l’alto rappresentante Ue, ribadendo che “entrambe le parti devono prendere misure decise per evitare un’ulteriore escalation e permettere che nuove elezioni locali si svolgano immediatamente”. Proprio sulle controverse elezioni in quattro comuni – Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica – si è soffermato il capo della diplomazia comunitaria: “Non possiamo rimanere seduti ad aspettare un’altra crisi, le nuove elezioni possono passare sia dalle dimissioni dei sindaci sia dalla raccolta di firme da parte dei cittadini“. Mentre il governo di Pristina si sta indirizzando verso la seconda via – “più lenta e non certa” – da Bruxelles l’indicazione è chiara: “Le dimissioni sono il modo più rapido e migliore per permettere nuove elezioni”. Allo stesso tempo “i cittadini serbo-kosovari devono mostrare uno spirito costruttivo e impegnarsi in modo incondizionato al processo elettorale“, ovvero – rispetto a quanto accaduto ad aprile – “devono partecipare, altrimenti quanto fatto sarebbe senza scopo”. Il rischio di uno slittamento dell’appuntamento elettorale ripetuto è “una nuova escalation che continuerà a incombere” sulla delicatissima partita a scacchi dell’Ue con la Serbia e con il Kosovo.
    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Il circolo di tensione non ancora risolto tra i due Paesi è iniziato lo scorso 26 maggio, con lo scoppio di violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.
    La questione delle tensioni tra Pristina e Belgrado è finita anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i leader Ue hanno condannato “i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo” e hanno chiesto “un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione Europea il 3 giugno 2023″ (riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese). Entrambe le parti sono state invitate a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo“, con la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. A causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo, che prevedono anche la sospensione del lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione. Per eliminare queste misure (“non sanzioni”, come ricorda Bruxelles) è stata concordata il 12 luglio una tabella di marcia con quattro tappe, che Pristina sta implementando ancora a fatica.
    Come si è arrivati a questo complesso 2023
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, con le nuove targhe l’immatricolazione di tutti i veicoli nel Paese (credits: Afp)
    Ricostruire le tensioni tra Serbia e Kosovo è come affrontare un domino. Per ogni tessera caduta bisogna risalire a quella precedente, caduta a sua volta per colpa di un’altra più dietro. Dopo le due riunioni estive del 2021 tra il premier Kurti e il presidente Vučić a Bruxelles mediate dall’Ue, a metà settembre dello stesso anno è scoppiata per la prima volta nel nord del Kosovo la cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘ tra i due Paesi, scatenata dalla decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. La questione è stata momentaneamente risolta grazie alla mediazione Ue, ma l’assenza di una soluzione definitiva ha poi infiammato la seconda metà del 2022. A fine luglio sono comparsi blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara e due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles non hanno portato a nessuno sbocco politico.
    La situazione si è però aggravata ancora di più il 5 novembre, con le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali in protesta contro il piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe e contro quella che Lista Srpska ha definito una “violazione del diritto internazionale e dell’Accordo di Bruxelles” del 2013. Tra i dimissionari c’erano anche i sindaci di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavić e per questo motivo si è reso necessario tornare alle urne nelle quattro città: in programma inizialmente per il 18 dicembre, sono state poi rinviate al 23 aprile. Parallelamente è stata raggiunta una soluzione di compromesso sulle targhe nella notte tra il 23 e il 24 novembre tra il leader serbo e quello kosovaro, anche se prima del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre a Tirana si è registrato un altro episodio di tensione politica tra Pristina e Belgrado, sempre legata alla questione del nord del Kosovo.
    Le barricate ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo a dicembre 2022
    Il presidente serbo ha minacciato di boicottare il vertice di Tirana a causa della nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro: Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska il cui leader, Goran Rakić, si è dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese a inizio novembre. A pochi giorni dal vertice Ue-Balcani Occidentali, il 2022 si è chiuso con una nuova escalation di tensione ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per sopperire alla mancanza di agenti dimessisi sempre a novembre. Le barricate delle frange serbo-kosovare più estremiste sono state smantellate solo dopo alcune settimane grazie allo sforzo diplomatico dei partner europei e statunitensi. L’appuntamento alla nuova crisi doveva attendere solo cinque mesi.

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    Nulla di fatto al nuovo round di colloqui di alto livello mediato dall’alto rappresentante Ue, Josep Borrell. Scontro tra il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che vuole l’immediata istituzione della comunità, e il premier kosovaro, Albin Kurti, che esige prima il riconoscimento de-facto

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    “Obiettivo allargamento e rafforzamento dell’Ue”. Bruxelles ribadisce la duplice linea nel confronto con i Paesi partner

    Bruxelles – Un incontro informale per ribadire che la strada dei Paesi che hanno fatto richiesta di adesione è tracciata verso l’ingresso, ma che l’allargamento Ue è legato in ogni caso al rafforzamento dell’Unione stessa. Le modalità per renderlo realtà sono tutte da tracciare – considerate anche le difficoltà nel ragionare sulla riforma dei Trattati – ma per il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, è fuori discussione che “l’obiettivo non è solo l’allargamento, ma anche il rafforzamento dell’Ue“. È il riassunto di una cena informale svoltasi ieri sera (21 agosto) ad Atene per iniziativa del premier greco, Kyriakos Mitsotakis, a 20 anni dal vertice di Salonicco in cui per la prima volta veniva messa nero su bianco l’inevitabilità della strada verso l’adesione Ue dei Balcani Occidentali. Con lo scoppio della guerra russa in Ucraina altri tre Paesi attendono lo stesso destino, ma gli ultimi due decenni e tre allargamenti hanno messo in luce la necessità per l’Unione di riorganizzarsi e rinnovarsi.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis, ad Atene (21 agosto 2023)
    “Il dibattito sull’allargamento è molto vivo e dobbiamo sfruttare questo slancio“, ha messo in chiaro lo stesso Michel al termine dell’incontro con i leader di Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Moldova e Ucraina, oltre a quelli di quattro Paesi membri Ue interessati da vicino dal processo: Bulgaria, Croazia, Romania e Slovenia. Come spiegano fonti Ue, i punti principali emersi durante la cena hanno riguardato il sostegno “incrollabile” alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche l’allargamento Ue stesso, considerato “una strada a doppio senso” in cui i Paesi candidati “devono riformarsi” ma anche l’Ue “deve prepararsi” a questi ingressi. Un riferimento implicito al difficilissimo tema della riforma dei Trattati e del superamento del voto all’unanimità in seno al Consiglio, per ampliare le aree in cui si vota a maggioranza qualificata anche su politica estera e fiscalità. Parallelamente “l’allargamento rimane una priorità assoluta per l’Ue, uno strumento forte per promuovere la pace, la sicurezza e la prosperità nel nostro continente”, ha ribadito Michel: “Dobbiamo trovare la strada da percorrere per trasformare questa visione dell’Europa in realtà“.
    Diversi i temi sul tavolo ad Atene. Le stesse fonti Ue fanno riferimento alle discussioni volte a risolvere le controversie bilaterali, “in particolare quelle relative ai diritti delle minoranze”. Anche se non esplicitata, la questione ha riguardato più di recente i rapporti tra Grecia e Albania, il cui premier Edi Rama non è stato invitato ieri per le tensioni causate dalla detenzione dallo scorso 14 maggio del sindaco di etnia greca della città albanese Himarë, Fredi Beleri. Il primo cittadino della cittadina costiera è stato arrestato per una presunta compravendita di voti e da tre mesi è in atto un braccio di ferro diplomatico tra il governo Rama e il governo Mitsotakis: il primo accusa Atene di voler influenzare un’indagine indipendente, il secondo punta il dito contro Tirana per quella che considera una detenzione motivata politicamente. A proposito di controversie bilaterali, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, si è congratulata con il premier macedone, Dimitar Kovačevski, per la presentazione degli emendamenti costituzionali in Parlamento sulle minoranze etniche nel Paese: “Spero che tutti i partiti lo sostengano per far progredire il percorso europeo della Macedonia del Nord“.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ad Atene (21 agosto 2023)
    Un altro tema caldo ad Atene è stato quello delle tensioni tra Kosovo e Serbia e la ripresa del dialogo mediato da Bruxelles. La numero uno dell’esecutivo comunitario ha discusso con entrambi i leader – il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić – sulla necessità di “un impegno costruttivo per smorzare la situazione nel nord del Kosovo” dopo gli scontri violenti di fine maggio e i continui scontri diplomatici di giugno. La presidente von der Leyen ha chiesto in particolare al premier Kurti di “attuare gli accordi sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia” come parte del piano per la de-escalation concordato con Bruxelles. Con il presidente Vučić si è invece concentrata sui “progressi della Serbia nel suo percorso verso l’Ue”, in particolare sull’integrazione e l’allineamento delle due parti “di fronte alla guerra russa contro l’Ucraina“. E proprio a proposito del sostegno a Kiev, von der Leyen ha discusso ad Atene con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sia del “continuo sostegno” – che ha visto ad Atene nuovi confronti sugli F-16 – sia dell’assistenza economica e del lavoro per “portare il grano ucraino sui mercati mondiali”. Ultimo, ma non per importanza il percorso di adesione Ue di Kiev, a meno di due mesi dalla pubblicazione dell’annuale Pacchetto di allargamento Ue (sulla base della presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme in Ucraina, Moldova e Georgia).
    A che punto è l’allargamento Ue
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione presentate dai tre Paesi richiedenti, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue.
    Prima di dare il via libera formale, un mese più tardi (8 aprile) a Kiev la presidente dell’esecutivo comunitario von der Leyen ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione. Lo stesso ha fatto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’11 aprile. Meno di settanta giorni dopo, il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio di quest’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.

    Ad Atene è andata in scena la cena informale tra i vertici delle istituzioni comunitarie e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova. Per il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il dibattito sull’adesione di nuovi membri “è molto vivo e dobbiamo sfruttare questo slancio”

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    Un piano per la de-escalation in Kosovo e il ritiro delle misure Ue. Meno polizia al nord ed elezioni locali dopo l’estate

    Bruxelles – Qualcosa si muove a Pristina, dopo le minacce dell’Unione Europea concretizzatesi nelle misure “temporanee e reversibili”, imposte lo scorso 28 giugno contro il governo del Kosovo per la mancanza di “misure necessarie” per la riduzione della tensione nel nord del Paese. Il confronto degli scorsi giorni tra il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, ha portato alla definizione di un piano in quattro tappe che da questa mattina (13 luglio) è già passato alla fase operativa e nel giro di due settimane dovrà portare a risultati concreti e misurabili.
    A rendere noto lo sblocco dello stallo era stato il rappresentante speciale Lajčák lunedì (10 luglio) al termine degli incontri istituzionali con i rappresentanti del governo di Pristina, ma solo ieri (12 luglio) il premier kosovaro ha pubblicato su Twitter la tabella di marcia con le quattro tappe per la de-escalation nel nord e la normalizzazione delle relazioni con la Serbia: “Questo dimostra la nostra volontà di compiere passi concreti per garantire pace, sicurezza e stabilità in Kosovo e nella regione, al servizio della democrazia e dello Stato di diritto”, ha commentato lo stesso Kurti. Le azioni che Pristina deve intraprendere si concentrano tutte nelle prime due settimane dall’accordo del 10 luglio. Nella prima settimana (entro il 17 luglio) il governo del Kosovo deve “annunciare pubblicamente il suo impegno a lavorare per evitare un’escalation della situazione e che non intraprenderà alcuna misura per inasprire la situazione nel nord del Kosovo”, come fatto ieri da Kurti. Questo impegno include soprattutto “un’immediata riduzione del 25 per cento di tutta la presenza della polizia all’interno e nei pressi degli edifici municipali” di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Il graduale ritiro degli agenti di polizia è iniziato questa mattina.
    Come secondo passo a partire dalla settimana 1 e da proseguire poi “su base continuativa” c’è la valutazione “regolare” delle condizioni di sicurezza insieme alla missione civile dell’Ue Eulex e “se dal caso” con la missione Nato Kfor, per “valutare la possibilità di diminuire ulteriormente la presenza della polizia all’interno e nei pressi degli edifici comunali“. Sempre entro il 17 luglio – e con “finalizzazione il prima possibile” – il governo del Kosovo dovrà rilasciare una dichiarazione pubblica “che incoraggia lo svolgimento di elezioni locali anticipate nei quattro comuni del nord dopo l’estate“, accompagnata dall’impegno a “predisporre la base giuridica necessaria per l’organizzazione” della nuova tornata elettorale anticipata. A fronte di questi tre passi compiuti da Pristina, nella seconda settimana (entro il 24 luglio) l’Ue inviterà i due capi negoziatori di Serbia e Kosovo a Bruxelles per “finalizzare il piano di sequenza dell’Accordo sul percorso di normalizzazione delle relazioni” e a quel punto potrà iniziare “l’attuazione di tutte le disposizioni dell’Accordo”. Dopo l’annuncio del premier Kurti l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha accolto “con favore” l’impegno del Kosovo a rispettare l’accordo raggiunto lunedì: “Ci aspettiamo che compia ulteriori passi positivi e continui a progredire in questa direzione”.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (22 giugno 2023)
    Con la messa a terra del piano in quattro tappe il Kosovo dovrebbe riuscire a convincere Bruxelles a ritirare le misure restrittive comunicate a Pristina il 28 giugno. Come appreso da Eunews, l’Ue ha temporaneamente sospeso il lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione avviato nel 2016. Sul piano diplomatico i rappresentanti del Kosovo non saranno invitati a eventi di alto livello e saranno sospese le visite bilaterali, fatta eccezione per quelle incentrate sulla risoluzione della crisi nel nord del Kosovo nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue. Dure anche le due decisioni sul piano finanziario: sospesa la programmazione dei fondi per il Kosovo nell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024 (Strumento di assistenza pre-adesione) e le proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) non sono state sottoposte all’esame del Consiglio di amministrazione riunitosi il 29-30 giugno.
    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.
    La questione delle tensioni tra Pristina e Belgrado è finita anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i leader Ue hanno condannato “i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo” e hanno chiesto “un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione Europea il 3 giugno 2023″ (riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese). Entrambe le parti sono state invitate a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo“, con la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. La soluzione risiede sempre nella ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo), con l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.

    Bruxelles e Pristina hanno concordato le tappe della tabella di marcia per ridurre la tensione tra il governo centrale e la minoranza serbo-kosovara. Già iniziata la riduzione del 25 per cento degli agenti di polizia, atteso a breve l’annuncio per il ritorno anticipato alle urne in quattro comuni

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    Che cosa implicano le misure “temporanee e reversibili” (e non trasparenti) della Commissione Ue contro il Kosovo

    Bruxelles – Non una comunicazione, non una nota, non una pubblicazione scritta. Le misure “temporanee e reversibili” – perché la Commissione Europea è attenta che nessuno le chiami sanzioni – contro il Kosovo sono tutto fuorché trasparenti e solo analizzando pazientemente le parole dei funzionari e mettendo in fila i commenti rilasciati dai portavoce si può arrivare a ricostruire a grandi linee di cosa si tratta nel concreto. E di come l’azione di Bruxelles abbia un peso specifico – che va ben oltre le sole parole e minacce – al momento concentrato quasi solo su Pristina.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (22 giugno 2023)
    “La Commissione adotterà una serie di misure che saranno comunicate formalmente nel corso della settimana”, aveva annunciato martedì scorso (27 giugno) il direttore generale di Dg Near (direzione generale della Commissione responsabile per la Politica di vicinato e negoziati di allargamento), Gert Jan Koopman, nel corso di un’audizione alla commissione per gli Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue. Misure comunicate effettivamente il 28 giugno al Kosovo – come ha reso noto a Eunews il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano – ma che non sono in nessun modo disponibili sul sito dell’esecutivo comunitario per la consultazione pubblica. “Voglio sottolineare molto chiaramente che non prendiamo queste azioni alla leggera e che devono essere viste come temporanee e reversibili, a seconda dei passi credibili, decisivi e tempestivi che ci aspettiamo che le autorità del Kosovo compiano per smorzare la situazione” nel nord del Paese, aveva affermato lo stesso Koopman, senza scendere nei dettagli con gli eurodeputati.
    È il portavoce del Seae a tratteggiare quanto è stato messo in atto contro il Kosovo per fare pressione su Pristina e arrivare a una de-escalation della situazione dopo lo scoppio delle violente proteste di fine maggio e le conseguenze socio-politiche del mese successivo. “Purtroppo il Kosovo non ha ancora preso le misure necessarie” richieste dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel corso riunione di emergenza a Bruxelles del 22 giugno, ed è per questo che Bruxelles è passata all’azione (coercitiva). Prima di tutto l’Ue ha “temporaneamente sospeso il lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione” avviato nel 2016, mentre sul piano diplomatico i rappresentanti del Kosovo “non saranno invitati a eventi di alto livello” e saranno sospese le visite bilaterali, “fatta eccezione per quelle incentrate sulla risoluzione della crisi nel nord del Kosovo nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue”, precisa Stano. Dure anche le due decisioni sul piano finanziario: sospesa la programmazione dei fondi per il Kosovo nell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024 (Strumento di assistenza pre-adesione) e le proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) “non sono state sottoposte all’esame del Consiglio di amministrazione” riunitosi il 29-30 giugno.
    “Queste misure sono temporanee e completamente reversibili, a seconda degli sviluppi sul campo e delle decisioni di attenuazione prese dal primo ministro Kurti”, continuano a ripetere dal Berlaymont. Se al momento l’azione di pressione diplomatica si sta concentrando prevalentemente su Pristina, nemmeno Belgrado è esentata dal rispetto delle richieste di Bruxelles: “Stiamo monitorando attentamente e siamo pronti ad adottare misure contro la Serbia in caso di inadempienza“, ha spiegato sempre il portavoce del Seae parlando con Eunews. Lo stesso avvertimento è stato lanciato oggi (5 luglio) dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, in visita al presidente serbo, Aleksandar Vučić, nel corso della sua due-giorni tra Serbia e Kosovo per spingere il dialogo tra i due Paesi. La Serbia deve esentarsi dall’appoggiare i manifestanti violenti nel nord del Kosovo e di interferire in modo indiretto con la sicurezza del Paese vicino, anche attraverso l’aumento delle accuse e della retorica incendiaria contro Pristina.
    Cosa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.
    Proprio mentre il direttore di Dg Near Koopman informava gli eurodeputati sulle misure previste contro il Kosovo, l’alto rappresentante Borrell ha messo in guardia che “gli Stati membri stanno perdendo la pazienza davanti a una situazione che continua a deteriorarsi“. La questione delle tensioni tra Pristina e Belgrado è finita anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i leader Ue hanno condannato “i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo” e hanno chiesto “un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione Europea il 3 giugno 2023″ (riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese). Entrambe le parti sono state invitate a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo“, con la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. La soluzione risiede sempre nella ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo), con l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.

    A causa della mancanza di “azioni necessarie” da parte di Pristina per diminuire la tensione nel nord del Paese, l’esecutivo comunitario ha deciso di sospendere “temporaneamente” le visite bilaterali, i fondi Ipa 2024 e il lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione

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    Prima del Consiglio Ue von der Leyen sente i leader di Kosovo e Serbia. Borrell: “Stati membri stanno perdendo la pazienza”

    Bruxelles – Scende in campo la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per cercare di dare il colpo definitivo ai rischi dell’aumento delle tensioni tra Kosovo e Serbia. “Ho sottolineato l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo facilitato dall’Ue sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia”, ha reso noto oggi (27 giugno) in un tweet la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario dopo la telefonata con il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e poco prima di fare lo stesso con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. Colloqui che arrivano alla vigilia del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue troveranno anche la questione delle violenze degli ultimi mesi nel nord del Kosovo e della tensione tra Pristina e Belgrado sul tavolo delle discussioni.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (27 giugno 2023)
    È la seconda volta che la presidente von der Leyen affronta la questione da quando il 26 maggio sono scoppiate le violente proteste nel nord del Kosovo che hanno portato a un aggravamento della situazione nella regione. “Le recenti tensioni sono preoccupanti, mi associo agli appelli rivolti a tutte le parti ad abbandonare lo scontro e ad adottare misure urgenti per ristabilire la calma“, aveva messo in chiaro la leader della Commissione presentando il nuovo piano di crescita per i Balcani Occidentali lo scorso 31 maggio. Da allora però è passato quasi un mese e sono stati pochi i segnali di riduzione delle provocazioni tra Pristina e Belgrado. Ma – come ha messo in chiaro l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in un punto stampa con il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, al termine dell’incontro di oggi – “gli Stati membri stanno perdendo la pazienza davanti a una situazione che continua a deteriorarsi“. Della questione i 27 governi ne hanno discusso ieri (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri, trovandosi d’accordo sul fatto che “le parti devono permettere la de-escalation della situazione e trovare una via basata sulla tabella di marcia proposta loro la settimana scorsa” alla riunione di emergenza a Bruxelles.
    A proposito delle discussioni a livello Ue, saranno proprio i 27 capi di Stato e di governo ad affrontare direttamente la questione tra giovedì e venerdì. Come emerge dall’ultima bozza delle conclusioni visionata da Eunews, il Consiglio Europeo “condanna i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo e chiede un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione europea il 3 giugno 2023″, in riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese. La specifica sulla data è una novità rispetto alla prima versione delle conclusioni, ma non è l’unica. Spicca in particolare l’esortazione a entrambe le parti a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo” (Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica), mentre rimane la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. Uguale il passaggio sulla necessità della ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo). Ma nell’ultima bozza è stato incluso anche l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.
    L’arresto/sequestro di tre poliziotti kosovari dai servizi di sicurezza serbi nell’area di confine tra Serbia e Kosovo (14 giugno 2023)
    Anche il premier albanese Rama da Bruxelles ha messo in guardia sugli “effetti devastanti che un’ulteriore deterioramento della situazione potrebbe avere non solo in Kosovo e Serbia, ma in tutta la regione” dei Balcani Occidentali. Parole di soddisfazione sono state rivolte a Belgrado per aver risolto l’ultimo episodio di tensione – la liberazione di ieri dei tre poliziotti kosovari arrestati/rapiti dalle forze di sicurezza serbe il 14 giugno – ma “ora è tempo per una de-escalation urgente e immediata”, ha rimarcato il primo ministro: “Questa situazione non può impattare in modo negativo la regione, abbiamo molto da fare dopo tanti progressi, non può cadere tutto come un castello di sabbia”. Ecco perché l’idea condivisa da Tirana è quella di “una conferenza di massimo livello con Ue e Stati Uniti, che porti i leader dei due Paesi allo stesso tavolo“, è quanto avanzato da Rama. Da quel tavolo il premier Kurti e il presidente Vučić “non devono andarsene prima di aver trovato un accordo, altrimenti rischieranno di incorrere in conseguenze negative e spiacevoli per tutti”.
    Cosa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma la tensione tra Pristina e Belgrado rimane ancora alta e per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.

    La presidente della Commissione Ue ha telefonato al premier kosovaro, Albin Kurti, e al presidente serbo, Aleksandar Vučić, per ribadire “l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo”. Nella bozze di conclusioni del vertice dei leader Ue inserito un punto specifico