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    È stato sospeso il restauro con fondi UE della casa di un collaborazionista nazista in Kosovo dopo le proteste

    Bruxelles – Tutto fermo, nessuna mano di bianco sulla storia. Sono bastati due giorni di polemiche – nonostante le spiegazioni sui motivi e i principi ineccepibili alla base del progetto – per bloccare il programma di restauro della casa di Xhafer Ibrahim Deva, collaborazionista ai tempi dell’Albania occupata dal regime nazista, con l’utilizzo di fondi dell’Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNPD) e della rappresentanza UE in Kosovo.
    A causa delle proteste della società civile, dell’ambasciatore tedesco in Kosovo, Jörn Rohde, e della relatrice per il Kosovo al Parlamento UE, Viola von Cramon-Taubadel, UNDP e UE hanno annunciato la sospensione del progetto di recupero del bene culturale in pericolo nella città di Kosovska Mitrovica, per riconsegnarlo alla comunità come spazio per eventi culturali e come Centro Regionale per il Patrimonio Culturale. “Esprimiamo il forte rammarico per qualsiasi offesa involontaria causata con l’annuncio dell’inizio dei lavori omettendo il background storico di Xhafer Deva”.
    L’edificio nella città del Kosovo settentrionale fu casa del collaborazionista della Germania nazista, macchiatosi di pogrom e crimini contro ebrei e serbi durante la seconda guerra mondiale. Deva, dopo la caduta del Protettorato Italiano del Regno d’Albania nel 1943, fu nominato ministro degli Interni albanese e capo dell’amministrazione locale di Mitrovica, collaborando con i nazisti per stabilire un governo albanese filo-tedesco in Kosovo. Sotto la sua amministrazione furono condotte operazioni anti-partigiane e anti-serbe e furono reclutati uomini nella 21esima divisione Waffen-SS Skanderbeg.

    The case of #XhaferDeva’s house in #SouthMitrovica personally worries me and raises many concerns.
    Whitewashing the past and distorting the facts about the well-known Nazi collaborator/protagonist of the 21st SS Division “Skanderbeg” must not take place.
    1/3#ProtectTheFacts
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) February 8, 2022

    Dopo la lettera di denuncia inviata dalla vicepremier e ministra per la Cultura e l’informazione della Serbia, Maja Gojković, alla commissaria UE per la Cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e al direttore esecutivo dell’UNPD, Akim Steiner, è stata in particolare l’eurodeputata tedesca dei Verdi a denunciare il progetto come “cancellazione del passato e distorsione dei fatti sul noto collaboratore nazista“. Su Twitter si era detta “personalmente preoccupata”, perché si configurava la possibilità di “revisionismo della storia della Seconda Guerra Mondiale e negazione dell’Olocausto”, a pochi giorni dal ricordo delle vittime delle persecuzioni naziste. Secondo von Cramon-Taubadel “questa deve essere un’opportunità per permettere a tutte le comunità del Kosovo di unirsi nella creazione di una narrazione comune e di una verità inclusiva e basata sui fatti“, anche su chi ha collaborato a commettere crimini contro ebrei, serbi, albanesi e altre comunità.
    Immediata la replica di UE e UNPD sulle prospettive del progetto di restauro dello stabile che, tra le altre funzioni dalla sua edificazione nel 1930, fu casa del collaborazionista nazista: “Stiamo rivalutando il nostro ruolo e il nostro contributo“, compresa la possibilità di “utilizzare l’attuale controversia come occasione per affrontare apertamente il passato attraverso discussioni e consultazioni di tutte le comunità interessate”, si legge nel comunicato congiunto. Ribadendo la “ferma condanna contro l’antisemitismo, la xenofobia, la crescente intolleranza e il bigottismo verso le minoranze etniche“, i co-finanziatori del progetto hanno ricordato che in Kosovo dal 2016 sono stati completati lavori di ristrutturazione di 35 siti culturali e religiosi, “tutti finalizzati a rafforzare la fiducia e la coesione sociale, aumentando il rispetto per il patrimonio culturale condiviso da diverse comunità e religioni” nel Paese.

    È stato bloccato il programma guidato dall’ONU per restituire alla comunità la dimora di Xhafer Ibrahim Deva nella città di Kosovska Mitrovica, anche per le critiche a Bruxelles: “Non deve avvenire la distorsione del passato”

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    In Kosovo l’UE sta finanziando il restauro della casa di un collaborazionista nazista (ma per restituirla alla comunità)

    Bruxelles – In Kosovo nemmeno le case hanno pace. L’ultima controversia tra Serbia e Kosovo riguarda la ristrutturazione della casa di Xhafer Ibrahim Deva, collaborazionista ai tempi dell’Albania occupata dal regime nazista, con l’utilizzo di fondi dell’Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNPD) e della rappresentanza UE a Pristina.
    A sollevare il caso è stata la vicepremier e ministra per la Cultura e l’informazione della Serbia, Maja Gojković, che ha inviato una lettera alla commissaria UE per la Cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e al direttore esecutivo dell’UNPD, Akim Steiner, per chiedere di non proseguire con il progetto di restauro nella città di Kosovska Mitrovica della casa del collaborazionista della Germania nazista, macchiatosi di pogrom e crimini contro ebrei e serbi in Kosovo durante la seconda guerra mondiale.
    Xhafer Ibrahim Deva (1904-1978)
    Deva (deceduto nel 1978 a San Francisco) dopo la caduta del Protettorato Italiano del Regno d’Albania nel 1943, divenne ministro degli Interni albanese e fu a capo dell’amministrazione locale di Mitrovica, collaborando con i nazisti per stabilire un governo albanese filo-tedesco in Kosovo. Sotto la sua amministrazione furono condotte operazioni anti-partigiane e anti-serbe e furono reclutati albanesi del Kosovo nella 21esima divisione Waffen-SS Skanderbeg. Nel 1944, appena prima della liberazione dell’Albania, Deva scappò in Croazia e in Austria e, alla fine della guerra, si trasferì prima a Damasco (Siria) e poi negli Stati Uniti, dove giocò un ruolo attivo nell’organizzazione della resistenza anticomunista (reclutato dalla Central Intelligence Agency, CIA).
    Nell’ottica della memoria dei crimini nazisti, sembra ingiustificabile il supporto dell’UE e dell’UNPD al restauro della casa di un collaborazionista in Kosovo. Ecco perché bisogna tenere presente le motivazioni presentate nella risposta congiunta rilasciata della rappresentanza UE a Pristina e dal ministero della Cultura, della Gioventù e dello Sport del Kosovo, per spiegare che è il valore architettonico dell’edificio e non chi l’ha occupato al centro del progetto del Centro culturale regionale: “La conservazione e la riabilitazione del patrimonio culturale e religioso è guidata dalla necessità di garantire la sua esistenza per i posteri, concentrandosi sui valori architettonici di tali siti”.
    L’edificio situato nel centro di Kosovska Mitrovica è stato costruito nel 1930 da architetti e operai austriaci e appartiene allo stile moderno occidentale-europeo, il primo nel suo genere nella città: grazie alle sue numerose decorazioni esterne, “la casa è nella lista temporanea dei siti del patrimonio culturale protetto in Kosovo“. Dal 1945 è di proprietà pubblica ed è stato utilizzato come centro di assistenza sanitaria, rifugio per famiglie senza tetto e orfanotrofio, ma è poi caduto in rovina. Ecco perché “il restauro previsto farà sì che i suoi valori architettonici vengano ripristinati e che la casa venga nuovamente recuperata per la comunità”, con il doppio scopo di “fornire uno spazio per eventi culturali e comunitari e ospitare il Centro Regionale per il Patrimonio Culturale”.
    È qui che si chiariscono tutti i dubbi: “La casa servirà come centro per le comunità locali per riunirsi, esplorare idee, promuovere l’interculturalità, la tolleranza e la connettività“, sempre in un’ottica di “tolleranza zero verso qualsiasi forma di razzismo, discriminazione, pregiudizio o appartenenza etnica che tenta di giustificare o promuovere l’odio razziale e la discriminazione”, si legge nella lettera. UE e UNPD si sono dette “preoccupate” rispetto alla controversia che lega il passato dell’edificio con le attuali tensioni sommerse tra Serbia e Kosovo e, sull’onda dello spirito che guida il dialogo tra Pristina e Belgrado mediato da Bruxelles, hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di “lavorare per il futuro del dialogo intercomuniatrio”.

    La dimora di Xhafer Ibrahim Deva nella città di Kosovska Mitrovica è sottoposta a restauro in un programma guidato dall’ONU: “L’edificio appartiene allo stile moderno occidentale-europeo e compare nella lista temporanea dei siti del patrimonio culturale protetto”

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    Nel 2021 la Serbia ha migliorato il proprio allineamento agli standard di adesione all’UE

    Bruxelles – Ora è arrivata anche la conferma dalla istituzioni dell’Unione Europea: nel 2021 la Serbia ha fatto progressi sul livello di allineamento agli standard di adesione all’UE e con i recenti progressi sullo Stato di diritto sta dimostrando di voler continuare su questa strada. È quanto emerge dalle conclusioni del Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia, riunitosi oggi (martedì 25 gennaio) a Bruxelles.
    A presiedere il vertice sono stati per l’UE il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per il vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e per la parte serba la premier, Ana Brnabić, e la ministra per l’integrazione europea, Jadranka Joksimović.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la premier serba, Ana Brnabić, al Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia (martedì 25 gennaio)
    Partendo dai risultati del referendum sulla riforma giudiziaria, i partecipanti hanno accolto “con favore” il completamento di questo “importante passo” sul fronte delle riforme costituzionali richieste dall’Unione e hanno auspicato che il Paese “continui e approfondisca l’impegno sullo Stato di diritto” nei settori del sistema giudiziario, della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, della libertà dei media e del trattamento interno dei crimini di guerra. Rimangono ancora sotto la lente di Bruxelles il “corretto funzionamento delle istituzioni democratiche” e il “rafforzamento della fiducia nei processi elettorali”.
    Ma, in vista del prossimo incontro di alto vertice tra UE e Serbia, le conclusioni mettono in evidenza la necessità per Belgrado di “intensificare ulteriormente gli sforzi per allinearsi alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE“. In questo senso vengono considerati apprezzabili sia la “partecipazione attiva” della Serbia alle missioni e alle operazioni militari, sia i preparativi per contribuire alle missioni civili. Per Bruxelles questo è un punto-chiave per allontanare il Paese balcanico dalle sirene russe e nazionaliste, in un momento particolarmente delicato nella regione per le tensioni etniche nella vicina Republika Srpska (l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina). “Sono necessari ulteriori sforzi per superare le eredità del passato e per promuovere in modo costruttivo la fiducia reciproca, il dialogo e la tolleranza nella regione”, in particolare “evitando azioni e dichiarazioni che vanno contro questo obiettivo”.
    A proposito della cooperazione regionale, l’avanzamento dei negoziati di adesione della Serbia all’UE (che con la nuova metodologia ha portato all’apertura del gruppo tematico di capitoli negoziali sull’agenda verde e la connettività sostenibile) può passare solo dalla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, attraverso il dialogo mediato da Bruxelles. “È necessario un impegno costruttivo in buona fede e in uno spirito di compromesso per raggiungere un accordo globale giuridicamente vincolante in conformità al diritto internazionale”, sottolineano le conclusioni del Consiglio di stabilizzazione e associazione, ribadendo la “forte aspettativa che tutti gli accordi passati siano pienamente rispettati e attuati“.

    È quanto emerge dall’ultimo Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia svoltosi oggi a Bruxelles: “Ora Belgrado deve intensificare ulteriormente i suoi sforzi sulla politica estera e di sicurezza comune”

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    Serbia, adesione UE più vicina: approvate alcune delle riforme costituzionali richieste dall’Unione

    Bruxelles – La Serbia prosegue lungo il cammino di adesione all’UE e con un referendum sulle riforme costituzionali in materia di nomine del sistema giudiziario cerca di allinearsi agli standard richiesti dall’Unione. Gli elettori serbi hanno approvato ieri (domenica 16 gennaio) i 29 emendamenti della Costituzione nazionale sulle nomine di giudici e procuratori, che non saranno più decise dall’Assemblea nazionale ma da un Consiglio superiore della magistratura.
    Secondo i risultati annunciati nella tarda serata di domenica, si è espresso a favore della riforma giudiziaria il 61,84 per cento degli elettori che si sono recati alle urne. L’affluenza si a fermata al 30,6 per cento, ma da novembre dello scorso è stato abolito il quorum del 50 per cento degli aventi diritto al voto. Oltre alla questione delle nomine dei componenti del sistema giudiziario, le riforme costituzionali prevedono anche  l’istituzione di organi di controllo sugli istituti giudiziari e una riduzione dei tempi dello svolgimento dei processi.
    La riforma giudiziaria è stata voluta dal governo presieduto da Ana Brnabić per avvicinare la Serbia agli standard UE sullo Stato di diritto. Da anni Bruxelles chiede a Belgrado che le nomine di giudici e procuratori siano sottratte dall’influenza politica e questo tema è al centro delle conferenze intergovernative che si sono aperte il 23 giugno 2021. In una nota pubblicata venerdì scorso (14 gennaio), le ambasciate di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea avevano definito il referendum “un passo fondamentale” sia per rafforzare l’indipendenza e la trasparenza del potere giudiziario, sia per “l’allineamento della Serbia agli standard europei”, che andranno a “sostenere il processo di adesione all’UE”.
    “Accolgo con favore questo importante passo e l’impegno nel percorso verso l’UE”, ha commentato su Twitter il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Il membro della Commissione Europea al centro delle polemiche a Bruxelles per il suo presunto coinvolgimento nella crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina ha aggiunto che “continueremo a lavorare con le autorità serbe sull’ambizioso programma” di riforme costituzionali, “facendo progredire l’integrazione della Serbia nell’Unione Europea”.

    #Serbia: In today’s referendum voters supported the change of the Constitution to reinforce judicial independence. I welcome this important step & commitment to #EU path. We will continue to work with Serbian authorities on ambitious reform agenda, advancing EU integration.
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) January 16, 2022

    Ma oltre confine, in Kosovo, è stato un fine settimana di grandi tensioni politiche, proprio a causa del referendum sulle riforme costituzionali della Serbia. L’Assemblea di Pristina ha approvato venerdì una risoluzione in otto punti contro la possibilità che i cittadini kosovari di etnia serba potessero recarsi alle urne sul territorio del Kosovo, dal momento in cui sarebbe stata “incostituzionale” e avrebbe violato la sovranità del Paese. La richiesta di aprire centri elettorali in Kosovo era arrivata dal governo serbo ed era stata avallata dall’UE: “L’UE si rammarica che non sia stato possibile trovare un accordo con il governo del Kosovo che permetta all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) di raccogliere le schede elettorali in Kosovo, secondo la prassi passata”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).
    Da Pristina non era arrivata nessuna concessione e il governo guidato da Albin Kurti aveva ribadito che gli elettori con doppia cittadinanza fossero liberi di votare per posta o sul suolo serbo. I serbi del Kosovo hanno protestato nel nord del Paese – dove sono in maggioranza – ma non sono stati segnalati incidenti. La disputa sul voto in Kosovo per il referendum sulle riforme costituzionali della Serbia è un nuovo tassello nella tensione crescente tra Pristina e Belgrado, che l’Unione Europea sta cercando di risolvere attraverso una mediazione che dura da più di 10 anni. “Chiediamo ai governi del Kosovo e della Serbia di astenersi da azioni e retoriche che aumentano le tensioni e di impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo facilitato dall’UE“, avevano aggiunto gli ambasciatori occidentali, ricordando che “è importante che entrambi i governi compiano progressi verso un accordo globale che sblocchi la prospettiva dell’UE e aumenti la stabilità regionale”.

    Serbia: Joint Statement by 🇪🇺🇫🇷🇩🇪🇮🇹🇺🇸🇬🇧 on the upcoming referendum, also recalling the rights of Serbs in Kosovo in this context. https://t.co/mxqIvEZey7
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) January 14, 2022

    Via libera dal referendum sulla riforma giudiziaria, che prevede 29 emendamenti alla Costituzione in materia di nomine del sistema giudiziario. Il Kosovo ha negato l’apertura di centri di voto per i cittadini di etnia serba sul territorio nazionale

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    L’ennesimo anno perso dall’UE sulla strada dell’allargamento ai Balcani Occidentali: (quasi) tutto rimandato al 2022

    Bruxelles – No, i negoziati per l’adesione all’Unione Europea di Albania e Macedonia del Nord non sono ancora iniziati. La grande promessa della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è caduta nel vuoto. Questa parola data e non rispettata dall’UE ai Balcani Occidentali è uno dei molti segnali di difficoltà che stanno caratterizzando non solo il processo di allargamento dell’Unione nella regione, ma anche gli stessi rapporti tra Bruxelles e le capitali balcaniche.
    Sul 2021 c’erano grandi aspettative di rilancio del ruolo dell’UE nei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia), considerati i diversi dossier lasciati in sospeso alla fine dello scorso anno. La maggior parte sono rimasti pressoché inalterati – se non addirittura peggiorati – mentre solo pochi hanno trovato una nuova spinta. La realtà dei fatti è che al momento sono solo due i Paesi che hanno aperto i quadri negoziali con Bruxelles (Serbia e Montenegro).
    Il contorno è una crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina, un dialogo Kosovo-Serbia che si sta incrinando sempre di più e un clima di disillusione a Skopje e Tirana che non fa presagire nulla di buono. Nel 2022 l’Unione Europea dovrà dimostrare di saper mantenere le promesse fatte ai partner balcanici, o rischierà di compromettere definitivamente il processo di allargamento.
    L’allargamento dell’UE nei Balcani
    Si tratta del tema più caldo sul tavolo europeo e anche il rimpianto più grande di questo 2021. Dopo il veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con la Macedonia del Nord (che ha trascinato nello stallo anche l’Albania) del dicembre dello scorso anno, ci si aspettava che le pressioni diplomatiche sul governo di Sofia avrebbero portato allo sblocco della situazione e l’inizio del cammino di adesione UE per i due Paesi dei Balcani Occidentali vincolati dallo stesso dossier.
    Da sinistra: il premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša, il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Ad alzare le aspettative era stata la stessa presidente von der Leyen, che nel suo tour a settembre nelle capitali balcaniche aveva promesso a Skopje e Tirana che “le prime conferenze intergovernative si dovranno organizzare entro la fine dell’anno“. Già allora sembrava un azzardo (ma rimane pur sempre la posizione ufficiale della Commissione) e forse è stato anche per questo motivo che, come riportato da Eunews direttamente da Kranj (Slovenia), il mancato accordo al vertice UE-Balcani Occidentali di inizio ottobre non ha rappresentato una grossa sorpresa.
    Il ritorno in presenza (dopo tre anni) dell’appuntamento più importante tra i leader dell’Unione Europea e della regione balcanica è coinciso con un nulla di fatto, al contrario delle aspettative della presidenza slovena del Consiglio dell’UE, che aveva spinto per inserire – invano – la data del 2030 come termine ultimo per il processo di allargamento dell’UE nei Balcani.
    A proposito di adesione all’Unione Europea, va segnalato un parziale successo di Bruxelles nello spingere con decisione i due Paesi che hanno già aperto i negoziati, dando più credibilità e affidabilità a questo processo. Lo scorso 22 giugno sono state avviate le prime conferenze intergovernative con Serbia e Montenegro, attraverso una metodologia rivista basata sull’accorpamento di 33 capitoli negoziali in 6 gruppi tematici: secondo le intenzioni di Bruxelles, in questo modo si riuscirà a dare maggiore dinamismo e risultati tangibili sul fronte delle riforme strutturali a Belgrado e Podgorica.
    Il dialogo Pristina-Belgrado
    Qui invece ci troviamo di fronte al solito nodo irrisolto delle relazioni diplomatiche tra Kosovo e Serbia, con il tentativo di Bruxelles di trovare un punto di mediazione. Il dialogo, che quest’anno ha compiuto esattamente 10 anni, era ripreso nel luglio dello scorso anno dopo anni di silenzio. Ma proprio nel momento in cui si iniziava a sperare in un compromesso tra le parti, il 2021 ha riservato l’ennesima ondata di tensioni.
    Il primo scossone è stata l’elezione del nuovo primo ministro kosovaro, il leader nazionalista di sinistra Albin Kurti. Se da una parte è stato l’artefice di una maggiore stabilizzazione del Paese, allo stesso tempo Kurti ha fatto capire a Belgrado che non farà nessuno sconto nel corso dei negoziati. Ad aumentare questa posizione dura a Pristina – che sta indispettendo la controparte serba – è stata la nomina della nuova presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, che da aprile chiede più vaccini anti-COVID per il suo Paese: “Il dialogo con Belgrado prima dei vaccini non è una priorità”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (15 giugno 2021)
    Per l’UE si tratta di una delle questioni più spinose nei Balcani Occidentali. Dopo il fallimento della ripresa del dialogo nel doppio incontro di alto livello di quest’estate, a inizio autunno si è toccato il punto più basso. Lo scorso 20 settembre è scoppiata la cosiddetta ‘battaglia delle targhe’ tra i due Paesi, dopo la decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. Dopo 10 giorni di incontri e negoziati promossi da Bruxelles, l’UE è riuscita a far siglare un’intesa a Serbia e Kosovo, che ha risolto una situazione potenzialmente esplosiva.
    Ma è stata una vittoria di Pirro, che non ha fatto avanzare di un millimetro il processo di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado e che ha avuto come strascico un indebolimento ulteriore della fiducia reciproca. Lo ha dimostrato il fatto che a Bruxelles non si è tenuto più nemmeno un vertice con il premier kosovaro e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. “È inutile incontrarci, se in partenza non c’è l’intenzione di trovare un compromesso”, ha commentato recentemente quasi sconsolato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri, Josep Borrell. Alla vigilia del 2022 la prospettiva di compromessi non sembra essere nemmeno teorica, né sul riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da parte di Belgrado, né sulla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo.
    I buoni propositi per il 2022
    Da cosa ripartire dal primo gennaio del prossimo anno per raddrizzare il cammino dei Balcani Occidentali verso l’UE? Prima di tutto da quello che è indiscutibilmente il vero successo dell’Unione, che le sta consentendo di non perdere troppa credibilità agli occhi dei partner della regione: il Piano economico e di investimenti presentato dal commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi, il 6 ottobre del 2020 e la cui importanza è stata ribadita nel Pacchetto Allargamento 2021.
    Con una mobilitazione di finanziamenti fino a 29 miliardi di euro – e con il sostegno dello strumento di assistenza pre-adesione IPA III per favorire le riforme strutturali – l’UE punta a far sentire la propria presenza economica nella regione, sfidando le insidie russe e soprattutto cinesi nella regione. Una risposta anche allo scandalo del debito da 809 milioni di euro del Montenegro a Pechino, che ha preoccupato l’opinione pubblica fino a fine luglio.
    Il commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi
    Il secondo punto su cui si dovrà insistere sarà la fornitura di vaccini anti-COVID alla regione. Dopo mesi di grandi difficoltà da parte dell’UE, a partire da maggio la situazione dell’invio diretto di dosi e attraverso il meccanismo COVAX ai Balcani Occidentali si è sbloccata, lasciando la sensazione che Bruxelles abbia tutto l’interesse di mettere in sicurezza a livello sanitario i sei Paesi partner. La questione ha una valenza anche geopolitica, dal momento in cui la lotta al COVID-19 sta diventando uno strumento per tenere in piedi il processo di allargamento dell’Unione e si scontra con la penetrazione di Mosca (con il suo vaccino Sputnik V) e di Pechino (con Sinopharm).
    E infine sarà necessario dare una dimostrazione di forza per la stabilizzazione della regione. Evitando errori di comunicazione come quello sul non paper di Lubiana per “completare la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia” – che ha infiammato l’opinione pubblica dei Balcani e dei Paesi membri UE prima dell’inizio del semestre sloveno di presidenza del Consiglio dell’UE – Bruxelles è chiamata a dare una risposta concreta alla crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina. Che si tratti di sanzioni economiche, pressioni politiche o coordinamento con i partner statunitensi sul campo, le istituzioni europee dovranno decidere come non trasformare il 2022 nell’anno in cui le violenze etniche riprenderanno piede nel Paese. Tutto questo a causa delle minacce sempre più reali del membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, che a ottobre aveva minacciato di portare la Republika Srpska (l’entità serba) fuori dal controllo delle autorità centrali.
    Per l’UE il tempo del temporeggiamento nei Balcani Occidentali sta scadendo. La politica estera nei confronti dei partner più vicini e sensibili alla prospettiva di adesione all’Unione non potrà più basarsi su promesse non mantenute e soli impegni economici. Il 2022 non dovrà essere un ennesimo anno perso sulla strada dell’allargamento, o il rischio di perdere tutta la credibilità accumulata in anni di avvicinamento si potrebbe manifestare in forme più o meno violente. In una regione che ha già dimostrato solo 30 anni fa all’Europa il dramma delle guerre etniche.

    Pesano soprattutto il mancato avvio dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, il dialogo Kosovo-Serbia sempre più stagnante e le difficoltà nel rispondere alla crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegonia

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    L’UE ammonisce Pristina sull’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo: “È nell’accordo con Belgrado, va attuata”

    Bruxelles – Basta scavare un po’ e sotto i sorrisi e le parole d’incoraggiamento dei mediatori dell’Unione al “futuro europeo del Kosovo” si possono intuire i punti di frizione tra l’UE e la parte kosovara per quanto riguarda il dialogo di normalizzazione dei rapporti con la Serbia. È bastato il botta e risposta tra il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, durante la conferenza stampa post-Consiglio di di associazione e stabilizzazione di oggi (martedì 7 dicembre) a mettere in luce che tra Bruxelles e Pristina corre sì buon sangue, ma non è necessariamente un amore incondizionato.
    Il cuore del problema riguarda il rispetto di una parte dell’accordo del 2013 del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’UE, quello relativo alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia. “Focalizzare l’attenzione solo su una parte di accordo non implementato a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale del Kosovo è fare gli interessi dei politici di Belgrado, non del popolo che non ha mai protestato”, ha commentato sibillino il premier Kurti. “È ora di trovare un’intesa che guardi al benessere delle persone, più che della politica”, ha aggiunto.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (7 dicembre 2021)
    Senza filtri la replica di Borrell: “Sono un democratico e non servo nessun politico, voglio che tutte le parti riconoscano l’importanza di rispettare gli impegni presi”. Per l’alto rappresentante UE, “non è vero che la sentenza rende impossibile l’attuazione di questa parte dell’accordo” e perciò da Bruxelles continuerà ad arrivare la richiesta a Pristina di “implementarla, così come tutto il resto del documento”. La questione rimane delicata e si interseca con dinamiche regionali che nelle ultime settimane sono riemerse con forza. Già a settembre, in un’intervista per il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, aveva bollato l’Associazione delle municipalità serbe come “una fase preliminare della creazione di una seconda Republika Srpska e noi non vogliamo un altro Stato che non funziona, come quello bosniaco“. Dopo le recenti dichiarazioni secessioniste del membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik, la percezione di questa parte dell’accordo del 2013 a Pristina non può essere certo cambiata.
    La questione della normalizzazione dei rapporti con Belgrado è stato uno dei temi centrali del quarto Consiglio di associazione e stabilizzazione UE-Kosovo, ma i progressi sembrano essere stati pochi rispetto ai due incontri fallimentari di quest’estate con Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. Ai giornalisti che hanno chiesto se ci sarà un nuovo round di alto livello prima della fine dell’anno, Borrell ha fatto capire senza troppi giri di parole che sarà quasi impossibile: “La precondizione è che entrambe le parti siano disposte a raggiungere un risultato tangibile e per il momento non sussiste“. L’alto rappresentante UE ha spiegato che “è inutile incontrarci, se in partenza non c’è l’intenzione di trovare un compromesso”, anche se “l’anno non è ancora finito e faremo tutto il possibile”.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi (7 dicembre 2021)
    In ogni caso, l’UE non spegne la luce del dialogo, anzi: “Lo status quo attuale non è sostenibile né per la Serbia né per il Kosovo, e anche per questo motivo bisogna impegnarsi per rafforzare gli accordi raggiunti in passato”, ha ribadito il concetto Borrell. Bruxelles rimane impegnata “nell’abbattere le barriere e avvicinare la regione all’Unione Europea”, ma “non possiamo fare il lavoro al posto vostro”, ha aggiunto. Di qui la necessità di “focalizzarsi anche sullo Stato di diritto, le riforme economiche e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata”, oltre che sulla “preparazione tecnica dei progetti per il Piano economico e di investimenti dell’Unione“, ha ricordato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. “Per dare senso alla costruzione di infrastrutture comuni è poi necessario un Mercato regionale, di cui il Kosovo deve fare parte”, è stata l’esortazione del commissario UE.
    Prendendo nuovamente parola, il premier kosovaro ha lodato il progetto dell’Unione Europea come “il più pacifico e di sviluppo dalla fine della seconda guerra mondiale e per questo ne vogliamo fare parte come Paese democratico”. Kurti ha promesso che “non appena arriverà la chiamata dei mediatori europei, mi recherò a Bruxelles“, ricordando che comunque i colloqui con Belgrado “stanno continuando per implementare l’accordo sulle targhe dopo gli sforzi diplomatici di Bruxelles“. Che però, oltre le parole, il rapporto tra Kosovo e Unione Europea non sia solo idillio, lo ha confermato l’ultima nota polemica di Kurti, in linea con quanto già espresso in occasione del vertice UE-Balcani Occidentali di ottobre: “Sono passati tre anni, quattro mesi e tre settimane da quando la Commissione ha confermato che soddisfiamo tutte le condizioni per la liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, ma niente si è mosso”. Il premier ha avvertito che “il popolo continua ad aspettare, ma la fiducia si rafforza solo con risultati tangibili legati ai progressi”.

    Nel quarto incontro del Consiglio di associazione e stabilizzazione UE-Kosovo l’alto rappresentante Borrell ha esortato il premier Kurti a rispettare “integralmente” tutte le parti dell’intesa siglata nel 2013

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    Le tensioni tra Serbia e Kosovo “non sono solo una questione di targhe”, ma l’UE vuole un passo avanti da entrambi i Paesi

    Bruxelles – L’UE prende di petto la ‘battaglia delle targhe’ tra Kosovo e Serbia e, attraverso le parole della presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, invia un segnale chiaro alle parti: “Sappiamo che non si tratta solo di una questione di targhe provvisorie, ma di problemi regionali che ostacolano il cammino europeo. Ecco perché si deve tornare immediatamente al tavolo del dialogo pacifico“.
    Nella terza tappa del viaggio di tre giorni nelle sei capitali balcaniche, von der Leyen ha richiamato il governo di Pristina alle sue responsabilità: “Sono molto preoccupata della situazione, Kosovo e Serbia devono normalizzare le proprie relazioni per aspirare all’adesione all’Unione Europea”. Ribadendo quanto già dichiarato ieri a Tirana e Skopje, la presidente della Commissione ha ricordato che “l’unico modo per risolvere le recenti difficoltà è il dialogo mediato da Bruxelles” e che “ci sarà molto di cui discutere” al vertice UE-Balcani Occidentali in programma in Slovenia fra una settimana esatta (mercoledì 6 ottobre): “Voglio vedere progressi sia da Belgrado sia da Pristina“, è stato il commento secco della leader dell’esecutivo UE.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, a Pristina (29 settembre 2021)
    Dopo il bastone, la carota. “Vengo da un Paese che ha sperimentato più di 70 anni fa cosa significa superare le dispute con i propri vicini e come si può ricostruire la fiducia reciproca”, ha cercato di rasserenare il clima la presidente von der Leyen. “Domani lo ripeterò anche a Belgrado, la questione vi riguarda entrambi allo stesso modo“, ha aggiunto. Le prospettive europee del Kosovo e della Serbia passano da un accordo distensivo tra i due Paesi (a tredici anni dalla dichiarazione di indipendenza unilaterale di Pristina) ed è per questo motivo che le tensioni sul confine settentrionale del Paese hanno un impatto diretto sul dialogo decennale mediato dall’UE. La presidente dell’esecutivo UE ha poi ricordato che “mentre stiamo parlando, i negoziatori sono a Bruxelles per discutere dei nuovi problemi e spero che abbiano un forte mandato per farlo”.
    È stata proprio l’Unione Europea a richiedere urgentemente un incontro tra i capi-delegazione di Belgrado e Pristina, Petar Petković e Besnik Beslimi, per evitare un’ulteriore escalation e per riprendere a pieno ritmo il dialogo tra Serbia e Kosovo facilitato dall’UE. A sostenere questa prospettiva è arrivato a Bruxelles anche Gabriel Escobar, vice-segretario statunitense responsabile della politica verso i Paesi dei Balcani Occidentali. I “nuovi problemi” da risolvere tra Serbia e Kosovo riguardano le proteste e i blocchi stradali ai valichi di frontiera di Jarinje e Brnjak, dopo la decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. Dallo scorso 20 settembre i reparti speciali di polizia stanno supportando i controlli della guardia di frontiera, mentre Belgrado ha allertato le proprie truppe nel caso di violazioni dei diritti della minoranza serba in Kosovo.
    Sulla questione delle nuove difficoltà tra Serbia e Kosovo nel dialogo mediato dall’UE si è espresso anche il premier kosovaro, Albin Kurti, nel corso della conferenza stampa con von der Leyen a Pristina. “Le misure che abbiamo preso non dovrebbero creare problemi, perché riguardano solo l’applicazione delle targhe provvisorie”, è stato il commento del primo ministro. Per Pristina si tratta di una “questione di reciprocità”, dal momento in cui da tempo vige l’obbligo per gli automobilisti kosovari di coprire la propria targa con una temporanea rilasciata dalle autorità serbe quando valicano il confine. Riportando che “oltre 11 mila veicoli sono entrati dalla Serbia e non hanno avuto nessun problema nell’attraversamento della frontiera”, Kurti ha voluto sottolineare che “nessuno fa controlli sui passeggeri, né altri tipi di accertamenti se non sulla targa“.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, a Pristina (29 settembre 2021)
    Il premier kosovaro non ha però nascosto che “non siamo ancora arrivati a una soluzione con Belgrado” e ha accusato la controparte sia per la “visita lungo la frontiera del ministro della Difesa serbo con l’ambasciatore russo”, sia per l’invio di convogli, MiG-29 ed elicotteri militari sul confine (per Belgrado è invece solo una ‘linea amministrativa con la provincia meridionale del Kosovo’, non riconoscendone l’indipendenza). “Avremmo preferito non mobilitare le nostre unità speciali, ma non possiamo non prendere misure se ci sono tensioni sproporzionate per la guardia di frontiera”, ha commentato Kurti, che ha ribadito la volontà di arrivare a una “soluzione equa e reciproca” sulla questione delle targhe. In altre parole, i cittadini di entrambi i Paesi “devono poter viaggiare con le proprie targhe, oppure con targhe provvisorie dell’altro Stato”.
    La visita di von der Leyen a Pristina è stata anche l’occasione per confermare le sinergie tra l’UE e il Kosovo, ma anche per affrontare le questioni in sospeso: “Dobbiamo prepararci per cercare di ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE, prima però serve la liberalizzazione dei visti per i nostri cittadini”, ha ricordato il primo ministro kosovaro. La presidente della Commissione UE si è soffermata sul ruolo che Bruxelles ha rivestito sul fronte della campagna vaccinale e della ripresa post-COVID del Paese: “Abbiamo inviato 387 mila dosi grazie al pacchetto Team Europe e il Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro farà crescere l’ecosistema delle imprese kosovare”. Infine, von der Leyen ha chiesto “altri sforzi” al governo Kurti nella lotta alla corruzione e nella riforma del sistema giudiziario.

    The EU-facilitated Dialogue is the only platform to resolve the current situation.
    It is important to use the dialogue to find a sustainable solution.
    Cooperation is the only way forward.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 29, 2021

    La tappa a Podgorica
    Dopo aver affrontato a Pristina la questione del dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’UE, nel primo pomeriggio la presidente della Commissione ha fatto tappa a Podgorica, dove ha incontrato il presidente del Montenegro, Milo Đukanović. “Questa visita è una conferma dell’impegno di Bruxelles nella prospettiva europea del nostro Paese”, si è rallegrato il presidente montenegrino, che ha ricordato l’enorme sostegno nel Paese a questo progetto: “Secondo i sondaggi, oltre il 70 per cento dei cittadini supporta l’integrazione europea“. Đukanović ha anche sottolineato l’importanza delle tempistiche del viaggio di von der Leyen: “Gli incontri con tutti i leader della regione saranno un bagaglio fondamentale per il messaggio che l’Unione potrà inviare a noi leader balcanici durante il summit a Lubiana”.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Milo Đukanović, a Podgorica (29 settembre 2021)
    Il presidente del Montenegro si è poi soffermato sul momento storico che sta vivendo la regione, con “nuovi problemi di stabilità e di interessi geopolitici di attori globali che vogliono opporsi al nostro accesso all’UE“. Un riferimento abbastanza chiaro alla Russia, ma anche alla Cina, le cui capacità di infiltrazione nell’economia balcanica sono state sperimentate recentemente dal Montenegro. Dopo mesi di incertezza, solo a luglio il governo di Podgorica è riuscito a trovare un accordo con tre banche occidentali per coprire la prima tranche del debito da 809 milioni di euro con un ente di credito statale cinese: senza questo accordo, avrebbe rischiato di cedere porzioni del territorio nazionale a Pechino. Đukanović ha però spostato l’attenzione sui progressi negli ultimi 30 anni di politica nazionale (da lui ininterrottamente guidata) e si è detto certo che “il Montenegro diventerà il ventottesimo Paese membro dell’UE“.
    Prospettiva confermata anche da von der Leyen, che ha incoraggiato il Paese a “rimanere saldo in questa prospettiva, visto è il più avanzato sulla strada dell’adesione all’Unione“. La presidente della Commissione UE ha però richiamato tutti i partiti politici a “rispettare la volontà del popolo”, ricordando che “il compromesso è il cuore della democrazia e del dialogo tra le forze in Parlamento”. Un avvertimento necessario a un anno dal cambiamento epocale nella politica montenegrina – con il partito del presidente Đukanović passato per la prima volta nella storia del Paese all’opposizione – che spesso si manifesta in tensioni nel governo guidato da Zdravko Krivokapić.
    Le aspettative delle istituzioni europee nei confronti di Podgorica rimangono comunque alte. “Il fatto che il Montenegro sia stato il primo Paese della regione a legalizzare le unioni di persone dello stesso sesso riflette la tolleranza e l’unione nella diversità che state perseguendo”, ha riconosciuto con grande soddisfazione la presidente von der Leyen. Per quanto riguarda il futuro, invece, “ci aspettiamo dal Montenegro progetti maturi nei settori economici cruciali“, dalla digitalizzazione alle politiche verdi. La strada tracciata dalla presidente della Commissione Europea al termine della quarta tappa del suo viaggio nei Balcani è chiara: “Siete voi a definire le linee di sviluppo e gli investimenti europei vi supporteranno secondo le vostre esigenze. Ecco perché questo progetto comune avrà successo”.

    Nel suo secondo giorno di viaggio nei Balcani, la presidente von der Leyen ha chiesto “un’immediata de-escalation” e la ripresa del “dialogo pacifico” tra Pristina e Belgrado. Nella tappa in Montenegro ha confermato le alte aspettative di Bruxelles verso Podgorica

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    Dialogo Serbia-Kosovo, si stringe la collaborazione tra UE e Stati Uniti per risolvere un confronto sempre più teso

    Bruxelles – Sembrano lontani i tempi in cui l’Unione Europea e gli Stati Uniti di Donald Trump si davano battaglia diplomatica sui Balcani. È passato solo un anno dai colloqui tra Serbia e Kosovo mediati da Washington che hanno rischiato di far saltare l’intero processo di mediazione UE, ma il clima politico è cambiato totalmente. “Con l’amministrazione di Joe Biden si apre uno degli scenari di cooperazione più stretta di sempre e abbiamo già visto che insieme possiamo stimolare progressi importanti nella regione”, ha confermato il rappresentante speciale dell’UE per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák.
    Parole che gettano un ponte tra le due potenze anche sul fronte della stabilizzazione dei Balcani Occidentali e che hanno trovato una sponda nella controparte statunitense durante l’evento online The Belgrade-Pristina dialogue: Getting back on track?, organizzato oggi (lunedì 13 settembre) dal think tank European Policy Centre (EPC). “Vogliamo vedere tutti i Paesi della regione entrare a far parte dell’Unione Europea, non solo Serbia e Kosovo”, ha dichiarato il vice-segretario aggiunto dell’Ufficio per gli Affari europei ed eurasiatici del Dipartimento di Stato, Gabriel Escobar.
    I relatori dell’evento organizzato dall’EPC The Belgrade-Pristina dialogue: Getting back on track? (13 settembre 2021)
    Per quanto riguarda il dialogo tra Pristina e Belgrado, Escobar ha promesso di sostenere “con tutti gli sforzi possibili” il lavoro dei colleghi europei, per “convincere le due parti che un accordo di normalizzazione dei rapporti è l’unico futuro auspicabile“. Nonostante ci sia preoccupazione “per i pochi progressi” nell’ultimo anno, Washington aiuterà il processo “sia con messaggi politici, sia vigilando che gli accordi raggiunti finora siano implementati”. In ultima battuta, il vice-segretario Escobar ha anticipato che potrebbe fare presto un viaggio in Serbia e in Kosovo con Lajčák, a seconda degli sviluppi della pandemia COVID-19.
    Proprio il rappresentante speciale dell’UE ha voluto ricordare i “risultati concreti per la vita delle persone” ottenuti in 10 anni di dialogo facilitato da Bruxelles: dalle elezioni municipali nel nord del Kosovo, al transito di merci e persone dalla frontiera, fino al controllo territoriale da parte delle autorità di Pristina e lo scambio di informazioni a livello giudiziario. Ma adesso arriva la parte più difficile: “Dobbiamo trovare un accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra le due parti e implementare gli accordi già raggiunti”, ha indicato Lajčák.
    Più facile a dirsi che a farsi, considerati gli sviluppi politici degli ultimi mesi. Con l’elezione del nuovo primo ministro kosovaro, Albin Kurti, i rapporti tra Pristina e Belgrado sono diventati sempre più tesi, come hanno confermato gli ultimi due incontri di alto livello a Bruxelles. Il rappresentante speciale dell’UE cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno (“Dopo lo stop per le elezioni, ora abbiamo due interlocutori con mandati forti, con cui possiamo interfacciarci e trovare dei compromessi”), ma è innegabile che il confronto si stia incrinando come non succedeva da prima della ripresa dei colloqui nel luglio del 2020.
    Lo ha sottolineato anche l’eurodeputata tedesca e relatrice sul Kosovo per il Parlamento Europeo, Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE), intervenuta nel corso dell’evento di EPC: “I due governi avranno anche un forte mandato, ma le elezioni municipali di metà ottobre in Kosovo e le elezioni presidenziali in Serbia del prossimo anno ci fanno temere che soprattutto da parte serba venga meno il supporto al compromesso con la controparte kosovara”. L’arma a disposizione dell’UE per stimolare la “volontà politica delle due parti” è l’erogazione dei fondi previsti dallo strumento di assistenza pre-adesione IPA III, che possono essere sospesi in caso di “regresso democratico”.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, con il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi
    Non che le notizie che arrivano dai Balcani siano incoraggianti. In un’intervista per il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, ha ribadito il rifiuto di Pristina alla creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese, prevista dall’accordo del 2013 del dialogo mediato dall’UE. Secondo Osmani, per la Serbia si tratterebbe solo della “fase preliminare della creazione di una seconda Republika Srpska” (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) e “noi non vogliamo un altro Stato che non funziona, come quello bosniaco”.
    La presidente kosovara ha poi ricordato l’illegittimità della decisione contenuta nell’accordo del 2013 secondo una sentenza del 2015 della Corte Costituzionale di Pristina e ha escluso che si formi “una struttura mono-etnica di potere nel nostro Paese”. Parole che provocheranno presto una scia di polemiche a Belgrado e che renderanno ancora più necessaria la pressione congiunta di Bruxelles e Washington per superare lo stallo sui Balcani.

    Durante un evento organizzato dall’European Policy Centre, il rappresentante speciale UE Lajčák e il vice-segretario del Dipartimento di Stato Escobar hanno confermato l’impegno congiunto per raggiungere un accordo di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado