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    Cos’è l’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo al centro dell’anno cruciale per il dialogo Pristina-Belgrado

    Bruxelles – Non c’è speranza di chiudere nel 2023 un accordo definitivo per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, se non si raggiunge un’intesa vincolante per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo di Bruxelles siglato esattamente 10 anni fa. Passano da qui gli sforzi diplomatici di Unione Europea e Stati Uniti per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado, entrato nel suo tredicesimo anno di vita e diventato ormai l’unica soluzione per chiudere contese e tensioni tra i due vicini balcanici.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 novembre 2022)
    Mentre le pressioni della diplomazia europea e statunitense rimangono particolarmente forti su Belgrado – per l’adozione delle sanzioni internazionali contro la Russia e l’allineamento alla politica estera dell’Ue – non sono da meno quelle nei confronti di Pristina, proprio sulla questione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Già nel dicembre del 2021 l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva avvertito il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, che è imperativo il rispetto di tutti gli accordi sottoscritti con Belgrado, ma nel corso delle ultime settimane le missioni diplomatiche di Bruxelles e Washington – spinte anche dal tridente Francia-Germania-Italia – hanno puntato con forza su questo punto, per sgombrare il campo da ripensamenti o passi indietro rispetto agli impegni presi nel contesto del dialogo mediato dall’Ue.
    Lo dimostra in tutta la sua evidenza la nota del consigliere del Dipartimento di Stato americano, Derek Chollet, e dell’inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani Occidentali, Gabriel Escobar, pubblicata oggi (30 gennaio) a proposito delle “condizioni per una relazione sana, pacifica e sostenibile tra Serbia e Kosovo”. La proposta di mediazione franco-tedesca – ormai divenuta a tutti gli effetti la proposta di mediazione europea – è studiata per “interrompere la spirale di crisi e scontri e far progredire con decisione l’integrazione” dei due Paesi nell’Unione, ma per l’amministrazione Biden “uno dei compiti più critici” è sempre quello che riguarda l’attuazione dell’accordo sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Un “obbligo internazionale, giuridicamente vincolante, che richiede un’azione da parte del Kosovo, della Serbia e dell’Unione Europea”, ma che allo stesso tempo “non mina la Costituzione né minaccia la sovranità, l’indipendenza o le istituzioni democratiche” del Kosovo.

    As Kosovo’s closest friend & ally, we believe that by working to establish the ASM, Kosovo will realize a critical element needed to build its rightful future as a sovereign, multiethnic, and independent country, integrated into Euro-Atlantic structures. https://t.co/iFfSYo2Qao pic.twitter.com/c8yGJYVeHl
    — U.S. Embassy Pristina (@USEmbPristina) January 30, 2023

    Il nodo tra Serbia e Kosovo
    Secondo quanto sottoscritto dalle due parti nell’accordo di Bruxelles del 2013, per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi balcanici dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia il 17 febbraio 2008 è prevista l’istituzione di “un’associazione/comunità di comuni a maggioranza serba in Kosovo”, aperta a “qualsiasi altro comune, purché i membri siano d’accordo”. Un’Associazione creata “da uno statuto”, con un suo presidente, vicepresidente, Assemblea e Consiglio e la possibilità di “cooperare nell’esercizio dei loro poteri in modo collettivo” nei settori dello “sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale“. Forze di polizia e autorità giudiziarie saranno uniche per tutto il Kosovo, ma con l’autorizzazione alla formazione di un comando regionale di polizia per le quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba (Mitrovica settentrionale, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic) e un collegio di giudici istituito dalla Corte d’Appello di Pristina per occuparsi di tutte le municipalità a maggioranza serba del Kosovo.
    A 10 anni dall’accordo di Bruxelles non sono stati compiuti progressi sostanziali per l’implementazione sul campo dei 15 punti, mentre si sono acuite nell’ultimo anno le tensioni nel nord del Kosovo sia sulla questione delle targhe per i veicoli sia per le conseguenze delle dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia serbo-kosovari dalle rispettive istituzioni nazionali. L’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo è considerata da Belgrado un’entità di governo che deve essere istituita proprio a partire dall’intesa giuridicamente vincolante di Bruxelles, ma è anche una potenziale leva politica in mano del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, per continuare a controllare indirettamente una zona contesa (l’intero Kosovo è tutt’ora considerato parte del Paese). Quello che invece contesta Pristina – dopo il deciso cambio di rotta del governo nazionalista di Kurti dall’elezione del 2021 – è che la nuova Associazione in Kosovo non sia nient’altro che una replica della fallimentare Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina, l’entità a maggioranza serba nel Paese che negli ultimi anni ha portato a una destabilizzazione sempre maggiore del Paese proprio per l’eccessiva autonomia garantita a un establishment politico filo-russo.
    “Siamo assolutamente contrari alla creazione di qualsiasi entità che assomigli alla Repubblica Srpska in Bosnia ed Erzegovina“, hanno assicurato i due diplomatici statunitensi nella nota, chiedendo invece a Pristina di “fornire la propria visione di questa associazione”. Secondo quanto emerge dalle parole di Chollet ed Escobar, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, avrebbe fatto notare al premier Kurti che “esistono 14 accordi simili all’interno dell’Unione Europea, nessuno dei quali viola i sistemi europei di governo effettivo”, che garantiscono autonomie specifiche all’interno del quadro degli Stati nazionali. L’associazione “non sarebbe mono-etnica” e “non aggiungerebbe un nuovo livello di potere esecutivo e legislativo al governo del Kosovo”, assicurano i mediatori, mentre l’aspetto più positivo potrebbe essere il fatto che “i comuni che condividono interessi, lingua e cultura potrebbero lavorare insieme in modo più efficace per affrontare le sfide comuni” negli ambiti autorizzati dall’accordo di Bruxelles del 2013.

    Unione Europea e Stati Uniti stanno cercando di mediare tra Serbia e Kosovo su uno dei punti più divisivi dei negoziati. La creazione della comunità è prevista dall’accordo di Bruxelles del 2013, ma il rischio è quello di istituzionalizzare la divisione etnica, come con la Republika Srpska in Bosnia

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    Il Kosovo ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea

    Bruxelles – Era una questione di giorni, se non di ore, dopo le anticipazioni dalla presidente Vjosa Osmani al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana martedì scorso (6 dicembre). Nella tarda mattinata di oggi (mercoledì 14 novembre) il Kosovo ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea. A partire da oggi tutti gli Stati extra-Ue interessati dal processo di allargamento dell’Unione si trovano almeno nella casella di partenza della richiesta di adesione, in un anno che ha visto il più grande sconvolgimento per le prospettive di espansione dei Ventisette a nuovi membri sul continente.
    Da sinistra: il presidente dell’Assemblea del Kosovo, Glauk Konjufca, la presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e il primo ministro, Albin Kurti (Pristina, 14 dicembre 2022)
    “Un momento storico per Kosovo e Unione Europea“, è il commento entusiasta della presidente Osmani al termine della cerimonia di firma della domanda di adesione all’Ue con il premier Albin Kurti e il presidente dell’Assemblea nazionale, Glauk Konjufca. Secondo la leader kosovara si tratta di “un passo più vicino alla realizzazione del sogno di coloro che hanno sacrificato le loro vite per la libertà, l’indipendenza e la democrazia”, ma anche alla “realizzazione della nostra comune e incrollabile ambizione di entrare nell’Unione Europea“. Per il Paese “non c’è mai stata un’alternativa, ma i sogni diventano realtà solo quando si lavora per realizzarli”, come ha dimostrato l’ultima relazione sui progressi di Pristina nel Pacchetto Allargamento 2022 della Commissione Ue.
    “I progressi dipenderanno dal nostro impegno per riforme profonde, che facciano progredire la democrazia, rafforzino lo Stato di diritto e sviluppino la nostra economia”, ha dichiarato in conferenza stampa il premier Kurti, precisando che la lettera sarà presentata nei prossimi giorni alla Commissione e alla presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue (che terminerà il proprio semestre il prossimo 31 dicembre). Il Kosovo dovrà però affrontare una doppia sfida, che al momento blocca la strada verso l’ottenimento dello status di Paese candidato all’adesione Ue: cinque Stati membri non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e la finalizzazione di un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia (da cui Pristina ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 2008). Nonostante le aspre tensioni tra i due Paesi nel nord del Kosovo, a Bruxelles il 2023 è considerato l’anno decisivo per portare a termine un dialogo mediato dall’Ue ormai più che decennale.

    A historic moment. 🇽🇰 🇪🇺
    A step closer to fulfilling the dream of those who sacrificed their lives for freedom, independence & democracy, as well as, fulfilling our common and unwavering ambition of joining the European Union. pic.twitter.com/TX9Ygwl2MJ
    — Vjosa Osmani (@VjosaOsmaniPRKS) December 14, 2022

    Tra Kosovo e allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). Dopo sei anni dalla richiesta di adesione per la Bosnia ed Erzegovina è quasi arrivato il momento della concessione dello status di Paese candidato, mente il Kosovo ha firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione nel 2016 e da oggi ha completato il quadro degli Stati balcanici che si trovano formalmente sulla strada di adesione all’Unione.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen: per i Balcani Occidentali è compresa la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, a cui viene offerta la prospettiva di adesione. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    La lettera è stata firmata dalla presidente Vjosa Osmani, dal premier Albin Kurti e dal leader dell’Assemblea nazionale Glauk Konjufca: “Un passo più vicino alla realizzazione della nostra comune e incrollabile ambizione di entrare nell’Ue”. Ma prima l’accordo sui rapporti con la Serbia

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    Salta ancora l’accordo tra Serbia e Kosovo sulle targhe. L’Ue: “Vučić e Kurti pieni responsabili del fallimento dei colloqui”

    Bruxelles – Il biasimo dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nei confronti di Kosovo e Serbia non è mai stato così diretto e veemente. “Informerò gli Stati membri, i ministri degli Esteri e i nostri partner del comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo“, è il commento rilasciato al termine di una riunione d’emergenza che sarebbe dovuta essere decisiva per mettere fine all’escalation di tensione alla frontiera tra i due Paesi.
    E invece, davanti al “livello di tensione più pericoloso dal 2013” – come lo stesso alto rappresentante Borrell lo aveva definito pochi giorni fa – il vertice di alto livello di oggi (lunedì 21 novembre) a Bruxelles con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, ha inviato “un segnale politico molto negativo”. Convocato ieri (domenica 20 novembre) dopo una settimana di lavoro intenso tra i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado, la riunione di emergenza avrebbe dovuto portare a una “de-escalation della situazione”, chiudendo la politica di “gestione permanente della crisi” e iniziando a “progredire verso la normalizzazione delle relazioni”, aveva messo in chiaro Borrell. “Si trattava di una responsabilità di entrambi i leader”, ma “purtroppo oggi non hanno trovato un accordo per una soluzione”, sono le parole prive di speranza dopo l’ultimo incontro tra i due leader balcanici.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Mentre il tempo stringe nel nord del Kosovo sulla questione della re-immatricolazione dei veicoli con targa serba, l’attacco da parte di Bruxelles è durissimo: entrambi i leader “si assumono la piena responsabilità per il fallimento dei colloqui di oggi e per qualsiasi escalation e violenza che potrebbe verificarsi sul terreno“. Nel corso della riunione l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, hanno presentato “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. Anche senza un accordo, l’alto rappresentante Borrell ha chiesto con particolare forza – ripetendolo intenzionalmente due volte – al Kosovo di “sospendere immediatamente ulteriori tappe della re-immatricolazione dei veicoli” – e alla Serbia di “sospendere l’emissione di nuove targhe con le denominazioni delle città del Kosovo, incluse le targhe KM” (acronimo di Kosovska Mitrovica).
    Risulta chiaro dalle parole di Borrell che però è soprattutto Pristina a non essere disposta a fare passi indietro sul piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe presentato lo scorso 28 ottobre: a chi non si adeguerà – dopo i primi 21 giorni di novembre con un solo avvertimento – da domani (22 novembre, con una proroga di un giorno decisa ieri) e il 21 gennaio sarà emessa una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro.

    “I will inform 🇪🇺 Member States, Foreign Ministers and our partners about the unconstructive behaviour of Parties and complete lack of respect for their intl legal obligations, and this goes in particular for Kosovo. This send a very negative political signal.” https://t.co/Aq5XlUfvZ8
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) November 21, 2022

    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Le tensioni crescenti sono legate agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano graduale del governo di Pristina sulle targhe. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia).
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 novembre 2022)
    La situazione è “ancora peggio di agosto”- quando si era riaccesa la disputa – dal momento in cui “meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, e certamente non sono abbastanza”, ha avvertito Borrell: “Questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente“. Nemmeno la presenza della missione dell’Ue Eulex e della forza militare della Nato Kosovo Force (Kfor) è sufficiente, perché “non possono prendere il posto della polizia locale, non è nel loro mandato”. Ed è per questo che l’appello continuo di Bruxelles è quello del “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte di Belgrado.
    Pristina è invece chiamata mettere fine alla sua posizione intransigente e lasciare spazio a un compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È per questo che domani (martedì 22 novembre) i ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, saranno in visita nei due Paesi balcanici per incontrare gli omologhi e i leader che oggi non hanno trovato un’intesa, mettendo in campo tutto il peso politico che l’Italia possiede sulle prospettive di integrazione della regione nell’Unione. Nel frattempo Francia e Germania spingeranno sulla proposta di mediazione che Borrell ha definito “una bussola di due pagine” e che dovrebbe fornire un nuovo orizzonte per i rapporti tra Serbia e Kosovo. Ma oggi le speranze di una de-escalation sono appese solo a un filo, come è apparso dal volto quasi sconsolato di Borrell al termine del punto con la stampa.

    Il presidente serbo e il premier kosovaro non hanno raggiunto un’intesa considerata decisiva dall’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, per mettere fine all’escalation di tensione nel nord del Kosovo. Duro attacco da Bruxelles: “Comportamento non costruttivo, in particolare da Pristina”

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    L’alto rappresentante Ue Borrell avverte che le tensioni in corso tra Serbia e Kosovo “sono le più pericolose dal 2013”

    Bruxelles – Un fine settimana intenso, in cui “Serbia e Kosovo mi hanno tenuto davvero molto occupato” a Parigi. È senza filtri l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel descrivere alla stampa il clima di tensione che si respira a proposito dei rapporti tra i due Paesi balcanici, dopo il resoconto ai 27 ministri Ue degli Esteri sui due confronti con il presidente serbo, Aleksander Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, a margine del Paris Peace Forum. Borrell ha avvertito che “abbiamo raggiunto il livello di tensione più pericoloso dal 2013“, con riferimento alla situazione pre-Accordo di Bruxelles, due anni dopo l’avvio del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    Tutto è legato agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano a tappe del governo di Pristina dal primo novembre fino alla primavera 2023 per la re-immatricolazione delle auto con targa serba nel Paese. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). “Il ritiro dei serbi dalle istituzioni ha creato un vuoto nel nord del Kosovo e in questo vuoto tutto può succedere“, è l’allarme dell’alto rappresentante Ue: “Ora dobbiamo evitare lo scontro frontale”.
    Inevitabilmente l’appello è al “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte della Serbia di Vučić. Ma anche Pristina è chiamata a “rientrare nel dialogo sulle targhe”, che al momento non soddisfa Bruxelles. In altre parole “entrambe le parti devono dimostrare la volontà di ridurre le tensioni” ed è per questo che i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo “inizieranno in questi giorni a lavorare sulle tappe future” di un dialogo che deve dare frutti in tempi strettissimi: “Convocherò i leader [Vučić e Kurti, ndr] solo se i negoziatori raggiungeranno un accordo entro il 21 novembre“, ha messo in chiaro Borrell, precisando che “se non dovessimo raggiungerlo, ci troveremmo in una situazione molto pericolosa”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    I due partner dell’Unione Europea “sono a un bivio, devono decidere se imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato“, che ha già visto una guerra etnica tra il 1998 e il 1999. E da Bruxelles ci si aspetta “volontà a cercare soluzioni europee”. L’alto rappresentante Borrell ha riportato alla stampa che dal Consiglio Affari Esteri di oggi (lunedì 14 novembre) è uscito un messaggio di spinta verso “progressi chiari”, che coinvolgono sia missioni sul campo – come quella dell’italiano Antonio Tajani la settimana prossima a Pristina e Belgrado – sia un quadro di compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È qui che si inserisce la “proposta chiara” dell’inedita coppia Francia-Germania (qui tutti i dettagli), definita da Borrell “una proposta europea, una bussola di due pagine” che dovrebbe portare a un nuovo orizzonte per Serbia e Kosovo.
    “Dobbiamo riuscire a leggere il problema con lenti diverse”, ha spiegato l’alto rappresentante Ue, parlando “non più di gestione delle crisi, ma di soluzioni strutturali, perché il percorso europeo richiede questo”. La modalità ‘gestione delle crisi’ è ciò che ha caratterizzato finora il dialogo: “Ne abbiamo avute in continuazione, una volta usciti da una, ce ne troviamo un’altra da affrontare”, come l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, il riconoscimento dei documenti di identità, le rispettive targhe per i veicoli alla frontiera e sul territorio nazionale. Invece il nuovo approccio – che “nessuna delle due parti a Parigi ha rifiutato, è già un successo” – deve puntare sulla prevenzione alla radice dei problemi, per “evitare che si manifestino crisi”. A oggi però Serbia e Kosovo si trovano nel pieno della più grave degli ultimi dieci anni e hanno solo una settimana per trovare una soluzione sostenibile e non rendere ancora più spinosa la situazione già delicatissima nel cuore dei Balcani Occidentali.

    Dopo i colloqui bilaterali a Parigi con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, Borrell ha messo in chiaro che i capi-negoziatori hanno tempo fino al 21 novembre per trovare un’intesa: “Sono a un bivio, tra imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato”

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    Cosa prevede la proposta franco-tedesca per portare a termine il dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’Ue

    Bruxelles – Una proposta in nove punti che, senza mai citare la parola “indipendenza” esplicitamente, punta a risolvere la disputa tra Serbia e Kosovo mettendo nero su bianco il reciproco rispetto della giurisdizione, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini dei due Paesi balcanici. Secondo quanto emerge dall’anticipazione dell’ultima bozza della proposta franco-tedesca pubblicata da Euractiv, Parigi e Berlino sarebbero seriamente intenzionate a rilanciare il dialogo tra Belgrado e Pristina mediato dall’Ue dal 2011, e mettere fine a un conflitto diplomatico – dopo quello armato del 1998-1999 – che prosegue dal 2008, con la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia.
    Dell’esistenza di una proposta franco-tedesca a Bruxelles se ne parla ormai da settembre, ma i dettagli erano finora sempre rimasti oscuri (fatta eccezione per una prima indiscrezione dell’Albanian Post, ormai superata dalla nuova bozza). Sia le autorità kosovare sia quelle serbe hanno confermato che il documento è arrivato nelle rispettive capitali e al summit del Processo di Berlino del 3 novembre la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva messo in chiaro che da parte dell’esecutivo comunitario c’è “pieno supporto” al nuovo input e che “sarà integrato” nel dialogo facilitato dall’Ue: “È un ponte gettato per risolvere i problemi nel modo più veloce“, aveva spiegato von der Leyen.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, durante la firma degli accordi sulla mobilità regionale nei Balcani Occidentali nel quadro del Processo di Berlino (3 novembre 2022)
    È inedita la sinergia tra Parigi e Berlino sulle questioni balcaniche e sull’allargamento dell’Ue nella regione, ma potrebbe essere il primo tassello di una nuova collaborazione tra le due maggiori forze europee per superare gli stalli che si trascinano da anni, se non da decenni.
    La Germania è stato finora l’attore più rilevante – insieme all’Italia – nella spinta in avanti dell’Unione nei confronti dei Sei dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Nel 2014 l’allora cancelliera tedesca, Angela Merkel, aveva inaugurato il Processo di Berlino, una delle più significative iniziative diplomatiche sull’allargamento Ue nella regione.
    La Francia invece, dopo anni a remare contro l’ingresso di nuovi Paesi nell’Unione, di fronte ai rischi reali di destabilizzazione russa nei Balcani Occidentali ha preso in mano le redini diplomatiche nel corso del suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue e ha contribuito con due proposte allo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati di adesione di Macedonia del Nord e Albania.
    La proposta franco-tedesca sul dialogo tra Serbia e Kosovo
    La versione più aggiornata della proposta franco-tedesca è suddivisa in nove articoli e parte dalla constatazione che Kosovo e Serbia dovranno sviluppare “relazioni normali e di buon vicinato basate sulla parità di diritti” e guidate dalle “reciproche aspirazioni all’adesione all’Ue” (la richiesta di Pristina è attesa entro la fine dell’anno, mentre Belgrado si trova in una fase di stallo, a causa del non-allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Unione).
    Anche in considerazione degli ultimi sviluppi sul piano delle tensioni nel nord del Kosovo per la re-immatricolazione delle auto con targa serba, la proposta di Parigi e Berlino prevede che i due Paesi Balcanici, “in conformità con gli Accordi di stabilizzazione e associazione firmati da entrambe le parti”, si impegnino a “risolvere qualsiasi controversia tra loro esclusivamente con mezzi pacifici” e ad “astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza”. Da notare la specifica sulla “inviolabilità, ora e in futuro, della frontiera/confine esistente” e del “pieno rispetto della reciproca integrità territoriale”. Tra le righe, la Serbia dovrà riconoscere nei fatti la sovranità e l’indipendenza del Kosovo.
    Elemento implicito confermato dal quarto punto del documento: “Il Kosovo e la Serbia partono dal presupposto che nessuna delle due parti può rappresentare l’altra nella sfera internazionale, né agire per suo conto”. Di qui dovrebbero seguire le azioni della diplomazia europea, sia per il riconoscimento della sovranità del Kosovo dai cinque Stati membri Ue che ancora non l’hanno fatto (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia), sia per l’accesso di Pristina a tutte le istituzioni internazionali, dalle Nazioni Unite (al momento bloccato dal veto di Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza) al Consiglio d’Europa.
    Pristina e Belgrado dovranno poi promuovere “relazioni pacifiche nei Balcani Occidentali” e contribuire “alla sicurezza regionale e alla cooperazione in Europa”, a partire dal “rispetto reciproco della giurisdizione di ciascuna parte“. Il richiamo è di nuovo non solo alla normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, ma anche al rispetto dei principi della politica estera dell’Unione – a cui entrambi i Paesi balcanici aspirano ad aderire – in primis sulla condanna delle guerra russa in Ucraina e l’allineamento alle sanzioni economiche contro il Cremlino.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    Il settimo e ottavo articolo della proposta franco-tedesca si indirizzano alla messa a terra delle “questioni pratiche e umanitarie” tra i due partner: “Concluderanno accordi al fine di sviluppare e promuovere, sulla base del presente Trattato e a reciproco vantaggio, la cooperazione” bilaterale nei settori “dell’economia, della scienza e della tecnologia, dei trasporti, delle relazioni giudiziarie, delle poste e delle telecomunicazioni, della sanità, della cultura, dello sport, della protezione dell’ambiente e in altri campi”, con i dettagli specificati in un “protocollo aggiuntivo”. In questo contesto, Kosovo e Serbia “si scambieranno missioni permanenti” da istituire “presso la sede del rispettivo governo” (le questioni pratiche sull’istituzione di tali missioni “saranno trattate separatamente”, specifica il testo).
    E infine i due Paesi balcanici converranno che il documento “non pregiudica i trattati e gli accordi internazionali bilaterali e multilaterali da essi già conclusi“. Si tratta in questo caso di un riferimento implicito al nodo dell’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, prevista dall’Accordo di Bruxelles del 2013. Recentemente è stato il portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano, ad avvertire le autorità kosovare che si tratta di “un obbligo legale vincolante” e che “devono essere avviate immediatamente le iniziative per la creazione” della comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia.

    In un’anticipazione della bozza del documento pubblicata dal sito Euractiv, emergono i punti su cui si dovrebbe impostare la risoluzione della disputa ancora in stallo: reciproco rispetto della giurisdizione di ciascuna parte, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini esistenti

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    Tensioni della minoranza serba nel nord del Kosovo, l’Ue chiede “responsabilità” a Pristina e Belgrado

    Bruxelles – Il momento è delicato e lo si capisce dalle parole scelte dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano, per descrivere la situazione nel nord del Kosovo: “È un’escalation molto pericolosa, che sta mettendo a rischio anni di duro lavoro e di conquiste“. Il riferimento è agli avvenimenti degli ultimi giorni nella regione di confine, dopo la decisione del governo di Pristina di imporre un piano a tappe dal primo novembre fino alla primavera 2023 per la re-immatricolazione delle auto con targa serba nel Paese. “Ci appelliamo a entrambe le parti affinché si assumano le proprie responsabilità per trovare una soluzione europea”, è l’esortazione che arriva da Bruxelles, che avverte sul rischio di “conseguenze non solo per Serbia e Kosovo, ma per l’intera regione“.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    La nuova ondata di tensione nel nord del Paese balcanico si è aperta con la decisione del principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale e dell’Accordo di Bruxelles” del 2013, come ha spiegato il leader del partito, Goran Rakić. Le dimissioni sono arrivate sabato (5 novembre) dopo una riunione nella città di Zvečan, dove alcuni poliziotti si sono simbolicamente tolti le uniformi della polizia del Kosovo. I serbi kosovari chiedono il “rispetto degli accordi già firmati” e il ritiro dell’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina (con annesse multe per chi non lo rispetta).
    Il nuovo piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe era stato annunciato dal premier Albin Kurti lo scorso 28 ottobre e prevede che – per chi non si adeguerà – tra il primo e il 21 novembre sarà emesso un avvertimento, tra il 21 novembre e il 21 gennaio una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro. La decisione aveva però subito mostrato il maggiore punto di debolezza, quando da Bruxelles era stata espressa l’insoddisfazione per il fatto che “il Kosovo ha il diritto di eliminare gradualmente le targhe, ma il processo deve avvenire secondo le modalità concordate nel dialogo” mediato dall’Ue, aveva commentato la scorsa settimana alla stampa la portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (credits: Afp)
    La cosiddetta ‘battaglia delle targhe’ era scoppiata per la prima volta nel settembre dello scorso anno, quando i reparti speciali di polizia avevano fermato automobili, ciclomotori e camion ai valichi di confine di Jarinje, Brnjak e Merdare, imponendo l’applicazione di targhe di prova kosovare e scatenando boicottaggi e interruzioni stradali da parte delle frange più estremiste della minoranza serba nel nord del Paese. Dopo l’accordo provvisorio trovato a Bruxelles, nei successivi 10 mesi Serbia e Kosovo non sono mai riusciti a trovare un’intesa sulle targhe sostenibile, definitiva e reciproca. A fine luglio si erano registrati nuovi incidenti in occasione della scadenza del primo agosto per la re-immetricolazione dei veicoli con targhe serbe, che avevano spinto il governo Kurti a concedere una doppia proroga per le nuove norme sulle targhe: dal primo settembre è in vigore l’obbligo di apporre un bollo a coprire l’emblema serbo (misura identica a quella applicata da Belgrado sulle auto kosovare), mentre entro il 30 settembre – con un ulteriore rinvio al 31 ottobre – tutti i cittadini di etnia serba che vivono in Kosovo avrebbero dovuto re-immatricolare i propri veicoli, utilizzando una targa rilasciata dalle autorità di Pristina.
    Da sinistra: il rappresentante speciale dell’Ue per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Con l’entrata in vigore del nuovo piano al primo novembre la tensione è tornata a crescere, anche con la regia del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, come evidenziato da alcuni analisti. Il leader serbo ha un controllo diretto della Lista Srpska e ha appoggiato le manifestazioni di domenica (6 novembre) nella città di Kosovska Mitrovica, per chiedere la sospensione della normativa nel Paese che ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza da Belgrado nel 2008. “Ci appelliamo a tutta la responsabilità dei leader dei serbi in Kosovo affinché impediscano un’ulteriore escalation e adottino misure per un comportamento più europeo”, è l’esortazione che arriva questa settimana da Bruxelles, dopo che l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva subito messo in guardia “entrambe le parti dall’astenersi da qualsiasi azione unilaterale, che potrebbe portare a ulteriori tensioni”. 
    “Chiediamo alla Serbia e ai rappresentanti serbi del Kosovo di rispettare i loro obblighi di dialogo e di tornare nelle istituzioni kosovare per svolgere i loro compiti, anche nella polizia, nella magistratura e nelle amministrazioni locali”, è l’invito urgente del portavoce Stano diretto alla parte serba. Ma allo stesso tempo, l’Ue ha esortato nuovamente il Kosovo a “estendere immediatamente il processo di reimmatricolazione dei veicoli e sospendere qualsiasi azione punitiva nei confronti dei possessori di targhe serbe”, perché “la questione delle targhe può essere risolta nell’ambito del dialogo” mediato da Bruxelles. Sia la missione dell’Ue Eulex, sia la forza militare della Nato Kosovo Force (Kfor) – che dispiega circa 3.700 soldati nel Paese – sono in stato di allerta e “continueranno a garantire la stabilità sul terreno e a sostenere il mantenimento di un ambiente sicuro“, è l’ultimo avvertimento dell’alto rappresentante Borrell, mentre il rappresentante speciale dell’Ue speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, è in contatto con le autorità di entrambi i Paesi.

    Spoke this evening to both President Vucic @predsednikrs & PM @albinkurti.
    Recent developments put years of hard work under Belgrade-Pristina Dialogue at risk.
    Called on both sides to refrain from any unilateral actions which might lead to further tensions.
    Full statement ⬇️ https://t.co/KAAltL2IzL
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 5, 2022

    Il nodo dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo
    La questione delle targhe si lega strettamente e potrebbe trovare una soluzione diplomatica in un altro tema scottante per l’ultimo decennio del dialogo Pristina-Belgrado: l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, secondo l’Accordo di Bruxelles firmato nel 2013. “L’Ue invita le autorità kosovare ad avviare immediatamente le iniziative per la creazione” della comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, ha puntualizzato con determinazione il portavoce Stano. “L’Assemblea del Kosovo ha ratificato l’Accordo di Bruxelles e la Corte Costituzionale ha stabilito che deve essere istituita, è un obbligo legale vincolante“, la cui mancata attuazione “non solo mette in discussione il principio dello Stato di diritto nella regione di confine, ma danneggia anche la reputazione e la credibilità del Kosovo“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen e la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani
    L’avvertimento era già arrivato nel dicembre dello scorso anno dallo stesso alto rappresentante Borrell, ma né dal premier Kurti né dalla presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, sono mai arrivate aperture sulla questione. Il primo aveva risposto a Borrell che “focalizzare l’attenzione solo su una parte di accordo non implementato a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale del Kosovo è fare gli interessi dei politici di Belgrado, non del popolo che non ha mai protestato”. Mentre la seconda aveva bollato l’Associazione delle municipalità serbe come “una fase preliminare della creazione di una seconda Republika Srpska e noi non vogliamo un altro Stato che non funziona, come quello bosniaco”, con riferimento alla situazione politica delicatissima in Bosnia ed Erzegovina (per le spinte secessioniste nell’entità a maggioranza serba).
    L’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, unita alle concessioni richieste a Pristina da Bruxelles e Washington sulla questione delle targhe, potrebbe però rappresentare una chiave di volta per il superamento del cronico stallo nel dialogo tra i due Paesi balcanici. Dietro le quinte c’è una proposta franco-tedesca di cui al momento non si conoscono i dettagli, se non le indiscrezioni pubblicate in esclusiva dall’Albanian Post: nell’accordo che dovrebbe essere firmato nel 2023, in cambio dei compromessi da parte di Pristina, la Serbia si impegnerebbe a prendere atto della “realtà del Kosovo indipendente” (al momento senza un riconoscimento formale, che avverrebbe tra altri 10 anni). Da Bruxelles non arrivano né smentite né conferme alle anticipazioni, ma la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato apertamente al summit del Processo di Berlino di giovedì scorso (3 novembre) che c’è “pieno supporto dalla Commissione alla proposta franco-tedesca, sarà integrata nel dialogo facilitato dall’Ue tra Serbia e Kosovo“, dal momento in cui rappresenta “un ponte gettato per risolvere i problemi nel modo più veloce”.

    Dopo l’escalation che ha portato al ritiro dei serbi dalle istituzioni nazionali kosovare per la decisione del governo di imporre un piano a tappe per l’eliminazione delle targhe serbe nel Paese, da Bruxelles arrivano richieste di distensione e di attuazione di tutti gli accordi già presi

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    Il piano del Kosovo per l’eliminazione delle targhe serbe entro il 2023 non soddisfa pienamente l’Ue

    Bruxelles – Ancora una volta, come un anno fa, nel giorno della visita in Serbia della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il culmine della tensione sulla cosiddetta ‘battaglia delle targhe’ in Kosovo ha trovato una soluzione temporanea. Ma, un po’ a sorpresa, le reazioni a Bruxelles non sono tra le più entusiaste nei confronti delle concessioni fornite dal governo di Pristina. “Il Kosovo ha il diritto di eliminare gradualmente le targhe, ma il processo deve avvenire secondo le modalità concordate nel dialogo” mediato dall’Ue, è il commento secco della portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, nel corso del punto quotidiano di oggi (lunedì 31 ottobre) con la stampa europea.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, a Pristina (27 ottobre 2022)
    Proprio per oggi era fissata la scadenza per la re-immatricolazione dei veicoli in Kosovo, secondo la decisione del governo guidato da Albin Kurti di imporre la sostituzione delle targhe serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) con quelle kosovare. Rispetto alla scadenza originaria del primo agosto – dopo le tensioni scoppiate nord del Kosovo a fine luglio – Pristina aveva concesso una doppia proroga per le nuove norme sulle targhe: dal primo settembre è in vigore l’obbligo di apporre un bollo a coprire l’emblema serbo (misura identica a quella applicata da Belgrado sulle auto kosovare), mentre entro il 30 settembre – con un ulteriore rinvio al 31 ottobre – tutti i cittadini di etnia serba che vivono in Kosovo avrebbero dovuto re-immatricolare i propri veicoli, utilizzando una targa rilasciata dalle autorità di Pristina. A differenza del compromesso raggiunto lo scorso 27 agosto sul riconoscimento dei documenti d’identità nazionali, Serbia e Kosovo non sono mai riusciti a trovare un’intesa sulle targhe sostenibile, definitiva e reciproca, mettendo fine a una tensione che da più di un anno continua a riemergere ciclicamente con episodi anche violenti ai valichi di frontiera.
    Sia nel corso della sua tappa a Pristina, sia in quella a Jelašnica (Serbia), la presidente von der Leyen si era detta “fiduciosa” nei confronti di una “soluzione attraverso il dialogo”, sottolineando che “le regole devono essere chiare e devono essere rispettate”. Da Bruxelles e Washington erano arrivate richieste al Kosovo di rinviare di 10 mesi la scadenza, per avere maggiori prospettive di compromesso, ma il premier Kurti si era da subito dimostrato riluttante ad accordare un nuovo rinvio senza nessuna contropartita. Nella serata di venerdì (28 ottobre) lo stesso premier kosovaro aveva poi annunciato il nuovo piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe: a chi non si adeguerà, tra il primo e il 21 novembre sarà emesso un avvertimento, tra il 21 novembre e il 21 gennaio una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro.

    Today our Govt approved gradual implementation of the policy on illegal license plates announced in June, which our int’l partners confirm is fully compliant w/ Brussels agreement. The implementation decision ensures rule of law on the one hand, and peace & security on the other. pic.twitter.com/TXV67JpAVw
    — Albin Kurti (@albinkurti) October 29, 2022

    La reazione di Bruxelles al piano del Kosovo
    “In questo modo abbiamo mostrato la nostra determinazione a implementare le nostre decisioni e allo stesso modo la nostra dedizione e contributo a mantenere la pace e la sicurezza nella regione, che era anche la preoccupazione dei nostri partner internazionali”, ha commentato il premier Kurti. Ma a Bruxelles non la pensano nello stesso esatto modo: “Pur essendo un passo nella giusta direzione, la decisione non è in linea con gli accordi di dialogo, che sono vincolanti per entrambe le parti”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). L’accordo del 2016 prevede un processo “chiaramente sequenziato e definito con un calendario di 12 mesi” per il processo di eliminazione graduale, “che non è stato seguito”. In altre parole, “il Kosovo dovrebbe prevedere un periodo di transizione più lungo“, come avevano avvertito anche i partner statunitensi: “È deludente constatare che non è stato seguito“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Jelešnica (28 ottobre 2022)
    Di fronte alla possibilità di uno scoppio di nuovi scontri violenti alla frontiera da parte di cittadini di etnia serba in Kosovo – da blocchi stradali a scontri con le forze dell’ordine, fino alle ritorsioni contro chi decide di adeguarsi alle norme di Pristina – l’Ue mette in chiaro che “è imperativo mantenere la calma“. L’invito “a tutte le parti interessate” è di “dar prova di moderazione ed evitare qualsiasi azione o retorica che possa mettere a repentaglio la stabilità sul campo, in particolare nel nord del Kosovo”, e che possa mettere in allarme i 3.700 soldati della forza militare internazionale della Nato, Kosovo Force (Kfor).

    Il governo di Pristina ha posticipato al 21 aprile 2023 il divieto di circolare con veicoli che abbiano targhe diverse da quelle kosovare, con un programma a tappe: “Pur essendo un passo nella giusta direzione, la decisione non è in linea con gli accordi di dialogo” mediati da Bruxelles

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    L’Ue cerca di avvicinare la Serbia mettendola al centro dei progetti balcanici (e con il più alto supporto contro la crisi)

    Bruxelles – L’Unione Europea cambia strategia e cerca di convincere la Serbia ad allinearsi alle richieste di Bruxelles mettendola al centro dei progetti infrastrutturali, energetici e di connettività di tutta la regione balcanica, per un collegamento ulteriore al resto d’Europa. Non può passare inosservato il fatto che la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, non ha scelto la capitale Belgrado come tappa serba del suo viaggio di quattro giorni nei Balcani Occidentali (come ha invece fatto per Macedonia del Nord, Kosovo, Albania e Bosnia ed Erzegovina), ma Jelašnica, presso Niš, nel sud del Paese.
    Proprio qui sorgerà “entro il prossimo anno” l’interconnettore di gas che collegherà la Serbia alla Bulgaria, un progetto finanziato all’80 per cento da Commissione e Banca europea per gli investimenti (Bei). Lo scopo è duplice: non solo “aprirà il mercato serbo del gas alla diversificazione e migliorerà la sicurezza energetica” del Paese (che pochi mesi fa ha siglato un nuovo contratto con Gazprom), ma soprattutto “vi avvicinerà all’Ue”, ha promesso la numero uno della Commissione al presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. L’esortazione è quasi latina – “bisogna essere in due per ballare il tango” – ma l’obiettivo è senza dubbio pragmatico: “È necessario, una dipendenza troppo incentrata sul gas russo non è positiva“. La presenza di von der Leyen sul sito dei lavori in Serbia è una dimostrazione che “siamo già insieme in un’Unione dell’energia“, perché “qualsiasi cosa faccia l’Unione Europea, i Balcani Occidentali sono inclusi” e viceversa: “Un miglioramento dell’interconnettore del gas qui ha un’influenza positiva per l’intera Unione Europea”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučič (Jelašnica, 28 ottobre 2022)
    L’Unione dell’energia coinvolge anche l’approvvigionamento energetico da “fornitori affidabili” attraverso la piattaforma di acquisto congiunto del gas, a cui “anche la Serbia è invitata a unirsi”. Per i Ventisette è cruciale “usare il nostro potere di mercato per ottenere risultati migliori dove c’è molta concorrenza, soprattutto sui prezzi”, ha spiegato la numero uno dell’esecutivo comunitario. Ed è qui che si inserisce la questione del supporto energetico dell’Ue a tutti i partner dei Balcani Occidentali, il vero filo rosso della visita di von der Leyen nelle sei capitali. Dopo gli 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, i 75 milioni per il Kosovo e i 70 milioni per la Bosnia ed Erzegovina, la presidente della Commissione ha annunciato “165 milioni di euro in sovvenzioni per il sostegno immediato al bilancio della Serbia, per aiutare famiglie e imprese vulnerabili” ad affrontare i prezzi dell’energia alle stelle. Si tratta di gran lunga dell’importo più alto tra tutti i partner balcanici, tanto che il leader serbo non ha potuto nascondere un moto di sincera ammirazione: “È una cifra enorme per noi, dobbiamo ringraziare i contribuenti dell’Unione, soprattutto quando qualcuno ci offre un supporto economico senza chiedere nulla in cambio”.
    Ma è la seconda parte del sostegno di Bruxelles a interessare con ancora più forza, almeno sul medio/lungo periodo. L’Ue finanzierà con un pacchetto da 500 milioni di euro in sovvenzioni progetti nazionali e congiunti su energie rinnovabili e infrastrutture transfrontaliere, come quella tra Serbia e Bulgaria visitata dai due leader. Nel taccuino di von der Leyen c’è l’interconnettore del gas tra Serbia e Macedonia del Nord, progetto che “completerà il collegamento della regione”, ma anche un grande esempio di quella “interdipendenza” tra i Balcani Occidentali e il resto dell’Europa: “Il Corridoio Elettrico Trans-Balcanico è affascinante, tutto sarà connesso dall’Italia alla Bulgaria passando per la Serbia, il Montenegro e la Bosnia ed Erzegovina”. In questo modo “ci aiuteremo a vicenda, per non trovarci mai più in un collo di bottiglia come quello di oggi”.

    The 🇷🇸🇧🇬 gas interconnector will improve Serbia’s energy security – and bring you one step closer to the EU.
    We also invite 🇷🇸 to take part in our EU joint procurement of energy.
    We will be happy to have Serbia with us. https://t.co/vGFNe1HBcN
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 28, 2022

    La Serbia tra Ue, Russia e Kosovo
    Oltre alle interconnessioni e all’energia c’è di più, in particolare sul fronte della politica internazionale. La prima questione è legata strettamente all’invasione russa dell’Ucraina e allo stretto legame della Serbia con Mosca. Da quando è scoppiata la guerra Bruxelles chiede insistentemente a Belgrado di rendere coerente la propria politica sulle sanzioni contro la Russia a quella dell’Ue, ma a oggi non si vedono spiragli per uno scostamento dall’ormai insostenibile posizione di neutralità tra i partner occidentali e l’alleato storico. La presidente von der Leyen ha utilizzato molta cautela nel sottolineare la necessità di un allineamento alla politica estera e di sicurezza dell’Unione – “questa guerra sta ridefinendo il panorama della sicurezza dell’intero continente, permettetemi di assicurarvi che l’Ue è e rimarrà il più importante partner politico ed economico della Serbia” – proprio per non compromettere la nuova strategia improntata più sullo stretto coinvolgimento sul campo e la persuasione economica del partner balcanico.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučič (Jelašnica, 28 ottobre 2022)
    Il secondo capitolo più urgente riguarda le tensioni tra la Serbia e il Kosovo, a tre giorni dalla scadenza fissata dal governo di Pristina per la re-immatricolazione dei veicoli nel Paese (dopo due rinvii consecutivi, per un totale di tre mesi). Da lunedì 31 ottobre tutti i mezzi di trasporto dovranno presentare targhe kosovare e potrebbero essere sequestrati quelli che circolano ancora con targhe serbe, molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese. Per Belgrado tutto ciò rappresenta una provocazione (nonostante la misura sia identica a quella applicata dalla Serbia): “Sono molto preoccupato per i rapporti con Pristina, ma facciamo il possibile per mantenere la pace e la stabilità”, ha affondato il presidente Vučić, rispondendo a distanza alle parole di ieri dell’omologa kosovara, Vjosa Osmani. Lo stesso leader serbo ha convocato il Consiglio per la sicurezza nazionale, per valutare come rispondere a eventuali tensioni violente al confine, come quelle scoppiate a fine luglio nord del Kosovo
    “Sappiamo tutti per esperienza che solo con il dialogo siamo in grado di risolvere i conflitti, c’è ancora tempo“, ha assicurato la presidente von der Leyen. Ma dopo un anno di soluzione provvisoria (la numero uno della Commissione si trovava proprio in Serbia il 30 settembre 2021, quando era stata firmata) e tre mesi di confronto tra Pristina e Belgrado, i due Paesi balcanici non sono riusciti a raggiungere un’intesa definitiva, come invece hanno fatto sul riconoscimento dei documenti d’identità nazionali lo scorso 27 agosto. Bruxelles e Washington spingono per un ultimo rinvio di 10 mesi della scadenza, per avere maggiori prospettive di compromesso, ma il governo kosovaro non sembra voler fare ulteriori concessioni. Servirà un colpo di coda diplomatico della leader dell’esecutivo comunitario per imprimere una svolta.