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La Serbia ha un nuovo governo, già molto controverso per la presenza di due filo-russi sanzionati dagli Usa

Bruxelles – Dopo quasi cinque mesi dalle contestatissime elezioni la Serbia ha un nuovo governo. Ma, nemmeno il tempo di insediarsi, e già si mostrano i primi segnali di un rapporto tutto in salita con i partner occidentali. Perché tra i membri del gabinetto guidato da Miloš Vučević compaiono due figure particolarmente controverse per i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, tanto da comparire nella lista delle persone sanzionate dagli Stati Uniti nell’ultimo anno: l’ex-capo dell’intelligence serba, Aleksandar Vulin, e il politico di lungo corso e proprietario di aziende con sede in Russia Nenad Popović. E anche per l’Unione Europea il futuro di breve periodo continua a prospettarsi complesso – tanto quanto lo è stato con l’ex-premier e oggi speaker dell’Assemblea nazionale, Ana Brnabić – in particolare per quanto riguarda il dialogo mediato da Bruxelles per la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo.

Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si congratula con il neo-primo ministro, Miloš Vučević, 2 maggio 2024 (credits: Oliver Bunic / Afp)

È stato lo stesso neo-premier Vučević a definire il suo governo in linea di “continuità” con quello precedente, nel corso della sessione parlamentare che ieri (2 maggio) ha dato il via libera al nuovo esecutivo. Nessuna sorpresa, anche considerato il fatto che Vučević è stato vicepremier e ministro della Difesa proprio nell’ultimo gabinetto guidato da Brnabić. “Continuità” significherà senza dubbio nessuno stravolgimento nella politica estera – sia per la strada verso l’adesione all’Ue sia per il mantenimento dei rapporti con Russia e Cina – ma anche nelle questioni considerate a Belgrado di politica interna (cioè il rapporto con il Kosovo, di cui non è mai stata riconosciuta l’indipendenza dal 2008). E soprattutto per quanto riguarda la presa forte del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, sul partito al potere – Vučević è un suo stretto alleato, nonché leader del Partito Progressista Serbo (Sns) dopo le dimissioni dello stesso Vučić lo scorso anno – e sulla politica di governo più in generale.

Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, alle urne il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)

Al momento però l’attenzione è tutta puntata sulla squadra di governo, composta da 31 membri (di cui la maggior parte espressione dell’Sns). Tra questi in particolare l’ex-capo dell’Agenzia per le informazioni sulla sicurezza della Serbia Vulin, che sarà uno dei nuovi vicepremier. Dal luglio dello scorso anno Vulin compare nella lista dei sanzionati degli Stati Uniti non solo per essere coinvolto “in attività di criminalità organizzata transnazionale, operazioni illegali di narcotici e abuso di ufficio pubblico”, ma anche per aver utilizzato le sue posizioni pubbliche per “facilitare le attività maligne della Russia che degradano la sicurezza e la stabilità dei Balcani Occidentali e fornendo alla Russia una piattaforma per promuovere la sua influenza nella regione“. Come se non bastasse anche l’imprenditore e fondatore del Partito Popolare Serbo nazionalista Popović è stato nominato ministro senza portafoglio, nonostante sia sanzionato dal novembre 2023 sempre dagli Stati Uniti per aver “utilizzato le sue aziende con sede in Russia per arricchirsi e ottenere stretti legami con gli alti dirigenti del Cremlino” nei settori “della consulenza, dell’immobiliare e dell’elettronica dell’economia russa” attraverso “appropriazioni indebite e schemi fiscali”.

Con Bruxelles rimane poi particolarmente spinosa la questione del rispetto degli standard democratici. Nel suo rapporto finale sulle elezioni anticipate del 17 dicembre 2023, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) aveva avvertito che nonostante “le libertà fondamentali sono state generalmente rispettate durante la campagna elettorale”, il voto è stato “inficiato da una retorica aspra, dalla parzialità dei media, dalle pressioni sui dipendenti del settore pubblico e dall’uso improprio delle risorse pubbliche”. È per questo che il Parlamento Europeo ha richiesto alla Commissione Ue azioni pesanti nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità nei brogli elettorali, tra cui la “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione. La premier uscente Brnabić ha poi chiuso la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, ma a Bruxelles rimangono ancora grosse preoccupazioni sulle irregolarità alle urne e la mancanza di completa trasparenza nel processo elettorale.

Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipate

Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)

Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.

Proprio nella capitale la situazione è rimasta tesa per settimane dopo la vittoria rivendicata dal filo-russo Aleksandar Šapić, al punto da costringere il governo serbo a ripetere le elezioni amministrative il prossimo 2 giugno. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.

Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)

A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba – ora membro del nuovo governo – Vulin aveva riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.


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