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    Bruxelles in pressing su Belgrado: “Attuare le raccomandazioni Osce in vista di future elezioni”

    Bruxelles – Continua il botta e risposta tra Bruxelles e Belgrado sullo svolgimento delle elezioni anticipate in Serbia del 17 dicembre, con un nuovo elemento sul tavolo: il rapporto finale dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) sugli elementi di criticità alle urne. “Conferma le preoccupazioni dell’Unione Europea, il processo elettorale richiede miglioramenti tangibili e ulteriori riforme” e “le segnalazioni di irregolarità devono essere affrontate in modo trasparente, comprese quelle relative alle elezioni locali”, è quanto sottolineato questa mattina (29 febbraio) dal portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, alle urne il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Il rapporto dell’Osce pubblicato meno di 24 ore fa conferma l’allarme già anticipato dalle conclusioni preliminari di dicembre, in particolare sul fronte delle interferenze interne e delle condizioni inique per i concorrenti del partito Partito Progressista Serbo (Sns) al potere. “Sebbene tecnicamente ben amministrate e in grado di offrire agli elettori una scelta di alternative politiche”, le elezioni anticipate del 2023 “sono state dominate dal coinvolgimento decisivo del presidente” Aleksandar Vučić che, “insieme ai vantaggi sistemici del partito al potere, ha creato condizioni ingiuste per i concorrenti”, è quanto rilevato dall’Osce. A questo si aggiunge il fatto che, anche se “le libertà fondamentali sono state generalmente rispettate durante la campagna elettorale”, il voto è stato “inficiato da una retorica aspra, dalla parzialità dei media, dalle pressioni sui dipendenti del settore pubblico e dall’uso improprio delle risorse pubbliche”.È con queste indicazioni che si riapre la partita delle misure da prendere a seguito di uno svolgimento non completamente trasparente delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso. Solo pochi giorni fa la prima ministra serba in carica, Ana Brnabić, aveva chiuso completamente la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, respingendo la risoluzione del Parlamento Europeo in cui erano state richieste azioni pesanti alla Commissione Ue nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali. Tra queste una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”. Oltre all’indagine internazionale indipendente gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione anche di lanciare “un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia” sull’esempio dei ‘rapporti Priebe’ (le raccomandazioni di un gruppo di esperti incaricato dalla Commissione nel 2015 sulla Macedonia del Nord).“Non c’è tempo da perdere” sull’attuazione delle 25 raccomandazioni dell’Osce “in vista delle future elezioni nel Paese”, è l’esortazione del portavoce del Seae Stano all’indirizzo delle autorità di Belgrado, facendo riferimento agli “obblighi e standard internazionali per le elezioni democratiche”. Le raccomandazioni principali riguardano la necessità di “rivedere la legislazione per affrontare efficacemente” le carenze a proposito di “un processo consultivo inclusivo basato su un ampio consenso politico”, l’introduzione di “una formazione obbligatoria standardizzata per tutti i membri delle commissioni elettorali locali e dei comitati elettorali” e lo sviluppo di “un programma di educazione degli elettori tempestivo, completo e mirato”, compresa “la prevenzione del voto di gruppo” e “l’importanza del voto a scrutinio segreto”. L’Osce raccomanda anche “una revisione significativa dei registri elettorali e civili” e l’adozione di “misure per prevenire l’uso improprio delle cariche e delle risorse statali”, allo stesso tempo implementando “meccanismi efficaci di controllo legale e istituzionale per prevenire intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi i dipendenti delle istituzioni pubbliche e statali”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipate

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il governo serbo chiude le porte alle indagini richieste dal Parlamento Ue sui possibili brogli elettorali

    Bruxelles – Il governo della Serbia strappa con le istituzioni dell’Unione Europea, chiudendo completamente la porta alle indagini indipendenti sui possibili brogli alle elezioni del 17 dicembre 2023. “Non permetterò mai un’indagine internazionale, perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale“, ha messo in chiaro senza mezzi termini la prima ministra serba in carica, Ana Brnabić, nel corso di un’intervista all’emittente serba Prva televizija: “Sospenderebbe il Parlamento, le istituzioni, la democrazia e finirebbe per portare gli stranieri al potere”.

    Cartelloni delle opposizioni alla prima seduta dell’Assemblea Nazionale della Serbia il 6 febbraio 2024 contro il presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, definito ‘capo-mafia’ (credits: Andrej Isakovic / Afp)Parole durissime, arrivate a poco più di due settimane dalla risoluzione del Parlamento Europeo votata a larghissima maggioranza, in cui non sono solo state sollevate enormi preoccupazioni sullo Stato di diritto in Serbia, ma che ha anche chiesto azioni pesanti alla Commissione nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali. “Non è stato rubato nemmeno un voto”, ha risposto secca la premier Brnabić, che ha attaccato gli eurodeputati e le opposizioni nel Paese: “A quanto pare ora si rivolgono alla Commissione Europea per fantasticare su come dovrebbe essere l’indagine, non solo vogliono solo cancellare la nostra sovranità, ma anche sospendere le istituzioni e il diritto nazionale”. Con un contrattacco sulla richiesta di aprire le banche dati per controllare la registrazione regolare degli aventi diritto al voto: “Come si può fare opposizione facendo sì che gli stranieri chiedano controlli come il conteggio di quante persone vivono in un appartamento o in una casa?“.La risoluzione congiunta del Parlamento Europeo aveva esortato la Commissione Ue a “lanciare un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia per valutare la situazione” relativa alle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso e agli sviluppi post-elettorali, facendo attenzione soprattutto alla “sistematicità dei brogli che hanno compromesso l’integrità” della tornata elettorale e alle interferenze del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, a sostegno del suo Partito Progressista Serbo (Sns). Per questo motivo la missione Ue dovrebbe essere accompagnata da “un’indagine internazionale indipendente” sulle “irregolarità delle elezioni parlamentari, provinciali e comunali”, in particolare per l’Assemblea di Belgrado. Nel caso in cui le autorità serbe non attueranno le raccomandazioni elettorali “o se i risultati di questa indagine indicano che sono direttamente coinvolte nei brogli elettorali”, lo stesso esecutivo comunitario dovrebbe considerare una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipate

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’Ue è immobile davanti a una Serbia sempre più ambigua con la Russia, dalle sanzioni alle armi

    Bruxelles – Di fronte alle continue prove di non-allineamento da parte della Serbia del presidente Aleksandar Vučić – se non di vere e proprie provocazioni – alla politica Ue sul rapporto con la Russia di Vladimir Putin, l’Unione Europea nel suo complesso sembra a tutti gli effetti immobile e incapace di reagire. Perché se alcune istituzioni sono in grado di porsi in netta opposizione e prendere posizioni anche durissime (come il Parlamento Ue ha fatto recentemente), altre non stanno nemmeno provando a far capire a Belgrado che ogni azione negativa sul percorso di adesione Ue può comportare una reazione uguale e contraria a Bruxelles.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)“Il nuovo slancio del processo di allargamento dell’Ue offre alla Serbia e ai Balcani Occidentali l’opportunità di avanzare, mentre il Piano di crescita accelererà l’integrazione, il momento di agire è adesso”, è quanto scritto in un post su X dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al termine di una telefonata con il leader serbo sulla “strada da seguire per il cammino della Serbia verso l’Ue”. Un messaggio non particolarmente vibrante, che in un certo modo stona con la settimana di dichiarazioni e azioni politiche all’insegna dell’intesa storica tra Belgrado e Mosca, nonostante gli ostacoli della guerra in Ucraina per le relazioni tra Vučić e Putin. Nel corso degli ultimi due anni il presidente serbo ha dovuto fare l’equilibrista per non diventare il paria in Europa – abbracciando un’opposizione totale alla linea dura dell’Ue contro il Cremlino – ma allo stesso tempo per non trovarsi costretto a recidere il legame con Mosca adottando le sanzioni internazionali.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado (31 ottobre 2023)In altre parole, mentre rimane aperta la strada verso l’adesione all’Ue, la Serbia di Vučić è l‘unico partner dell’Unione che rivendica il non-allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina, nemmeno a livello di principio. “Avete molti amici in tutti i Paesi europei, e tutti hanno imposto sanzioni alla Russia, l’unico Paese che non l’ha fatto è la piccola Serbia“, è il messaggio dello stesso presidente Vučić in un’intervista per l’agenzia di stampa russa Tass, condito con quella che non può non essere considerata una palese provocazione all’indirizzo di Bruxelles: “Un vero amico si riconosce nei momenti di difficoltà, è in questi momenti che si mostra il proprio vero volto”. Mentre a ogni appuntamento internazionale “l’argomento principale sono le sanzioni contro la Russia”, Vučić ha ribadito che “ci sforzeremo di difendere la nostra posizione il più a lungo possibile, ci siamo riusciti per due anni, spero riusciremo a continuare a farlo”.Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, a Sochi (4 dicembre 2019)Non sono solo le sanzioni alla Russia a rappresentare un nodo nei rapporti tra Bruxelles e Belgrado. Nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro – oltre a quanto già previsto dal Piano economico e di investimenti e ai possibili stanziamenti del Piano di crescita per i Balcani Occidentali – nel maggio 2022 Vučić ha siglato un’intesa con Putin per tre anni di gas russo a condizioni favorevoli. Per il Cremlino la Serbia è una sorta di testa di ponte nei Balcani Occidentali, tanto che Bruxelles continua a sollevare preoccupazioni sulla possibile destabilizzazione russa della regione dopo l’attacco armato all’Ucraina. Una delle modalità privilegiate è attraverso la disinformazione e la propaganda anti-occidentale che sul territorio serbo è reso possibile da Russia Today Balkan, emittente bandita dall’Unione Europea ma dal luglio 2022 operativa a Belgrado.E poi c’è la questione del rapporto militare, che è emersa in maniera preoccupante proprio nel corso degli ultimi giorni. Lo stesso presidente Vučić ha presentato giovedì scorso (15 febbraio) la nuova integrazione nell’arsenale dell’esercito serbo, il sistema anti-drone Repellent acquistato dalla Russia: un sistema mobile che può distruggere sciami di droni di sorveglianza e d’attacco, consentendo di individuare e neutralizzare automaticamente i droni da ricognizione e i droni kamikaze nemici a distanze fino a 30 chilometri. A questo si aggiunge poi l’investimento da 300 milioni di euro nell’industria nazionale, in particolare i sistemi di artiglieria. Presentandoli, Vučić ha lanciato un altro messaggio non poco equivoco: “Possiamo amare i droni e gli elicotteri, ma è l’artiglieria a vincere sul fronte, lo possiamo vedere in Ucraina“.

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    L’Eurocamera contro la Serbia di Vučić. Stop ai finanziamenti Ue se le autorità coinvolte nei brogli

    Bruxelles – La denuncia del Parlamento Europeo su quanto andato in scena in Serbia il 17 dicembre non poteva essere più dura, considerato il livello di sostegno dell’Aula di Strasburgo. Con 461 a favore, 53 contrari (tutto il gruppo di Id a parte gli italiani della Lega, astenuti) e 43 astenuti (tra cui tutti gli eurodeputati di Fratelli d’Italia, a differenza della maggioranza del gruppo Ecr a favore), la sessione plenaria dell’Eurocamera ha dato il via libera oggi (8 febbraio) alla risoluzione congiunta sulla situazione in Serbia dopo le elezioni di dicembre, in cui non solo vengono sollevate enormi preoccupazioni sullo Stato di diritto nel Paese candidato all’adesione Ue, ma che chiede anche azioni pesanti da parte della Commissione nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, all’urna elettorale il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Una risoluzione condivisa nella sua interezza da tutti i gruppi politici all’Eurocamera (le sei mozioni di risoluzioni a firma Ppe, S&D, Renew Europe, Verdi/Ale, Ecr e Sinistra sono confluite in un unico testo), fatta eccezione per l’estrema destra di Identità e Democrazia, che come nel corso del dibattito di gennaio in sessione plenaria si è schierata contro la denuncia delle irregolarità del voto e ha portato avanti una retorica distorta dei rapporti tra Ue e Serbia (e Russia). Ma sono proprio i numeri all’Eurocamera a mettere in chiaro che per l’istituzione comunitaria è tempo di fare sul serio con Belgrado: “Esortiamo la Commissione Ue a lanciare un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia per valutare la situazione relativa alle recenti elezioni e agli sviluppi post-elettorali“, con l’obiettivo di facilitare il dialogo sociale e di “valutare e affrontare le questioni sistemiche dello Stato di diritto in Serbia, guardando all’esempio dei ‘rapporti Priebe’ [raccomandazioni di un gruppo di esperti incaricato dalla Commissione nel 2015 sulla Macedonia del Nord, ndr]”. Gli eurodeputati ricordano in particolare il fatto che le elezioni parlamentari anticipate di dicembre si sono “discostate dagli standard internazionali”, sia per le interferenze del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, a sostegno del suo Partito Progressista Serbo (Sns), sia per la “sistematicità dei brogli che hanno compromesso l’integrità” della tornata elettorale. Per questo motivo la missione Ue dovrebbe essere accompagnata da “un’indagine internazionale indipendente” sulle “irregolarità delle elezioni parlamentari, provinciali e comunali”, con particolare attenzione a quelle per l’Assemblea di Belgrado.Nonostante i ripetuti appelli da parte della comunità internazionale, non è arrivata alcuna “risposta istituzionale alle gravi accuse di coinvolgimento in manipolazioni e abusi elettorali, che contribuisce a creare un’atmosfera di impunità e garantisce la continuazione di queste pratiche” e – avvertono gli eurodeputati – “se si lascia che persista senza alcuna ripercussione, questa pratica continuerà a minare la fiducia nel processo elettorale e nelle istituzioni serbe, ostacolando irrimediabilmente il regime democratico e l’ulteriore integrazione europea”. Di fronte a un quadro allarmante sul piano del deterioramento degli standard di rispetto dello Stato di diritto per un Paese candidato da 12 anni all’adesione Ue, il Parlamento Ue non risparmia un affondo anche all’esecutivo comunitario per la “mancanza di critiche esplicite”, in particolare da parte del più controverso membro del Collegio dei commissari, l’ungherese Olivér Várhelyi responsabile proprio per l’Allargamento.

    Cartelloni delle opposizioni alla prima seduta dell’Assemblea Nazionale della Serbia il 6 febbraio 2024 contro il presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, definito ‘capo-mafia’ (credits: Andrej Isakovic / Afp)Ma proprio la Commissione è chiamata a prendere le azioni più dure se Belgrado non attuerà le raccomandazioni elettorali “o se i risultati di questa indagine indicano che le autorità serbe sono direttamente coinvolte nei brogli elettorali”. Vale a dire una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”, si legge nella risoluzione. Senza dimenticare le accuse dello stesso presidente serbo all’indirizzo di Stati membri Ue e media europei, secondo cui “sarebbero stati coinvolti nell’organizzazione delle proteste post-elettorali”. A questo proposito tutte le istituzioni Ue sono allineate nella denuncia alle allusioni di Vučić di “una guerra speciale” condotta dalla stampa occidentale: “Se osserva ciò che viene fatto con il sostegno della sua amministrazione per quanto riguarda la qualità del giornalismo”, a Belgrado permette “allo strumento della propaganda e della menzogna russa di mettere piede sul suolo serbo”, ha attaccato in un punto con la stampa il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano. Il riferimento è a Russia Today Balkan (dal luglio 2022 operativa in Serbia), “un’emittente bandita dall’Unione Europea per le sue attività sovversive in relazione alla guerra illegale contro l’Ucraina”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateNonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’estrema destra europea ha una visione distorta dei rapporti tra Unione Europea e Serbia (e Russia)

    Bruxelles – Viktor Orbán non è solo. Il più stretto alleato della Serbia di Aleksandar Vučić, il primo ministro che sta creando più problemi per l’unità dei Ventisette – e lo stesso che sta mettendo i bastoni fra le ruote di Bruxelles all’introduzione di misure contro Belgrado per il non rispetto degli impegni assunti per la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo – sta trovando buona compagnia nello schieramento di estrema destra al Parlamento Europeo. Destabilizzazione, ingerenze, tentativi di ricreare “una nuova Maidan”. Sono le accuse lanciate da alcuni esponenti del gruppo Identità e Democrazia (Id) all’indirizzo non della Russia o della Cina, ma contro l’Unione Europea, dopo il risultato quantomeno controverso delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso in Serbia.(credits: Andrej Isakovic / Afp)Le insinuazioni avanzate in particolare da due eurodeputati francesi di Rassemblement National sono state senza dubbio la nota più frizzante del dibattito di questa settimana alla sessione plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo a proposito della situazione in Serbia dopo le elezioni di dicembre (il voto sulla risoluzione è previsto per alla sessione di febbraio). Tutti i gruppi politici, compreso quello dei Conservatori e Riformisti Europei, si sono ritrovati d’accordo sul fatto che si sono registrate “gravi irregolarità e compravendita di voti” – come affermato dal croato Ladislav Ilčić (Ecr), anche se animato da ragioni puramente nazionalistiche – e che “i cittadini serbi meritano riforme europee e risultati concreti” (Vladimír Bilčík, Ppe), con critiche poco velate a Commissione e Consiglio sulla “reazione molto morbida” per la necessità di “pragmatismo a sostegno della stabilocrazia nel Paese, che però non porta ai risultati previsti” (Klemen Grošelj, Renew Europe). Tutti eccetto gli eurodeputati francesi intervenuti nell’emiciclo di Strasburgo a nome del gruppo Id, che hanno espresso il proprio dissenso con parole più controverse del previsto.“L’ideologia motiva questo dibattito, qual è il vostro problema? La vittoria di Vučić e la sconfitta dei vostri alleati politici di opposizione? È per questo che l’Ue cerca di destabilizzare la Serbia?“, ha attaccato il francese Jean-Lin Lacapelle (Id), accusando le istituzioni comunitarie di “ingerenze nella politica serba, perché ogni Paese è sovrano e indipendente, fino a quando le sue scelte democratiche non vi piacciono”. Ancora più esplicito il connazionale Thierry Mariani: “Sono preoccupato perché questa regione ha bisogno di riappacificazione, mentre questo dibattito farà sì che l’opposizione continui a smuovere le acque”. Fino alla chiusura più sibillina: “Vorrei capire qual è la ragione dietro questa discussione, stimolare una seconda Maidan?” Il riferimento è a uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra la Russia e l’Ucraina nel 2013, e che per Kiev e Bruxelles è considerato il primo momento di espressione della volontà popolare di seguire la prospettiva europea per il Paese oggi invaso dall’esercito russo.Le parole dei due eurodeputati di estrema destra – e in particolare il riferimento alla “seconda Maidan” con accezione negativa – evidenziano non solo la visione distorta dei rapporti tra Ue e Serbia secondo una parte specifica dello spettro politico europeo, ma anche una strizzata d’occhio alla Russia di Vladimir Putin che non è mai stata rinnegata (ma diventata solo meno esplicita dopo lo scoppio della guerra in Ucraina). Parlare di “destabilizzazione” del sistema di potere del presidente Vučić da parte delle istituzioni comunitarie è fuorviante per due ragioni. In primis perché non fattuale: la Serbia è un Paese candidato dall’adesione all’Unione Europea, i cui impegni sanciti dai Trattati Ue (compreso il rispetto dei principi dello Stato di diritto messo in discussione dallo svolgimento delle ultime elezioni) sono stati sottoscritti volontariamente da Belgrado. In secondo luogo perché – ammesso e non concesso che a Bruxelles ci sia un disegno di pressioni illecite contro la Serbia – i meccanismi democratici dell’Unione consentono al premier Orbán di opporsi in sede di Consiglio all’introduzione delle misure “temporanee e reversibili” in discussione da mesi a Bruxelles (le stesse che invece sono in atto nei confronti del Kosovo) nonostante il via libera di tutti gli altri Paesi membri.Ancora più preoccupante è la visione dei rapporti alla luce del ruolo della Russia nella regione. In particolare va considerato il fatto che la Serbia di Vučić è l’unico partner dell’Unione che rivendica il non-allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina (nemmeno a livello di principio) e che fino a oggi non ha mai voluto allontanarsi eccessivamente dal legame con il Cremlino. Al contrario, nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro, nel maggio 2022 Vučić ha siglato un’intesa con Putin per tre anni di gas russo a condizioni favorevoli. Per il Cremlino la Serbia è una sorta di testa di ponte nei Balcani Occidentali, tanto che Bruxelles continua a sollevare preoccupazioni sulla possibile destabilizzazione russa della regione dopo l’attacco armato all’Ucraina. A proposito di Ucraina, getta una luce inquietante il parallelismo fatto dai due eurodeputati di Rassemblement National tra il supporto di Bruxelles alle “legittime manifestazioni di piazza” a Belgrado (come le ha definite il commissario per la Giustizia, Didier Reynders) e a quelle del 2013 di Euromaidan. La critica nemmeno troppo velata di sostenere le richieste dei manifestanti – serbi oggi come ucraini allora – di maggiore trasparenza elettorale e contro le violazioni dello Stato di diritto è una potenziale cassa di risonanza della propaganda del Cremlino secondo cui le proteste popolari europeiste sono frutto di manipolazione delle potenze occidentali e richiedono un intervento più o meno diretto della Russia.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateDa sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Andrej Isakovic / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’Ue “segue da vicino” il caso delle violenze subite da uno dei leader di opposizione in Serbia

    Bruxelles – Lo scandalo che rischia di travolgere il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, arriva a Bruxelles. “Stiamo seguendo da vicino questo caso e siamo in contatto con le autorità competenti e le parti interessate, è importante fare piena chiarezza sui fatti”, è il commento rilasciato a Eunews dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero, a proposito delle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi mercoledì scorso (3 gennaio) e duramente picchiato durante la detenzione. Torture che potrebbero lasciarlo parzialmente paralizzato.Il leader del Partito Repubblicano di Serbia, Nikola Sandulović“Ci aspettiamo che vengano rispettati i diritti di tutti i cittadini“, ha messo in chiaro la portavoce della Commissione, sottolineando che da un Paese candidato all’adesione Ue Bruxelles si aspetta che “qualsiasi detenzione dovrebbe essere basata su un ragionevole sospetto di aver commesso un reato e qualsiasi accusa credibile di violenza dovrebbe essere seguita efficacemente dalle autorità competenti”. Il riferimento non è solo a quanto accaduto il 3 gennaio, ma anche alle cause di una violenza di questo genere. Due giorni prima il leader del Partito Repubblicano aveva reso noto sui social media di aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk) ucciso dal regime di Slobodan Milošević nel 1998 insieme a 57 membri della sua famiglia, tra cui donne e bambini. Sandulović ha chiesto perdono alla famiglia, ha deposto una corona di fiori e si è scusato a nome del Paese per i crimini di guerra commessi nel recente passato dello Stato serbo.Il giorno seguente la famiglia ha riferito che membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) hanno sequestrato Sandulović e l’hanno sottoposto a gravi attacchi fisici, prima di portarlo all’ospedale militare di Belgrado. Il 4 gennaio è stato sequestrato nuovamente e detenuto presso la prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti: il giorno precedente i medici avevano riscontrato la frattura di una costola e l’uomo sarebbe paralizzato su un lato del corpo. Tra le persone responsabili per le torture subite da Sandulović ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che ha ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. Sabato scorso (6 gennaio) il leader del Partito Repubblicano è stato condannato a una detenzione di 30 giorni per aver deposto fiori sulla tomba di quello che Belgrado ritiene un criminale di guerra, ma i suoi legali denunciano l’incriminazione in violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksander Vučić, e il vice-capo di Lista Srpska, Milan Radoičić, a Belgrado (6 luglio 2022)Mentre né il presidente serbo Vučić né altre istituzioni serbe hanno commentato pubblicamente l’arresto e l’aggressione, l’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, “perché sospettato di minare l’ordine costituzionale e di lavorare attivamente per sostenere la secessione del cosiddetto Kosovo”, ha dichiarato al tabloid serbo Novosti. Secondo Vulin il mandato di arresto per Sandulović su suo ordine sarebbe rimasto valido nonostante le dimissioni, ma non ha commentato il pestaggio. L’avvocato del politico dell’opposizione serba, Čedomir Stojković, ha contestato le parole dell’ex-capo dell’intelligence e ha puntato il dito contro il presidente della Repubblica: “È una dichiarazione concordata, perché la carriera politica di Vulin in Serbia è finita in accordo con Vučić e ora può falsamente assumersi la responsabilità di tutto ciò che causa danni internazionali al regime“.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateNonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Al vaglio dell’Ue brogli, pressioni e “vantaggi sistematici” del partito di Vučić alle elezioni in Serbia

    Bruxelles – Alle accuse dell’opposizione organizzata ma sconfitta per l’ennesima volta alle urne seguono ora le valutazioni degli osservatori internazionali, che confermano le stesse analisi della stampa e degli esperti sul campo. Le elezioni anticipate in Serbia di domenica (17 dicembre), tra le più cruciali degli ultimi anni, sono state segnate da frodi e altre azioni illecite che hanno “compromesso il processo elettorale nel suo complesso”. A rilevarlo è stata la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo: “Gli osservatori hanno rilevato l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Elvis Barukcic / Afp)A destare maggiori preoccupazioni è stato in particolare il coinvolgimento del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, sceso in campo per spingere di nuovo alla vittoria il Partito Progressista Serbi (Sns) alle elezioni anticipate – le terze in quattro anni, e senza alcun motivo politico o istituzionale che avesse determinato la fine del governo di Ana Brnabić se non la stessa volontà presidenziale. Il suo coinvolgimento “decisivo”, secondo il capo della missione di osservazione Osce, Reinhold Lopatka, “ha dominato” il processo elettorale e “l’uso del suo nome da parte di una delle liste di candidati, insieme alla parzialità dei media, ha contribuito a creare un campo di gioco non uniforme”. Come si legge nelle conclusioni preliminari, “il dominio del presidente nella campagna elettorale” – nonostante non fosse candidato alle elezioni di domenica in nessuna veste – “ha dato al suo partito un vantaggio ingiustificato“.Accuse specifiche che vanno contestualizzate all’interno di un “quadro giuridico adeguato” e del “generale rispetto” della scelta di alternative politiche e delle libertà di espressione e di riunione, ma allo stesso tempo di un ambiente “fortemente polarizzato” e caratterizzato da “intimidazioni e molestie nei confronti di attivisti civili, difensori dei diritti umani e giornalisti“. A proposito della stampa, gli osservatori internazionali hanno rilevato che “la diversità dei punti di vista è stata notevolmente ridotta dall’alto grado di polarizzazione e dalla forte influenza del governo sulla maggior parte di essi” – anche in questo caso con un “dominio” e una “copertura positiva” del presidente Vučić e del suo Partito Progressista Serbo (di cui era leader fino a maggio) – oltre a “numerose segnalazioni di giornalisti critici insultati verbalmente da funzionari statali e attacchi coordinati da parte di media filogovernativi”. Va poi considerato il fatto che la campagna elettorale si è svolta sullo sfondo della guerra russa in Ucraina, un tema particolarmente sensibile per i rapporti tra Bruxelles e Belgrado. “La manipolazione delle informazioni rimane una preoccupazione, anche se non è stato il tema predominante delle elezioni”, ha messo in chiaro il capo-delegazione del Parlamento Ue in Serbia, Klemen Grošelj.(credits: Andrej Isakovic / Afp)A tutto questo si aggiunge non solo il fatto che l’eccessiva frequenza di elezioni anticipate “ha minato la fiducia nelle istituzioni democratiche” della Serbia, ma anche il riscontro sul campo di “carenze procedurali, tra cui frequenti casi di sovraffollamento, violazioni della segretezza del voto e numerosi casi di voto di gruppo“. Erano circa 6,5 milioni gli elettori registrati per partecipare alla tornata elettorale del 17 dicembre, ma sono state diverse le azioni di irregolarità alle urne: “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska [l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, ndr] e di intimidazione dei votanti“, ha denunciato l’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale), sottolineando che “ci aspettavamo assolutamente standard democratici più elevati da un Paese candidato all’Ue, che sta negoziando l’adesione”.È proprio questa la preoccupazione maggiore che si respira a Bruxelles e non solo. “La Serbia ha votato, ma l’Osce ha segnalato abuso di fondi pubblici, intimidazione degli elettori e casi di acquisto di voti, è inaccettabile per un Paese con lo status di candidato all’Ue“, è stato il durissimo attacco arrivato dal ministero degli Esteri tedesco. Più cauta la Commissione Europea, che in una nota congiunta dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, chiede che “le denunce di irregolarità siano seguite in modo trasparente dalle autorità nazionali competenti”. Nel punto quotidiano di oggi (19 dicembre) con la stampa europea, il portavoce-capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, ha ricordato che “abbiamo un chiaro quadro negoziale con la Serbia, che riguarda anche la democrazia e i processi elettorali come questione fondamentale”.Il risultato delle elezioni anticipate in SerbiaNonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto (mentre la coalizione guidata dal socialista Ivica Dačić è crollata al 6,56, al terzo posto). Nel nuovo Parlamento l’Sns dovrebbe controllare 128 seggi su 250, con la possibilità così di governare senza alleati. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro i risultati dopo l’appello dei partiti e movimenti che spaziano dal centro all’ecologismo di sinistra: la coalizione si era formata proprio dopo la traduzione in istanze politiche (europeiste) delle proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio e oggi non sembra voler mollare contro i brogli del partito al potere. “Hanno rubato il nostro futuro“, si leggeva nei cartelli dei manifestanti davanti all’edificio della commissione elettorale serba a Belgrado ieri sera.Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado (16 settembre 2022)Proprio nella capitale la situazione è particolarmente tesa, dal momento in cui il Partito Progressista Serbo ha rivendicato la vittoria nella più contesa tra le elezioni municipali del Paese: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić avrebbe conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović (6 seggi). La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ (42 seggi) ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. Da Mosca sono arrivate nella giornata di ieri al presidente serbo Vučić e all’Sns le congratulazioni del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha parlato di “ulteriore rafforzamento dell’amicizia” tra Russia e Serbia. A chiudere il ‘triangolo russo’ non è mancato il più stretto alleato di Belgrado (e in modo sempre più palese anche dell’autocrate russo Putin), il premier ungherese Viktor Orbán, che ha definito quella di Vučić e del suo partito “una vittoria elettorale travolgente”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Un colpo al cerchio ucraino e uno alla botte russa. La Serbia di Vučić tenta uno spericolato equilibro tra Mosca e Kiev

    Bruxelles – Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si muove sui cristalli, ma nessuno dei cocci che rompe fanno piacere a Bruxelles. Perché il leader del Paese candidato all’adesione Ue dal 2012 sembra avere una propensione naturale al cerchiobottismo, sfidando sempre un po’ di più i limiti che l’Unione può tollerare. Ma il rischio che si sta assumendo dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina sta diventando sempre più grosso e l’equilibrio sempre più delicato, volendo barcamenarsi in una presunta “equidistanza” non solo tra Bruxelles e Mosca, ma ora anche tra Kiev e il Cremlino, e tirando in ballo un’altra questione molto delicata per l’Ue: convincere altri Paesi a non riconoscerei il Kosovo.
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ad Atene (21 agosto 2023)
    A mettere in luce la nuova spericolata avventura di Vučić è stata la cena informale di lunedì (21 agosto) ad Atene tra i leader delle istituzioni comunitarie, dei Balcani Occidentali, dell’Ucraina e della Moldova, in cui sono andati in scena anche una serie di incontri bilaterali su allargamento Ue e invasione della Russia. Proprio uno dei punti, quest’ultimo, su cui Vučić ha dovuto più destreggiarsi. Il leader serbo non è nuovo alle critiche dell’Unione per il mancato allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina (unico in Europa a non averlo fatto nemmeno a livello di principio), ma fino a oggi non ha mai ceduto ad allontanarsi eccessivamente dal legame con il Cremlino. Al contrario, nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro, nel maggio dello scorso anno ha siglato un’intesa con Vladimir Putin per altri tre anni di gas russo a condizioni favorevoli.
    La vera novità dalla cena di Atene è – come lo stesso Vučić ha dichiarato oggi (23 agosto) nel corso di una conferenza stampa – l’opposizione esplicita a inserire riferimenti alle sanzioni e ai crimini di guerra di Putin nella Dichiarazione di Atene, il tutto allo stesso tavolo di Zelensky: “Per noi sono condizioni molto difficili”, anche se ha concesso molto vagamente che “non può esserci impunità per la guerra e altri crimini, come gli attacchi contro i civili e la distruzione delle infrastrutture”. Il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dačić, nel celebrare pomposamente la “vittoria diplomatica da soli contro 13 Paesi” in un’intervista a Kurir Tv, ha rivelato un dettaglio di non poco conto: il presidente serbo avrebbe usato “la sua influenza politica” per modificare il testo della dichiarazione ufficiale, “in modo da eliminare il paragrafo che menzionava le sanzioni contro la Russia“, perché “contrario ai nostri interessi nazionali”. Da Bruxelles nessun commento sulla questione, ma in ogni caso non si tratta di segnali incoraggianti sullo spirito che anima l’establishment politico di Belgrado a un anno e mezzo dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
    L’Ucraina tra Serbia e Kosovo
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ad Atene (21 agosto 2023)
    Per cercare di non tagliare i ponti con l’Ucraina, il leader serbo ha cercato di spostare la discussione su un altro livello: quello dell’integrità territoriale, che interessa tanto Kiev quanto Belgrado. “Un incontro aperto, onesto e proficuo”, lo ha definito il presidente Zelensky, riportando i temi di discussione all’incontro bilaterale di Atene: “Rispetto della Carta delle Nazioni Unite e inviolabilità dei confini, futuro comune delle nostre nazioni nella casa europea e relazioni reciproche nel mutuo interesse”. Perché se per l’Ucraina integrità territoriale significa Donbas e Crimea all’interno dei confini nazionali, per la Serbia significa non accettare l’indipendenza del Kosovo proclamata nel 2008. “Sto cercando di ottenere il meglio per la Serbia”, ha dichiarato alla stampa il presidente serbo, parlando delle conversazioni che ha avuto con quattro leader presenti ad Atene i cui Paesi non riconoscono la sovranità di Pristina: due membri Ue (Grecia e Romania) e due non-Ue, Bosnia ed Erzegovina e Ucraina, appunto. Facendo riferimento alle “pressioni” esercitate da Bruxelles su questi Stati, la missione di Vučić ad Atene è stata quella di spingere il leader ucraino a non cedere, facendo leva con tutta probabilità sull’invio di armi per la difesa dall’invasione russa.
    Eppure questo atteggiamento di Vučić si potrebbe scontrare presto non solo con l’irritazione di Mosca per il supporto all’esercito ucraino, ma soprattutto con la posizione dell’Unione Europea per la violazione di accordi precedentemente presi. Secondo l’accordo di Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo firmato sotto l’egida Ue lo scorso 27 febbraio “nessuna delle due Parti bloccherà, né incoraggerà altri a bloccare i progressi dell’altra Parte nel rispettivo cammino verso l’Ue sulla base dei propri meriti”, recita l’articolo 5, riferendosi implicitamente alla sovranità di Pristina (un Paese non indipendente non può fare ingresso nell’Ue). A questo si aggiunge il punto 4 dello stesso accordo, già violato da Belgrado in occasione della votazione sulla richiesta di Pristina di aderire al Consiglio d’Europa: “La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“. Secondo quanto confermato dallo stesso presidente serbo, Belgrado chiederà che si tenga “quanto prima” una sessione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni sulla situazione nel nord del Kosovo. Perché la strada di Vučić ormai è tracciata, per quanto spericolato sia l’equilibrio cercato tra Mosca e Kiev e a prescindere dagli avvertimenti di Bruxelles.

    Il presidente serbo sostiene di essere riuscito a modificare la bozza della Dichiarazione di Atene, rendendo meno duri i punti sui crimini di guerra e sanzioni. Ma intanto stringe i rapporti con Zelensky sull’integrità territoriale per impedire che Kiev riconosca la sovranità del Kosovo