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Al vaglio dell’Ue brogli, pressioni e “vantaggi sistematici” del partito di Vučić alle elezioni in Serbia

Bruxelles – Alle accuse dell’opposizione organizzata ma sconfitta per l’ennesima volta alle urne seguono ora le valutazioni degli osservatori internazionali, che confermano le stesse analisi della stampa e degli esperti sul campo. Le elezioni anticipate in Serbia di domenica (17 dicembre), tra le più cruciali degli ultimi anni, sono state segnate da frodi e altre azioni illecite che hanno “compromesso il processo elettorale nel suo complesso”. A rilevarlo è stata la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo: “Gli osservatori hanno rilevato l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”.

Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Elvis Barukcic / Afp)

A destare maggiori preoccupazioni è stato in particolare il coinvolgimento del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, sceso in campo per spingere di nuovo alla vittoria il Partito Progressista Serbi (Sns) alle elezioni anticipate – le terze in quattro anni, e senza alcun motivo politico o istituzionale che avesse determinato la fine del governo di Ana Brnabić se non la stessa volontà presidenziale. Il suo coinvolgimento “decisivo”, secondo il capo della missione di osservazione Osce, Reinhold Lopatka, “ha dominato” il processo elettorale e “l’uso del suo nome da parte di una delle liste di candidati, insieme alla parzialità dei media, ha contribuito a creare un campo di gioco non uniforme”. Come si legge nelle conclusioni preliminari, “il dominio del presidente nella campagna elettorale” – nonostante non fosse candidato alle elezioni di domenica in nessuna veste – “ha dato al suo partito un vantaggio ingiustificato“.

Accuse specifiche che vanno contestualizzate all’interno di un “quadro giuridico adeguato” e del “generale rispetto” della scelta di alternative politiche e delle libertà di espressione e di riunione, ma allo stesso tempo di un ambiente “fortemente polarizzato” e caratterizzato da “intimidazioni e molestie nei confronti di attivisti civili, difensori dei diritti umani e giornalisti“. A proposito della stampa, gli osservatori internazionali hanno rilevato che “la diversità dei punti di vista è stata notevolmente ridotta dall’alto grado di polarizzazione e dalla forte influenza del governo sulla maggior parte di essi” – anche in questo caso con un “dominio” e una “copertura positiva” del presidente Vučić e del suo Partito Progressista Serbo (di cui era leader fino a maggio) – oltre a “numerose segnalazioni di giornalisti critici insultati verbalmente da funzionari statali e attacchi coordinati da parte di media filogovernativi”. Va poi considerato il fatto che la campagna elettorale si è svolta sullo sfondo della guerra russa in Ucraina, un tema particolarmente sensibile per i rapporti tra Bruxelles e Belgrado. “La manipolazione delle informazioni rimane una preoccupazione, anche se non è stato il tema predominante delle elezioni”, ha messo in chiaro il capo-delegazione del Parlamento Ue in Serbia, Klemen Grošelj.

(credits: Andrej Isakovic / Afp)

A tutto questo si aggiunge non solo il fatto che l’eccessiva frequenza di elezioni anticipate “ha minato la fiducia nelle istituzioni democratiche” della Serbia, ma anche il riscontro sul campo di “carenze procedurali, tra cui frequenti casi di sovraffollamento, violazioni della segretezza del voto e numerosi casi di voto di gruppo“. Erano circa 6,5 milioni gli elettori registrati per partecipare alla tornata elettorale del 17 dicembre, ma sono state diverse le azioni di irregolarità alle urne: “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska [l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, ndr] e di intimidazione dei votanti“, ha denunciato l’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale), sottolineando che “ci aspettavamo assolutamente standard democratici più elevati da un Paese candidato all’Ue, che sta negoziando l’adesione”.

È proprio questa la preoccupazione maggiore che si respira a Bruxelles e non solo. “La Serbia ha votato, ma l’Osce ha segnalato abuso di fondi pubblici, intimidazione degli elettori e casi di acquisto di voti, è inaccettabile per un Paese con lo status di candidato all’Ue“, è stato il durissimo attacco arrivato dal ministero degli Esteri tedesco. Più cauta la Commissione Europea, che in una nota congiunta dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, chiede che “le denunce di irregolarità siano seguite in modo trasparente dalle autorità nazionali competenti”. Nel punto quotidiano di oggi (19 dicembre) con la stampa europea, il portavoce-capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, ha ricordato che “abbiamo un chiaro quadro negoziale con la Serbia, che riguarda anche la democrazia e i processi elettorali come questione fondamentale”.

Il risultato delle elezioni anticipate in Serbia

Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto (mentre la coalizione guidata dal socialista Ivica Dačić è crollata al 6,56, al terzo posto). Nel nuovo Parlamento l’Sns dovrebbe controllare 128 seggi su 250, con la possibilità così di governare senza alleati. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro i risultati dopo l’appello dei partiti e movimenti che spaziano dal centro all’ecologismo di sinistra: la coalizione si era formata proprio dopo la traduzione in istanze politiche (europeiste) delle proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio e oggi non sembra voler mollare contro i brogli del partito al potere. “Hanno rubato il nostro futuro“, si leggeva nei cartelli dei manifestanti davanti all’edificio della commissione elettorale serba a Belgrado ieri sera.

Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado (16 settembre 2022)

Proprio nella capitale la situazione è particolarmente tesa, dal momento in cui il Partito Progressista Serbo ha rivendicato la vittoria nella più contesa tra le elezioni municipali del Paese: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić avrebbe conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović (6 seggi). La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ (42 seggi) ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. Da Mosca sono arrivate nella giornata di ieri al presidente serbo Vučić e all’Sns le congratulazioni del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha parlato di “ulteriore rafforzamento dell’amicizia” tra Russia e Serbia. A chiudere il ‘triangolo russo’ non è mancato il più stretto alleato di Belgrado (e in modo sempre più palese anche dell’autocrate russo Putin), il premier ungherese Viktor Orbán, che ha definito quella di Vučić e del suo partito “una vittoria elettorale travolgente”.


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