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    Israele, bombe sugli operatori umanitari e sul consolato iraniano a Damasco: il giorno in cui (forse) il mondo ha perso la pazienza

    Bruxelles – Nell’arco di ventiquattro ore, due decisioni fatali che aumentano la distanza tra Tel Aviv e l’Occidente. Le reazioni all’uccisione dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen e all’attacco al consolato iraniano a Damasco sono forti. Tanto che anche Netanyahu promette che “verificherà fino in fondo i fatti”.Le vittime del raid israeliano all’ospedale Al-Aqsa, durante la distribuzione degli aiuti arrivati con difficoltà via mare da Cipro, non sono i primi cooperanti che perdono la vita nell’enclave palestinese. Anzi, secondo l’alto funzionario delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari a Gaza, Jamie McGoldrick, “almeno 196 operatori umanitari sono stati uccisi” dal 7 ottobre 2023 al 20 marzo. Ma questa volta di mezzo c’è una richiesta vincolante del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per un cessate il fuoco immediato che sta rimanendo inascoltata. E c’è la nazionalità di almeno tre delle vittime: i passaporti trovati appartengono a Gran Bretagna, Australia e Polonia.

    La vettura dell’ong World Central Kitchen colpita dai bombardamenti israeliani (Photo by AFP)La Commissione europea ha chiesto “un’indagine approfondita” sulla vicenda. “Gli operatori umanitari devono essere sempre protetti, in linea con il diritto umanitario internazionale”, ha scritto l’esecutivo Ue su X. Dai leader Ue il solito pattern: Ursula von der Leyen si limita a “rendere omaggio” agli operatori uccisi, Charles Michel sostiene che “è necessario già da molto tempo fermare il massacro di civili innocenti e di operatori umanitari”, Josep Borrell “condanna l’attacco e sollecita un’indagine”. Nel frattempo il governo britannico ha convocato l’ambasciatore israeliano a Londra e il segretario di Stato a stelle e strisce, Antony Blinken, ha chiesto un’indagine “rapida e imparziale”.Se sull’accaduto Netanyahu si è giustificato affermando che “può succedere in guerra”, come se fosse frutto di un errore – anche se da tempo l’Unrwa denuncia di essere bersaglio di bombardamenti israeliani nonostante condivida in anticipo le coordinate dei luoghi scelti per la distribuzione degli aiuti -, lo stesso non può dire sulla decisione di attaccare e distruggere il consolato iraniano a Damasco, in Siria. In spregio alle più antiche regole del diritto internazionale, che sanciscono l’inviolabilità dei siti diplomatici e consolari.

    I resti del palazzo del consolato iraniano a Damasco (Photo by Louai Beshara / AFP)Secondo la Repubblica islamica, il bilancio dell’attacco è di 13 morti, tra cui sette membri delle Guardie della Rivoluzione. L’Iran ha già promesso che Israele sarà “punito” e ha attribuito la responsabilità anche agli Stati Uniti. L’attacco alla sede diplomatica di una potenza imprevedibile come l’Iran rischia di provocare un pericoloso allargamento del conflitto: il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto “a tutte le parti interessate di esercitare la massima moderazione e di evitare un’ulteriore escalation”, ammonendo sul fatto che “qualsiasi errore di calcolo potrebbe portare a un conflitto più ampio in una regione già instabile, con conseguenze devastanti per i civili che già assistono a sofferenze senza precedenti”.Incurante del rischio, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato al Parlamento ebraico che Israele “lavora ovunque per impedire il rafforzamento dei nostri nemici”. Mentre sulla morte dei sette di World Central Kitchen, che ha causato inoltre la sospensione degli impegni da parte dell’ong, in una nota diffusa da Tel Aviv ha fatto riferimento alla “tragica natura dell’incidente” e ha sottolineato l’importanza di “condurre un’indagine approfondita e professionale”.Sullo sfondo, proseguono le trattative per in Egitto per un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Ma le due parti restano lontanissime. A una settimana dalla fine del Ramadan, non resta più nulla della soddisfazione espressa il 25 marzo per la risoluzione con cui l’Onu chiedeva la fine delle ostilità almeno fino alla fine del mese sacro per l’Islam. Ma la consapevolezza che né Israele né Hamas intendono ascoltare gli ordini vincolanti della comunità internazionale.

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    Per la Corte dell’Aia le condizioni a Gaza stanno precipitando, Israele deve “garantire aiuti umanitari senza restrizioni”

    Bruxelles – La popolazione di Gaza non sta più affrontando soltanto il rischio di carestia, ma “la carestia è già in atto“. Ne ha preso atto la Corte di Giustizia Internazionale, che ha aggiornato la lista di misure provvisorie imposte a Israele lo scorso 26 gennaio per prevenire possibili crimini di genocidio contro i palestinesi della Striscia. Tel Aviv dovrà “garantire senza indugi la fornitura senza ostacoli e su larga scala dell’assistenza umanitaria urgentemente necessaria”.Gli ultimi numeri registrati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha-Opt) sono agghiaccianti: almeno 31 persone, tra cui 27 bambini, sono già morte per malnutrizione e disidratazione. Al Tribunale dell’Aia insistono quindi che le autorità israeliane debbano “aumentare la capacità e il numero dei valichi terrestri e mantenerli aperti per tutto il tempo necessario”, per permettere l’ingresso di “cibo, acqua, elettricità, combustibile, riparo, abbigliamento, igiene e servizi igienici, oltre a forniture e assistenza medica ai palestinesi di tutta Gaza”.

    Il collegio di magistrati che si occupa del caso di possibile genocidio a Gaza [Photograph: UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek]Con un’unica defezione dell’ex presidente della Corte suprema israeliana, Aharon Barak, il collegio di 15 magistrati che si sta occupando del caso sul rischio di genocidio a Gaza sollevato dal Sudafrica ha ordinato inoltre a Israele di “garantire con effetto immediato che i suoi militari non commettano atti che costituiscano una violazione dei diritti dei palestinesi di Gaza, in quanto gruppo protetto dalla Convenzione sul genocidio”. Tra cui il deliberato impedimento alla consegna degli aiuti.Dal primo verdetto della Corte che chiedeva a Israele di “adottare tutte le misure necessarie per impedire un genocidio a Gaza” sono passati due mesi. Lo Stato ebraico, il 26 febbraio scorso (il mese successivo), ha inviato all’Aia un rapporto in cui illustrava le azioni intraprese per proteggere la popolazione civile. Ma nell’aggiornamento delle misure richiesto ieri, la Corte non ha potuto far altro che “osservare con rammarico che, da allora, le condizioni di vita catastrofiche dei palestinesi nella Striscia di Gaza si sono ulteriormente deteriorate, in particolare alla luce della prolungata e diffusa privazione di cibo e di altri beni di prima necessità”. Dal 26 gennaio inoltre le operazioni militari israeliane avrebbero causato oltre 6.600 vittime e quasi 11.000 feriti in più. Portando il bilancio complessivo delle vittime a oltre 32.400 e quello dei feriti a quasi 75 mila.Israele ha ribadito che esiste “un’ampia registrazione di sforzi israeliani in ambito umanitario per alleviare le sofferenze della popolazione civile in generale e per affrontare la sfida dell’insicurezza alimentare in particolare”. E ha respinto “con la massima fermezza” le accuse del Sudafrica secondo cui la fame a Gaza sia il risultato diretto di “azioni e omissioni deliberate”.La Corte Onu ha concesso ora un altro mese a Tel Aviv per presentare un nuovo rapporto in cui dia conto delle misure prese per attuare l’ordine e scongiurare così il diffondersi della carestia. Ma i giudici dell’Aia sono consapevoli “che vi è urgenza”, nel senso che “esiste un rischio reale e imminente che tale danno ai diritti plausibili rivendicati dal Sudafrica sia causato prima che la Corte di pronunci in via definitiva sul caso”.

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    Borrell: “Niente affari con chi viola diritti umani nei territori palestinesi”

    Bruxelles – Non si fanno affari con gli israeliani che violano i diritti umani nei territori palestinesi. L’Unione europea su questo non transige, e chiede agli Stati membri di fare in modo che le aziende nazionali rispettino quelli che sono principi delle Nazioni Unite. E’ l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, nella risposta a un’interrogazione in materia, a prendere posizione e soprattutto, le distanze dalle politiche del governo di Benjamin Netanyahu. Intanto ribadendo un volta di più la “forte opposizione alla politica e alle attività di insediamento di Israele“.Ma è sul fronte commerciale che Borrell si esprime in modo ancora più chiaro. Ci sono principi guida su imprese e diritti umani, approvati all’unanimità dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, ricorda l’Alto rappresentante. Principi che stabiliscono la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani e impongono alle imprese, tra l’altro, di istituire un processo di condotta etica (due diligence) sui diritti umani per identificare , prevenire, mitigare e rendere conto del modo in cui affrontano il loro impatto sui diritti umani. “L’Ue ha accolto con favore” tutto questo e a Bruxelles si ritiene che “questi principi debbano essere applicati a livello globale“, scandisce ancora Borrell. Per questo motivo “l’Unione europea invita tutte le aziende, comprese quelle europee, ad attuarle in ogni circostanza, anche in Israele e nei territori palestinesi occupati“. La Commissione non ha il potere di imporre alla imprese politiche di business, ed è per questo motivo che si farà pressione sui governi affinché le imprese dei Ventisette si astengano dal sostenere un modello economico considerato lesivo dei diritti fondamentali del popolo palestinese. “Gli Stati membri hanno il ruolo primario di informare aziende e consumatori sulle imprese, sui diritti umani e sui rischi derivanti dall’operare negli insediamenti”, ricorda Borrell. Pronto a fare tutto il possibile perché gli europei non sconfessino sé stessi, come già denunciato dall’ambasciatore dell’Autorità palestinese a Bruxelles.

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    I leader Ue chiedono una “pausa umanitaria immediata” a Gaza

    Bruxelles – I capi di stato e di governo dell’Ue trovano un linguaggio comune sulla “tragedia umanitaria” a Gaza. È già una notizia, perché non succedeva dal 26 ottobre, neanche tre settimane dopo l’inizio del conflitto tra Israele e Hamas. A distanza di cinque mesi, quell’appello a “corridoi o pause umanitarie” si è trasformato nella richiesta di “una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile”.L’unanimità ha un costo, e sulla crisi in Medio Oriente è evidentemente quello di andare al ribasso. “So che c’è voluto bisogno di tempo per trovare unità, ma questa sera dimostriamo di poter giocare un ruolo positivo“, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella conferenza stampa a margine dei lavori. Ma nel momento in cui gli Stati Uniti stanno per proporre una risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu in cui per la prima volta chiedono di cessare le ostilità nella Striscia, la dichiarazione finale dei 27 sembra già superata. Con tanta pace dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, e del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che in mattinata avevano utilizzato toni ben più duri su Israele.L’aveva già denunciato il primo ministro belga, Alexander De Croo, al suo arrivo al vertice: “L’Ue deve essere leader, non seguire”. Proprio in riferimento al “buon esempio” di Washington, che dopo aver posto il veto diverse volte a risoluzione che chiedevano di deporre le armi, domani per la prima volta non anteporranno la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas alla richiesta di mettere fine ai bombardamenti sulla popolazione civile palestinese. Lo stesso De Croo, a margine del Consiglio, ha ammesso che “il fatto che gli Stati Uniti stiano adottando questa posizione ha fatto la sua parte“.Nel capitolo dedicato al Medio Oriente della tradizionale dichiarazione a 27 che chiude il vertice europeo, l’Ue “esorta” il governo israeliano a non intraprendere un’operazione di terra a Rafah, “chiede” di garantire la fornitura di assistenza umanitaria, “sottolinea” l’importanza di rispettare e attuare le misure provvisorie richieste dalla Corte internazionale di Giustizia per impedire un genocidio a Gaza. Di condanne, c’è la sacrosanta condanna “nei termini più forti possibili” delle atrocità perpetrate da Hamas il 7 ottobre e quella della violenze commesse dai coloni israeliani estremisti in Cisgiordania. Ma non dei bombardamenti israeliani che hanno causato oltre 30 mila vittime, di cui la maggior parte donne e minori, e nemmeno degli ostacoli all’ingresso degli aiuti umanitari, che stanno portando 2 milioni di persone sull’orlo di una carestia.

    Ursula von der Leyen e Charles Michel in conferenza stampa, 21/03/24I capi di stato e di governo dell’Ue hanno espresso “profonda preoccupazione per la catastrofica situazione umanitaria a Gaza e per il suo effetto sproporzionato sui civili, in particolare sui bambini, nonché per l’imminente rischio di carestia“. Rispetto all’ultima bozza delle conclusioni del Consiglio europeo, hanno avuto l’ardire di aggiungere: “Causata dall’ingresso insufficiente di aiuti a Gaza”.Michel ha insistito che “bisogna fare tutto il possibile per convincere, per assicurarsi che ci sia una reale possibilità di accesso umanitario”. E ha ribadito l’unità dei 27 nel supporto al “ruolo essenziale” svolto dall’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) nella regione. Un’unità che – anche qui – dovrà essere confermata non solo a parole dai Paesi Ue che ancora non hanno sbloccato i fondi all’Agenzia dopo le accuse di complicità con Hamas mosse da Israele contro una decina di dipendenti dell’Unrwa. Tra cui Italia e Germania.

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    A Gaza “il fallimento dell’umanità”. Borrell e il segretario dell’Onu Guterres chiedono all’Ue un messaggio forte su Israele

    Bruxelles – Quello che sta accadendo a Gaza è “il fallimento dell’umanità”. Non ha ancora finito le parole l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che da cinque mesi è la voce più critica nelle istituzioni Ue sulle operazioni militari israeliane per annientare Hamas. Quelle scelte oggi, al suo arrivo al Consiglio europeo a Bruxelles, sono tra le più pesanti e non arrivano per caso: i capi di stato e di governo sono chiamati ad andare oltre la posizione sul conflitto concordata a ottobre. E in ballo c’è la richiesta di “una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile“, recita l’ultima versione delle conclusioni del vertice.Potrebbe sembrare ancora troppo poco, alla luce degli appelli alla cessazione delle ostilità che si moltiplicano da mesi da parte di una buona fetta della comunità internazionale. Ma il conflitto a Gaza ha dimostrato la difficoltà dei 27 a cantare all’unisono quando si parla di politica estera. “Sono felice che oggi il Consiglio approvi delle conclusioni che vanno ben oltre le precedenti di ottobre”, ha confermato Borrell. Oltre a limare l’appello per abbassare le armi, i governi nazionali ribadiranno la richiesta di liberazione degli ostaggi e “mostreranno una forte preoccupazione” per la situazione della popolazione civile.Una situazione “inaccettabile” secondo il capo della diplomazia Ue. Oltre 31 mila vittime e il rischio di una carestia imminente “non sono una crisi umanitaria, ma il fallimento dell’umanità“. Che per Borrell ha una solo via d’uscita: “Israele deve rispettare la popolazione civile e permettere l’ingresso di aiuti a Gaza”. Visibilmente contrariato, Borrell ha elencato tutto ciò che Tel Aviv non sta facendo: “C’è un aeroporto a un’ora di macchina da dove stiamo paracadutando gli aiuti, ma è chiuso. Stiamo costruendo un porto, anche se a Gaza un porto c’è già. Ma è chiuso. E le frontiere di terra sono aperte così poco che i rifornimenti non entrano”.Per convincere i capi di stato e di governo che è il momento di lanciare un messaggio forte a Tel Aviv, è intervenuto in apertura al vertice il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Un alto funzionario Ue ha riferito di un colloquio di due ore e mezzo tra i leader e il segretario dell’Onu. “Positivo, franco”, nel quale i 27 hanno appoggiato integralmente le preoccupazioni di Guterres. Che ha fatto il punto della situazione sull’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e sulla distribuzione di aiuti umanitari. I leader Ue dovrebbero riaffermare al vertice che “i servizi forniti dall’Unrwa a Gaza e in tutta la regione sono essenziali”.Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel con Antonio Guterres“Viviamo in un mondo caotico, con superpotenze che si combattono e situazioni di impunità dove Paesi o gruppi armati pensano di poter fare quello che vogliono perché non ne devono rispondere”, ha dichiarato Guterres al suo arrivo a Bruxelles. Ribadendo i principi che guidano il diritto internazionale, ha insistito sull’importanza di fugare ogni dubbio sull’applicazione di doppi standard in Ucraina e a Gaza. “Gli stessi motivi per cui crediamo che in Ucraina sia essenziale una pace pienamente in linea con il diritto internazionale, crediamo che sia necessario un cessate il fuoco a Gaza”. E allo stesso modo, “come abbiamo condannato gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, condanniamo il fatto che stiamo assistendo a un numero di vittime civili a Gaza senza precedenti”.Una svolta potrebbe arrivare proprio dal palazzo di vetro di New York: gli Stati Uniti hanno presentato una bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu in cui per la prima volta Washington non antepone la liberazione degli ostaggi al cessate il fuoco, ma li mette sullo stesso piano. L’ha sottolineato Borrell, l’ha ribadito anche il primo ministro belga, Alexandre De Croo: “È ora di essere chiari, di chiedere un cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi e di mettere tutti sulla strada dei negoziati per la soluzione dei due Stati. Quello che gli Stati Uniti hanno presentato ieri al Consiglio di Sicurezza è un buon esempio”, ha dichiarato prima dei lavori.Sulla stessa linea Madrid, con Pedro Sanchez che ha parlato della “necessità di arrivare a un cessate il fuoco e di aprire la porte a aiuti umanitari proporzionati alla catastrofe umanitaria di Gaza”. Si avvicina a questa posizione anche Berlino: “Per noi è molto chiaro che abbiamo bisogno di un cessate il fuoco più duraturo”, ha confermato il cancelliere Olaf Scholz. Mentre l’olandese Mark Rutte ha preferito insistere perché “tutta l’enfasi sia posta sui colloqui per ottenere una pausa di sei settimane nei combattimenti, in modo che gli ostaggi possano uscire e gli aiuti massicci possano arrivare”. Colloqui attualmente in corso in Egitto, mediati da Stati Uniti e Qatar.L’Alto rappresentante Borrell ha infine confermato che inviterà alla prossima riunione dei ministri degli Esteri Ue il loro omologo israeliano, Israel Katz, perché “spieghi cosa sta facendo Israele”. Ma allo stesso tempo, l’Ue “deve analizzare cosa sta accadendo”, e Borrell lo farà insieme al rappresentante speciale Ue per i diritti umani. In modo da poter riferire ai ministri degli Esteri dei 27 e mettere pressione su Tel Aviv. “Israele ha diritto di difendersi, non di vendicarsi”, ha concluso il capo della diplomazia Ue.

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    Sanzioni ai coloni israeliani violenti, l’Ue ha trovato l’accordo politico

    Bruxelles – L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, è riuscito nell’impresa di mettere d’accordo tutti i Paesi membri sulla proposta di un primo pacchetto di sanzioni ai coloni israeliani responsabili di azioni violente contro il popolo palestinese nei territori occupati. Oggi (18 marzo) alla riunione dei ministri degli Esteri dei 27 è stato trovato “l’accordo politico” e ora si proseguirà “per una piena adozione il più presto possibile”.L’ha annunciato lo stesso Borrell, in conferenza stampa a margine dei lavori. Le misure restrittive saranno individuali e consisteranno nel divieto di ingresso sul territorio comunitario e nel congelamento dei beni detenuti in Ue. Superata così l’opposizione dell’Ungheria, che aveva impedito l’unanimità necessaria per il via libera politico all’ultimo consiglio Affari esteri lo scorso 19 febbraio. Budapest “si è astenuta”, ha dichiarato Borrell. Facendosi da parte e lasciando avanzare il dossier.

    Josep Borrell al Consiglio Ue Affari Esteri, 18/03/24“Abbiamo già preparato la lista di persone da sanzionare, ora dobbiamo solo sottoporla al Coreper (il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue, ndr) perché sia adottata“, ha proseguito il capo della diplomazia europea. In questo modo l’Ue si adeguerebbe a misure simili già intraprese da Stati Uniti e Regno Unito e unilateralmente anche da Francia e Belgio.Per cercare di aumentare la pressione sulle autorità israeliane, la cui risposta militare agli attacchi di Hamas del 7 ottobre ha causato più di 30 mila vittime e sta provocando una gravissima crisi umanitaria nella Striscia, i ministri degli Esteri dell’Ue avrebbero inoltre proposto di invitare nuovamente l’omologo israeliano, Israel Katz, al prossimo Consiglio Ue Affari Esteri. Rispondendo a una domanda su quali azioni più efficaci potrebbe intraprendere Bruxelles alla luce dell’allarme carestia a Gaza, Borrell è parso rassegnato e ha risposto: “L’unica azione è la pressione politica e diplomatica su Israele”.

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    A Gaza la carestia è imminente. Borrell attacca Israele: “Usa la fame come arma di guerra”

    Bruxelles – Secondo l’ultima valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), l’intera popolazione della Striscia di Gaza è in condizioni di grave insicurezza alimentare. Ma nel Nord dell’enclave palestinese, il 70 per cento di chi è rimasto sta già affrontando la carestia. E nei governatorati centrali e meridionali, la metà della popolazione soffre un’insicurezza alimentare catastrofica. Alla luce del rapporto, l’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, rilancia l’accusa a Israele: “Usa la fame come arma di guerra”.Un’accusa durissima: affamare volontariamente una popolazione è un crimine di guerra, e rientra nelle azioni deliberate che costituiscono un atto di genocidio. Questa volta, accanto a Borrell – che aveva già lanciato l’accusa di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu – anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič. I due hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui, commentando l’analisi degli esperti dell’Ipc, ribadiscono che “la fame non può essere usata come arma di guerra” e che “quello a cui stiamo assistendo non è un rischio naturale, ma un disastro provocato dall’uomo, ed è nostro dovere morale fermarlo“.

    Josep Borrell al Consiglio Ue Affari Esteri, 18/03/24Nel frattempo, a Bruxelles è in corso la riunione dei ministri degli Esteri dei 27, e la crisi umanitaria a Gaza è in agenda. Borrell, arrivando in Consiglio, ha rincarato la dose. Perché “ci sono derrate alimentari accumulate per mesi, che aspettano di entrare a Gaza, mentre al di là del confine si muore di fame”. Per il capo della diplomazia europea “prima della guerra Gaza era una grande prigione a cielo aperto, oggi è un grande cimitero a cielo aperto, anche per quello che riguarda il rispetto delle regole internazionali”.A far rabbrividire non è solo la situazione attuale fotografata dall’Ipc, in cui 2,2 milioni di persone affrontano “alti livelli di insicurezza alimentare”, ma le proiezioni per i prossimi mesi: “Da metà marzo a metà luglio, nello scenario più probabile e nell’ipotesi di un’escalation del conflitto che includa un’offensiva di terra a Rafah, metà della popolazione si troverà ad affrontare il rischio di carestia“. Nella scala da 1 a 5 utilizzata dall’Ipc, la carestia rappresenta il livello più grave dell’insicurezza alimentare acuta.

    [Fonte: Integrated Food Security Phase Classification]“È una situazione senza precedenti. Nessuna analisi dell’Ipc ha mai registrato tali livelli di insicurezza alimentare in nessuna parte del mondo“, sottolineano Borrell e Lenarčič . Nella Striscia il 50 per cento degli edifici sono stati danneggiati o distrutti. Abitazioni, negozi, ospedali e scuole, ma anche impianti idrici, igienici e le infrastrutture necessarie per la produzione e la distribuzione di cibo. Limitando notevolmente la funzionalità del sistema alimentare. Il rapporto dell’Icp snocciola anche le cifre degli ingressi di aiuti via terra: “Da una media pre-escalation di 500 camion al giorno, di cui 150 che trasportavano cibo, nel periodo tra il 7 ottobre 2023 e il 24 febbraio 2024, solo 90 camion al giorno, di cui solo 60 che trasportavano cibo, sono entrati nella Striscia di Gaza”.Dopo cinque mesi e mezzo di conflitto, Israele non ha ancora aperto tutti i varchi ai convogli umanitari e anzi, di aiuti ne entrano sempre meno. Le responsabilità di Tel Aviv sono sotto gli occhi di tutti: anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz – uno dei più prudenti sul denunciare le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele – ha sottolineato al premier israeliano Netanyahu che “non possiamo stare a guardare i palestinesi morire di fame”, precisando la situazione “è interamente opera dell’uomo” e deriva “da chi impedisce che il sostegno umanitario entri a Gaza“.Tajani: “Posizione non concordata”. Israele nega le accuseMa l’accusa lanciata dal capo della diplomazia europea non è condivisa da tutti a Bruxelles. A partire dal vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che ha commentato: “È una posizione di Borrell, non l’ha concordata con nessuno”. A Tel Aviv invece, non l’hanno presa proprio bene: Borrell “la smetta di attaccare Israele e riconosca il nostro diritto all’autodifesa contro i crimini di Hamas”, ha replicato con un post su X il ministro degli Esteri, Israel Katz.

    Il ministro degli Esteri di Israele, Israel Katz, e Josep BorrellIn un documento che le autorità israeliane hanno sottomesso alla Corte di Giustizia Internazionale relativamente al procedimento intentato dal Sudafrica per il possibile genocidio a Gaza, Israele nega con fermezza di ostacolare l’arrivo di beni di prima necessità per la popolazione palestinese. L’insicurezza alimentare a Gaza “è una sfida seria” ma “non è una questione semplice”, sostengono i legali di Tel Aviv, ribandendo che “Israele si è impegnata, insieme a una serie di parti interessate, a compiere sforzi costanti ed estesi per affrontare questa sfida”. Un impegno che dimostrerebbe “l’esatto contrario di un intento genocida o di un tentativo di affamare la popolazione”.Anzi: Israele si starebbe prodigando per la “continua facilitazione dell’ingresso dei carichi di aiuti umanitari a Gaza e l’utilizzo di ulteriori vie di comunicazione a tale scopo e il rafforzamento della capacità di quelle esistenti”. Le autorità israeliane puntano il dito contro la “spregevole strategia di Hamas”, che “assume il controllo delle forniture umanitarie” e le “devia dalla loro destinazione civile”.

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    L’Ue pronta a imporre sanzioni contro i coloni israeliani violenti

    Bruxelles – Il piano di imporre misure restrittive ai coloni israeliani estremisti in Cisgiordania è fermo sul tavolo dei 27 Paesi Ue da dicembre. A poco a poco si sono convinti tutti, rimaneva solo l’ostruzionismo dell’Ungheria di Viktor Orban. Ma lunedì 18 marzo i ministri degli Esteri dell’Ue dovrebbero raggiungere l’accordo politico per un primo pacchetto di sanzioni contro coloni che si sono macchiati di atti di violenza contro il popolo palestinese.Secondo quanto dichiarato da un alto funzionario europeo, l’Ue procederà parallelamente all’introduzione di nuove sanzioni contro Hamas. I due regimi dovrebbero essere approvati separatamente: prima “quello sui crimini sessuali commessi da Hamas nell’attacco del 7 ottobre”, poi il pacchetto sui coloni. Alcuni Stati membri infatti, avrebbero posto come linea rossa l’approvazione delle sanzioni contro Hamas prima di procedere con quelle dirette agli insediamenti illegali israeliani. Ma “non c’è nessuno Stato membro, al momento, che si oppone ai due regimi“, ha confermato la fonte.L’accordo politico di principio dovrebbe arrivare dunque al Consiglio Ue Affari Esteri di lunedì, per poi essere formalizzato in un secondo momento. Solo dal 7 ottobre, l’Ufficio delle Nazioni Unite Ocha-Opta ha registrato 646 attacchi di coloni israeliani contro palestinesi. Causando feriti, danni alle proprietà e 9 vittime.Dopo le sanzioni imposte da Stati Uniti, Regno Unito e Francia, che hanno vietato l’ingresso ad alcuni coloni estremisti sul proprio territorio nazionale, anche l’Ue sembra decisa a muoversi. Incalzata anche da Belgio, Spagna e Irlanda, che hanno dichiarato più volte di essere pronti a procedere in autonomia se Bruxelles non riuscisse a trovare un accordo. Proprio oggi il dipartimento di Stato americano ha aggiunto altri tre coloni alla sua lista e, per la prima volta, anche due interi insediamenti israeliani in Cisgiordania.