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Israele, bombe sugli operatori umanitari e sul consolato iraniano a Damasco: il giorno in cui (forse) il mondo ha perso la pazienza

Bruxelles – Nell’arco di ventiquattro ore, due decisioni fatali che aumentano la distanza tra Tel Aviv e l’Occidente. Le reazioni all’uccisione dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen e all’attacco al consolato iraniano a Damasco sono forti. Tanto che anche Netanyahu promette che “verificherà fino in fondo i fatti”.

Le vittime del raid israeliano all’ospedale Al-Aqsa, durante la distribuzione degli aiuti arrivati con difficoltà via mare da Cipro, non sono i primi cooperanti che perdono la vita nell’enclave palestinese. Anzi, secondo l’alto funzionario delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari a Gaza, Jamie McGoldrick, “almeno 196 operatori umanitari sono stati uccisi” dal 7 ottobre 2023 al 20 marzo. Ma questa volta di mezzo c’è una richiesta vincolante del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per un cessate il fuoco immediato che sta rimanendo inascoltata. E c’è la nazionalità di almeno tre delle vittime: i passaporti trovati appartengono a Gran Bretagna, Australia e Polonia.

La vettura dell’ong World Central Kitchen colpita dai bombardamenti israeliani (Photo by AFP)

La Commissione europea ha chiesto “un’indagine approfondita” sulla vicenda. “Gli operatori umanitari devono essere sempre protetti, in linea con il diritto umanitario internazionale”, ha scritto l’esecutivo Ue su X. Dai leader Ue il solito pattern: Ursula von der Leyen si limita a “rendere omaggio” agli operatori uccisi, Charles Michel sostiene che “è necessario già da molto tempo fermare il massacro di civili innocenti e di operatori umanitari”, Josep Borrell “condanna l’attacco e sollecita un’indagine”. Nel frattempo il governo britannico ha convocato l’ambasciatore israeliano a Londra e il segretario di Stato a stelle e strisce, Antony Blinken, ha chiesto un’indagine “rapida e imparziale”.

Se sull’accaduto Netanyahu si è giustificato affermando che “può succedere in guerra”, come se fosse frutto di un errore – anche se da tempo l’Unrwa denuncia di essere bersaglio di bombardamenti israeliani nonostante condivida in anticipo le coordinate dei luoghi scelti per la distribuzione degli aiuti -, lo stesso non può dire sulla decisione di attaccare e distruggere il consolato iraniano a Damasco, in Siria. In spregio alle più antiche regole del diritto internazionale, che sanciscono l’inviolabilità dei siti diplomatici e consolari.

I resti del palazzo del consolato iraniano a Damasco (Photo by Louai Beshara / AFP)

Secondo la Repubblica islamica, il bilancio dell’attacco è di 13 morti, tra cui sette membri delle Guardie della Rivoluzione. L’Iran ha già promesso che Israele sarà “punito” e ha attribuito la responsabilità anche agli Stati Uniti. L’attacco alla sede diplomatica di una potenza imprevedibile come l’Iran rischia di provocare un pericoloso allargamento del conflitto: il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto “a tutte le parti interessate di esercitare la massima moderazione e di evitare un’ulteriore escalation”, ammonendo sul fatto che “qualsiasi errore di calcolo potrebbe portare a un conflitto più ampio in una regione già instabile, con conseguenze devastanti per i civili che già assistono a sofferenze senza precedenti”.

Incurante del rischio, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato al Parlamento ebraico che Israele “lavora ovunque per impedire il rafforzamento dei nostri nemici”. Mentre sulla morte dei sette di World Central Kitchen, che ha causato inoltre la sospensione degli impegni da parte dell’ong, in una nota diffusa da Tel Aviv ha fatto riferimento alla “tragica natura dell’incidente” e ha sottolineato l’importanza di “condurre un’indagine approfondita e professionale”.

Sullo sfondo, proseguono le trattative per in Egitto per un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Ma le due parti restano lontanissime. A una settimana dalla fine del Ramadan, non resta più nulla della soddisfazione espressa il 25 marzo per la risoluzione con cui l’Onu chiedeva la fine delle ostilità almeno fino alla fine del mese sacro per l’Islam. Ma la consapevolezza che né Israele né Hamas intendono ascoltare gli ordini vincolanti della comunità internazionale.


Source: https://www.eunews.it/category/politica-estera/feed


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