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    Appello di Meloni ai leader Ue sulla migrazione. Il dossier sarà in agenda al prossimo Consiglio Europeo

    Bruxelles – Le 66 vittime del naufragio di Cutro, in Calabria, cambiano l’agenda del prossimo vertice dei 27 leader Ue a Bruxelles, previsto per il 23 e 24 marzo. Ai punti “Ucraina, competitività e mercato unico, commercio, energia” sarà aggiunto un’altra volta il dossier migranti. L’input, anche se un possibile ritorno sul tema era già previsto, è partito dalla premier italiana, Giorgia Meloni, che in una lettera inviata ieri (primo marzo) ai presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e della presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue, Ulf Kristersson, ha chiesto un’azione immediata delle istituzioni europee sul tema.
    Il portavoce del Consiglio Ue, Barend Leyts, in risposta ha dichiarato che “l’accordo” raggiunto all’ultimo vertice è stato quello di “monitorare i progressi sul tema migrazione, in particolare sulla base di aggiornamenti da parte della Commissione e della presidenza del semestre di turno. Sarà in agenda al prossimo Consiglio Europeo”. Così, l’ennesima tragedia consumata nel Mar Mediterraneo mette pressione all’Unione, con l’Italia “pronta, a partire dal prossimo Consiglio Europeo, a dare il suo contributo a ogni iniziativa comune” che rientri nella risposta di Meloni alla questione migrazione: “È fondamentale e urgente adottare da subito iniziative concrete, forti e innovative per contrastare e disincentivare le partenze illegali, ricorrendo anche a urgenti stanziamenti finanziari straordinari per i Paesi di origine e transito affinché collaborino attivamente”, ha ribadito la premier ai leader Ue.
    Niente di nuovo rispetto a quanto deciso all’ultimo vertice, lo scorso 9 febbraio, in cui i Ventisette avevano indicato come prioritaria la necessità di ridurre le partenze, attraverso una maggiore azione esterna, un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’Ue e una maggiore cooperazione con i Paesi d’origine e di transito. “Al Consiglio Europeo straordinario dello scorso febbraio abbiamo individuato alcune misure che vanno nella giusta direzione, ma il fattore tempo è decisivo“, ha sottolineato la presidente del Consiglio dei ministri, perché “senza concreti interventi dell’Ue, sin dalle prossime settimane e per l’intero anno, la pressione migratoria sarà senza precedenti”. Insomma, non è più possibile rimandare le decisioni operative, come accaduto a febbraio, quando lo stesso numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, aveva dichiarato: “Se ne riparlerà a marzo, perché non volevamo una discussione eccessivamente lunga oggi”.
    I resti dell’imbarcazione schiantata a Cutro, in Calabria (credits: Alessandro Serrano / Afp)
    Meloni, come già successo a novembre scorso, quando lo scontro tra Roma e Parigi sulla nave Ocean Viking aveva fatto sì che l’Europa annunciasse misure immediate, calca la mano sulla tragedia di Crotone per ottenere risultati concreti: “Confido di non essere sola in questa battaglia di civiltà”, scrive la premier, insistendo sul “dovere, morale prima ancora che politico, di fare di tutto per evitare che disgrazie come queste si ripetano”. E allora dito puntato contro la tratta illegale di esseri umani, che va “stroncata”, perché il fenomeno migratorio sia gestito “nel rispetto delle regole e della sicurezza, anzitutto nell’interesse degli stessi migranti, e con numeri tali da consentire l’effettiva integrazione di chi viene in Europa con la legittima aspirazione a una vita migliore”. Nessun riferimento, nella lunga lettera della presidente, alla possibilità di intensificare gli sforzi europei in operazioni congiunte di ricerca e salvataggio, con cui forse si sarebbero potuti salvare i naufraghi dell’imbarcazione avvistata sabato sera scorso da un velivolo di Frontex, quando si trovava ancora a 40 miglia dalle coste calabresi.

    Nella lettera inviata ai presidenti Michel, von der Leyen e Kristersson la richiesta di “adottare da subito iniziative concrete” per contrastare le partenze irregolari. Per la premier italiana sono necessari fondi straordinari per i Paesi d’origine affinché “collaborino attivamente”

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    I Ventisette promettono a Zelensky che “non risparmieremo sforzi nella battaglia per la difesa e la pace” in Ucraina

    Bruxelles – Dopo sette incontri virtuali, il momento del confronto viso a viso. Uscito dall’emiciclo del Parlamento Europeo – dove ha rivolto agli eurodeputati un intenso appello sui valori comuni – il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha proseguito la sua prima visita a Bruxelles con la partecipazione al Consiglio Europeo straordinario. “È giusto partecipare alla riunione dei leader Ue, la lingua ucraina farà parte della discussione e della prassi europea, non appena faremo parte dell’Unione”, ha sottolineato il numero uno ucraino. Un confronto incentrato sul percorso verso l’adesione Ue, la pace “a lungo termine”, ma soprattutto sulla necessità di garantire “sicurezza su tutto il continente” e la fornitura di armi per vincere la guerra contro la Russia: “Significa difendere i valori europei, l’Ucraina e voi stessi“, ha messo in chiaro Zelensky, puntualizzando che “se lo fate ora, non dovrete farlo più tardi”.
    Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, al Consiglio Europeo straordinario (9 febbraio 2023)
    Come confermato dallo stesso presidente ucraino al termine della tavola rotonda con i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri, al Consiglio Ue è stato ribadito il sostegno dell’Unione “fino alla vittoria”, con “tutte le armi necessarie, compresi i jet“. Il percorso per arrivare a ottenere jet da combattimento “è lungo” ed è iniziato con la visita di ieri (8 febbraio) a Londra, per proseguire oggi con i confronti bilaterali con i singoli leader.
    Ma intanto del vertice a tre con il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz – da cui l’Italia di Giorgia Meloni è stata esclusa – il numero uno ucraino si ritiene soddisfatto: “Abbiamo preso decisioni concrete, lavoreremo per rafforzare le capacità sull’aspetto offensivo, sui carri armati e sull’artiglieria”. Zelensky ha però avvertito che “non posso tornare in patria senza risultati” dai confronti informali con tutti i 27 leader, “è un punto di vista pragmatico”. Su questo fronte il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha chiesto “fermezza anche sul piano militare” ai Ventisette: “Dobbiamo rispondere ai bisogni militari dell’Ucraina, perché le prossime settimane e mesi saranno cruciali“. L’esortazione è su “missili, munizioni, carri armati, sistemi di difesa”, che servono “ora”. Dopo i carri armati pesanti tedeschi Leopard 2, il nuovo punto di caduta che dovranno trovare i leader Ue sarà proprio sui jet da combattimento.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (9 febbraio 2023)
    La guerra non è la prospettiva ucraina, né sul breve né sul lungo termine: “Non siamo come la Russia, noi non obblighiamo la nostra gente a combattere, ma dobbiamo difendere la democrazia e programmare la pace”, è il punto fermo di Zelensky. Ed è per questo che il secondo punto del dossier Ucraina sul tavolo del Consiglio Ue è sul “garantire la pace, che sia giusta“, ha ribadito in conferenza stampa la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, confermando quanto già annunciato al termine del vertice Ue-Ucraina di venerdì scorso (3 febbraio). “Siamo totalmente d’accordo con tutti i 10 punti della formula di pace, dalla sicurezza economica a quella nucleare, dagli approvvigionamenti alimentari a quelli energetici”, ha precisato von der Leyen, aggiungendo di voler “garantire che ci sia ampio sostegno a livello internazionale”. A farle eco il numero uno del Consiglio Ue, che ha confermato la volontà dell’Unione di “non risparmiare nessuno per vincere anche la battaglia diplomatica“. Michel appoggia l’idea di “un vertice per la pace”, per cui “non possiamo esitare o farci intimidire dalla Russia”.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (9 febbraio 2023)
    E infine c’è la questione del garantire la responsabilità per gli autori dei crimini di guerra dell’esercito russo in Ucraina. “È impossibile vivere senza giustizia, deve esserci un tribunale contro la Russia per questa aggressione e un meccanismo di compensazione per tutti i danni causati dal terrore russo“, è la richiesta senza sconti del presidente Zelensky. Il processo sostenuto dai Ventisette sarà articolato in “tre tappe“, ha spiegato la leader dell’esecutivo comunitario. Il primo passo è “raccogliere le prove dei crimini e abbiamo già iniziato”, poi è necessario spingere sulla “cooperazione tra procuratori, e per questo abbiamo creato un centro comune all’Aia”. E infine c’è proprio la questione della creazione del tribunale: “Ci sono discussioni sulla struttura, ma c’è anche la piena volontà politica che tutti i responsabili rispondano del crimine di aggressione” contro l’Ucraina.

    Il presidente ucraino è intervenuto per la prima volta di persona al Consiglio Europeo, incentrando il confronto con i leader dell’Unione sulla sicurezza del continente, la fornitura di armi per arrivare alla vittoria nella guerra contro la Russia e la pace “a lungo termine”

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    Inizia a Londra il primo viaggio continentale di Zelensky. Domani è atteso a Bruxelles da Parlamento e Consiglio Ue

    Bruxelles – Ora è ufficiale. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha lasciato il Paese invaso dall’esercito russo dal 24 febbraio 2022 per il suo primo viaggio sul continente europeo. A renderlo noto è il governo britannico, annunciando che il leader dell’Ucraina è in viaggio per il Regno Unito, prima tappa della trasferta europea che domani (9 febbraio) lo vedrà a Bruxelles per partecipare alla sessione plenaria straordinaria del Parlamento Europeo e al vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue. Per questa sera è invece prevista una seconda tappa a Parigi, dove all’Eliseo si svolgerà un colloquio a tre tra il presidente ucraino, l’omologo francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz.
    Da sinistra: il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Londra l’8 febbraio 2023 (credits: Justin Tallis / Afp)
    “La visita del presidente Zelensky nel Regno Unito è una testimonianza del coraggio, della determinazione e della lotta del suo Paese, e una testimonianza dell’amicizia indissolubile tra i nostri due Paesi”, è il saluto del primo ministro britannico, Rishi Sunak, a poche ore dall’arrivo del numero uno di Kiev a Londra. Nel confronto tra Sunak e Zelensky sarà discussa l’ulteriore fornitura militare a sostegno della difesa del Paese, l’addestramento di piloti di aerei da combattimento e nuove sanzioni contro la Russia, si apprende dalla nota diffusa da Downing Street 10. Il presidente ucraino si rivolgerà poi al Parlamento britannico a Westminster, dove esporrà il piano per una pace “giusta e sostenibile”, e ci si aspetta un incontro anche con re Carlo II.
    Ma a Bruxelles si aspetta solo lo scoccare della mezzanotte di giovedì 9 febbraio, quando avrà inizio la lunga giornata del presidente Zelensky presso le istituzioni comunitarie, per la prima volta di persona da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Dopo le indiscrezioni degli ultimi giorni ancora non sono arrivate conferme ufficiali – per questioni di sicurezza – dai portavoce del Consiglio e del Parlamento Ue, ma ormai nella capitale dell’Unione si stanno facendo tutti i preparativi per accogliere il leader ucraino sia nell’emiciclo dell’Eurocamera sia al Consiglio Europeo straordinario (che dopo migrazione e aiuti di Stato ora avrà un terzo dossier di peso sul tavolo). Non solo è stata spostata la riunione del Comitato delle Regioni, organizzata inizialmente nell’emiciclo del Parlamento Ue, ma anche la conferenza dei presidenti dei gruppi all’Eurocamera, prevista per domani, è slitatta di un giorno.
    Un camion dei pompieri distrutto da una mina a Kiev e un’ambulanza colpita dall’esercito russo a Kharkiv, davanti alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (8 febbraio 2023)
    Come anticipano fonti europee, Zelensky domattina comparirà tra le 10 e le 11 davanti a tutti gli eurodeputati all’emiciclo di Bruxelles, presieduto dalla sua leader Roberta Metsola. Considerati gli stretti orari degli appuntamenti delle due istituzioni, è possibile che Zelensky si recherà prima a Palazzo Europa e poi si sposterà in rue Wiertz 60: altre fonti Ue prevedono che l’inizio dei lavori del vertice dei leader dei Ventisette sarà verso le ore 9.30/10, appena prima della visita di Zelensky all’Eurocamera. Il discorso del presidente ucraino al Consiglio Ue dovrebbe anticipare le discussioni previste su migrazione e risposta Ue all’Inflation Reduction Act (Ira) statunitense, che al momento si puntano a chiudere entrambe in una sola giornata.

    Tappa nel Regno Unito per il leader del Paese invaso dall’esercito russo da quasi un anno. Dopo il confronto con il premier Sunak e re Carlo III si dirigerà verso la capitale dell’Unione per partecipare alla sessione plenaria dell’Eurocamera e al vertice dei leader dei Ventisette

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    Il presidente ucraino Zelensky potrebbe partecipare di persona al Consiglio Europeo del 9 febbraio a Bruxelles

    Bruxelles – Si rincorrono voci tra i corridoi delle istituzioni comunitarie che giovedì (9 febbraio) il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, potrebbe partecipare di persona al prossimo Consiglio Europeo. Dopo la visita di fine dicembre a Washington, negli Stati Uniti, si tratterebbe del primo viaggio del leader ucraino sul continente europeo dall’inizio dell’invasione russa del Paese.
    L’intervento del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, al Consiglio Europeo del 23 giugno 2022
    La notizia è emersa nella giornata di ieri (6 gennaio) con la pubblicazione da parte di alcune testate europee di quanto riferito da alcuni funzionari del Parlamento Ue sul prossimo viaggio di Zelensky a Bruxelles, in occasione del vertice dei leader Ue straordinario, di cui si dovrebbe discutere in particolare di migrazione e aiuti di Stato, ma anche della futura proposta di un decimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia.
    La fuga di notizie dal gabinetto della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, sui preparativi per una mini-sessione plenaria straordinaria prima dell’incontro con i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri ha però sollevato preoccupazioni – in particolare tra Consiglio e Commissione – per i rischi su una visita di grande sensibilità e che avrebbe richiesto maggiore riservatezza. Di fronte alle richieste della stampa, sono arrivati “no comment” sia dai portavoce della presidente Metsola, sia da quelli del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel.
    Tuttavia, nella serata di ieri il portavoce del Consiglio, Barend Leyts, ha pubblicato un tweet con cui ha cercato di gettare acqua sul fuoco: “Il presidente Michel ha invitato il presidente Zelensky a partecipare di persona a un futuro Consiglio Europeo“, ma “per motivi di sicurezza, non saranno fornite ulteriori informazioni”. Non necessariamente il prossimo vertice straordinario del 9 febbraio. Solo venerdì scorso (3 febbraio) al vertice Ue-Ucraina, il leader ucraino aveva assicurato che “vorrei venire a Bruxelles, ma ora è troppo pericoloso viaggiare all’estero“. A maggior ragione se una fuga di notizie dalle istituzioni comunitarie pone ulteriori questioni di sicurezza per il presidente Zelensky e per l’intera bolla Ue a Bruxelles.

    @eucopresident has invited President @ZelenskyyUa to participate in person in a future summit of the European Council #EUCO
    For security reasons, no further information will be provided.
    — Barend Leyts (@BarendLeyts) February 6, 2023

    Nessuna conferma ufficiale dalle istituzioni Ue per questioni di sicurezza, ma solo anticipazioni del portavoce del Consiglio su un invito “a un prossimo” vertice dei leader Ue. Lo scorso 3 febbraio il leader del Paese invaso dall’esercito russo aveva escluso un viaggio a breve nel continente

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    Per Michel “il 2023 sarà l’anno della vittoria e della pace” per l’Ucraina e chiede ai Ventisette di inviare carri armati a Kiev

    Bruxelles – La terza volta in un anno, la prima di un 2023 che “sarà l’anno della vittoria e della pace” per l’Ucraina. Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, è tornato a Kiev oggi (19 gennaio) su invito del leader del Paese, Volodymyr Zelensky, per partecipare alla sessione plenaria della Verkhovna Rada, il Parlamento monocamerale. “Abbiamo ascoltato il vostro messaggio, avete bisogno di più sistemi di difesa aerea e di artiglieria, di più munizioni e sono fermamente convinto che debbano essere consegnati i carri armati“, ha messo in chiaro il numero uno del Consiglio: “Vogliamo sostenervi perché siamo consapevoli che le prossime settimane potrebbero essere decisive per ciò che verrà” sul campo di battaglia.
    L’intervento del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla Verkhovna Rada (Kiev, 19 gennaio 2023)
    Dopo aver reso noto questa mattina di essere nuovamente in viaggio verso Kiev – a due settimane dal vertice Ue-Ucraina che si terrà proprio nella capitale del Paese sotto attacco russo – Michel ha voluto sottolineare davanti ai deputati ucraini che “per quasi un anno il mondo ha guardato con orrore alla guerra“, come mostrato dalla “brutalità della Russia a Soledar, a Bakhmut e in tante altre città e villaggi”. Il recente attacco russo a un condominio di Dnipro “è l’ultimo di una lunga lista di crimini” del Cremlino, per cui “tutti i responsabili, senza eccezioni, saranno chiamati a rispondere“, ha promesso Michel. Lo scenario è quello della fine della guerra di aggressione – che l’Unione caldeggia – e per questo motivo le istituzioni comunitarie sostengono “l’iniziativa del presidente Zelensky sul piano di pace in 10 punti”, ha messo in chiaro il numero uno del Consiglio, anticipando che sarà sul tavolo del vertice del 3 febbraio con il presidente ucraino e la leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (19 gennaio 2023)
    Ma prima l’Ucraina “dovrà vincere la guerra”. E questo per Bruxelles passerà inevitabilmente dal supporto militare dei Ventisette: “Avete bisogno di più sistemi di difesa aerea, più missili a lungo raggio, munizioni e soprattutto avete bisogno di carri armati, proprio ora“. Proprio ieri (18 gennaio) anche gli eurodeputati hanno messo nero su bianco nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune che i Paesi membri Ue devono “immediatamente dispiegare armi moderne e un sistema di difesa aerea di nuova generazione”, con un’esortazione esplicita al cancelliere tedesco, Olaf Scholz, di consegnare all’Ucraina i carri armati Leopard 2 “senza ulteriori ritardi”. In quasi un anno di guerra i Ventisette hanno mobilitato 11 miliardi di euro in sostegno militare (sia attraverso il Fondo europeo per la pace, sia come impegno bilaterale) e stanno addestrando 15 mila soldati ucraini con una missione di formazione militare ad hoc.
    Il sostegno europeo all’Ucraina è considerato dal presidente Michel una difesa anche della stessa Unione Europea, “che abbiamo forgiato dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, ancorata alla dignità umana, alla libertà e alla solidarietà”. I missili contro le città ucraine “sono missili lanciati contro tutto ciò in cui crede l’Ue”, ma Kiev ha fatto una scelta di campo, chiedendo di aderire all’Unione. “A giugno abbiamo preso una decisione che per molti era impensabile“, ovvero quella di concedere all’Ucraina lo status di Paese candidato all’adesione all’Ue: “Non dobbiamo lesinare gli sforzi per trasformare questa promessa il più rapidamente possibile in realtà”, è l’esortazione di Michel ai capi di Stato e di governo dei Paesi membri. Il “sogno” del numero uno del Consiglio è che “un giorno, spero presto, un ucraino ricopra il mio posto”, o quello di “presidente del Parlamento o della Commissione Europea”.

    Nearly a year after Russia’s brutal attack against the Ukrainian people and the values and principles of European democracy, I am touched to be back on Ukrainian soil today. Watch the press conference after the meeting with President @ZelenskyyUA. https://t.co/8Ovi6aQBfR
    — Charles Michel (@CharlesMichel) January 19, 2023

    Il presidente del Consiglio Ue è tornato nella capitale ucraina, dove si è rivolto alla plenaria della Verkhovna Rada (il Parlamento monocamerale): “Sogno che un giorno un ucraino ricopra il mio posto”. Sostegno al piano di pace in 10 punti di Zelensky, in vista del vertice del 3 febbraio

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    Dopo l’intesa politica tra i leader Ue l’economia russa viene colpita con il nono pacchetto di sanzioni

    Bruxelles – A due settimane dalla fine dell’anno più turbolento per i rapporti tra Unione Europea e Russia, a causa dell’aggressione armata dell’Ucraina da parte di Mosca, i Ventisette hanno dato un altro colpo all’economia russa, imponendo un nuovo pacchetto di sanzioni contro il regime di Vladimir Putin. La nona tornata di misure restrittive è una risposta all’escalation della guerra sul fronte orientale e prende di mira il settore energetico, minerario e tecnologico russo, ma cercando di non mettere a repentaglio la sicurezza alimentare globale.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Dopo il cibo e la fame, Putin sta ora utilizzando l’inverno come arma, privando deliberatamente milioni di ucraini di acqua, elettricità e riscaldamento“, è il duro commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Il via libera dal Consiglio dell’Ue alle nuove sanzioni è arrivato dopo l’intesa politica tra i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri durante il vertice di ieri (giovedì 15 dicembre): “Il Consiglio Europeo accoglie con favore il rafforzamento delle misure restrittive dell’Ue nei confronti della Russia, anche attraverso il nono pacchetto di misure restrittive e il tetto internazionale dei prezzi del petrolio“, si legge nelle conclusioni, con un richiamo alle misure contenute nell’ottavo pacchetto di sanzioni.
    Il nodo principale su cui “ci eravamo bloccati nella procedura scritta” – come confessato in conferenza stampa post-vertice dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel – ha riguardato la deroga delle sanzioni per gli oligarchi russi attivi nel campo alimentare e dei fertilizzanti e del cibo. Come spiegato da fonti Ue a margine del Consiglio, l’esenzione si applicherà solo per questo tipo di transazioni, dal momento in cui le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazioni sul fatto che le consegne di cibo e fertilizzanti sono ritardate dai controlli nei porti degli Stati membri Ue e dei partner internazionali. In ogni caso Bruxelles sottolinea con forza che “nessuna delle misure adottate riguarda in alcun modo il commercio di prodotti agricoli e alimentari tra Paesi terzi e Russia”. Tuttavia, considerata la “ferma volontà” dell’Unione di combattere l’insicurezza alimentare globale, “è stato deciso di introdurre una nuova deroga che consenta di scongelare i beni e mettere a disposizione fondi e risorse economiche a determinate persone” che ricoprono un “ruolo significativo” nel commercio di prodotti come “grano e fertilizzanti“.

    Sciolto questo nodo e trovato “il giusto bilanciamento tra la fermezza contro il Cremlino e la sicurezza alimentare”, come ha precisato il presidente Michel, la strada è stata in discesa per l’imposizione del nuovo ciclo di sanzioni. Sul piano energetico e minerario sono stati vietati nuovi investimenti in Russia, “fatta eccezione per attività di estrazione e di cava che coinvolgono materie prime critiche“. Per quanto riguarda il fronte tecnologico, sono vietate le esportazioni di beni e tecnologie che possono contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza (all’elenco dei sanzionati sono state aggiunte altre 168 entità del complesso militare e industriale russo): stop al commercio con Mosca di sostanze chimiche, agenti nervini, attrezzature per la visione notturna e la radio-navigazione, elettronica e componenti informatici.
    Ma nel capitolo delle esportazioni assume particolare rilevanza un’altra gamma di tecnologie-chiave per la guerra in Ucraina: nel campo dell’aviazione e dell’industria spaziale sono stati inclusi i motori degli aerei “sia di velivoli con equipaggio sia senza equipaggio”. In altre parole, da oggi sarà vietata l’esportazione di motori per droni in Russia “e in qualsiasi Paese terzo che potrebbe fornirli” a Mosca. Un riferimento nemmeno troppo velato all’Iran, già sanzionato per il supporto al Cremlino con droni e addestratori in Crimea. Sul fronte delle consulenze europee viene invece introdotto il divieto di servizi di collaudo di prodotti e di ispezione tecnica.
    Il nono pacchetto di sanzioni prevede anche il congelamento dei beni nei confronti di altre due banche russe, mentre la Banca russa di sviluppo regionale è stata aggiunta all’elenco di entità soggette al divieto totale di transazioni attraverso il sistema dei pagamenti Swift. La propaganda di regime viene poi colpita con il divieto di sospensione delle licenze di trasmissione di altri quattro media (oltre a Sputnik, Russia Today, Rossiya RTR / RTR Planeta, Rossiya 24 / Russia 24 e TV Centre International): si tratta di NTV / NTV Mir, Rossiya 1, REN TV e Pervyi Kanal. “Queste emittenti sono sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, della leadership della Federazione Russa”, specifica il Consiglio dell’Ue, sottolineando che “sono state utilizzate per le continue e concertate azioni di disinformazione e propaganda di guerra”.

    I welcome the agreement on the 9th sanctions package against Russia.
    It focuses on tech, finance and media to push the Russian economy and war machine further off the rails.
    It sanctions almost 200 individuals and entities involved in attacks on civilians & kidnapping children https://t.co/3vx73DMZyz
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 16, 2022

    Dal divieto d’investimenti nel settore energetico e minerario a quello dell’esportazione di motori per droni anche a “qualsiasi Paese terzo che possa fornirli” a Mosca. Per sbloccare le misure restrittive è stata garantita la deroga agli oligarchi attivi nel campo alimentare e dei fertilizzanti

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    A Bruxelles si sblocca il dossier Sarajevo. La Bosnia ed Erzegovina è un nuovo Paese candidato all’adesione Ue

    Bruxelles – Nessuna sorpresa, ma un passo enorme per le prospettive bosniache di entrare nell’Unione Europea. I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri hanno dato il via libera oggi (giovedì 15 dicembre) alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, seguendo la raccomandazione del Consiglio Affari Generali di martedì (13 dicembre) a proposito del processo di allargamento e quello di stabilizzazione e associazione. Dopo più di sei anni di attesa nell’anticamera di Bruxelles (era il 15 febbraio 2016 quando veniva presentata ufficialmente la domanda di Sarajevo), il Paese balcanico è diventato l’ottavo candidato ufficiale per l’adesione all’Unione.
    Il ponte di Mostar (Bosnia ed Erzegovina) illuminato con la bandiera dell’Unione Europea
    Lo status di Paese candidato alla Bosnia ed Erzegovina è stato confermato dalle conclusioni del Consiglio Europeo, dopo l’approvazione all’unanimità da parte dei Ventisette. Per Sarajevo si apre ora un cammino di implementazione delle riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione, come sottolineato nella raccomandazione della Commissione Europea. Proprio l’esecutivo comunitario è stato il maggiore sponsor della candidatura bosniaca – sia con l’esortazione al Consiglio dello scorso 12 ottobre sia con il discorso vibrante della presidente Ursula von der Leyen nel suo viaggio di fine ottobre a Sarajevo – ed è ora chiamato a tenere sotto osservazione i progressi del nuovo Paese candidato all’adesione.
    “L’endorsement dei leader è una grande occasione offerta alla Bosnia ed Erzegovina per spingere sulla strada della riforme e imbarcarsi davvero sul cammino europeo“, ha sottolineato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “È un grande passo per il Paese e per tutta la regione”. Congratulazioni a Sarajevo arrivano anche dal presidente del Consiglio, Charles Michel: “È un segnale forte alla popolazione, ma anche una chiara aspettativa che le nuove autorità realizzino le riforme”.
    La decisione di oggi conferma la valutazione preliminare del Consiglio Ue del 23 giugno scorso – dopo il fallimentare vertice Ue-Balcani Occidentali di Bruxelles – quando i 27 leader Ue si erano detti “pronti” a riconoscere lo status a Sarajevo, ma a condizione che la Commissione riferisse “senza indugio” sull’attuazione delle 14 priorità-chiave. Il blocco delle discussioni sulla concessione dello status di candidati per Ucraina e Moldova da parte del triangolo Slovenia-Croazia-Austria (le tre ‘colombe’ bosniache in Consiglio), fino a quando non si fosse trovata almeno una parziale risposta alla questione bosniaca, aveva permesso di definire un obiettivo chiaro: permettere ai leader Ue di “tornare a decidere nel merito” quanto prima. A sei mesi di distanza da quel Consiglio l’accelerazione sul dossier Sarajevo ha dato i suoi frutti, ma adesso la palla passa alla Bosnia ed Erzegovina, dove si dovranno affrontare criticità non indifferenti per l’apertura del negoziati di adesione all’Ue.

    Bosnia and Herzegovina was granted the status of candidate country today.
    A strong signal to the people, but also a clear expectation for the new authorities to deliver on reforms.
    The future of the Western Balkans is in the #EU
    Congratulations!#EUCO pic.twitter.com/1TUWlGlNPu
    — Charles Michel (@CharlesMichel) December 15, 2022

    Gli ostacoli sul cammino europeo della Bosnia ed Erzegovina
    Il municipio di Sarajevo (Bosnia ed Erzegovina) illuminato con la bandiera dell’Unione Europea
    Il primo livello di criticità per la Bosnia ed Erzegovina riguarda la questione istituzionale. Dopo la complessa tornata elettorale dello scorso 2 ottobre, la nuova presidenza tripartita vede la presenza di Željko Komšić (croato), Denis Bećirović (bosgnacco) e soprattutto la riconferma di Milorad Dodik (serbo), ex-presidente della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba, complementare alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina). Dall’ottobre dello scorso anno proprio Dodik si è fatto promotore di un progetto secessionista per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, per cui il Parlamento Europeo aveva evocato sanzioni economiche e su cui la Commissione aveva iniziato a ragionare. Dopo la dura condanna da parte dell’Unione dei tentativi secessionisti della Republika Srpska (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno i leader bosniaci si erano radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Ma la costante crisi istituzionale nel Paese balcanico si accompagna a un’altra questione urgente per l’Unione Europea: quella della destabilizzazione russa e dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro Mosca, dopo l’invasione armata dell’Ucraina. Insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive, a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Dodik è particolarmente vicino all’autocrate russo, Vladimir Putin, e non ha mai nascosto la propria ambiguità non solo sul conflitto in corso in Ucraina, ma anche sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia: “Incontrerò personalmente Putin, per confrontarci su progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente“, aveva provocato Dodik a fine settembre dopo i referendum illegali in Ucraina (anche se l’incontro non si è ancora concretizzato). Per Bruxelles non è nemmeno ipotizzabile un mancato allineamento di un Paese candidato all’adesione Ue ai principi fondanti della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), “incluse le misure restrittive”, come avevano messo in chiaro le conclusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali di martedì scorso (6 dicembre) a Tirana.
    Il punto sull’allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). A sei anni dalla sua domanda di adesione, la Bosnia ed Erzegovina è da oggi un candidato ufficiale, mentre il Kosovo ha firmato nello stesso anno l’Accordo di stabilizzazione e associazione e ieri (mercoledì 14 dicembre) ha fatto richiesta a Bruxelles per diventare il prossimo Paese candidato.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen: per i Balcani Occidentali è compresa la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, a cui viene offerta la prospettiva di adesione. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    I capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri Ue hanno dato il via libera alla concessione dello status a Sarajevo, che diventa l’ottavo candidato ufficiale nel processo di allargamento dell’Unione.

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    La Bosnia ed Erzegovina è pronta a diventare un nuovo Paese candidato all’adesione Ue. L’ufficialità al prossimo Consiglio

    Bruxelles – Ora la strada per la Bosnia ed Erzegovina è tutta in discesa, facendo attenzione a – improbabili, ma mai da escludere – ostacoli sulla linea del traguardo. Il Consiglio Affari Generali riunitosi oggi (martedì 13 dicembre) a Bruxelles ha dato il proprio parere positivo alla possibilità di concedere lo status di Paese candidato all’adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina, con la raccomandazione ai leader dei 27 Stati membri di confermare la decisione al prossimo Consiglio Europeo di giovedì (15 dicembre).
    Approvando le conclusioni sull’allargamento e sul processo di stabilizzazione e associazione – che valutano la situazione in ciascuno dei Paesi candidati all’adesione e dei partner dell’Unione – i 27 ministri Ue hanno tenuto in particolare considerazione le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, dello sviluppo economico e della competitività, ma anche il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione, con attenzione agli sviluppi post-voto in Bosnia ed Erzegovina dopo la complessa tornata elettorale dello scorso 2 ottobre. La valutazione parte dalle conclusioni del vertice del 23 giugno, quando i capi di Stato e di governo dell’Ue si erano detti “pronti” a riconoscere lo status a Sarajevo, ma a condizione che la Commissione riferisse “senza indugio” sull’attuazione delle 14 priorità-chiave per il Paese balcanico: l’obiettivo dichiarato era quello di permettere ai leader Ue di “tornare a decidere nel merito” quanto prima.
    Scenario che si è reso concreto nel corso dei mesi successivi e culminato con la decisione dell’esecutivo comunitario di raccomandare al Consiglio la concessione dello status di Paese candidato alla Bosnia ed Erzegovina: “Quella che stiamo offrendo è una grande opportunità, che arriva una volta nella vita e che i cittadini meritano“, aveva sottolineato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. A due mesi da quel momento-chiave per le prospettive di Sarajevo è arrivato il primo semaforo verde anche dal Consiglio dell’Ue, in attesa di quello definitivo di giovedì, che comunque non sarà privo di condizioni: “Dovranno essere adottate le misure specificate nella raccomandazione della Commissione, al fine di rafforzare lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, la gestione della migrazione e i diritti fondamentali”, è l’appunto dei 27 ministri.
    “La politica di allargamento dell’Ue è una forte ancora per la pace, la democrazia, la prosperità, la sicurezza e la stabilità nel nostro continente”, ha sottolineato il ministro ceco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Mikuláš Bek, mettendo in chiaro che quello di oggi è “un forte messaggio di impegno nei confronti dell’allargamento”. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha definito “una buona notizia” la raccomandazione del Consiglio Affari Generali sullo status di candidato per la Bosnia ed Erzegovina: “È un messaggio per tutti i cittadini, il loro futuro è nell’Unione Europea“. Anche il gabinetto von der Leyen rimane ora in attesa dell’approvazione finale del Consiglio Europeo, con l’alto rappresentante Borrell che ricorda la necessità di un “costante progresso sulle riforme per portare avanti questa prospettiva” europea di Sarajevo.
    Il supporto alla Bosnia ed Erzegovina da Strasburgo
    Proprio nel giorno del Consiglio Affari Generali che ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue (in attesa della conferma dei 27 leader), dall’emiciclo del Parlamento Europeo a Strasburgo sono arrivati due endorsement di peso al cammino di Sarajevo verso l’ingresso nell’Unione. “Con Ucraina e Moldova abbiamo visto quale messaggio potente può dare l’Unione Europea concedendo lo status di Paese candidato all’adesione”, ha sottolineato con forza la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, che si è esposta senza esitazioni: “Vogliamo infondere questo coraggio anche ai nostri amici in Bosnia ed Erzegovina“.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e il primo ministro della Slovenia, Robert Golob (Strasburgo, 13 dicembre 2022)
    Un messaggio rafforzato anche dall’intervento del primo ministro sloveno, Robert Golob, arrivato a Strasburgo per partecipare al consueto appuntamento ‘This is Europe’ tra gli eurodeputati e un leader Ue a rotazione in sessione plenaria: “La Slovenia sostiene il processo di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina, siamo uno Stato membro giovane, ma ricordiamo bene la speranza che nutrivamo in questo percorso”, ha ricordato il premier del Paese entrato nell’Unione 18 anni fa. “È per questo che sappiamo quanto sia importante la prospettiva di adesione” non solo per la Bosnia ed Erzegovina, “ma per tutti i Balcani Occidentali” che “sono in sala d’attesa da ormai vent’anni”, ha ammonito Golob.
    Come già ricordato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel corso della sua visita a fine ottobre a Sarajevo, anche il primo ministro sloveno ha puntualizzato il fatto che – come l’Ucraina – anche “la Bosnia è uno dei Paesi europei che ha subito aggressioni armate nel recente passato e noi dobbiamo rendere chiaro che non abbiamo abbandonato i cittadini bosniaci, mentre guardavamo a Kiev“. Di qui la necessità di “accelerare il processo di allargamento, anche se non è sempre semplice, perché è uno strumento essenziale per l’Unione Europea”, ha concluso il suo intervento il premier della sinistra verde e liberale slovena, eletto lo scorso 24 aprile.
    Il punto sull’allargamento dell’Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016 e dopo sei anni è quasi arrivato il momento della concessione dello status di Paese candidato. Il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione, ma entro la prossima settimana è attesa la richiesta di adesione all’Unione, come reso noto dalla presidente Vjosa Osmani al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana martedì scorso (6 dicembre).
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Il Consiglio Affari Generali ha raccomandato ai leader dei 27 Stati Ue di riconoscere a Sarajevo lo status di candidato, a sei anni dalla richiesta. Sostegno dalla Commissione, dal Parlamento Ue e dal premier sloveno, Robert Golob, a Strasburgo: “Non abbiamo abbandonato i cittadini bosniaci”