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    La crisi in Medio Oriente ridisegna l’agenda del Vertice Ue. Michel richiama i Ventisette all’unità

    Bruxelles – Garantire “con urgenza” la fornitura di aiuti umanitari e l’accesso ai bisogni più elementari, “impegnarci, in un fronte unito e coerente” con i partner per evitare una pericolosa escalation regionale del conflitto e “rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati”. Tre le linee di azione che domani e venerdì  (26 e 27 ottobre) orienteranno le discussioni tra i capi di stato e governo  al Vertice Ue sul conflitto in Medio Oriente tra Hamas e Israele.Un dibattito che, senza alcun dubbio, prenderà le mosse dalle tensioni in Medio Oriente e dal conflitto tra Hamas e Israele, che ha restituito ancora una volta l’immagine di un’Unione europea poco unita di fronte alla politica estera e di sicurezza. “Il nostro incontro avviene in un momento di grande instabilità e insicurezza globale, esacerbata più recentemente dagli sviluppi in Medio Oriente”, ammette il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella tradizionale lettera di invito ai capi di stato e governo dell’Ue pubblicata questa mattina.Non è difficile immaginare che i leader dell’Ue passeranno ore a discutere cosa includere e cosa no nel testo finale delle conclusioni, se chiedere una “pausa umanitaria” (come si legge nell’ultima bozza di conclusioni) per garantire un accesso “umanitario continuo, rapido e senza ostacoli o inserire qualcosa di più incisivo.  Se da un lato la crisi mediorientale sarà di certo centrale nel dibattito tra i leader, Michel si impegna a non “distrarci dal nostro continuo sostegno all’Ucraina. La nostra responsabilità è restare uniti e coerenti e agire in linea con i nostri valori sanciti dai trattati”, si legge nella lettera che anticipa i temi che saranno trattati. Quanto all’Ucraina, i capi di stato e governo affronteranno in particolare il problema di come accelerare la fornitura di sostegno militare, i progressi nei piani sull’uso delle risorse immobilizzate della Russia e l’intensificazione del contatto diplomatico per garantire il più ampio sostegno internazionale per un una pace globale, giusta e duratura. Alla riunione spazio anche per un aggiornamento sulla revisione del quadro finanziario pluriennale (Qfp), nell’ottica di raggiungere rapidamente un accordo e sulla competitività dell’industria europea. “Il capo del Consiglio europeo non cita la Cina, ma il riferimento è quello. “La competitività dell’UE si è sempre basata sulla sua economia di mercato aperta, con al centro il mercato unico. Ora dobbiamo posizionarci collettivamente in un mondo in cui altri attori e partner internazionali sovvenzionano pesantemente la loro industria e le loro aziende”, si legge nella lettera d’intenti. Bruxelles ha da poco avviato un’indagine anti sussidi sulle batterie per i veicoli elettrici prodotti in Cina.La seconda giornata di venerdì sarà dedicata principalmente al Vertice dell’area euro, a cui “si uniranno a noi i presidenti della Banca centrale europea e dell’Eurogruppo”, ricorda Michel, “per discutere della situazione economica e finanziaria e del continuo stretto coordinamento e governance delle nostre politiche macroeconomiche. I leader dei Ventisette insieme a Christine Lagarde e Paschal Donohoe valuteranno inoltre i progressi compiuti nell’Unione dei mercati dei capitali e nell’Unione bancaria, nonché i lavori avviati sull’euro digitale.
    Garantire “con urgenza” la fornitura di aiuti umanitari e l’accesso ai bisogni più elementari, “impegnarci, in un fronte unito e coerente” con i partner per evitare una pericolosa escalation regionale del conflitto e “rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati”. La tradizionale lettera di invito del presidente del Consiglio europeo prima del Vertice Ue che si terrà domani e venerdì a Bruxelles

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    Per l’allargamento dell’Unione ai Balcani Occidentali è necessario “trovare come superare le divisioni esistenti”

    Bruxelles – La prima volta in un Paese dei Balcani Occidentali, per rinvigorire l’iniziativa diplomatica nata quasi un decennio fa per volontà tedesca. I leader balcanici e dell’Ue si sono riuniti oggi (16 ottobre) a Tirana, in Albania, nel quadro del Processo di Berlino con l’obiettivo di mettere a fuoco le priorità di un cammino verso l’adesione all’Unione che di fronte alle crescenti tensioni internazionali sembra più che mai vitale e urgente per entrambe le parti. “Dovremmo esplorare modalità diverse per superare le divisioni esistenti, assicurare una coesistenza armoniosa per il futuro dell’Europa e per mitigare i rischi, prima che possano riguardare dall’interno l’Ue”, ha messo in chiaro il primo ministro dell’Albania e ospite del nono vertice dell’iniziativa sull’allargamento dell’Unione ai Balcani Occidentali, Edi Rama.Il vertice dei leader del Processo di Berlino, a Tirana (16 ottobre 2023)Un vertice che si è focalizzato su due direttrici: le prospettive (anche in termini temporali) dell’adesione dei partner balcanici all’Ue e gli sforzi per spingere le riforme attraverso finanziamenti ad hoc nella regione. “Sappiamo che è il momento di rispettare le promesse, entrambe le parti devono essere pronte“, ha sottolineato nel suo intervenuto di apertura dei lavori a Tirana il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, rivendicando nuovamente la scadenza del 2030 avanzata a fine agosto al Bled Strategic Forum. Nonostante sia stata accolta “con scetticismo nella regione” – con i leader balcanici che hanno avvertito che non si deve andare oltre – “perché state aspettando da tempo”, Michel si è riallacciato a una similitudine quantomeno ardita avanzata dallo stesso premier albanese: “Ha comparato l’allargamento a una sposa che non si mostra mai al matrimonio, voglio dirvi che oggi la sposa sta preparando attivamente il matrimonio“. Fuor di metafora, “anche se nell’Ue non tutti sono a favore di fissare una data, perché è un processo basato sul merito, questo è un modo per spingere un dibattito serio sull’allargamento”, ha ribadito Michel, citando non solo gli sforzi del Processo di Berlino ma anche gli esiti del Consiglio Europeo informale del 6 ottobre a Granada.Più cauto il premier albanese, che non si è voluto addentrare nel discorso sull’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi quelli con la sola prospettiva di adesione), perché “è qualcosa di difficile previsione in qualsiasi scenario di breve periodo“. Rama ha voluto invece porre l’attenzione sulla necessità di “non sprecare le buone intenzioni con scadenze per il prossimo allargamento che non possono essere concordate o mantenute dagli attuali Stati membri, o che contraddicono il principio del merito”. Al contrario, esortando i Ventisette a dare seguito alle promesse, la richiesta è quella di “introdurre uno status di osservatore per i Paesi che stanno transitando dai negoziati alla piena adesione“. Uno status del genere “non garantirebbe alcuni privilegi come il diritto di voto, ovviamente”, ha spiegato il leader albanese, ma “offrirebbe benefici e rafforzerebbe l’unità politica in un’Unione democratica, assicurando la responsabilità” dei Paesi dei Balcani Occidentali.E poi c’è tutta la questione degli investimenti, della crescita economica, delle riforme e dell’integrazione dei Balcani Occidentali sul fronte della transizione digitale e verde. “Le nostre economie sono ancora troppo distanti e i preparativi per l’adesione non sono al punto in cui vorremmo che fossero“, ha avvertito nel suo intervento alla sessione pubblica del vertice a Tirana dei leader del Processo di Berlino la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, riconoscendo che “dovremmo essere ambiziosi e puntare a raddoppiare le dimensioni delle vostre economie nel prossimo decennio”. Nonostante il Piano economico e di investimenti da 30 miliardi “sta dando i suoi frutti, circa 16 miliardi di euro sono già stati impiegati”, è altrettanto necessario non mollare la presa sulle sfide da affrontare per le nuove sfide portate dalle conseguenze energetiche della guerra russa in Ucraina (e quelle potenziali per il conflitto in Medio Oriente). Non c’è solo il Pacchetto di supporto energetico stabilito proprio a Tirana in occasione del vertice Ue-Balcani Occidentali nel dicembre dello scorso anno, ma soprattutto il Piano di crescita basato su quattro pilastri così come anticipato dalla stessa presidente von der Leyen a fine maggio: “L’obiettivo è quello di stimolare la crescita economica nella regione”, considerato il fatto che a oggi “siete solo al 35 per cento della media Ue”.Il primo pilastro del Piano di crescita è “l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, stiamo parlando dell’accesso in specifici settori”, ha spiegato la numero uno dell’esecutivo comunitario: “Mercato unico digitale, mercato dell’energia, pagamenti elettronici”. Il secondo pilastro è invece legato al “completamento del Mercato regionale comune, che potrebbe aggiungere il 10 per cento alle vostre economie”. Il terzo pilastro si basa sul “liberare il vostro pieno potenziale economico” attraverso “riforme ambiziose e fondamentali” come “Stato di diritto, funzionamento del sistema giudiziario e altri elementi fondamentali”, ma anche economiche “che migliorino il clima imprenditoriale e attraggano più investimenti”. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: “Un aumento per gli investimenti e le riforme” attraverso un pacchetto di 6 miliardi di euro, “di cui 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi di euro in prestiti, che ho proposto nell’ambito della revisione intermedia del bilancio a lungo termine dell’Ue“. Ma rimane centrale che – “proprio come facciamo nell’Ue con Next Generation Eu” – i finanziamenti “sono subordinati al successo delle riforme”, ha messo in chiaro von der Leyen. Anche per il premier albanese Rama il Piano di crescita è “un nuovo inizio che dovrebbe essere esplorato in modo ambizioso“, mentre il presidente Michel ha esortato tutte e sei le capitali balcaniche a ratificare gli accordi già firmati sulla mobilità regionale.Oltre il Processo di Berlino, a che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”. Si attende ora solo la pubblicazione del Pacchetto Allargamento 2023 da parte della Commissione, prevista dall’agenda dei punti all’ordine del giorno del Collegio dei commissari per l’8 novembre.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Per la prima volta dal 2014 il vertice dei leader riuniti nel quadro del Processo di Berlino, l’iniziativa diplomatica a trazione tedesca si è svolto in una capitale balcanica. Il premier albanese, Edi Rama, ha chiesto di valutare l’introduzione di uno “status di Paese osservatore” pre-adesione

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    A Granada i leader Ue hanno iniziato a discutere dell’agenda strategica per l’allargamento e le riforme interne

    Bruxelles – È un punto di partenza, almeno per i leader dei 27 Paesi membri Ue. Tra i corposi contorni della crisi energetica, della politica di migrazione e asilo e della competitività economica, il piatto forte del Consiglio Europeo informale andato in scena oggi (6 ottobre) a Granada è stato il confronto sul futuro allargamento Ue e sulle riforme interne all’Unione per preparsi ad accogliere nuovi membri (fino a 10, quanti sono i Paesi che almeno hanno fatto richiesta di aderire). “Quello di oggi è il punto di inizio di un’agenda strategica basata su tre punti“, ha rivendicato con orgoglio il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Le nostre priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo per le iniziative”.I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue e i leader delle istituzioni comunitarie al Consiglio Europeo informale di Granada (6 ottobre 2023)In altre parole, dopo aver salutato i partner arrivati a Granada ieri (5 ottobre) per il terzo vertice della Comunità Politica Europea, i Ventisette si sono ritrovati da soli a discutere in modo coerente “per la prima volta a così alto livello” di cosa sarà l’Unione Europea del futuro: prospettive dell’allargamento Ue, graduale abbandono dell’unanimità in Consiglio e distribuzione dei fondi del budget comunitario nello scenario di un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia). “Allargamento significa che i candidati hanno riforme da fare e dal nostro lato che dobbiamo prepararci”, ha puntualizzato Michel. Come si legge nella dichiarazione di Granada, l’allargamento Ue “è un motore per migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini europei, ridurre le disparità tra i Paesi e promuovere i valori su cui si fonda l’Unione” e, in vista di una nuova fase, “gli aspiranti membri devono intensificare i loro sforzi di riforma, in particolare nel settore dello Stato di diritto”, e “parallelamente l’Unione deve porre le basi e le riforme interne necessarie“.Rieccheggia nella Dichiarazione di Granada l’eco della recente proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento, che costituisce al momento la base di partenza più dettagliata e approfondita per le discussioni tra i leader. Il viaggio è cominciato oggi in Spagna e come tappa decisiva per un aggiornamento si può già segnare in calendario l’estate 2024, quando “sotto presidenza belga” del Consiglio dell’Ue (prima del primo luglio, dunque) saranno presentati “degli orientamenti” per “identificare e convergere” su obiettivi e progressi di breve e medio termine, ha precisato ancora Michel. A proposito di date, nonostante lo scetticismo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il numero uno del Consiglio ha rivendicato l’utilità di fornire una scadenza per “essere pronti” all’allargamento Ue: “Il 2030 è condiviso da molti Stati membri perché è un incoraggiamento, abbiamo visto troppe procrastinazioni negli ultimi 20 anni”.A proposito di ciò che la Commissione Europea sta facendo a riguardo, la presidente von der Leyen ha messo in chiaro a Granada che “lavoreremo a diverse revisioni delle politiche in diversi campi all’interno dei Trattati“, sia per quanto riguarda “i compiti che devono fare i Paesi candidati, sia quelli che dobbiamo fare noi come Unione “Europea”. È centrale il fatto che “l’esperienza dell’allargamento Ue è stata sempre estremamente vantaggiosa per entrambe le parti”, fermo restando che “coloro che vogliono aderire devono essere pronti per entrare nel Mercato unico”. Anche dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, è arrivato un appello a “non lasciare indietro nessuno”, ovvero che “una volta soddisfatte tutte le condizioni con report positivi, dovremmo essere in grado di avviare i negoziati di adesione“. In attesa del Pacchetto Allargamento Ue 2023 – che sarà pubblicato l’8 novembre dalla Commissione – anche l’Unione stessa deve “avviare un dialogo per chiederci cosa dobbiamo fare per riformarci”, ha esortato Metsola: “Ciò che funziona attualmente per i Ventisette, non funzionerà per i 32, 33 o 35” futuri Paesi membri. Sulla stessa linea il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha puntato il dito soprattutto contro il processo decisionale interno: “Abbiamo cercato di chiarire che in politica estera o in politica fiscale non può sempre esserci unanimità, dobbiamo anche essere in grado di prendere decisioni a maggioranza qualificata”.Il vertice di Granada oltre l’allargamento UeIn un vertice in cui Polonia e Ungheria hanno posto il veto sull’inserire nel testo congiunto il capitolo sulla migrazione – pubblicato separatamente come una striminzita ‘dichiarazione del presidente del Consiglio Europeo’, esattamente come successo al vertice di giugno – i 27 leader hanno dato il via libera a un documento molto generico, a partire dalla questione Ucraina: “Abbiamo confermato che il futuro dei nostri aspiranti membri e dei loro cittadini è all’interno dell’Unione Europea“, anche se il premier ungherese, Viktor Orbán, ha sollevato alcuni dubbi (“non è mai successo un allargamento con un Paese in guerra, non sappiamo quali sono i confini veri”). Allo stesso modo i Ventisette promettono che “rafforzeremo la nostra preparazione alla difesa e investiremo nelle capacità sviluppando la nostra base tecnologica e industriale” a partire da “mobilità militare, resilienza nello spazio e contrasto alle minacce cibernetiche e ibride e alla manipolazione delle informazioni straniere”.Da sinistra: il primo ministro spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Pedro Sánchez, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (6 ottobre 2023)Non più incisivo il capitolo sulla competitività. “Lavoreremo sulla nostra resilienza e sulla nostra competitività globale a lungo termine, assicurandoci che l’Ue abbia tutti gli strumenti necessari per garantire una crescita sostenibile e inclusiva e una leadership globale in questo decennio cruciale“, si legge nel testo, che parla di “affrontare le vulnerabilità e rafforzare la nostra preparazione alle crisi” in particolare “nel contesto dei crescenti rischi climatici e ambientali e delle tensioni geopolitiche”. Con l’obiettivo di “garantire la sostenibilità del nostro modello economico, senza lasciare indietro nessuno“, il lavoro si concentrerà su “efficienza energetica e delle risorse, circolarità, decarbonizzazione, resilienza alle catastrofi naturali e adattamento ai cambiamenti climatici”. La questione riguarda anche il tema dell’energia: “Garantiremo l’accesso a prezzi accessibili, aumenteremo la nostra sovranità e ridurremo le dipendenze esterne in altri settori chiave” in cui l’Unione “deve costruire un livello sufficiente di capacità per garantire il suo benessere economico e sociale”. Si tratta di “tecnologie digitali e a zero emissioni, farmaci, materie prime essenziali e agricoltura sostenibile“, specifica la dichiarazione, che ribadisce la necessità di “rafforzare la nostra posizione di potenza industriale, tecnologica e commerciale”.
    Al vertice informale i capi di Stato e di governo si sono confrontati su “priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo”, ha spiegato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In arrivo nell’estate 2024 “orientamenti” su obiettivi e progressi di breve/medio termine

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    Il terzo vertice della Comunità Politica Europea all’ombra delle tensioni Armenia-Azerbaigian. E di due assenze pesanti

    Bruxelles – Quello che doveva essere un forum di confronto e dialogo tra i leader dei Paesi Ue ed extra-Ue per evitare escalation di tensione non desiderate tra i suoi membri, si sta arenando già dopo un anno dalla sua inaugurazione. Il terzo vertice della Comunità Politica Europea è andato in scena a Granada (Spagna) con le solite enfatiche promesse di grandezza, ma a risaltare davvero sono state le assenze e le discussioni su uno dei temi che la diplomazia europea non sta riuscendo in nessun modo a risolvere: il conflitto congelato tra Armenia e Azerbaigian. Le assenze sono state quelle del presidente azero, Ilham Aliyev, e del suo alleato più stretto, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che con la loro diserzione hanno inviato un messaggio chiaro agli altri 45 partecipanti del vertice di Granada: la Comunità Politica Europea non è un luogo gradito dove discutere di controversie tra gli Stati partecipanti, a maggior ragione dopo interventi armati.Da sinistra: il cancelliere della Germania, Olaf Scholz, il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, al vertice della Comunità Politica Europea a Granada il 5 ottobre 2023 (credits: Ludovic Marin / Afp)“Non potremo discutere di una tragedia come la fuga di oltre centomila persone e di un attacco militare che condanniamo, perché né l’Azerbaigian né la Turchia sono qui”, è stata l’accusa lanciata dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, facendo ingresso al vertice di Granada: “Spero che a Bruxelles ci possano essere riunioni di mediazione tra Armenia e Azerbaigian, soprattutto per evitare che il conflitto peggiori”. Solo nelle ultime due settimane oltre 100 mila profughi hanno lasciato l’enclave armena in Azerbaigian per il timore di una pulizia etnica dopo la conquista della regione separatista da parte dell’esercito azero. “Siamo scioccati dalla decisione dell’Azerbaigian di utilizzare la forza militare” in Nagorno-Karabakh, ha rincarato la dose il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, a margine della riunione di Granada, facendo sapere di aver avuto una conversazione telefonica con il presidente Aliyev martedì (3 ottobre) in cui gli ha comunicato che Bruxelles aiuterà l’Armenia “ad affrontare le conseguenze di questa operazione militare”. Visibilmente indispettito per l’assenza del leader azero a Granada dopo il lavoro negli ultimi giorni “per preparare un incontro” con il premier armeno, Nikol Pashinyan, con “idee su stabilità e serenità nell’affrontare le conseguenze umanitarie”, Michel ha rifiutato di commentare pubblicamente la decisione: “Ho avuto occasione di dirgli direttamente quali sono i miei sentimenti a riguardo”.Proprio il presidente del Consiglio Europeo ha sottolineato l’importanza – anche se per il momento fallimentare – della diplomazia europea nel Caucaso meridionale. “Prima degli sforzi di mediazione l’Ue non era molto presente nella regione, ma poi abbiamo fatto progressi con risultati tangibili, come sulla liberazione dei prigionieri, sulla definizione dei confini e sulla connettività”. L’Unione è una “mediatrice naturale, perché non abbiamo un’agenda nascosta, è chiarissima: prosperità, sicurezza, pace” e per questo motivo Bruxelles spinge con forza per “ulteriori sforzi diplomatici”. A partire da quello a Granada con il premier armeno, l’unico delle parti coinvolte nel conflitto congelato a essere presente al vertice della Comunità Politica Europea, che si è intrattenuto in un quartetto al termine della sessione plenaria con Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron. All’appello mancava solo il presidente azero Aliyev, che non ha voluto replicare il quintetto di Praga dello scorso anno.Il supporto Ue all’ArmeniaIn questo momento per l’Unione è prioritario supportare l’Armenia di fronte a un afflusso di profughi di dimensioni enormi rispetto alla popolazione (oltre 100 mila persone in fuga dal Nagorno-Karabakh su un totale di due milioni di cittadini armeni). Ecco perché anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha voluto un bilaterale con il premier Pashinyan per illustrargli le ulteriori misure di sostegno di emergenza e a lungo termine con cui “l’Ue sosterrà fortemente l’Armenia” parallelamente al “dialogo con l’Azerbaigian”. L’assistenza umanitaria che ha toccato i 5,2 milioni di euro “sarà raddoppiata” a 10,4 milioni e sarà il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, a valutare domani (6 ottobre) in Armenia la situazione, per discutere di “un ulteriore sostegno mirato” attraverso il Meccanismo di protezione civile Ue. A questo si aggiungono 15 milioni di euro come finanziamenti nell’ambito dei programmi annuali per l’Armenia, “che potranno essere utilizzati come sostegno al bilancio dello Stato per far fronte alle esigenze socio-economiche e all’acquisto di cibo e carburante”.Il programma EU4Peace sarà integrato con altri 800 mila euro per sostenere l’assistenza d’emergenza, ma anche le misure di rafforzamento dei media “noti per la loro informazione equilibrata”. Come assistenza tecnica la Commissione Ue discuterà con le autorità armene sulla mobilitazione di fondi dai programmi Taiex e Twinning, “per affrontare questioni come la sicurezza aerea e la sicurezza nucleare”. E infine a Bruxelles si sta lavorando sia sul Piano economico e di investimento da 2,6 miliardi di euro di investimenti per le infrastrutture (che al momento ha visto l’erogazione di 413 milioni), sia sulla partecipazione di Yerevan a progetti regionali come il cavo elettrico del Mar Nero con Azerbaigian, Georgia, Ungheria e Romania.Il conflitto in Nagorno-KarabakhTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev.L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che, per la sproporzione di forze in campo, ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert
    Il presidente azero, Ilham Aliyev, e il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, hanno disertato la riunione di Granada in cui è stata centrale la questione dell’intervento armato in Nagorno-Karabakh. L’Ue annuncia il raddoppio del budget per l’assistenza umanitaria a Yerevan

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    Sul Memorandum Ue-Tunisia si consuma un altro scontro tra Ursula von der Leyen e Charles Michel

    Bruxelles – L’intesa siglata a luglio tra la Commissione europea e il governo tunisino di Kais Saied continua a creare dissapori tra le istituzioni comunitarie. Dopo gli attacchi dell’Eurocamera e del capo della diplomazia europea, Josep Borrell, si è sbottonato anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
    L’ultimo capitolo della saga si è consumato dopo che il presidente tunisino ha definito la prima tranche da 60 milioni di euro versata da Bruxelles come “un’elemosina”, annunciando di volerla rifiutare. Decisione che fa seguito in realtà a diversi segnali allarmanti già lanciati da Saied, che ha rimandato un incontro di alto livello con la Commissione europea sull’attuazione del Memorandum e ha impedito l’ingresso sul territorio nazionale ad una delegazione dell’Eurocamera. Ecco allora che Michel, in un’intervista alla televisione spagnola Rtve, ha rilanciato la polemica: “È importante seguire le procedure e assicurarsi che gli Stati membri diano il loro mandato alla Commissione e poi gli Stati membri, durante questo processo, dicano sì o no, a ciò che la Commissione ha negoziato: questa è una lezione chiara, il coinvolgimento degli Stati membri è fondamentale per il suo successo”, ha dichiarato il leader Ue.
    Da sx: Mark Rutte, Ursula von der Leyen, Kais Saied e Giorgia Meloni alla firma del Memorandum d’Intesa Ue-Tunisia, 16 luglio 2023
    Già messa sotto accusa per non aver coinvolto i 27 nelle trattative dall’Alto rappresentante Borrell, la Commissione ha negato in modo seccato l’uscita di Michel. “Abbiamo visto queste dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo, dal nostro punto di vista sono parzialmente imprecise e non rafforzano in nessun modo l’abilità dell’Ue di agire in modo efficace nell’affrontare la difficile questione della migrazione”, ha dichiarato oggi (4 ottobre) la portavoce dell’esecutivo von der Leyen, Arianna Podestà.
    Secondo la ricostruzione della portavoce, prima del 16 luglio (data della firma del memorandum) la Commissione avrebbe “riferito ripetutamente agli ambasciatori degli Stati membri e al Consiglio sulle principali caratteristiche dell’accordo e sui progressi fatti nei negoziati”.
    Podestà ha rivendicato inoltre la libertà della Commissione “di negoziare accordi che non sono vincolanti in base al diritto internazionale, come quello con la Tunisia”. Un accordo i cui negoziati “sono politicamente basati su conclusioni esplicite del Consiglio europeo“. La portavoce è infine passata al contrattacco, dichiarando che “dopo la conclusione dell’accordo diversi capi di governo hanno esplicitamente apprezzato il risultato e incoraggiato la Commissione a concludere altri accordi seguendo queste linee”.
    Dalla sua trincea la Commissione europea procede a testa bassa e – nonostante il rifiuto dei contributi finanziari annunciato da Saied – ha confermato di aver finalizzato “il pagamento di 60 milioni di euro di sussidi alla Tunisia dopo la richiesta del governo tunisino arrivata il 31 agosto”. Un’assistenza che, come ribadito dalla portavoce Ana Pisonero, non ha nulla a che vedere con il Memorandum, ma che rientra in un pacchetto concordato precedentemente nell’ambito della ripresa post-pandemica. Fonti europee rivelano tuttavia che Saied “ritiene che il volume delle risorse mobilitate non sia adeguato e non il linea con quanto concordato”.
    In difesa dell’accordo siglato da von der Leyen sono intervenuti oggi dall’emiciclo di Strasburgo il vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, e il leader del Partito Popolare europeo – gruppo in cui siede la stessa von der Leyen – Manfred Weber. Per quest’ultimo il memorandum con la Tunisia, “anche se difficile da applicare”, è “un modello per altre intese con i Paesi dell’Africa settentrionale”, mentre Schinas ha assicurato che la sua attuazione “è stata accelerata, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani”.
    Il memorandum con la Tunisia continua a non piacere neppure in Parlamento, dove una buona parte dell’Aula lo ha criticato anche oggi nel corso del dibattito. Ma, domanda l’esponente del Ppe Jeroen Lenaers, “qual è l’alternativa?”. Un intervento che dà il senso della situazione.

    Dopo il rifiuto di Saied alla tranche da 60 milioni di assistenza per la ripresa post-Covid, il presidente del Consiglio europeo ha attaccato la Commissione Ue per non aver coinvolto i 27 nei negoziati. Piccata la risposta dell’Esecutivo: “Dichiarazioni imprecise che non aiutano”

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    L’Ue sfida Putin: Vertice con i Paesi dell’Asia centrale il prossimo anno

    Bruxelles – Dopo Caucaso e Ucraina, l’Asia centrale. La certosina opera di espansione dell’Europa verso est, per rosicchiare quelle zone di mondo storicamente e tradizionalmente più vicine ad altre logiche e visioni, più moscovite e russofone, continua. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sta pensando di portare a Bruxelles i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan. “Stiamo cercando di organizzare un vertice dell’Unione europea con l’Asia centrale l’anno prossimo“, riconosce un alto funzionario Ue. Si tratta del “primo vertice di sempre” in questo formato.
    Una sfida alla Russia e al suo ‘zar’ dei tempi contemporanei, Vladimir Putin. Kazakistan e Kirghizistan, Tagikistan sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’alleanza militare istituita nel 1992 come riorganizzazione post-sovietica di cui la Russia è capofila. Kazakistan e Kirghizistan fanno anche parte dell’Unione economico euro-asiatica (EAEU), unione doganale e commerciale sempre con capofila la Russia e che vede l’Uzbekistan nella veste di osservatore esterno. Portare attorno al tavolo i leader di questi Paesi vuol dire cercare di scardinare il modello putiniano nella regione o, comunque, avviare una nuova fase nei rapporti con Stati improvvisamente meno lontani.
    Politicamente la guerra lanciata da Mosca contro l’Ucraina ha indebolito l’immagine di Putin. Il contestuale cambio di potere in Kazakistan, con l’attuale presidente Kassym-Jomart Kemeluly Tokayev meno assertivo nei confronti del Cremlino, offre all’Ue l’opportunità di provare ad accrescere la propria presenza nella regione. Vero è, ammette lo stesso alto funzionario europeo, che l’idea di un summit Ue-Asia centrale è stata presa “basandosi sul successo” degli incontri con lo stesso Tokayev, l’ultimo dei quali a Berlino la settimana scorsa, e “sulla partecipazione del presidente Michel agli incontri con tutti i leader dell’Asia centrale”. Perché Michel è molto attivo su questo fronte, e non è un caso.
    Si intravede una strategia, che va nella direzione di eliminare ciò che ancora rimane di un vecchio ordine mondiale basato su due blocchi. Il ragionamento che si fa sull’Armenia lo dimostra. Anche l’Armenia è membro CSTO e EAEU. Ma l’offensiva dell’Azerbaijan in Nagorno-Karabakh offre un’opportunità. L’Ue può poco per soddisfare le rivendicazioni armene su un territorio mai riconosciuto come armeno, ma può offrire prospettive europee.
    In occasione della riunione della Comunità politica europea in programma a Granada il 5 ottobre “dobbiamo essere in ‘modalità ascolto’ per capire cosa meglio fare per sostenere Armenia”, spiegano fonti Ue. Il governo di Yerevan, lasciato solo per l’occasione dal partner russo, “potrebbe anche dover decidere cosa fare a lungo termine con la sua adesione alla CSTO e cosa fare a lungo termine con la sua adesione all’unione doganale eurasiatica”. Si guarda alle scelte dell’Armenia, pronti a offrire una nuova sponda consapevoli di un’intesa russo-azera disegnata per circumnavigare le sanzioni Ue contro la Russia.
    Il blocco a dodici stelle ha tagliato gli acquisti di gas russo e aumentato la domanda di quello dell’Azerebaijan, che per soddisfare il proprio fabbisogno interno si rifornisce da Gazprom al fine di compensare l’aumento di vendite all’Europa. In sostanza, alla fine è Baku a finanziare il regime russo con i soldi presi dall’Europa per il gas venduto proprio all’Europa. Uno dei motivi che ha spinto Mosca a non intervenire nella contesa tutta caucasica.
    L’Ue è consapevole che le sanzioni non stanno dando un’efficacia al 100 per cento. Un meccanismo anti-elusione è stato inserito nell’11esimo pacchetto proprio per questo. Michel vorrebbe che i Paesi dell’Asia centrale si allineassero alla politica Ue in materia di restrizioni contro il Cremlino. Ha già iniziato a porre la questione certamente continuerà. Magari nel vertice che verrà. Per ora ci si lavora, per gradi. Con l’obiettivo di ridefinire i rapporti di forza in Asia centrale.
    Questa idea di un summit Ue-Asia centrale si va ad aggiungere all’espansione che il blocco occidentale tutto, incluso quello europeo, ha già visto con l’adesione di Svezia e Finlandia nella Nato. C’è dunque un pressione euro-atlantica che cresce verso est. L’iniziativa di un ‘allargamento’ Ue verso i Paesi dell’Asia centrale tradizionalmente partner della Russia non fa che accrescere quel senso di accerchiamento denunciato da Putin già dal 2007 , in occasione della conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco.

    L’idea a cui lavora il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Si cerca di scardinare l’alleanza economica e militare regionale della Russia

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    Limitazione del diritto di veto e inclusione delle organizzazioni regionali. La spinta di Michel alla riforma delle Nazioni Unite

    Bruxelles – I panni sporchi si lavano in famiglia. E se la famiglia è “globale e disfunzionale”, è necessaria un’azione drastica e incisiva. Come una riforma complessiva del sistema di funzionamento dell’Onu. Dal podio del Palazzo di Vetro, in occasione della 78esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha sostenuto con forza la necessità di una riforma dell’organizzazione intergovernativa nata nel 1945, dopo che il sistema “è bloccato e ostacolato da forze ostili”.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla 78esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York (21 settembre 2023)
    Intervenuto a New York nella nottata europea (21 settembre), il numero uno del Consiglio ha messo in chiaro che “l’Unione Europea aspira a un mondo multipolare, un mondo che coopera e si muove verso una maggiore democrazia e rispetto dei diritti umani“. Tuttavia, “la fiducia si sta erodendo, le tensioni si moltiplicano e un pericoloso confronto bipolare ci minaccia, come se tutti dovessero schierarsi l’uno contro l’altro”, è l’avvertimento sul fatto che è più che mai necessario “rimettere in moto la cooperazione multilaterale e riparare il sistema delle Nazioni Unite”. Il punto di partenza rimane “la fiducia basata sul rispetto dei sacri principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite” – rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dei diritti umani – e l’accusa a chi ha minato le fondamenta del progetto è netta: “Negli ultimi 19 mesi un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Russia, ha condotto una guerra di conquista contro un Paese vicino che non l’ha mai minacciato”.
    Per tutti questi motivi il leader dell’istituzione comunitaria ha voluto far sentire la sua voce per portare “una nuova prospettiva” al dibattito sulla riforma delle Nazioni Unite, basata in particolare sulla questione del diritto di veto e sul ruolo che dovrebbero svolgere le organizzazioni regionali, come l’Ue e non solo: “Su questi punti chiedo un emendamento alla Carta delle Nazioni Unite”, ha annunciato Michel. In primis perché “il Consiglio di Sicurezza non riflette il mondo di oggi, ci sono 60 Paesi che non hanno mai avuto un seggio” e “intere aree del mondo – Africa, Sud America, Caraibi, Asia – sono poco o per nulla rappresentate”. Se “potere e legittimità vanno di pari passo”, la mancanza di rappresentatività del Consiglio di Sicurezza “sta minando la sua legittimità”.
    Da una parte c’è dunque la necessità di ragionare sul superamento dello “status quo” per quanto riguarda l’aumento del numero di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. “Le Nazioni Unite, come suggerisce il nome, sono un club di nazioni”, ha ricordato il presidente Michel, tenendo fisso lo Stato nazionale come “unità di base” del sistema multilaterale, ma definendo “inevitabile” l’aumento dei membri permanenti. Allo stesso tempo però non potrà rimanere così com’è il diritto di veto, che “nella sua forma attuale è soggetto ad abusi e rende il Consiglio di Sicurezza imponente”. Gli esempi si sprecano – tutti dimostrati dalla guerra russa in Ucraina – dalla “violazione palese” della Carta e del diritto internazionale da parte dei membri permanenti al diritto di veto sulle sanzioni contro se stessi “ancora più scioccante”, fino alla propaganda e la disinformazione veicolata all’interno del Consiglio stesso. Bruxelles sostiene in particolare l’iniziativa di Francia e Messico che dovrebbe limitare il diritto di veto “nei casi di atrocità di massa”, ha puntualizzato Michel: “Sosteniamo il codice di condotta relativo all’azione contro il genocidio, i crimini contro l’umanità o i crimini di guerra”, così come “tutti gli sforzi per migliorare la trasparenza e la responsabilità del Consiglio di Sicurezza”. Nel contesto della riforma della Carta Onu si dovrebbe istituire un meccanismo “che combini il processo decisionale a maggioranza con un uso moderato e flessibile del diritto di veto”, ha voluto ribadire il numero uno del Consiglio Ue.
    E poi, considerando la riforma del sistema di rappresentatività, non si può allargare l’orizzonte oltre gli Stati nazionali. “Il ruolo delle organizzazioni regionali e continentali sta crescendo“, come dimostra l’azione dell’Unione Europea, dell’Unione Africana, della Comunità degli Stati Latino-Americani e dei Caraibi (Celac) e dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean). “Queste organizzazioni riflettono un nuovo livello di legittimità nei forum internazionali e multilaterali“, dal momento in cui svolgono un “ruolo di coordinamento politico ed economico tra i loro membri” e creano “spazi per una cooperazione più stretta e dove si stabiliscono le regole”, è quanto messo in chiaro dal presidente Michel, che si è detto convinto che “le Nazioni Unite diventerebbero più legittime ed efficaci se dessero spazio alle organizzazioni regionali“. Un’inclusione che potrebbe dare vita a un circolo virtuoso, con una doppia azione: le stesse organizzazioni potrebbero “cooperare di più e meglio tra loro”, mentre “la loro influenza stabilizzatrice sarebbe ulteriormente rafforzata nella cooperazione multilaterale”. Con questo quadro chiaro il presidente del Consiglio Ue ha annunciato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che “presto prenderò l’iniziativa di organizzare un vertice istituzionale tra Unione Europea, Unione Africana, Celac, Asean e con il Segretario Generale delle Nazioni Unite”, António Guterres. L’obiettivo sarà proprio quello di “riflettere su come le nostre organizzazioni possano agire insieme per rafforzare il sistema multilaterale”. E lavare i panni sporchi in famiglia.

    Nel suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu, il presidente del Consiglio Ue ha avvertito che “oggi questa famiglia globale è disfunzionale” a causa di un sistema bloccato da “forze ostili”. Presto un vertice con Unione Africana, Celac, Asean e il Segretario Generale António Guterres

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    Nemmeno un giorno di tregua. L’Unione Europea condanna i bombardamenti dell’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – La speranza per una distensione è durata poco meno di 24 ore, o più probabilmente è stata solo un’illusione dopo settimane di escalation. Dal Nagorno-Karabakh arrivano oggi (19 settembre) “notizie devastati”, come le ha definite il presidente del Consiglio Europeo e primo sponsor del dialogo tra Azerbaigian e Armenia, Charles Michel. L’esercito azero ha iniziato un’offensiva militare contro l’enclave separatista, che il ministero della Difesa di Baku considera “un’attività antiterroristica locale”  per “reprimere le provocazioni su larga scala”. Diversi filmati mostrano i bombardamenti sul territorio mentre a Stepanakert, capitale de facto dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, risuonano da questa mattina le sirene dell’antiaerea.
    “Le azioni militari dell’Azerbaigian devono essere immediatamente interrotte per consentire un dialogo autentico tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh”, è la secca esortazione di Michel, a cui fanno eco le parole dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Unione Europea condanna l’escalation militare lungo la linea di contatto e in altre località del Nagorno-Karabakh, chiediamo l’immediata cessazione delle ostilità e che l’Azerbaigian interrompa le attività militari in corso”. L’offensiva militare arriva con un messaggio che fa temere il peggio di una guerra totale e la pulizia etnica: nella “zona pericolosa” sarà messa in atto una “evacuazione” della popolazione civile a maggioranza armena. Il governo azero sostiene che l’offensiva è legata esclusivamente a mettere fuori gioco “mezzi di combattimento e strutture militari armene” dopo la morte di quattro soldati e due civili a causa dello scoppio di mine anti-uomo, ribadendo di essere impegnato nella “protezione della popolazione locale”. Ma non è passato inosservato nel corso delle ultime settimane l’ammassamento di convogli azeri – tutti contrassegnati con una A rovesciata (che in modo inquietante ricorda la Z dell’esercito russo in Ucraina) – sul confine con l’Armenia e lungo la linea di contatto nel Nagorno-Karabakh. In un’intervista a Politico il premier armeno, Nikol Pashinyan, aveva avvertito che “non è possibile escludere uno scenario di escalation“.
    “È urgente tornare al dialogo tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh, questa escalation militare non deve essere usata come pretesto per forzare l’esodo della popolazione locale“, è l’appello dell’alto rappresentante Borrell, che continua a chiedere “un ambiente favorevole ai colloqui di pace e di normalizzazione” attraverso un “impegno genuino di tutte le parti per lavorare verso risultati negoziali facilitati dall’Ue”. L’escalation arriva dopo mesi di negoziati infruttuosi condotti da Bruxelles e dalla contrapposizione sempre più netta tra il premier armeno e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. Il primo cerca ancora l’appoggio militare della Russia – lamentando però che Mosca non è più in grado di agire come garante della sicurezza di Yerevan dopo l’invasione dell’Ucraina – mentre Baku riceve il sostegno della Turchia per un possibile intervento che metta fine a un conflitto congelato da decenni.
    I bombardamenti azeri sul Nagorno-Karabakh sono al contempo una doccia fredda diplomatica e un possibile stop alla politica energetica dell’Unione. In primis perché è da un anno e mezzo che il presidente Michel tenta di spingere per una risoluzione delle tensioni tra i due leader caucasici attraverso il dialogo. Il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali martedì scorso (12 settembre) attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin proprio ieri (18 settembre) dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria sembravano aver indirizzato la situazione nella regione verso uno sviluppo positivo, ma non erano stati considerati i risvolti militari in atto da parte delle forze di Baku. Allo stesso tempo non va dimenticato che nel luglio dello scorso anno la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si era recata in visita ufficiale in Azerbaigian per siglare un accordo sulla fornitura di gas naturale e – nonostante le perplessità degli analisti sul rischio di sostituire Putin con un altro autocrate – aveva definito Aliyev “un partner affidabile e degno di fiducia“.
    Il corridoio meridionale del gas
    La guerra congelata in Nagorno-Karabakh
    Tra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Europeo è stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti almeno fino a oggi, che ha messo in pericolo gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Dopo lo sblocco del rifornimenti umanitari attraverso il corridoio di Lachin, il governo di Baku ha lanciato un’offensiva nell’enclave separatista giustificandola come “attività antiterroristica locale”. Le istituzioni Ue chiedono “l’immediata cessazione delle ostilità” e il “ritorno al dialogo”